La Cina è vicina

articoli, video, immagini di Paolo Desogus, Massimo Cacciari, Manlio Dinucci, Noam Chomsky, Domenico Gallo, Alessandro Orsini, León Ferrari, Latuff, Gianandrea Gaiani, Giuliano Marrucci, Alessandro Di Battista, Andrea Muratore, John Mearshaimer, Francesco Santoianni, Enrico Vigna, Tonio Dell’Olio, Giacomo Gabellini, Gianni D’Elia, Piccole Note, Alessandro Ghebreigziabiher, Giuliano Granato, Matteo Saudino, Clara Statello, Enrico Tomaselli, Emanuele Quarta, Giuseppe Masala, Luciano Canfora, Fabio Filomeni, Paolo Ferrero, Fabio Mini, Patrizia Cecconi, Benjamin Abelow, Fabrizio Poggi, David Swanson, Tiziano Ciocchetti, Disarmisti esigenti, Giorgio Monestarolo, Gian Marco Martignoni, Enrico Vigna, Francesco Sylos Labini

La mediazione cinese, l’arroganza occidentale – Paolo Desogus

L’azione della Cina in Russia può forse apparire velleitaria, ma la risposta stizzita degli Stati Uniti (“è un inganno”) mi sembra ancora più fragile e inconcludente. E questo non solo perché Biden rischia di restare col cerino della guerra in mano, ma anche per il rilievo internazionale della visita di Xi Jinping.

La guerra in Ucraina sta infatti mostrando un carattere incredibilmente provinciale ed autoreferenziale di Usa, Europa cui si aggiungono Israele, Australia, Canada e Giappone. L’Occidente resta indubbiamente quella parte di mondo più ricca, influente e tecnologicamente (oltre che militarmente) avanzata del mondo. Ma è anche quella che più di ogni altra ha costruito la propria fortuna sullo sfruttamento dei paesi più poveri, sull’abuso della forza degli eserciti e sull’impunità internazionale.

Il mix di arroganza e attitudine colonialista degli stati più ricchi si scontra sempre di più con la ricerca da parte dei paesi esclusi di un nuove sponde, come la Cina e la Russia, per poter uscire dalla gabbia geopolitica tessuta a loro svantaggio. È interessante a questo proposito osservare come nelle ultime settimane sia sempre più significativo il disimpegno militare francese in molte realtà africane. Nel continente avanzano Russia e Cina con programmi economici e militari tutt’altro che trascurabili. Ha poi molto sorpreso la ripresa dei rapporti diplomatici tra Arabia Saudita e Iran. A questo poi si aggiungono la posizione del Brasile contro l’invio di armi a Zelensky, le ambiguità dell’India…

Insomma, al di fuori della fortezza Nato numerosi altri paesi subiscono sempre meno l’egemonia occidentale. Il viaggio di Xi Jinping si rivolge a loro. È per difendere le nuove relazioni economiche e militari che la Cina sta investendo nella costruzione del proprio prestigio politico per la pace, in contrasto con l’immagine di un Occidente capitanato dagli USA. Quante guerre ha provocato la Cina negli ultimi 70 anni e quante gli USA?

Sono poi notizia di poche ore fa le dichiarazioni del ministro delle finanze israeliano Smotrich secondo cui il popolo palestinese non esiste, è un’invenzione della propaganda. Dove vogliamo andare con questa arroganza?

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Cacciari: “L’Italia è in guerra. Lo dicano chiaramente, basta con ipocrisie”

“Mi pare che una persona persona ragionevole non dovrebbe aver dubbi sul fatto che l’Italia sia in guerra. O siamo al colmo dell’ipocrisia oppure se io fornisco armi e mezzi a chi è in guerra, è evidente che sono in guerra anche io. È anche chiaro che la Nato ha dichiarato guerra alla Russia e che, appunto, siamo in guerra, con tutti i pericoli che questo comporta”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de L’Italia s’è desta (Radio Cusano Campus) dal filosofo Massimo Cacciari sull’invio di armi in Ucraina e sulla situazione attuale del conflitto.

E aggiunge: “L’aggressore è la Russia e non si discute. Non è che ci siano dei segni espliciti di volontà di pace da parte della Russia, ma è altrettanto evidente che se la Corte Penale dell’Aja dichiara Putin criminale e vuole arrestarlo, questo non è certo un atto di pace. Vi pare che sia un atto che favorisca la pace dire che il nemico è un bandito e che quindi va arrestato? È chiaro che è un atto di guerra. Né dall’una, né dall’altra parte – continua – è stato avviata al momento la minima concreta iniziativa non dico di pace, ma di cessate il fuoco. E naturalmente ciò avviene sulla pelle degli ucraini. Dopodiché Meloni non può che fare quello che ha fatto Draghi. Punto e basta. Fine. Un Paese debitore come il nostro non può che obbedire al creditore. Vogliamo capirlo o fingiamo di ignorare la realtà come fanno i bambini?”.

Cacciari condivide l’intervento del senatore leghista Massimiliano Romeo, secondo cui c’è un pensiero unico e se uno prova a prendere in considerazione il piano della Cina viene tacciato come collaborazionista: “Non c’è dubbio, è così. Non ho nessuna simpatia per la Lega, ma è vero quello che ha detto Romeo. A volte sei costretto a dare ragione a chi dice, come Romeo, che il re è nudo, c’è poco da fare. E’ evidente che vi è un interesse da parte di una grande potenza – spiega – nel condurre al disfacimento di un avversario politico sul piano internazionale. Questo è raggiungibile anche senza la Terza guerra mondiale, perché la Russia è debole. È un discorso di realismo politico, se in politica non sei realista devi cambiare mestiere. Datti alla letteratura o a tante nobili arti che con la politica non c’entrano niente”.

Il filosofo sottolinea: “La situazione è questa: c’è una potenza debolissima che è la Russia sulla quale gli Usa pensano di dare la spallata definitiva. La Russia ha compiuto una missione suicida con l’invasione dell’Ucraina e ne pagherà le conseguenze. L’unica speranza è che non ne paghiamo le conseguenze tutti. Già stiamo pagando conseguenze gravissime, perché i costi di questa guerra non sono distribuiti in modo uguali. Gli Usa ci guadagnano e noi ci stiamo straperdendo. Uno che dice le cose come stanno perché deve essere demonizzato? Dite che siamo in guerra e la facciamo finita“.

Cacciari poi spiega la posizione della Cina: “Il conflitto geopolitico enorme che stiamo vivendo non è più una riedizione della Guerra Fredda, non è cioè una guerra tra Usa e Russia, ma tra Usa e Cina. Quindi è chiaro che non si accetteranno mai posizioni cinesi perché l’avversario vero in questo grande conflitto è la Cina. La Cina ha il vantaggio di avere una posizione di preminenza sulle politiche russe, ma in prospettiva la sfida è tra Cina e Usa. Per questo l’Occidente – continua – non andrà mai dietro alla CIna. La Russia deve capire che, se vuole uscire da questa situazione, deve soltanto ritirarsi. Non c’è niente da fare. La Russia è una potenza sconfitta dalla caduta del Muro, oggi ha commesso un errore strategico. E gli errori strategici in campo politico e internazionale si pagano salatissimo e col sangue”.

Cacciari, infine, invita a leggere l’ultimo libro del generale Fabio Mini, “L’europa in guerra”, e conclude: “La Russia, se vuole salvarsi, deve accettare le posizioni iniziali di Zelensky, quelle con cui ha vinto le elezioni: autonomia della Crimea, una soluzione del Donbass tipo quella del Trentino Alto Adige, cioè provincia autonoma in Ucraina e infine una trattativa per la collocazione politico-militare dell’Ucraina che non comportasse l’installazione di basi strategiche nucleari della Nato nel territorio ucraino – chiosa – Queste posizioni iniziali di Zelensky sono state in parte stravolte dal fatto che lui è stato costretto a fare il governo con alcune componenti politiche dell’Ucraina totalmente aliene a ogni idea di trattato di pace con la Russia. Si può tornare a quelle posizioni, ma soltanto la Russia riconosce l’errore strategico commesso. E forse questo è possibile solo con un cambio di leadership in Russia. Mi pare che su questo puntino americani e Nato“.

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Aeronautica, attivo un sistema per info ai soldati ucraini

“Ieri ho ricevuto un plauso dal capo di Aircom (comando centrale delle forze aeree Nato – ndr) perché il nostro velivolo è vicino al teatro di guerra e fornisce informazioni sul campo”.

Così il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, Luca Goretti, in audizione alla Commissione Esteri e Difesa del Senato, spiegando: “noi virtualmente abbiamo creato un ombrello virtuale di informazione di dati per l’Ucraina.

Abbiamo dato un vantaggio al popolo ucraino di poter competere alla pari con la Russia in una guerra che, anche se non sembra, è altamente tecnologica, dove ogni informazione viene mandata al soldato ucraino sul cellulare. Il potere aereo, quest’ombrello, non si vede ma esiste”.

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Noam Chomsky: «La diplomazia cinese fa paura agli Usa, non vogliono la pace» (intervista di Valentina Nicolì)

Sui recenti sviluppi della crisi ucraina abbiamo raccolto per il manifesto alcune riflessioni di Noam Chomsky, professore emerito del Mit, linguista, filosofo e politologo di fama internazionale di cui è uscito in libreria in questi giorni l’ultimo volume, Poteri illegittimi. Clima, guerra nucleare: affrontare le sfide del nostro tempo, (ed. Ponte alle Grazie tradotto e curato nell’edizione italiana da chi scrive).

Venerdì 17 marzo la Corte penale internazionale ha accusato formalmente Vladimir Putin di crimini di guerra in Ucraina e ha emesso un mandato di arresto contro di lui e la Commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova, che cosa ne pensa?

La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Putin perché sarebbe responsabile della deportazione e trasferimento illegale di bambini ucraini. O, per dirla in maniera un po’ diversa citando Al Jazeera, «gli ipocriti di professione della Corte penale internazionale» hanno emesso un meritatissimo mandato di arresto a carico di «quel personaggio grottesco che è il presidente russo, che compie allegramente crimini contro l’umanità ed è poco più che un delinquente» («An ICC warrant against Putin is good – and hypocritical», Al Jazeera, 20 marzo 2023). I mezzi d’informazione occidentali preferiscono attenersi a una versione più morbida. In ogni caso, è sempre meritevole ricercare la verità, per quanto possa entrare in conflitto con l’asservimento alle verità dottrinarie dei potenti.

Partendo dal presupposto che quello della Cpi sia un atto legittimo, sorge spontanea la domanda se esso non debba stimolare l’applicazione di un criterio analogo anche a quanto è avvenuto in Iraq, proprio in questi giorni in cui si commemora il ventesimo anniversario dell’invasione a guida angloamericana.
Se la Corte penale internazionale avesse il coraggio di elevarsi a tale livello di onestà e integrità, la punizione sarebbe dura e brutale. Quando il procuratore della Corte Fatou Bensouda ha osato suggerire che la Cpi dovrebbe indagare sui pesanti crimini statunitensi e israeliani, il presidente Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale e ha imposto sanzioni contro i funzionari della Corte sospettati di essere colpevoli di questa oltraggiosa violazione dell’«ordine internazionale basato sulle regole» governato dagli Stati uniti. Il visto di Bensouda è stato revocato. Successivamente, sono state imposte sanzioni a Bensouda e a un altro alto funzionario della Corte penale internazionale (si tratta di Phakiso Mochochoko, «US Sanctions on the International Criminal Court», Human Rights Watch, 14 dicembre 2020, ndr). Esiste già una legge del Congresso statunitense che autorizza il presidente Usa a usare la forza per «salvare» qualsiasi americano che rischi di essere portato dinanzi al tribunale dell’Aia (nota informalmente come Hague Invasion Act, è una legge federale entrata in vigore il 2 agosto 2002, mirante a «proteggere il personale militare degli Stati Uniti e altri funzionari eletti e nominati del governo degli Stati uniti contro procedimenti penali da parte di un tribunale penale internazionale di cui gli Stati uniti non fanno parte». Il Padrino non tollera alcun segno di insubordinazione.

Il 20 marzo il presidente cinese Xi Jinping è arrivato a Mosca per una visita ufficiale di tre giorni su espresso invito di Putin. Pensa che questa visita possa rappresentare un concreto passo avanti verso una qualche forma di negoziato per fermare la guerra in Ucraina?
Il governo Usa ha condannato immediatamente la visita e la proposta cinese. La posizione ufficiale degli Stati uniti rimane invariata: la guerra deve continuare per indebolire gravemente la Russia. Come molti commentatori occidentali hanno osservato, non senza un certo entusiasmo, è un grosso affare per gli Stati uniti. Facendo ricorso a una piccola porzione del proprio colossale bilancio militare, gli Stati uniti sono in grado di deteriorare pesantemente le forze del suo principale avversario in campo militare, generando peraltro un’impennata negli utili e nelle vendite dell’industria militare. In verità, producendo un guadagno molto più ampio. Più in generale, la diplomazia cinese è motivo di grande preoccupazione per Washington. La sua recente iniziativa per promuovere un accordo tra Iran e Arabia Saudita mette i bastoni tra le ruote a un ordine regionale che gli Stati uniti dominano sin dalla Seconda guerra mondiale, e mina gli sforzi degli Stati uniti di punire l’Iran per la sua diserzione da questo sistema, in quella che i pianificatori statunitensi del secondo dopoguerra consideravano l’area strategicamente più importante del mondo. Non è una faccenda di poco conto.

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2% del PIL in armi oppure in ospedali e scuole?

Non sono affatto gratis le armi che inviamo all’Ucraina, che acquistiamo per sostituirle e che aggiungiamo per raggiungere il traguardo (“da pazzi” secondo il Papa, urgente per Meloni&Crosetto) del 2% di Pil di spesa militare, cioè 13 miliardi in più all’anno in aggiunta agli attuali 30. O meglio, sono gratis per gli ucraini, ma non per noi, che le paghiamo care e salate con le tasse e i tagli ai servizi pubblici: nella Finanziaria ci sono già meno scuole e meno fondi alla sanità. In un anno l’Italia ha già inviato a Kiev aiuti militari per “circa un miliardo” (Tajani). Le scorte militari sono in esaurimento per via degli aiuti militari all’Ucraina. L’arsenale va riempito subito: non si possono prenotare sistemi d’armi e averli tra venti mesi.  Comprare nuove armi non sarà gratis. Secondo le stime di Milex, costerà alle casse pubbliche circa un miliardo di euroAnche per spendere meno, l’Inghilterra ha deciso di inviare a Kiev munizioni con l’uranio impoverito. L’uranio infatti arriva dagli scarti delle centrali nucleari, riciclarli nelle munizioni consente di risparmiare sullo smaltimento. Migliaia di reduci, anche italiani si sono ammalati di tumore dopo aver combattuto in Iraq e nei Balcani, dove l’uranio impoverito fu usato nelle munizioni della Nato. C’è una correlazione tra l’aumento dei pazienti (e dei morti) e l’uso di quest’arma.  Quando esplodono, le munizioni rilasciano metalli pesanti cancerogeni. 7.600 militari italiani in missione dalla Bosnia alla Somalia all’Iraq si sono ammalati di cancro per l’esposizione all’uranio impoverito, rilasciato da proiettili Nato; e 400 sono morti di leucemia o altri tumori.

La strage infinita non riguarderà solo i soldati ucraini e russi, ma anche i civili filo ucraini e filo russi. L’esplosione sprigiona nell’aria polveri sottilissime che si depositano sul terreno e vengono inalate da uomini e animali, entrano nell’organismo per via respiratoria o tramite gli alimenti e viaggiano nel sangue da un organo all’altro: un veleno invisibile che uccide anche a distanza di decenni.

Dmitry Medvedev, attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale, afferma che proiettili all’uranio impoverito dati alle forze ucraine “aprirebbero il vaso di Pandora” delle reazioni (nucleari) russe. Bombe atomiche appostate in Bielorussa come già in Italia.  Bombe atomiche sganciate sull’Ucraina porterebbero al 100% la maggioranza pacifista degli italiani, terrorizzati di fare la stessa fine. Troppo tardi.

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Quel mandato d’arresto per Putin blocca la pace – Domenico Gallo

Fiat Justitia et pereat mundus (“Si faccia Giustizia e perisca il mondo”) oppure Fiat Justitia ne pereat mundus (“Si faccia Giustizia affinché non perisca il mondo”): è questo il dilemma di fronte alla notizia che la Corte penale internazionale, su richiesta del procuratore Karim Khan, ha spiccato un mandato di cattura contro il presidente russo Vladimir Putin per il presunto crimine della deportazione di numerosi bambini dai territori occupati dell’Ucraina. Non v’è dubbio che la feroce guerra in corso farà lavorare per anni la Corte penale internazionale per prendere conoscenza della valanga di oltraggi all’umanità commessi dai belligeranti. Non dimentichiamo che “la guerra è un assassinio di massa”, così come l’ha definita crudamente Hans Kelsen nella prefazione al suo libro Peace Through Law (1944). La guerra è la madre di tutti i delitti, crea l’ambiente umano nel quale si possono sviluppare le peggiori perversioni generate da paura, odio e “disumanizzazione” del nemico.

È vero che gli atti più atroci sono vietati dal diritto bellico, che li bolla come “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”, però quella del diritto è una barriera molto fragile. Ci è stato insegnato che se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto pubblico, il diritto bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale (Antonio Cassese). L’istituzione della Corte penale internazionale nel 1998 mirava a rafforzare il fragile diritto umanitario, assicurando la garanzia di una giurisdizione universale a sua tutela. Proprio per questo, hanno rifiutato la giurisdizione della Corte quegli Stati che sono più adusi a commettere crimini internazionali e/o non accettano limitazioni alla propria sovranità (Usa, Israele, Iran, Turchia, Russia e Cina).

Pochi giorni fa è stato reso noto il rapporto di una Commissione internazionale indipendente sull’Ucraina, redatto da un gruppo di esperti nominati dall’Onu, che fa emergere una serie impressionante di crimini di guerra: uccisioni volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini. Si tratta di fatti atroci, non dissimili (esclusa la deportazione di bambini) da quelli compiuti dalle forze armate americane durante la seconda guerra del Golfo, come documentati, almeno in parte, da Julian Assange, che per questo “crimine di verità” rischia di essere sepolto vivo in un carcere americano. Tuttavia all’epoca nessuno pensò di incriminare George Bush, responsabile politico di quella tragedia, né di inviare armi al Paese aggredito per consentirgli di difendersi dall’aggressore. L’esperienza della guerra in Jugoslavia ci ha fatto toccare con mano come la giustizia internazionale possa essere strumentalizzata ai fini della guerra, per delegittimare e indebolire l’avversario. Così la Nato, dopo aver impedito alla Corte penale internazionale di indagare sui crimini commessi dalle sue forze militari durante la campagna di bombardamenti contro la Jugoslavia nel 1999, si è arrogata la funzione di polizia giudiziaria della Corte, pretendendo la consegna di Milosevic. In definitiva, grazie anche all’attitudine filoatlantica del suo procuratore (la svizzera Carla del Ponte) la Corte per l’ex Jugoslavia finì per diventare un organo gregario della Nato.

Orbene, l’incriminazione di Putin è un passo falso compiuto dal procuratore della Cpi perché mette la legittima esigenza di repressione dei crimini di guerra in contraddizione con l’esigenza di porre fine alla guerra (e quindi ai crimini che della guerra sono un sottoprodotto). Quali che siano le responsabilità di Putin, questo non giustifica l’emissione di un mandato d’arresto contro un capo di Stato in carica. Nell’esercizio della sua discrezionalità il procuratore della Cpi deve essere coerente con i fini delle Nazioni Unite, che consistono essenzialmente nel mantenimento e nel ristabilimento della pace. Non si può pretendere di fare giustizia a costo della pace. Incriminando Putin, mentre la guerra è in corso, si tagliano i ponti rispetto alla possibilità di un negoziato e si impedisce alla Russia di tornare sui suoi passi. Non vi è chi non veda come il mandato di arresto spiccato contro Putin sia un formidabile atout nelle mani della Santa Alleanza occidentale per delegittimare l’avversario e rafforzare la versione del conflitto come una sorta di guerra santa contro il male, secondo la vulgata di Zelensky. Una guerra che dovrà proseguire fino alla “vittoria”, cioè alla sconfitta della Federazione russa e all’arresto dei suoi capi. In questo modo è stato compiuto un altro passo nel girone infernale della guerra e le lancette dell’orologio atomico si sono avvicinate ancora di più alla mezzanotte. Noi continuiamo a pensare che la giustizia non deve avvicinare la fine del mondo; al contrario, si faccia giustizia per evitare che il mondo perisca.

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80.000 soldati ucraini a Bakhmut e poi? – Alessandro Orsini

Stoltenberg dichiara: “L’Occidente si prepari a sostenere Kiev in una lunga guerra di logoramento”. A me non risulta che la Costituzione Italiana consenta ai nostri governi di partecipare a guerre di logoramento di lungo periodo, magari decennali. La nostra Costituzione suggerisce altro. Suggerisce che, una volta scoppiata una guerra, l’Italia non partecipi ai preparativi per una guerra di lungo periodo, bensì ai preparativi per la pace o per un’attenuazione del conflitto. Nel mio articolo d’esordio per il Fatto quotidiano, spiegavo, utilizzando la metafora biologica di Spencer, che la comunità internazionale può essere concepita come un organismo in cui ogni Stato rappresenta un arto o un organo che svolge una funzione vitale. La funzione vitale svolta dall’Italia è quella della mediazione internazionale. Non sono io a stabilire che l’Italia debba essere mediatrice in questo conflitto; non è quel cattivo del professor Orsini ad averlo stabilito. Mi limito a ricordare lo spirito della Costituzione Italiana. Aggiungo che Zelensky, stando a ciò che ha appena dichiarato il capo della Wagner, ha ammassato circa 80,000 soldati da mandare a Bakhmut. Se la Russia arretrasse in quella roccaforte, i civili ucraini andrebbero incontro a pene indicibili. Dopo essersi riorganizzato, l’esercito russo finirebbe di sventrare quel che resta dell’Ucraina con relativo massacro di bambini. La mia previsione troverebbe nuove conferme anche se gli ucraini riprendessero Bakhmut: “Per ogni proiettile della Nato che gli ucraini lanceranno contro i russi, i russi ne lanceranno dieci contro gli ucraini”. Perdonate lo sfogo, ma davvero non riesco a capire come i media dominanti del mio amatissimo Paese si possano essere rimbecilliti fino a questo punto e come possano avere smarrito ogni umanità e sentimento di umana compassione e di vicinanza alle sofferenze dei più deboli. I nostri partiti politici non devono essere fedeli alla Costituzione americana, ma a quella italiana. A Costituzioni politiche differenti corrispondono culture politiche differenti e, quindi, logiche di ragionamento divergenti. In Italia è deragliato il modo pubblico di pensare, di ragionare, di dedurre e di contro-dedurre. Me ne accorgo dai dibattiti in televisione. Quando giro i canali – La7, Rai, Mediaset, Radio Rai – mi sembra di vivere in un mondo rimbecillito. “L’Italia ripudia la guerra”, dicono i miei detrattori, che però dimenticano l’altra parte dell’articolo 11 che dice che l’Italia promuove la pace. La Costituzione Italiana non si limita a ripudiare la guerra. Non esprime soltanto un rifiuto. Il no alla guerra è la premessa del sì alla pace. Certi politici furbacchioni fingono di non capirlo.

Avanzi l’Italia, avanzi la pace.

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Povero uranio, dopo tante maldicenze diventa un toccasana se usato contro i russi – Gianandrea Gaiani

 Il dibattito sulla fornitura di proiettili all’uranio impoverito (DU) Charm 1 e forse Charm 3 in dotazione al British Army che Londra intende cedere agli ucraini per l’impiego nei cannoni da 120 mm dei carri armati Challenger 2, rappresenta l’ennesimo esempio di come la manipolazione propagandistica di guerra possa scivolare nel grottesco.

Molti in Occidente e in Italia si sono affrettati correttamente a precisare che non si tratta né di armi nucleari né radiologiche ma solo di proiettili “induriti” dall’impiego dell’uranio impoverito per aumentarne la capacità di penetrazione delle corazze dei carri armati russi.

Una tecnologia del resto non nuova poiché riscontri circa l’impiego di questi proiettili sono stati registrati nell’intervento USA/NATO nella ex Jugoslavia (Bosnia 1995 e Kosovo 1999), nell’invasione anglo-americana dell’Iraq nel 2003 e in misura minore in Somalia e Afghanistan.

La notizia della fornitura di questi proiettili alle truppe di Kiev che impiegheranno i Challenger 2 britannici ha determinato due diverse reazioni da parte di Mosca. Quella di tipo militare, tesa a dimostrare che le munizioni Charm1 e Charm 3 britanniche, in grado di penetrare 600 e 720 mm di corazza, risulteranno molto efficaci se colpiranno l’area frontale dei carri armati russi T-72B/B3M e T-80BV mentre lo saranno molto meno nei confronti di tank più moderni e protetti come i T-80BVM, i T-90A e T-90M..

Sul piano mediatico Mosca ha invece speculato sul termine “uranio” evocando rischi di contaminazione radiologica puntando il dito sulle minacce per l’ambiente e la salute della popolazione ucraina derivati dall’impiego di tali munizioni al cui impatto liberano polveri considerate tossiche da molti osservatori anche se su questo tema non vi sono certezze.

Il ministero della Difesa britannico ha accusato Mosca di “disinformare deliberatamente” poiché l’esercito britannico ha utilizzato l’uranio impoverito nei suoi proiettili “per decenni”.  Si tratta di “un componente standard e non ha nulla a che fare con armi o capacità nucleari” recita la nota. “La Russia lo sa, ma sta deliberatamente cercando di disinformare”. I proiettili sono “altamente efficaci” per sconfiggere i moderni carri armati e veicoli blindati, ha aggiunto il ministero, affermando che la ricerca scientifica mostra che qualsiasi impatto sulla salute personale e sull’ambiente derivante dall’uso di munizioni all’uranio impoverito è “probabilmente basso”…

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XI da Putin: a proposito di balle (e chi le racconta) – Alessandro Di Battista

A PROPOSITO DI BALLE…

Oltre alla balle sull’esercito russo pronto alla resa, su Putin chiuso nel Cremlino come Hitler nel bunker di Berlino, sull’esaurimento delle scorte di missili russi, sulle migliaia di malattie di Putin che l’avrebbero già dovuto uccidere almeno un centinaio di volte, sui soldati russi che combattono con le pale, sulla Russia sull’orlo della guerra civile per mancanza di generi alimentari (ricordo quando si sosteneva che in Russia mancassero le patatine fritte) o sui soldati ucraini che non muoiono mai (muoiono solo i russi, come nei film americano dove muoiono solo gli “altri”) ricordo mesi di notizie sul raffreddamento delle relazioni tra Pechino e Mosca dunque sul totale isolamento della Russia.

Vi copio alcuni titoli di giornale:

“L’attacco russo in Ucraina infastidisce Xi: ecco perché” (La Stampa, 25 feb 2022)

“L’imbarazzo dell’alleato cinese: L’escalation ci allontana dal Cremlino” (La Repubblica, 22 set 2022)

“Putin «è un pazzo»: la Cina e il piano per allontanarsi dalla Russia (per paura di un declino di Mosca)” (Il Messaggero 11 gen 2023)

Adesso leggete le dichiarazioni pronunciate alcuni minuti fa da Xi Jinping, uno degli uomini più potenti al mondo, in visita ufficiale a Mosca: “Collaboriamo con la Russia per obiettivi simili. Vladimir un amico, sicuro che sarà rieletto”.

L’avvicinamento tra due potenze che per decenni si sono reciprocamente guardate con diffidenza era prevedibile. E non è una buona notizia per l’Europa, ovvero la vittima sacrificale scelta dagli USA per i propri interessi. Un’Europa sempre più povera, anziana, succube di Washington, purtroppo inutile. Un’Europa dove oggi la linea la fa la Polonia, ovvero la Nato.

Ebbene vi riporto una dichiarazione raccapricciante appena pronunciata dall’ambasciatore polacco in Francia, Jan Emeryk Rociszewski (fonte Il Sole 24 Ore): «O l’Ucraina difenderà la sua indipendenza o, in caso contrario, saremo costretti a unirci a questo conflitto, perché sono in gioco i nostri valori fondamentali, che sono il fondamento della nostra civiltà, quindi non avremo scelta»

Ma la Meloni non ha nulla da dire?

Non solo ci hanno trascinato in una guerra che non è nostra ma addirittura minacciano l’escalation in caso di un possibile negoziato. Siamo alla follia!

*Post Facebook del 20 marzo 2023

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È per ammazzarti meglio: tutte le armi incredibili del futuro – Andrea Muratore

La corsa alle armi mondiale non ha sosta. La tecnologia fantascientifica segue però un principio antico. Uccidere di più e in maggiore sicurezza, col minor numero di perdite. Ieri come oggi, la ricerca di armi per i nuovi tipi di guerra va così.

Le armi sono da sempre un volano per lo sviluppo e l’innovazione tecnologica. Fuor da ogni ipocrisia, molti progressi scientifici e tecnologici nascono dal campo militare. Così è sempre stato nella storia. Dall’età del bronzo all’era atomica, molte svolte sono legate alle armi. Uccidere di più, uccidere in maggiore sicurezza, uccidere col minore numero di perdite possibili. Questo il “trittico” con cui le rivoluzioni militari prendono piede.

Robot e IA, le armi del futuro sono già qui

Dall’arco composito al carro armato, dal fuoco greco ai bombardieri stealth. Non c’è innovazione militare che non abbia preso piede così. Il futuro, che in un certo senso è già presente, riserverà un crescendo di innovazioni di questo tipo. Le armi della parte centrale del XXI secolo saranno le più sofisticate mai prodotte. A livello di prototipo o in mano alle agenzie di intelligence più specializzate del pianeta, alcune operano già.

Un esempio per tutti. Absard, Iran, 27 novembre 2020. Mohsen Fakhrizadeh, generale e capo del programma militare nucleare iraniano, è ucciso in un agguato che le forze di sicurezza e i Pasdaran non erano riusciti a prevedere. Chiara e pressoché certa la mano che ha ucciso Fakhrizadeh: quella israeliana del Mossad. Stupefacente e inquietante al tempo stesso il mezzo usato per eliminare lo “scienziato in capo” degli ayatollah: un robot armato di mitragliatrice a controllo remoto, addirittura armato di software di intelligenza artificiale secondo le indiscrezioni, avrebbe colpito Fakhrizadeh.

Robot e intelligenza artificiale sono i nuovi ritrovati che spingono verso l’alto la complessità tecnologica delle armi. Vale sia per i dispositivi “sacrificabili”, fatti per sostituire l’umano (e uccidere) in missioni ad alto rischio. Ma anche per le punte di lancia degli eserciti moderni. “Dai minuscoli elicotteri impiegati dalle forze speciali americane in Afghanistan – i “calabroni”, lunghi appena 12 cm – ai mini carri armati russi armati di lanciarazzi o lanciafiamme, l’obiettivo degli scienziati militari è sempre il medesimo: il concetto di sacrificabilità che prevede l’aumentare l’impiego di robot sacrificabili, per salvare vite umane, sia per l’obiettivo della missione, ma soprattutto per chi deve portarla a termine”, ha scritto Davide Bartoccini su InsideOver

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https://www.youtube.com/watch?v=gP5Om9okKP0&ab_channel=ChrisHedgesFanClub

 

Putin criminale di guerra: le accuse spiegate bene (e smontate meglio) – Francesco Santoianni

Ma per quali motivi Putin avrebbe dovuto far “deportare” in Russia circa 16.000 bambini del Donbass? La spiegazione del Cremlino appare logica: per evitare che subissero la stessa sorte di centinaia di loro coetanei uccisi durante i nove anni di aggressione da parte delle truppe di Kiev. Non così il verdetto della Independent International Commission of Inquiry on Ukraine delle Nazioni Unite – “(li ha fatti deportare per) creare una cornice nella quale alcuni bambini rimarranno permanentemente in Russia” – che ha spinto la patetica Corte penale internazionale a spiccare un mandato di arresto contro Putin. Ma prima di analizzare cosa questo comporti, soffermiamoci su alcuni punti del Rapporto della Independent International Commission of Inquiry on Ukraine. Nel capitolo “Trasferimenti forzati e deportazioni di minori”.

Prima di accennare ad alcune incongruenze del Rapporto, due parole su questa Independent International Commission of Inquiry on Ukraine delle Nazioni Unite. È composta da tre persone (un norvegese, una bosniaca e un colombiano) che, a quanto ne sappiamo, non si sono mai incontrati con le autorità russe per conoscere il loro punto di vista limitandosi – oltre che a leggere i giornali, vedi il punto 96 – ad ascoltare “testimoni” presentati dalle autorità ucraine. Nonostante ciò in nessun punto del loro rapporto viene riferito di genitori che si erano opposti al trasferimento dei loro figli in territori della Federazione Russa ma solo di genitori che, verosimilmente per problemi logistici (vedi punto 97), non avevano potuto esprimere per iscritto il loro consenso. Assolutamente speciose, poi, sono (vedi punto 99) le accuse alle autorità russe che, evidentemente, secondo i membri della International Commission, avrebbero dovuto consegnarsi alle truppe ucraine per evitare ai genitori di andare a prendere i loro figli. Ma la considerazione più sbalorditiva del Rapporto (punto 98) è «Non sembra esserci alcuna indicazione dell’impossibilità di trasferire i bambini in un territorio sotto il controllo del governo ucraino» dimenticandosi del milione e mezzo di abitanti del Donbass che già nel giugno 2022 erano rifugiati nella Federazione Russa (decine di migliaia di questi scappati nei primi giorni del febbraio 2022, quindi ben prima dell’invasione dell’Ucraina). Ancora più vergognosa è l’omissione nel rapporto della collaborazione tra la Federazione Russa e la Croce Rossa Internazionale (vituperata da Kiev) che proprio sul ricongiungimento delle famiglie ha un ruolo fondamentale in questo conflitto (altro che: «l’onere di rintracciare e trovare i genitori o i familiari è ricaduto principalmente sui bambini»).

L’analisi del Rapporto potrebbe continuare a lungo soffermandosi sulle ancora più clamorose incongruenze che costellano capitoli quali «impatto sulla popolazione civile», «violazioni del diritto internazionale», «attacchi contro i civili in movimento», «tortura e trattamenti inumani»… Ma, anche così, per l’opinione pubblica il colpevole sarebbe sempre Putin – criminale di guerra – considerata questa nuova valanga di accuse che quasi nessuno si prende la briga di analizzare o confutare. È già successo in passato, ad esempio con la bufala del polonio usato dai russi per avvelenare Litvinenko o il Novichock per avvelenare gli Skripal. Succederà anche per i bambini “fatti deportare in Russia da Putin”. Intanto Putin si direbbe fregarsene di tutto questo considerato che ieri gironzolava in macchina a Mariupol.

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Crimini e criminali di guerra. La Strage di My Lai in Vietnam. Per la Memoria storica – Enrico Vigna

Questa pagina è solo una delle migliaia di pagine di crimini, orrori, ferocia di cui l’esercito statunitense, assistito dai maggiordomi occidentali ed europei, Italia compresa, ha insanguinato il mondo negli ultimi settant’anni. A proposito di crimini e di criminali…quanti generali, ufficiali, politici occidentali sono stati chiamati a rispondere dei crimini DOCUMENTATI storicamente, in: Korea, Puerto Rico, Guatemala, Vietnam, Laos, Cambogia, Indonesia Permesta, Libano 1958, Cuba Baia Porci, Repubblica Democratica Congo 1964, Thailandia, Bolivia, Repubblica Dominicana, Libano 1982, Grenada, Libia 1986, Iran Golfo Persico 1987, Panama, Iraq 1991, Somalia 1992, Jugoslavia, Haiti, Repubblica Federale Jugoslava Kosovo, Afghanistan, Yemen, Iraq 2003, Pakistan Nord Ovest 2004, Somalia 2007, Libia 2011, Uganda, Siria, Niger 2018…oltre a quasi 300 partecipazioni in conflitti senza risultare ufficialmente, come riportato da David Swanson, autore, attivista per la pace, giornalista statunitense e candidato al Nobel per la Pace. Si tratta di centinaia di migliaia di vittime in ogni angolo della Terra, tutto questo senza che nessun “fervente e celebrato servitore della democrazia, della giustizia e della verità”, abbia mai posto un problema di CRIMINI e CRIMINALI di GUERRA a cui chiedere conto delle loro atrocità e infamie contro l’umanità diseredata o renitente ai loro ordini…

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Ladri di bambini – Tonio Dell’Olio

“La Russia non vuole annettersi solo un territorio e un popolo ma anche il loro futuro” dice Nello Scavo commentando il mandato di cattura ai danni di Putin da parte della Corte Penale Internazionale.

Ed è la fotografia più intima della deportazione dei bambini dall’Ucraina in Russia.

È il crimine più disumano che si possa compiere nel corso di un conflitto armato perché recide le vite senza togliere loro la vita.

E affermare che questa mostruosità è sempre esistita, non la diminuisce di un solo grammo.

Semmai rende il fatto ancora più odioso e inaccettabile perché significa che nel corso dei secoli non siamo riusciti a scalfirlo.

Putin è un ladro di bambini e questo lo rende ancora più misero agli occhi del mondo ma non dobbiamo perdere di vista che il crimine-madre è la guerra.

Senza la guerra non sarebbe stata possibile la deportazione di 16.000 bambini.

È per questo che, anche il più degenere dei crimini, non deve farci dimenticare che ad essere messa fuorilegge è la guerra.

Così come non può farci dimenticare che Putin non è il solo colpevole.

Per realizzare quel crimine c’è bisogno di persone che guidino un aereo e dei pullman, gente che cucini e uomini e donne che provvedano a organizzare ogni cosa.

Se solo si riuscisse a risvegliare le coscienze che dormono sicure nel bozzolo dell’obbedienza cieca o si voltano dall’altra parte nell’illusione di non esserne responsabili.

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Ha stato Putin: tutti i delitti del presidente – Francesco Santoianni

Uno stinco di santo certamente non è visto che per anni ha diretto l’efferato FSB (ex KGB). Ma da questo ad inventarsi una serie pressoché infinita di fake news contro di lui ce ne corre. Ci riferiamo a Vladimir Putin, in questi giorni incriminato come criminale di guerra dopo una “inchiesta” che non si regge in piedi (nonostante il vergognoso articolo del Manifesto) ma che, come tante altre contro di lui, servirà a cementare nell’opinione pubblica la leggenda di un mostro del quale sbarazzarsi al più presto.

Come l’essere il mandante dell’omicidio (7 ottobre 2006) di Anna Politkovskaja, una tra i tanti giornalisti uccisi in Russia in quegli anni, autrice di innumerevoli denunce, soprattutto contro gli oligarchi imperanti in Russia, ma che, solo per aver scritto qualche articolo anche sulla guerra in Cecenia, oggi viene universalmente ricordata come una “vittima di Putin.” Ma su cosa si basano le tante accuse contro Putin? Per quanto riguarda la Politkovskaja molte inchieste giornalistiche condotte in questi anni e lo stesso processo contro i suoi presunti killer non sono approdati a nulla. Certo. Le indagini giudiziarie sono state svolte dall’apparato investigativo della Federazione Russa; ma quali prove sarebbero emerse per altri crimini addebitati a Putin verificatisi in Occidente? Limitiamoci ad esaminarne due: il presunto avvelenamento, tramite Polonio, del “dissidente russo” Litvinenko e quello degli Skripal, avvenuto tramite il fantomatico Novičock.

Il 23 novembre 2006 muore in una clinica di Londra Aleksandr Litvinenko, ufficialmente per aver ingerito Polonio 210; la stessa sostanza che sarebbe stata usata per l’omicidio del leader palestinese Yasser Arafat.

Intanto, due parole sul Polonio 210. Rarissimo in natura, viene oggi ottenuto irradiando Bismuto (209Bi) con neutroni ad alta energia in reattori nucleari collegati a speciali apparati. In tutto il mondo, ogni anno, si producono appena 100 grammi di Polonio 210 (impiegato, per lo più, in congegni usati, negli USA, dall’industria della plastica) la maggior parte proveniente dalla Russia. Esistono 25 radioisotopi di Polonio, ma il 210 è il più pericoloso di tutti; penetrato in un organismo, si diffonde rapidamente diventando gassoso mentre le sue radiazioni alfa “bruciano” ogni cellula che incontra; bastano così appena 7 miliardesimi di milligrammo di questa sostanza per uccidere, quasi subito, una persona. Se una persona, invece, ne è irradiata dall’esterno sviluppa gravi patologie, tra cui leucemia e neoplasie, che, comunque, non si manifestano immediatamente. Arafat, ad esempio, morto l’11 novembre 2004, verosimilmente per radioisotopi di Polonio nascosti nella sua poltrona, aveva cominciato a sentirsi male già il 12 ottobre. Meglio tenere a mente questi dati per capire le assurdità della ricostruzione ufficiale della morte di Aleksandr Litvinenko, ovviamente, addebitata al Cremlino.

Ma chi era Litvinenko, e perché il Cremlino avrebbe dovuto ucciderlo?

Già funzionario dei servizi segreti russi, passa nell’entourage dell’oligarca Boris Abramovich Berezovskij con il quale si trasferisce in Gran Bretagna e dove, nel 2002, pubblica una serie di libri (un flop editoriale) contro Putin.

Il 1° novembre 2006 prende, da solo, un tè all’Hotel Millennium di Londra conversando con tale Mario Scaramella poco prima di avere incontrato lì due ex agenti KGB: Dmitry Kovtun e Andrey Lugovoy (quest’ultimo porta all’incontro anche suo figlio). Litvinenko passa poi a trovare il miliardario esule Boris Berezovsky e torna a casa. Poche ore dopo, comincia a soffrire di vomito e diarrea. Tre giorni dopo viene ricoverato al London University College Hospital dove la situazione si aggrava sempre di più fino a portarlo alla morte il 23 novembre.

Otto anni dopo, il governo britannico istituì una Commissione di indagine parlamentare sulla morte di Litvinenko, diretta dal giudice sir Robert Owen, che nel 2016 pubblicò un ponderoso Rapporto così sintetizzabile: i due “ex” agenti dei servizi segreti russi, Dmitry Kovtun e Andrey Lugovoy, su incarico del Cremlino, sono gli esecutori materiali dell’omicidio commesso versando nella teiera destinata a Litvinenko di una dose enorme di Polonio 210: 10 microgrammi, con i quali si sarebbero potute uccidere almeno 200 persone.

Le prove? Intanto le accuse a Putin espresse da Litvinenko sul letto di morte. Accuse, comunque, attestate esclusivamente dal suo autonominato portavoce (il microbiologo Alex Goldfarb, che a New York dirigeva l’International Foundation for Civil Liberties di Berezovsky e già collaboratore di George Soros, nemico dichiarato di Putin). Accuse alle quali non crede affatto Maksim Litvinenko, fratello di Aleksandr, residente da anni a Rimini, il quale in almeno due occasioni ha rilasciato interviste spiegando che non solo non ritiene il governo russo colpevole dell’assassinio del fratello, ma che Aleksandr, in realtà, era un infiltrato del governo russo nell’entourage di Berezovskij.

Ancora più sospetta l’altra “prova” riportata nel Rapporto della Commissione Owen; tracce dei raggi Alfa emessi dal Polonio sarebbero state rintracciate da Scotland Yard non solo sulla teiera usata da Litvinenko all’Hotel Millennium ma anche: nella camera di albergo dove alloggiavano Kovtun e Lugovoy; allo stadio Emirates a Holloway, dove Lugovoy è andato a vedere una partita dell’Arsenal; in un appartamento di Amburgo, dove Kovtun ha soggiornato alcune settimane dopo…

Si chiede a tal riguardo il giornalista investigativo Luca Longo:

Possibile che la dinamica dell’assassinio sia stata così pasticciata da lasciare quantità così significative di veleno addosso agli stessi avvelenatori? […] Ma le tracce sono state seguite anche all’indietro. Ad esempio è risultato contaminato il night club Hey Jo frequentato da Kovtun la settimana precedente. Sono risultati contaminati aerei, auto, locali, alberghi; praticamente tutti i posti in cui è stato, anche fugacemente, Lugovoy. Ad esempio la camera 848 dell’Hotel Sheraton in cui è passato la settimana precedente sarebbe risultata contaminata in numerosi punti: sul pavimento, le pareti, il water, i cestini. Persino le poltrone degli aerei in cui ha volato (nelle settimane precedenti è arrivato ed è ripartito da Londra altre tre volte) sono risultate altamente contaminate. Possibile che l’agente incaricato di una missione così pericolosa fosse un idiota capace di sparpagliare ovunque un veleno potentissimo anziché tenerlo ben chiuso e al sicuro in una semplice fialetta fino al momento in cui avrebbe dovuto impiegarlo? Inoltre, una persona con un minimo di intelligenza avrebbe portato proprio suo figlio all’appuntamento dove, finalmente, avrebbe dovuto aprire la fialetta e versare il contenuto nella teiera col rischio di contaminare anche le persone circostanti? […] Ma non sono solo queste le assurdità contenute nel rapporto della Commissione di indagine parlamentare. L’inchiesta avrebbe rivelato dall’analisi dei capelli di Litvinenko che il Polonio 210 è entrato nel suo corpo ben due volte a distanza di qualche settimana. La prima volta, il 16 ottobre 2006, l’ex agente segreto aveva attribuito il forte malessere proprio ad una intossicazione alimentare. Quella volta, gli assassini avevano tentato di raggiungerlo negli uffici della compagnia di sicurezza Erinys di Mayfair. È stato detto che un avvelenamento così anormale sarebbe stato scelto apposta per dare un preciso segnale: gli assassini di Litvinenko hanno accesso a uno dei più potenti veleni esistenti, sono protetti – anzi, diretti – da una potenza nucleare. Per essere precisi, sono “certamente” agenti russi. Allora perché scegliere un metodo che avrebbe potuto passare, al contrario, completamente inosservato come nel primo caso di avvelenamento?

Litvinenko, poi, sarebbe stato avvelenato da una dose enorme di Polonio 2010: 2 GBq (50 mCi) corrispondenti a 10 microgrammi di Polonio. Questa dose, che potrebbe essere nascosta in un granello di sale da cucina, rappresenta oltre 200 volte la dose letale, che si valuta attorno ai 238 µCi pari a 50 nanogrammi. Perché impiegare un dosaggio sufficiente a sterminare un’intera compagnia di soldati?

Ci sarebbe, poi, da domandarsi che motivo avrebbe avuto Mosca (ad un mese dall’assassinio in Russia della giornalista Anna Politkovskaja) ad ordinare una così plateale esecuzione di un suo ex agente, (tra l’altro, di basso rango e scappato ben sei anni prima)? E, visto che ci siamo, perché mai i servizi segreti russi (che, certamente, vantano una terrificante professionalità in omicidi) avrebbero messo su una talmente sgangherata operazione? Comunque, nonostante le sue evidentissime contraddizioni, la leggenda di Litvinenko ucciso con il Polonio 210 su ordine di Putin è diventato un dogma, servito anche a consolidare la bufala dell’avvelenamento di Sergei Skripal e di sua figlia Yulia (su questa saga si veda – oltre che qui – quiquiquiquiquiquiquiqui, e qui) effettuato tramite il fantomatico Novičok

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Tu non uccidere: a proposito della quinta carovana Stopthewarnow – Gianni D’Elia

“Quando si tratta di guerra, pare che non ci sia più niente di criminale: tutto viene verbalmente giustificato dalla necessità della guerra. La scusa di evitarla tenta di giustificare la preparazione; la vittoria da raggiungersi a ogni costo fa lecito l’illecito. Mai come in tempo di guerra e per la guerra Macchiavelli fa scuola. Se qualcuno protesta, protesta contro la parte avversaria, la quale ha il torto di fare ciò che tutti fanno. Quindi, più che una revisione di mezzi, o un controllo sugli armamenti ( cioè che uccide, fosse anche un sasso, è sempre un mezzo cattivo) s’impone il controllo di noi stessi.

Siamo così poco sicuri di volere veramente la pace, che ci riteniamo offesi appena uno osa guardare dietro le nostre parole. Proposte e controproposte di disarmo si rincorrono da anni, ma neppure l’uovo del controllo viene fuori, poiché a Washington, a Londra, a Mosca, a Parigi, son tutte galline senza uova. Per queste vie, per colmo d’ironia si chiamano concrete (per certa gente, la concretezza è lo svenarsi nel riarmo prima e nei campi di battaglia poi), non si fa molto cammino per la pace”.

Aiuto! Quantomai attuali  queste parole scritte quasi 70 anni fa, da Primo Mazzolari, nel suo libro “Tu non uccidere”.

Innumerevoli le guerre e le occupazioni in tante parti del mondo e trattate in modi assolutamente diversi. Esempio lampante è il caso della Palestina da 70 anni sotto occupazione nel silenzio delle istituzioni internazionali che garantiscono totale impunità ad Israele. Oppure, in tanti conflitti armati provocati dalle grandi potenze per la ricerca dell’ egemonia economica e militare.  Da più di un anno, anche l’invasione dell’Ucraina, con tutto il cumulo di dolore e di distruzione che porta con sé. Si potrà dire che si tratta di situazioni diverse non paragonabili. È vero, ma in comune tutti i contesti di guerra e di occupazione hanno che non portano mai alla vittoria della pace e della giustizia. Le guerre hanno dentro di sé il germe della menzogna, della propaganda, della falsificazione della realtà. A torti e violenza subita da una parte, la guerra aggiunge ancora più torti e violenza che pagano tutte le parti in conflitto.

Ci sono alternative?

Intanto, ci sono gli spazi e i modi per esprimere il nostro rifiuto dell’orrore delle guerre.

Per esempio solo a Torino, siamo al 56 esimo presidio contro la guerra. Da un anno ogni sabato, il coordinamento AGITE con tenacia e perseveranza, offre ai cittadini la possibilità di scendere in una piazza e manifestare per il cessate il fuoco in Ucraina e per chiedere pace e giustizia in molti altri contesti. Il 5 novembre scorso, c’e’ stata una partecipata manifestazione a Roma. È sufficiente? No certo, ma se non ci fossero queste iniziative saremmo ancora più’ poveri.

E poi, La Rete Italiana Pace e Disarmo di cui facciamo parte come Centro Studi Sereno e MIR- Movimento Nonviolento, organizza e rilancia, con competenza e puntualità, campagne per il disarmo in generale e quello nucleare in particolare. La rete promuove ancora,  la campagna “Un’altra difesa è possibile”,  una difesa civile non armata e nonviolenta, che si e’ tradotta in una Legge portata in Parlamento  che prevede ora, una nuova raccolta di firme per darle ancora più forza. Si diceva tempo fa, “se vuoi la pace prepara la pace”. La pace deve essere organizzata, finanziata, deve essere una scelta dei cittadini che la chiedono con determinazione ai governi.. Esistono modi di difendersi da invasioni e occupazioni che sono di resistenza civile non armata e di non collaborazione. Facile? No certo, ma ci sono stati e ci sono, tanti piccoli e grandi esempi in tante parti del mondo.

E infine, per tornare all’Ucraina e alla Russia la rete Stopthewarnow in questo anno ha cercato di dare voce all’attivismo per la pace ucraino e russo, ha fatto conoscere obiettori di coscienza dei due paesi, ha portato sostegni umanitari e vicinanza alla popolazione ucraina.

Stopthewarnow è una rete di circa 150 organizzazioni,  impegnate nel fermare la guerra e costruire la pace attraverso azioni di nonviolenza. Si realizzano azioni risolutive? No, ma come espresso nel manifesto della quinta carovana, che si svolgerà dal 30 marzo al 4 aprile  ” semplicemente chiediamo di non contribuire a infliggere altro dolore. I risultati di chi ha scelto la via dell’uso della forza sono sotto gli occhi di tutti e nelle lacrime delle vittime. Noi non ci rassegniamo alla guerra e vogliamo continuare a dirlo con la nostra presenza”.

Con la quinta carovana saremo diretti ad Odessa, a Mykolaiv dove c’è una presenza costante di volontari di Operazione Colomba, e a Cherson.

Chi volesse, può  contribuire alle diverse esigenze tramite il sito di Stopthewarnow in cui si raccolgono fondi per i dissalatori e portare così acqua potabile oppure, facendo un bonifico all’Iban ; IT04X0306909606100000008036 intestato a: Comunità Papa Giovani XXXIII. Causale: Generatori di corrente.

Alla furia bellicista che sembra prevalere in questo nostro tempo, risponde bene questa frase di Arundhati Roy, scrittrice ed attivista indiana per la giustizia e il riscatto delle minoranze, “il sistema collasserà se ci rifiutiamo di comprare quello che ci vogliono vendere, le loro idee, la loro versione della storia, le loro guerre, le loro armi, la loro nozione di inevitabilità.

Ricordatevi di questo: noi siamo molto e loro sono pochi. Hanno bisogno di noi più’ di quanto noi ne abbiamo di loro. Un altro mondo, non solo e’ possibile, ma sta arrivando. Nelle giornate calme lo sento respirare.

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Il mandato di arresto contro Putin e i bambini ucraini – Piccole Note

Il mandato di arresto contro Putin della Corte dell’Aja presenta diverse criticità. Una di queste, poco indagata, riguarda l’estrema vulnerabilità dei bambini ucraini. I bambini del Donbass erano a rischio a causa delle bombe, ché tante ne cadono, lanciate dagli ucraini, nel territorio controllato dai russi (peraltro bombardato per anni anche prima dell’invasione; in tale temperie, come registrava l’Unicef, sono stati uccisi 152 bambini e 146 sono rimasti feriti, mentre 66.491 hanno “sofferto a causa della guerra”). Ma i bimbi ucraini risultano esposti anche ad altri pericoli, perché tanti sono i predatori che si aggirano per il Paese.

Riprendiamo dal Corriere della Sera del 20 maggio 2020: “l’Ucraina è diventata un negozio online internazionale per la vendita di neonati”. A denunciare tale situazione era stata Mykola Kuleba, difensore civico dei bambini del governo Zelensky.

Un grido di dolore lanciato dopo la tragica scoperta di un centinaio di bambini, nati attraverso la pratica dell’utero in affitto, stipati in una stanza d’albergo perché, a causa dei lockdown pandemici, i genitori a distanza non avevano potuto prelevarli.

Sul punto l’Associated Press del 10 giugno 2020 rilevava: “L’Ucraina ha una fiorente industria della maternità surrogata ed è uno dei pochi paesi che consente agli stranieri di partecipare a tale pratica. Circa 50 cliniche offrono servizi di maternità surrogata nel paese, dove le ristrettezze economiche spingono molte donne ucraine a diventare madri surrogate”. Di oggi un articolo di Libero che spiega come tale industria sia ancora fiorente. Pratica legale, ma a rischio di incidenti di percorso e non sempre curata da persone affidabili, come rivela la scoperta alla quale abbiamo accennato.

 

Il fenomeno della sparizione di bambini

Più inquietante quanto denunciava anni fa European Centre for Law and Justice, secondo il quale l’Ucraina registrava una massiva sparizione di bambini, a volte usati anche per alimentare il traffico di organi. “È difficile guardare i minuscoli cadaveri dissotterrati dal cimitero vicino all’ospedale n. 6 – si legge in un rapporto dell’ECLJ -. Le fotografie forensi mostrano corpi che sembrano esser stati mutilati prima di essere gettati in una fossa comune a Kharkiv, una città Ucraina”.

“In una foto si vede un uomo con guanti chirurgici che mette insieme diversi pezzi di carne, disponendo i frammenti in modo da far intravedere il corpo di un bambino prima che fosse smembrato”. Nel rapporto si parla di madri alle quali, dopo il parto, sono stati sottratti i figli, adducendo la scusa che erano deceduti subito dopo la nascita. Madri che hanno provato a trovare una risposta alle loro domande, sbattendo però sempre la “testa contro un muro”.

“Ancora più inquietante, ha affermato la signora Vermot-Mangold [una delle madri in questione], è l’evidenza che i bambini sono trattati in modo tanto disinvolto in Ucraina, così è probabile che il numero reale di bambini scomparsi nel paese resti sconosciuto”.

E ancora, il 2 giugno 2015 l’Huffington Post pubblicava un articolo di Laurie Ahern, presidente di Disability Rights International, dal titolo: “Ucraina, gli orfanotrofi alimentano il traffico di bambini”. Vi si legge che “i bambini poveri e disabili, ospitati [negli orfanotrofi], lontani dal controllo delle famiglie e delle loro comunità, sono bersaglio facile per trafficanti e pedofili. E il personale addetto è spesso il nefasto beneficiario di transazioni perverse delle quali i bambini prigionieri sono la merce”.

“La mia organizzazione, Disability Rights International (DRI), ha recentemente pubblicato un rapporto — “No Way Home: The Exploitation and Abuse of Children in Ukraine’s Orphanages” — a seguito di un’indagine durata tre anni sulla condizione dei bambini che vivono in istituti”.

“DRI ha scoperto che i bambini sono a rischio di diventare preda di traffici a scopo sessuale, di essere usati come manodopera, nella pornografia e nel traffico di organi, in un paese noto per essere un hub per il traffico di esseri umani”.

“Si dice che circa 82.000 bambini vivano in queste strutture, anche se nessuno sembra saperlo con certezza. Alcuni attivisti ucraini reputano che il numero si aggiri attorno ai 200.000”.

 

Il Dipartimento di Stato Usa: Kiev non contrasta la tratta

Si tratta di anni anche molto precedenti la guerra, ma non sembra che le cose siano molto cambiate negli anni successivi. Infatti, nel 2021 il Dipartimento di Stato Usa denunciava che “il governo dell’Ucraina non soddisfa pienamente gli standard minimi per l’eliminazione della tratta” di esseri umani.

“L’impegno delle forze dell’ordine per scoraggiare la tratta è stato inadeguato. Continuano le segnalazioni di funzionari pubblici implicati nella tratta di esseri umani, compresi funzionari della polizia anti-tratta. Sebbene il governo, nel periodo a cui facciamo riferimento, abbia fatto delle indagini penali e accusato diversi funzionari, presumibilmente complici [di tale traffico], per il quarto anno consecutivo non si è registrata nessuna condanna“. Il Dipartimento di Stato non parla specificamente di tratta di bambini, ma le reti che operano in tale settore hanno maglie molto larghe.

Il conflitto ha acuito i rischi. Sulla situazione successiva alla guerra, un rapporto dell’Unicef nel quale si legge: “I bambini costituiscono la metà dei rifugiati della guerra ucraina, secondo l’UNICEF e l’UNHCR. Più di 1,1 milioni di bambini sono arrivati ​​in Polonia e centinaia di migliaia in Romania, Moldavia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca”.

“L’UNICEF continua ad avvertire sul rischio che possano essere vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento. Per cercare di ridurre i rischi che i bambini e i giovani devono affrontare, l’UNICEF, l’UNHCR e i partner del governo e della società civile stanno aumentando i ‘punti blu’ nei paesi che ospitano i rifugiati […], spazi sicuri per fornire informazioni alle famiglie in viaggio, aiutare a identificare i minori non accompagnati e isolati e garantire loro protezione dallo sfruttamento”.

Come si può notare, bambini senza genitori sono arrivati nell’Europa dell’Est in maniera caotica, tanto che l’Unicef è dovuto intervenire per ridurre i rischi, mentre la Russia ha organizzato un piano di evacuazione strutturato, spostando i bambini a rischio o isolati nel proprio territorio, al sicuro dalle bombe e da altro.

Dal momento che la Russia è un Paese nemico dell’Ucraina, si è parlato di deportazione, perché Kiev non ha consentito a tale operazione. Era meglio lasciarli in balia dei trafficanti e delle bombe? Domanda che lasciamo in sospeso.

 

I veterani Usa e i bambini ucraini

Di interesse osservare come anche gli Stati Uniti si siano adoperati per salvare i bambini a rischio. Così la BBC: “Una squadra di veterani militari statunitensi sta aiutando a organizzare un passaggio sicuro per i circa 200.000 bambini ospiti degli orfanotrofi e delle famiglie ucraine affidatarie”.

“Ma dicono che migliaia sono dispersi e temono che alcuni possano essere già caduti preda dei trafficanti di esseri umani”. Martin Kvernbekk, un volontario che si è prodigato in tale operazione, ha raccontato alla BBC che “ha sentito parlare di bambini scomparsi da una serie di fonti diverse e di rapporti di trafficanti di persone che indossano giubbotti catarifrangenti e fingono di appartenere a organizzazioni che aiutano i soccorsi”.

“Le organizzazioni sono molto forti – sono reti grandi e ben finanziate, che fanno questo per vivere. Sono brave a far questo in tempo di pace”, dice. “Ora c’è la guerra, il caos, e stanno sfruttando il disordine per poter rapire più donne e bambini possibile”.

Insomma, ucraini e americani hanno fatto la stessa cosa dei russi. Solo che quanto fatto dai primi, che hanno portato i bambini al sicuro nella zona occidentale del Paese o nei Paesi dell’Est, è opera meritoria; mentre i russi, avendoli portati nel loro Paese, li hanno deportati…

Peraltro, gli sforzi di Kiev e dei veterani Usa hanno solo limitato i danni. Infatti, “il governo non ha la capacità di affrontare il problema”, ha detto alla BBC Jeremy Locke, a capo del team che si è prodigato per salvare i fanciulli. Tanto che, in una riunione, le autorità si sono accorte come “5.000 bambini fossero scomparsi dai loro registri”, ha aggiunto.

“Nessuno sa cosa gli sia successo. O sono vittime di guerra o sono scappati dal paese oppure sono stati portati oltreconfine da contrabbandieri o da persone che lavorano in modo errato’”, ha commentato Locke.

 

Pedofili in missione

Interessante anche un articolo dell’Indipendent, anch’esso successivo all’inizio della guerra. Ne riportiamo l’incipit: “Diversi pedofili britannici si sono recati in Polonia dichiarando di voler prestare ‘assistenza umanitaria’ ai rifugiati in fuga dall’Ucraina, tra cui migliaia di bambini non accompagnati“.

“La National Crime Agency (NCA) ha affermato che 10 noti pedofili si sono recati nel paese nelle sei settimane successive all’invasione russa. A tutti e 10 è stato chiesto di lasciare la Polonia dopo un colloquio con gli agenti dell’immigrazione e le forze dell’ordine e ora le autorità britanniche stanno lavorando per dissuadere altri dall’intraprende simili viaggi”.

I dieci loschi figuri sono stati identificati per la la loro fedina penale sporca. Ma siamo pronti a scommettere che altri con analoga fedina penale hanno portato a termine la loro nefasta missione, eludendo i controlli o corrompendo qualcuno; e altri, con la fedina penale pulita, si sono prestati a operazioni analoghe senza essere scoperti.

Ed è presumibile che tale attività non ha visto all’opera solo predatori britannici e non abbia avuto come obiettivo solo i bambini ucraini rifugiati in Polonia, ma anche quelli che hanno trovato riparo negli altri Paesi dell’Est e nella stessa Ucraina. Quanto emerso, cioè, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che sarebbe tutto da indagare, ma che non è stato indagato né lo sarà.

Lo denota l’altra cosa sconcertante dell’articolo: una volta scoperti, i dieci figuri, invece di essere arrestati e di indagare se facessero parte di una rete, come probabile che fosse, sono stati invitati a lasciare la Polonia. E possiamo scommettere che anche al loro ritorno in patria non hanno avuto alcun problema con le autorità, altrimenti l’articolo ne avrebbe accennato.

Invece, si rileva solo come le autorità britanniche hanno tentato di “dissuadere altri” dall’intraprendere analoghi viaggi, non sappiamo se attraverso una campagna pubblicitaria o altro e altrettanto aleatorio (un’inchiesta sarebbe stata forse più incisiva…).

Insomma, l’Ucraina non sembra essere un Paese nel quale i bambini hanno vita facile, per usare un eufemismo, e la guerra ha aumentato la loro vulnerabilità. Dato tutto ciò, il mandato di arresto contro Putin, colpevole di aver sottratto i fanciulli del Donbass alle bombe e ai tanti pericoli che incombevano su di essi (nel Paese confinante e altrove), lascia ancora più perplessi.

 

Operazione Babylift

Da ultimo, ci permettiamo di citare un articolo di Kurt Nimmo riportato dal Ron Paul Institute, che rammenta l’operazione Babylift, autorizzata dal presidente Gerald Ford alla fine della guerra del Vietnam, quando 3300 bambini vietnamiti furono prelevati dall’Us Army perché venissero adottati in “America, Australia, Germania ovest e Francia”.

“I bambini vietnamiti rapiti senza permesso furono identificati come ‘orfani’ nonostante il fatto che molti di essi avessero genitori e parenti” in patria, scrive Nimmo. “Un crimine” contro il quale fu intentata una causa collettiva che mirava “a fermare il procedimento di adozione fino a quando non fosse stato accertato che i genitori o i parenti in Vietnam erano consenzienti […] o che non avessero più genitori o parenti […]. Nella denuncia si dichiarava che molti degli orfani vietnamiti portati negli Stati Uniti durante l’operazione Babylift affermavano di non essere affatto orfani e di voler tornare in Vietnam”.

Solo per accennare da che pulpiti provengano certe prediche.

Nota a margine. La portavoce del Cremlino Marija Zacharova ha rivelato che il fratello di Karim Khan, il procuratore della Corte che ha spiccato il mandato d’arresto contro Putin, era un pedofilo e ha scontato solo metà della pena inflitta. Tutto vero, vedi il relativo articolo della BBC sull’ex parlamentare britannico Imran Ahmad Khan, espulso dal partito conservatore dopo la brutta vicenda. Le colpe e i reati non sono trasmissibili, ma la cosa desta curiosità.

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20 anni dopo la rimpatriata degli assassini – Alessandro Ghebreigziabiher

C’erano una volta degli assassini. Sto parlando di criminali impuniti, malgrado il crimine sia talmente immenso da ridurre ogni dettaglio estraneo a qualcosa di irrilevante, a condizione che coscienza e cuore siano ancora connessi con la ragione, ovviamente.
Sono trascorsi 20 anni non dal giorno dell’efferato plurimo omicidio all’ennesima potenza, ma dalla strage senza fine che non ha mai smesso di mietere vittime. E già questo dovrebbe rendere il misfatto di cui sopra non ignorabile in alcun modo, invece accade l’opposto.
Per questo siamo qui a ricordarlo. Per questo dobbiamo farlo. Per questo sarei qui anch’io. E per questo ci sono ancora loro, vivi, vegeti e ben pasciuti.
Immagina allora che i nostri organizzino una bella rimpatriata per rievocare i vecchi tempi. Un genocidio non si scorda mai, su, e anche se non è il primo conta poco, dài.
Niente di eccezionale, roba semplice, perché è in condizioni di terrificante normalità che hanno agito allora e prosperato negli anni a seguire.
Una cena, una cosa così, comune per tanti e disperatamente sognata da molti di più.
Il primo ad arrivare è George e oggi si è dato alla pittura. Dipinge, capisci? L’uomo responsabile del terribile massacro che conta un numero di morti che oscilla tra i 100.000 al milione, 20 anni dopo passa il suo tempo a rilassarsi riempiendo una tela, il dono dell’arte quale premio per i suoi delitti.
Dick, il vice sulla carta, nei fatti il vero cervello dietro i misfatti, si presenta un istante dopo, come per dare all’altro una finta precedenza che non ha mai meritato. Costui passa le giornate pescando a mosca. Te lo figuri sulla riva, su una barchetta, o meglio, con l’acqua sino alla cintola mentre lancia la lenza? Non pensi anche tu che non abbia fatto altro nella sua vita che questo, ovvero predare e sterminare creature indifese?
Il terzo ad apparire doveva essere Donald, l’uomo impegnato a Difesa delle loro comuni nefandezze, ma è morto. Al suo posto giunge il vice Paul, il quale gli è sopravvissuto e ha comunque fatto la sua sporca parte in questa vicenda. Come premio gli hanno dato la poltrona più importante della Banca mondiale, prima di beccarsi un calcio nel sedere per uno scandalo. Per omicidio risulta ancora non indagato, vuoi mettere?
Si fa giustamente attendere Condoleezza, la dama del gruppo, un tempo la consigliera alla sicurezza che consigliò la morte degli innocenti, attualmente impegnata in ambito accademico, perché un posticino in qualche università non si nega a nessuno che abbia contribuito a esportare democrazia americana e importare petrolio straniero, le due azioni inseparabili dello zio Sam.
Poi ne arrivano altri, tra chi è diventato maestro di sci – avendo fatto pratica a scivolare sulle vite altrui, con la neve è una bazzecola – e chi si occupa di sicurezza, ma tu leggi mercenari, ovvero ancora omicidi, ma privati. Nondimeno, l’altro ospite d’onore della serata non poteva mancare: Tony, il fedele e leale amico a capo degli avi europei, almeno finché l’Europa gli faceva ancora comodo, che oggi compra e vende case. Dalla mina anti uomo al mattone il passo è bizzarro, ma breve per gente come lui.
Nel frattempo, mentre tali inquietanti individui pasteggiano indisturbati e sghignazzano di come l’hanno fatta franca raccontando balle al mondo intero su fantomatiche armi di distruzione di massa, una guerra diversamente planetaria è di nuovo in prima pagina e gli invasi di allora ancora non sono riusciti a liberarsi degli invasori.
Forse, la sola indiscussa morale che riesco a trarre da questa trama, laddove letta nell’arco di un tempo significativo, è che se chi ha compiuto atti di questa gravità ne è uscito così pulito, con quale ardire puoi accusare vent’anni dopo qualcun altro del medesimo crimine?

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Vent’anni fa l’invasione USA dell’Iraq. Perché i media italiani non ne parlano? – Giuliano Granato

Non è stato ancora risolto il paradosso di società occidentali che anche oggi dicono di difendere i valori della “democrazia, libertà individuale, diritti umani e Stato di diritto” facendo l’opposto. Ed è finito ingiustamente in carcere chi, come Julian Assange, ha avuto l’ardire di raccontare la verità sul bagno di sangue di civili che fu quella guerra.

Il 20 marzo ho sfogliato molti dei quotidiani italiani. Cercavo, in particolare, articoli che ricordassero ai lettori che, esattamente 20 anni fa, nella notte tra il 19 e il 20 marzo 2003, gli Stati Uniti avevano cominciato a sganciare bombe e missili sull’Iraq.

Vent’anni dopo, i media italiani tacciono. Muti. Come se l’anniversario non esistesse. A parte Left che aveva dedicato a questo tema, già sul numero di febbraio un pezzo di Alfio Nicotra di Un ponte per dal titolo Vent’anni dopo quell’oceano pacifico di manifestanti contro la guerraFatta eccezione per un articolo a pag. 17 de La Repubblica, e per un articolo di Domenico Quirico a pag. 14-15 de La Stampa (con richiamo in prima pagina), il nulla assoluto.

I media non sono un attore come un altro. Oggi costituiscono l’”avanguardia del partito della guerra” (Serge Halimi e Pierre Rimbert su Le Monde Diplomatique di marzo 2023) e, in generale, sono fondamentali nel produrre percezioni, senso comune, consenso, riprodurre l’ideologia dominante. Vent’anni fa furono proprio i media, a livello internazionale, a costruire le condizioni per l’invasione. Dan Rather, mezzobusto del telegiornale statunitense CBS Evening News per 24 anni, nel 2010 affermava che “se come giornalisti avessimo fatto il nostro lavoro, credo che potremmo sostenere con forza che probabilmente gli Stati Uniti non avrebbero mosso guerra all’Iraq”.

Cosa intendeva Rather? Che i media cominciarono a far suonare i tamburi di guerra mesi prima di quel terribile 20 marzo 2003. Per rimanere negli States, nelle due settimane che precedettero l’invasione, nelle emittenti ABC, CBS, NBC e PBS – tutte schierate sulla linea del presidente Bush – su 393 interviste totali solo 3 furono a membri di associazioni o gruppi contrari alla guerra: 390 a 3. E che, sempre gli stessi media, diedero per buone tutte le parole e le versioni che uscivano dalla bocca dei rappresentanti della Casa Bianca e del governo di Washington.

Non è probabilmente un caso che il 30 gennaio 2003, otto Paesi europei (Italia, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Danimarca) scelsero uno dei principali media internazionali, il Wall Street Journal, per pubblicare una lettera in cui offrivano il loro appoggio alla guerra che Washington stava per scatenare contro Baghdad: “Il vero legame tra europei e statunitensi è costituito dai valori che abbiamo in comune: democrazia, libertà individuale, diritti umani e Stato di diritto”.

Serviva costruire una narrativa epica, serviva nascondere dietro la prosopopea dei “valori” l’imminente invasione dell’Iraq. Ancora: quando il 5 febbraio 2003, dinanzi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Colin Powell presentò la famosa “pistola fumante” delle fialette che avrebbero provato il possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa; quando si accusava il regime di Baghdad di complicità con Al-Qaeda, nessun media faceva domande. Anzi, riproducevano allegramente le frottole del potere e davano addosso a chi si batteva per la pace (all’epoca chiamavano “pacifondai” quelli che oggi definiscono “pacifinti”). Così, il 6 febbraio 2003 La Stampa di Torino titolava “Powell: così Saddam nasconde armi e veleni”; il noto editorialista Pierluigi Battista scriveva in prima pagina “Gli scettici e la pistola fumante”, dando ovviamente addosso a chi si permetteva di porre dubbi sulla versione propagandata da Powell. Si riportava che l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi parlava di un “Powell convincente” e aggiungeva che “Il segretario di Stato Powell  ha dimostrato che l’Iraq ha ostacolato la missione Onu e continua a intrattenere rapporti con il terrorismo internazionale”.

Cominciata l’invasione, il potere mediatico si produsse in un’altra trovata e imparammo a conoscere il “giornalismo embedded”: i corrispondenti venivano direttamente “incorporati” nell’esercito statunitense, dopo aver firmato un apposito accordo di riservatezza e segretezza. La funzione del “giornalismo embedded” fu spiegata in maniera cristallina dal tenente colonnello Rick Long, del corpo dei Marines statunitensi: “Francamente, il nostro lavoro è vincere la guerra. Parte di questo lavoro è la guerra di informazione. Per questo cerchiamo di dominare l’ambiente dell’informazione”.

Vent’anni dopo l’inizio dell’invasione dell’Iraq sappiamo che poco è cambiato. La struttura del potere mediatico non è affatto cambiata, anzi. I giornalisti che mentirono, che contribuirono allo scatenamento del massacro in Iraq, nella stragrande maggioranza dei casi sono ancora ai loro posti. Senza nemmeno aver dovuto chiedere scusa. Non è stato ancora risolto il paradosso di società occidentali che anche oggi dicono di difendere i valori della “democrazia, libertà individuale, diritti umani e Stato di diritto” facendo l’opposto.

Tra i pochi finiti in carcere c’è una delle pochissime voci che ha avuto l’ardire di raccontare la verità di quello che fu quella guerra: il “bagno di sangue” di 109mila morti, prima mai considerati, principalmente civili, oltre ad Abu Ghraib, l’uccisione del giornalista spagnolo Couso. Quella è la voce di Julian Assange, detenuto dall’11 aprile 2019 nel carcere britannico di massima sicurezza di Belmarsh. Assange è il simbolo vivente che il sistema premia il giornalismo quando è supino ai suoi desiderata e lo punisce quando osa funzionare per davvero come “cane da guardia”. (Per approfondire leggi il libro di Left su Assange).

Oggi i valori di cui pomposamente si riempiono la bocca politici, giornalisti ed editorialisti di casa nostra sono smentiti plasticamente da Julian Assange in cella. Perché “la prima vittima di ogni guerra è la verità” non è una citazione di Eschilo, ma il triste presente.

Giuliano Granato è portavoce  nazionale di Potere al popolo

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Manifestazione antifascista a Roma per la libertà dei prigionieri politici ucraini e contro la guerra – Clara Statello

Gli antifascisti si sono dati l’appuntamento venerdì 24 marzo 2023, alle ore 17.30, in piazza del Pantheon a Roma, per una manifestazione a sostegno della sinistra e dei comunisti ucraini perseguitati dal regime di Kiev. La realtà politica che si è fatta promotrice di questa azione è il neonato Comitato di solidarietà con i comunisti e gli antifascisti perseguitati in Ucraina, che chiama alla mobilitazione contro il fascismo ucraino e contro la guerra, com le parole d’ordine: “No alla NATO! No all’Unione Europea che copre i crimini di Zelensky! No alle spese per armamenti!”.

All’iniziativa hanno aderito organizzazioni di sinistra da tutta Italia, tra cui Interstampa, Comunisti Milano e il Coordinamento Ucraina Antifascista.

“Il simbolo di questa lotta di resistenza al fascismo ucraino, che è allo stesso tempo una lotta di liberazione, è rappresentato dai dirigenti comunisti Mikhail e Alexander Kononovich, ancora oggi (dopo più di un anno) agli arresti, vessati quotidianamente e in pericolo costante”, si legge nel comunicato stampa del comitato.

Il saluto dei comunisti ucraini

E proprio dai fratelli Kononovich, in vista della manifestazione di domani, arriva il saluto e video-appello alla sinistra e ai comunisti italiani per fermare le persecuzioni degli antifascisti in Ucraina.

“Compagni italiani, aiutateci, vedete quello che ci stanno facendo. I regimi capitalisti approfittano della nostra frammentazione, della nostra azione disorganizzata, per questo ci stermineranno uno per uno. E’ arrivato il momento di unirci. O ci uniamo o saremo distrutti. Solo lotta”.

Le persecuzioni dei comunisti e della sinistra in Ucraina

Secondo le cifre forniteci dai Kononovich sono circa 300 i comunisti detenuti nelle prigioni ucraine, più di 100 sono stati uccisi, più di 5.000 sono riusciti a lasciare il Paese, più di 3.000 si trovano in clandestinità per evitare l’arresto. Più di 7.000 militanti hanno subito aggressioni pubbliche, vessazioni e persecuzioni politiche solo per il fatto di essere comunisti e antifascisti.

Proprio lunedì scorso, il 20 marzo, l’SBU ha condotto una retata contro il Partito Comunista dell’URSS, una piccola organizzazione messa al bando come il resto dell’opposizione a Zelensky. L’operazione ha coinvolto 45 persone accusate di cospirazione e attività sovversiva, per conto dell’FSB, i servizi russi.

Nei giorni precedenti due membri del KPU sono stati condannati rispettivamente a 15 e 10 anni di carcere duro, con le accuse di collaborazionismo e di essere agenti dell’FSB. Uno dei due soffrirebbe di una grave disabilità incompatibile con il regime carcerario.

“Per il regime essere comunista e antifascista è di per sé un crimine!”, commenta Mikhail Kononovich.

Il clima da caccia alle streghe trova conferma nella stampa locale che spesso riporta notizie surreali, come quella di un uomo di 66 anni sotto indagine per una maglietta. Secondo quanto riporta un articolo pubblicato il 3 marzo 2023 da Nikopolnews e firmato dalla giornalista Katerina Andrus, dall’emblematico titolo: “In piedi con una maglietta dell’URSS”, il malcapitato è stato denunciato dalla polizia di Pokrov, nel distretto di Nikopol, accusato di “fare propaganda al regime comunista” solo per aver indossato un indumento con una stampa sovietica, come se ne trovano tanti su Amazon o ai banchetti delle manifestazioni di sinistra in Italia.

Questo episodio grottesco riportato dalla stessa stampa ucraina dà la misura della drammatica contingenza vissuta di quei cittadini ucraini non allineati alle politiche del governo di Kiev o che non hanno fatto abiura degli ultimi cento anni di storia del loro Paese.

L’appello:

https://www.youtube.com/watch?v=kSQnhCRJxCM

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La fine delle talassocrazie – Enrico Tomaselli

…Il dispiegamento militare USA è strutturato secondo la logica del contenimento, e quindi le basi e le flotte sono dislocate in modo da costituire una cintura intorno ai paesi nemici, che negli anni 40 del secolo scorso era la Russia, ed a cui dagli anni 60 si è aggiunta la Cina. Tale dispiegamento è a sua volta connesso con la struttura a cipolla del potere politico-militare, il cui nucleo centrale è costituito dagli Stati Uniti, lo strato successivo dai paesi anglo-sassoni (Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda), quello ancora più esterno dai paesi vassalli (NATO, Corea del Sud, Giappone), ed infine dai clientes (paesi con cui vige un rapporto basato sul reciproco interesse, tipo l’Arabia Saudita).

Tutto questo mastodontico apparato ha però un costo esorbitante, e basta un elemento di crisi per farlo schizzare in alto. La previsione di budget per la difesa è arrivata a quota 886 miliardi di dollari, con un balzo di circa il 10% in più, mentre nel paese cresce la povertà, e le stesse infrastrutture cominciano a scricchiolare sinistramente, in conseguenza di minori disponibilità di spesa.

Tutta la strategia di dominio imperiale USA è quindi fondata sull’accerchiamento del nemico, identificato nella massa continentale euroasiatica. Il limite – gigantesco – di questo approccio risiede nel fatto che non siamo più ai tempi della regina Vittoria, ed i rapporti di forza sono profondamente mutati.

Per un verso, siamo lontanissimi dall’epoca in cui bastava mandare un paio di cannoniere davanti alle coste di un paese, per rimetterne in riga il governo recalcitrante, o anche solo da quella dell’operazione Desert Storm, contro un esercito di quarta categoria. E per un altro, è proprio la natura geografica dell’Eurasia a rendere sostanzialmente irrilevante la capacità di proiezione navale (ed aerea, che ne costituisce sostanzialmente un’estensione), poiché tale blocco dispone di tutte le risorse necessarie (a sé ed a gran parte del resto del mondo), e non ha bisogno di espandersi per acquisirle.

Anche se la narrazione atlantista non cessa di dipingere Russia e Cina come minacce, sottintendendone una volontà imperialistica, questi paesi non necessitano di colonie (da cui estrarre risorse) ma di partner commerciali. Tutto l’apparato militare di questi paesi è concettualmente difensivo; è pensato in funzione della protezione della propria sicurezza ed integrità.

Già solo per tale semplice ragione, il potenziale militare russo e cinese può essere concentrato in uno spazio (relativamente) limitato, mentre quello statunitense deve necessariamente essere mantenuto disperso, nella sua dimensione globale. Anche se – ad esempio – la marina statunitense è complessivamente la più potente, tale potenza non è più, già oggi, in grado di assicurare quel livello di dominio che poteva garantire vent’anni fa. E ciò perché, ovviamente, non solo i nemici hanno continuato a potenziare le proprie per fronteggiarla, ma possono contare su un coordinamento crescente, e sulla possibilità di concentrarsi laddove lo richiedano le esigenze di sicurezza nazionale…

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Campi di concentramento e torture nell’Ucraina democratica – Emanuele Quarta

La guerra in Ucraina assume sempre di più i contorni di un dejà vu in relazione alle azioni del regime di Kiev e dei suoi criminali esecutori. L’Operazione Speciale iniziata nel febbraio 2022 ha avuto, se non altro, il merito di creare uno squarcio su quel Velo di Maya che via via andava calando sempre più pesantemente sulle vicende della guerra civile ucraina; più ci allontanavamo dai fatti di Euromaidan (2013/2014) più ci siamo dimenticati dei crimini efferati del regime di Kiev contro i russi del Donbass, di Crimea e di Odessa. Sì, la polarizzazione è esplosa (o sei con Kiev o sei con Putin), chi per 8 anni non ha mai saputo nulla del Donbass, improvvisamente si è ritrovato in prima linea – metaforica, è ovvio – nel difendere la sovranità di un popolo “sovrano aggredito da un brutale dittatore”. La teoria “aggressore-aggredito” ha dominato per lunghi tratti irrigidendo il dibattito divenuto schizofrenico nella sua ricerca di qualche grave crimine – vero o inventato non importa – da parte delle truppe russe: allora via con Bucha, i corpi dei civili lungo la strada principale della cittadina che saltano fuori solo dopo una settimana dal ritiro delle truppe russe e il reinsediamento dell’amministrazione ucraina. Insomma, la stampa e la politica italiane sono andate alla ricerca di crimini contro l’umanità quando bastava andare negli archivi online dei quotidiani e delle riviste italiane per trovarvi di tutto. Certo si tratta di crimini commessi dalla parte ucraina, ma se fossimo veramente una democrazia, i Formigli, i Mentana, i Giannini – per citarne tre fra i più odiosi – non avrebbero remore a parlarne, a denunciare e a sensibilizzare; non avrebbero alcun problema ad applicare il principio “aggressore-aggredito” ai loro beniamini ucraini.

Nel corso degli anni ci sono state tante denunce da parte russa di campi di concentramento ucraini costruiti per internare la popolazione russofona considerata “terrorista”. Campi allestiti, negli ultimi mesi, anche per gli stessi ucraini delle regioni del sud-est che si rifiutano di andare a combattere per il cocainomane di Kiev; considerati disertori, se non addirittura spie al soldo del nemico russo, vengono prelevati e portati in questi campi…

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Stravincere e sopravvivere: le origini del conflitto ucraino – Giuseppe Masala

<<E’ in genere l’impulso a “stravincere” che innesca nuove guerre>>

Luciano Canfora

Nello sforzo di tantissimi intellettuali occidentali che provano a dare una spiegazione razionale alla guerra in Ucraina, certamente merita una menzione speciale l’opera di Benjamin Abelow intitolata “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina”.

Si tratta di un testo breve e scorrevole (davvero un grande merito in un panorama editoriale dove le opere di politica internazionale sono troppo spesso prolisse e ferraginose se non addirittura involute nei ragionamenti proposti) che prova a fare luce della crisi in corso partendo da una visuale soprattutto legata alla politica di sicurezza europea che è indissolubilmente legata alle decisioni prese dai paesi occidentali uniti nella NATO, ovvero quella particolare alleanza militare  nata alla fine della Seconda Guerra Mondiale in funzione antisovietica e che con la caduta del Muro di Berlino si è trovata senza avversari e in definitiva senza più una ragione sociale per continuare ad esistere. E il  motivo della sua esistenza non poteva che essere quello di trovare un nuovo nemico a cui confrontarsi: la Russia, erede storica dell’ormai abbattuta Unione Sovietica era l’ideale.

Da qui parte la tesi di Benjamin Abelow che vede la Russia non colpevole di aver riportato la guerra in Europa e che anzi incolpa l’Occidente di aver provocato la Russia fino a spingerla ad invadere l’Ucraina come estrema risorsa per porre un argine all’aggressività della NATO. L’Alleanza Atlantica, secondo l’autore, si è allargata ad Est inglobando sostanzialmente tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia e rimangiandosi le promesse fatte ai russi che i paesi dell’est europeo sarebbero sempre rimasti neutrali.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso del Cremlino è stata la dichiarazione della Nato (risalente al 2008) che spalancava le porte della Nato alla Georgia e all’Ucraina. Ma nonostante i ripetuti avvertimenti di Putin ormai la piccola palla di neve aveva iniziato a rotolare dalla cima della montagna diventando una valanga inarrestabile con la rivoluzione di Majdan che ha visto i filo occidentali prendere il potere a Kiev nel 2015.

Nella ricostruzione di Benjamin Abelow viene posto l’accento su due elementi fondamentali e poco conosciuti: la costruzione di batterie missilistiche formalmente antimissile e dunque con scopi difensivi in Polonia e Romania. Batterie missilistiche avversate dai russi perché considerate idonee a sparare anche missili da crociera d’attacco a meno di 1000 km da Mosca in linea d’aria. Altrettanto importante secondo la tesi dell’autore le dichiarazioni d’intenti e i memorandum firmati da Washington  (a titolo bilaterale e formalmente non impegnando gli altri paesi della Nato) e la nuova Ucraina post Majdan che rendono di fatto Kiev alleata degli USA anche dal punto di vista militare.

Tutto il resto è cronaca che si può leggere sui giornali.

Molto pregevoli in questa opera sono le vaste citazioni di autori di assoluto prestigio quali John Marsheimer, Stefan F. Cohen e George F. Kennan per citarne alcuni e la bibliografia comodissima e utile.

Infine davvero azzeccata e anticonformista la scelta dell’editore Fazi di affidare la prefazione ad uno storico dell’epoca classica come Luciano Canfora che infatti non manca di stupirci – e farci riflettere – individuando forse una legge eterna della storia, quando dice che la causa di questa guerra come di tutte le guerre è l’impulso a “stravincere” di chi era uscito vincente dai conflitti precedenti. Una verità questa certamente meritevole di ulteriori approfondimenti e riflessioni che spero Canfora decida di regalarci.

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“E’ incontrovertibilmente illegale”. L’Appello del tenente colonnello Fabio Filomeni al ministro Crosetto

Pubblichiamo questo appello rivolto al ministro della Difesa Crosetto di Fabio Filomeni, tenente colonnello incursore del 9° Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin”. Filomeni, ora in pensione, ha partecipato alle missioni in Somalia, Bosnia, Kosovo, Albania, Iraq. E’ autore di “Morire per la Nato?” (2023)

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Dalla Pagina Facebook di Fabio Filomeni

QUESTO È IL MIO SECONDO APPELLO RIVOLTO AL MINISTRO DELLA DIFESA GUIDO CROSETTO:

Esimio Signor Ministro,

Mi rivolgo a Lei per la seconda volta nella speranza che queste mie parole le giungano dirompenti come una delle tante detonazioni che devastano quotidianamente la martoriata Ucraina.

Sono stato per molti anni un operatore delle Forze Speciali del nostro Esercito e sono orgoglioso di aver servito il mio Paese in armi partecipando a numerose missioni in vari teatri operativi all’estero.

Dal 2018 ho lasciato il servizio attivo e adesso pensavo di godermi la pensione ma così non può essere visto che il Governo che Lei rappresenta ricoprendo la massima carica in ambito della Difesa, insiste ad avere un ruolo attivo nella guerra in Ucraina. Continuare a partecipare al conflitto inviando armi, equipaggiamenti e adesso – leggendo quanto riportato dai giornali – addestrando perfino i militari di uno Stato con il quale l’Italia non ha nessun vincolo internazionale (l’Ucraina, infatti non è paese membro della NATO) non solo è privo di buon senso come dimostrano gli stessi sondaggi di opinione dell’istituto IPSOS in cui tre italiani su quattro sono CONTRARI all’invio di armi, ma è contro la stessa Legge Fondamentale dello Stato, la nostra tanto bistrattata Costituzione in cui all’articolo 11 ci ricorda che l’Italia RIPUDIA la guerra.

Le scrivo Signor Ministro perché, come un giorno la storia sentenzierà, quello che Lei sta ordinando di fare alle nostre Forze Armate è, secondo i nostri principi costituzionali, incontrovertibilmente ILLEGALE…

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Uranio impoverito e sovranità: morire per la NATO? Intervista al Ten. Col. Fabio Filomeni

(intervista di Alessandro Bianchi)

Nell’ultima incredibile mistificazione della stampa italiana filo Nato, vi stanno cercando di convincere che l’impatto dell’uranio impoverito sulle popolazioni non è poi così certo. Il tutto per persuadervi che quello che si appresta a fare il Regno Unito non è un crimine di guerra che alimenta un’ulteriore escalation per l’Europa, ma un altro passo verso la pace.

Chi da settimane si sta battendo contro questo ulteriore imbarberimento è il tenente colonnello in congedo Fabio Filomeni – incursore del 9° Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” con missioni in Somalia, Bosnia, Kosovo, Albania, Iraq – che con un appello molto partecipato si è rivolto direttamente al nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, per contrastare questo autentico scempio. “L’ultima Commissione è stata quella presieduta dall’Onorevole Scanu, persona integerrima che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente ed il quale mi ha onorato di una sua prefazione al mio libro. Mi meraviglio che ancora oggi si osi mettere in dubbio la pericolosità tossica derivante dall’esplosione del munizionamento con penetratore all’uranio impoverito. Le nanoparticelle che si liberano dopo l’impatto fuse a 3000 gradi nell’impatto con l’acciaio della corazzatura se inalate sono assolutamente cancerogene”, dichiara a l’AntiDiplomatico.

Filomeni è autore di “Morire per la Nato?”, libro autoprodotto che sta diventando vero e proprio caso editoriale. “Questa volontà degli Stati Uniti d’America di occupare gli spazi dell’antica influenza sovietica è iniziata, di fatto, nei primi anni ’90 dello scorso secolo con le guerre nei Balcani dove, ad esempio in Kosovo, gli Stati Uniti dopo aver spianato due intere colline hanno impiantato Camp Bondsteel, una città militare con tanto di fast food della catena Burger King, sale cinematografiche, palestre e saloni di bellezza. Io che all’epoca ero impiegato nel contingente militare italiano nei Balcani e vedevo tutto questo mi chiedevo quale fosse il vero scopo, ma adesso mi è tutto molto più chiaro”, ci dichiara.

E sulle conseguenze del conflitto in Ucraina per l’Europa pochi dubbi. “A mio modesto parere, l’unico che ci rimetterà più di tutti in questo conflitto sarà l’Europa, e l’interruzione della fornitura energetica a bassissimo costo dalla Russia è solo la punta dell’iceberg. Gli Stati Uniti gettano benzina sul fuoco da lontano, ma chi è vicino siamo noi europei che rischiamo di finirne inceneriti.”

Il suo “Morire per la Nato?” sta scalando le classifiche senza nessuna grande casa editrice dietro. Si tratta di un caso editoriale che spiega anche la voglia della popolazione italiana di rompere i muri di gomma della propaganda attuale. Quale è stato il motivo principale che l’ha spinto a scriverlo?

Ho iniziato a scrivere il libro a marzo 2022, dopo pochi giorni dall’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Mosca. Ero infastidito dalla superficialità con la quale i media occidentali si prodigavano nel semplificare le ragioni di un conflitto ripetendo come un disco rotto “c’è un aggressore e un aggredito”, i russi sono i cattivi e gli ucraini i buoni. Come se Putin si fosse svegliato una mattina e avesse deciso, invece d’andarsi a prendere una bella boccata d’aria, d’invadere di punto in bianco uno Stato confinante senza nessuna ragione apparente. Non ho mai creduto neppure alla vulgata che il nuovo zar fosse assetato di potere a tal punto da voler ricostituire la “Grande Russia” o un nuovo “Impero Sovietico”. La guerra, che i media dicevano essere iniziata il 24 febbraio 2022 con l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi, era di fatto iniziata otto anni prima con il colpo di stato organizzato da Washington e la successiva persecuzione da parte delle milizie filonaziste di Kiev nei confronti della popolazione russofona residente in quell’area divenuta tristemente nota come Donbass. Ma a ben vedere le origini risalgono addirittura ai primi anni del nuovo millennio con le provocazioni americane di voler far entrare nella NATO oltre all’Ucraina anche la Georgia. Ho sempre avuto passione per la storia, la quale, come materia di studio deve essere interpretata in maniera fluida come lo sono gli eventi che si susseguono: la Prima Guerra Mondiale ha gettato i semi per la Seconda, la quale ha dato a sua volta origine alla “guerra fredda” terminata la quale, il mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti ha dato il via alla Guerra Globale al terrorismo (come se si potesse dichiarare guerra a una tattica). Insomma, ogni evento è consequenziale ad un altro che lo ha preceduto. Solo così è possibile capire realmente perché la Russia ha invaso l’Ucraina: bisogna andare a ritroso nel tempo.

A proposito di Nato. Con i Protocolli di Washington e Lisbona (mai ratificati dal Parlamento italiano), l’Alleanza Atlantica – che doveva sciogliersi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica ha cambiato pelle – come mostra molto bene nel suo libro – divenendo il braccio armato attraverso cui gli Stati Uniti esercitano i suoi piani di dominio regionale e globale. Quali sono secondo lei le principali nefandezze compiute dalla Nato nel recente passato?

 

Vede, il crollo dell’Unione Sovietica ha cambiato la geopolitica dell’intero pianeta. Da un modello bipolare ci siamo ritrovati all’istante con una sola superpotenza che pretendeva di estendere la sua egemonia al mondo intero. Pensi che una delle principali preoccupazioni della corrente dei NEOCON nell’entourage della Casa Bianca era proprio quella che sciolto il nemico storico della NATO, l’ormai ex “Patto di Varsavia”, si sarebbe corso il rischio di sciogliere anche la NATO. I neoconservatori, i quali hanno sempre nutrito una profonda avversione verso la Russia, hanno subito fiutato la possibilità di estendere l’influenza degli Stati Uniti attraverso la NATO “predando” tutti quegli stati dell’ex Unione Sovietica armandoli ed equipaggiandoli con mezzi e materiali principalmente made in U.S.A. Ma questa volontà degli Stati Uniti d’America di occupare gli spazi dell’antica influenza sovietica è iniziata, di fatto, nei primi anni ’90 dello scorso secolo con le guerre nei Balcani dove, ad esempio in Kosovo, gli Stati Uniti dopo aver spianato due intere colline hanno impiantato Camp Bondsteel, una città militare con tanto di fast food della catena Burger King, sale cinematografiche, palestre e saloni di bellezza. Io che all’epoca ero impiegato nel contingente militare italiano nei Balcani e vedevo tutto questo mi chiedevo quale fosse il vero scopo, ma adesso mi è tutto molto più chiaro…. Mi chiede delle nefandezze compiute dalla NATO? La prego, sorvoliamo, già qualcuno si è preso la briga di darmi del “rinnegato” dopo 35 anni di onorato servizio in un reparto di punta del nostro Esercito e dopo aver calpestato con i miei anfibi una decina di teatri operativi sparsi per il mondo…

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Ucraina, la strategia Usa sta uccidendo l’Europa: serve subito un’alternativa ai guerrafondai – Paolo Ferrero

Biden è riuscito a compiere un discreto miracolo: ha cementato una grande alleanza tra Cina e Russia, alleanza che ha un corrispettivo geopolitico potentissimo, fondato sulla via della Seta e sulla vicinanza tra questa e l’Africa. Questa rappresenta l’altra possibile biforcazione oltre all’Europa.

L’incontro tra il Presidente russo e quello cinese in corso a Mosca, che segna il punto più alto delle relazioni tra Cina e Russia nell’età moderna, non sarebbe stato infatti possibile senza la duplice azione della presidenza degli Usa: da un lato l’espansionismo ad Est della Nato che ha spinto la Russia alla guerra in Ucraina, dall’altro – ed è il più importante – le sanzioni economiche, che hanno prodotto un vero e proprio terremoto e ridisegnato gli assetti mondiali.

In primo luogo i 300 miliardi di dollari della Banca Centrale russa depositati all’estero, che gli Usa hanno illegalmente sequestrato, ha determinato un allarme in tutti i paesi del mondo. Di fronte alla più grande rapina del secolo le élites di tutti i paesi si sono preoccupate e hanno cominciato a cambiare i loro depositi di dollari in oro.

In secondo luogo l’aver messo la Russia fuori dal circuito degli scambi internazionali in dollari ha obbligato la Russia a costruire alternative: vendere le sue materie prime in rubli o in altre valute che non fossero dollari e sostituire gli importatori europei con altri.

Attorno a questa rottura ne stanno avvenendo rapidamente altre (il petrolio pagato in yuan) e si è determinato un grande processo di aggregazione attorno ai Brics. Non si tratta solo di un fatto economico, ma politico come mostra l’avvicinamento mai visto tra Iran e Arabia Saudita, tutti e due in procinto di entrare tra i Brics.

Potrei proseguire ma il punto è semplicissimo: gli Usa con le loro sanzioni e la loro arroganza stanno favorendo il costituirsi di un blocco economico più grande di quello occidentale e un blocco militare di potenza distruttiva simile al loro…

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Come l’occidente ha provocato la guerra in Ucraina – recensione di Patrizia Cecconi

Benjamin Abelow  è uno storico statunitense dotato di un coraggio piuttosto raro in tempi in cui il rischio di essere sbranati, mediaticamente s’intende, è direttamente proporzionale alla confutazione della narrazione ufficiale veicolata dai media mainstream. Un coraggio che si palesa già nel titolo del suo libro: “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina”, pubblicato in Italia da Fazi Editore e già best seller in Svizzera, negli USA e in Germania.

Come afferma il politologo britannico Richard Sakwa, questo  libro sostiene che l’attuale guerra in Ucraina non era soltanto prevedibile, ma prevista e quindi evitabile. Da ciò si deduce che non si è voluta evitare, anzi, probabilmente si è voluto che la Russia “ci cadesse” dentro. Questo è ciò che Abelow dimostra ripercorrendo trent’anni di provocazioni USA, di tradimenti di promesse relative alla non espansione della Nato, di uscita unilaterale USA da accordi sugli armamenti, di minacce alla sicurezza russa. Il tutto provato da documenti messi a disposizione del lettore nelle note che accompagnano il testo.

Nonostante il pericolo rappresentato dall’espansione a Est della Nato fosse evidente, tanto che perfino falchi come McNamara, Kinssinger e Kennan , o politologi come John Mearsheimer ,  o alti ufficiali dell’esercito quali Macgregor  o l’attuale direttore della Cia Burns  si siano ripetutamente dichiarati contrari affermando che una scelta del genere sarebbe equivalsa a una dichiarazione di guerra, il processo non si è fermato. Quanto prevedibile si è quindi verificato.  Tra gli analisti di geopolitica citati nel testo, anche Lucio Caracciolo, direttore di Limes, nel 2015 affermava: “Immaginare che l’Ucraina possa diventare uno Stato totalmente occidentalizzato significherebbe fare la guerra alla Russia” .  Ma al verificarsi del tragico e prevedibile evento, ogni spiegazione è stata accantonata e Putin è stato presentato come un pazzo sanguinario che senza alcun valido motivo, ma solo per mire espansionistiche ha invaso l’Ucraina.

Come spiega Luciano Canfora nell’introduzione, l’aver spinto Putin a una scelta che non ha potuto o saputo evitare è stata una trappola della Nato che ha funzionato alla perfezione perché ha offerto “alla macchina mediatica occidentale una carta propagandistica efficace: la denuncia dell’aggressore” sorvolando con agile levità sulle cause che hanno portato all’invasione e che sono andate accumulandosi anno dopo anno. Di fatto è stato tradito il “patto d’onore” tra il Segretario di Stato USA  Baker e il presidente Gorbaciov il quale,  dando fiducia alle rassicurazioni avute circa la non espansione a est della Nato, nel dicembre del “91 decretò la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Abelow ricorda al lettore che da duecento anni esatti la dottrina Monroe rappresenta per gli USA un punto fermo e invalicabile nella percezione della sicurezza.  In base alla dottrina Monroe,  nessun paese straniero può posizionare nelle vicinanze del territorio statunitense armi o forze militari perché questo sarebbe considerato un valido motivo di guerra.  Ma il contrario non è stato preso in considerazione per la Russia, e la Nato –  con armi, militari ed esercitazioni anche a fuoco vivo –   si è espansa  fino a mettere oggettivamente a rischio la sicurezza russa. Basterebbe questo, scrive Abelow,  per capire che  l’invasione dell’Ucraina è stata la reazione “violenta e distruttiva alle sconsiderate politiche occidentali” e, se  questo l’Occidente lo ignora, basa “decisioni di vitale importanza su delle false premesse “ procedendo “come un sonnambulo verso la guerra nucleare.” Queste affermazioni, spaventosamente realistiche, pongono  un interrogativo  su come sia possibile che tanti governanti di paesi Nato siano talmente accecati dalla servile sottomissione agli USA da non aver  capito il rischio che ci riguarda tutti, nonostante si siano levate voci, anche russofobiche e quindi al di sopra di ogni sospetto, per  avvertire che se l’obiettivo è la demolizione della Russia o l’abbattimento di Putin, il risultato sarà solo quello di rischiare una catastrofe mondiale o, alla meglio, di portare la Russia nelle braccia della Cina.

Anche i media, scrive Abelow,  hanno un’enorme responsabilità in questo occultamento della realtà perché “invece di contestualizzare gli eventi per i loro lettori… strombazzano la narrazione ufficiale del governo … I media mainstream  hanno costruito e continuano a tenere in piedi un regime di propaganda che disinforma il pubblico …” e per questo è indispensabile un lavoro che metta in luce le cause che hanno portato alla guerra. Obiettivo dichiarato dell’autore, infatti,  “non è difendere l’invasione, ma spiegare perché è avvenuta”, cercando di superare quella che il grande Glenn Greenwald definisce “una pervasiva censura delle opinioni dissenzienti”.

Questo lavoro di ricerca della verità  rappresenta dunque la necessaria diagnosi per trovare una possibile via d’uscita perchécome spiega ancora Abelow, “se non diagnostichi  correttamente un problema, non sarai in grado di trovare una soluzione”.  Sulla base di questa convinzione l’autore, pur affermando che a suo avviso Putin ha fatto la scelta sbagliata, enumera le provocazioni e gli eventi che avrebbero indotto il presidente russo a buttarsi  in questa tragica operazione bellica.

Come primo punto insiste sul tradimento a Gorbaciov e il conseguente allargamento della Nato di ben 1.600 chilometri fino ai confini russi. Poi, cosa che i media normalmente non citano neanche di striscio, il ritiro unilaterale degli USA dal trattato sui missili antibalistici e il successivo posizionamento di sistemi di lancio di missili, anche a testata nucleare, nei paesi Nato dell’est Europa diretti verso la Russia.   Poi viene ricordato il sostegno USA  al colpo di stato dell’estrema destra ucraina nel 2014. Sostegno che può a buon diritto essere definito complotto golpista visto il contenuto delle conversazioni telefoniche, intercettate e rese pubbliche, tra  la vicesegretaria di Stato Victoria Nuland e l’ambasciatore statunitense  Geoffrey Pyatt .

Ma la scoperta del complotto ha portato solo a una fugace indignazione da parte di qualche paese europeo semplicemente perché Nuland aveva manifestato il suo disprezzo verso l’Europa con un volgare “fuck the EU”. Una parolaccia aveva fatto gossip e occultato la gravità  dell’ingerenza  politica USA sia ai danni della democrazia ucraina che della Russia. Tra le provocazioni elencate nel libro hanno un ruolo importante le ripetute esercitazioni Nato in prossimità dei confini russi comprese esercitazioni militari a “fuoco vivo” simulando attacchi ai sistemi  di difesa aerea interni alla Russia. Una delle ultime provocazioni  è stata l’esercitazione navale congiunta tra Usa e Ucraina alla quale hanno partecipato ben 32 paesi Nato nel Mar Nero. Era il luglio del 2021 e sei mesi dopo, e dopo aver chiesto e non ottenuto la rimozione di mezzi militari che rappresentavano una palese minaccia per la sicurezza russa, Putin decide di avviare “l’operazione speciale”, cioè l’invasione dell’Ucraina.

“È in genere l’impulso a ‘stravincere’ che innesca nuove guerre”  scrive Luciano Canfora nell’introduzione, e l’America ce ne ha dato prova, come mostra l’autore in questo importante volumetto che va assolutamente letto per capire come l’Occidente abbia provocato la guerra e quale soluzione pretendere per evitare di affondare tutti nella catastrofe mondiale in cui siamo stati cacciati.

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«Un po’ più di diplomazia avrebbe evitato la guerra»

A tu per tu con Benjamin Abelow, l’autore del libro «Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina» (intervista di Maria Elisa Altese)

Mentre la guerra si sta avvitando in distruzioni senza fine, un saggio con un titolo che fa riflettere – Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina – dà un’altra lettura sulle cause del conflitto. In Svizzera  tedesca il libro ha fatto numeri da best seller: 340 mila copie (40 mila in supplemento alla Weltwoche, le altre 300 mila diffuse via Posta). Ora è disponibile in italiano (Fazi editore). Abbiamo intervistato l’autore, lo studioso americano Benjamin Abelow.

Nella prefazione all’edizione italiana del suo saggio, lo storico Luciano Canfora ricostruisce l’espansione verso est della NATO dopo il disfacimento del Patto di Varsavia (1991) e afferma che «l’impulso a stravincere innesca guerre. La lezione del dopo-trattato di Versailles non è servita». Pure Henry Kissinger ha suggerito che «l’Occidente non deve cercare la sconfitta della Russia». Che ne pensa?
«Molte persone vedono nel conflitto in Ucraina qualcosa di simile alla Seconda guerra mondiale. A me ricorda la Prima, quando l’Occidente si muoveva verso un conflitto di larga portata, ma senza dichiararlo. Io non credo che il presidente russo Putin si sia svegliato una mattina di febbraio credendosi Hitler o Stalin o il nuovo Zar, anche se alla fine è la versione hitleriana quella a essere maggiormente promossa dai media, almeno qui negli Stati Uniti. Le cose sono un poco più complesse».

Affrontiamole.
«Ogni esperto che sia onesto può ricostruire da sé l’espansione della NATO verso l’Europa orientale, dalla disgregazione del blocco comunista ad oggi. Mosca ha fatto nel tempo proposte specifiche agli Stati Uniti e alla NATO per modificare la situazione. Secondo me avrebbe fatto meglio a rivolgersi all’ONU, sottolineando la serietà delle proprie richieste. Mi sarebbe piaciuto vedere il presidente Putin fare di più per evitare lo scatenarsi del conflitto. E vedere gli Stati Uniti e l’Unione europea, naturalmente, fare di più».

Ad esempio, che cosa?
«Nel 2008 la NATO ha dichiarato che l’Ucraina sarebbe diventata un suo membro. George W. Bush voleva offrire un immediato ‘piano d’azione per l’adesione’. È stata l’irremovibile opposizione di Germania e Francia a fermare il progetto. Penso che l’UE – sia attraverso la NATO sia agendo per così dire individualmente – avrebbe potuto fare molto anche questa volta. Essere più assertiva nei confronti degli USA. Se un solo grande Paese NATO prendesse una posizione di principio a favore di una politica internazionale diversa, la situazione potrebbe cambiare».

Sforzi ne sono stati fatti. Nel marzo 2022 a Istanbul. Sul tavolo dei negoziati c’era la neutralità dell’Ucraina e un ritorno ai confini di prima del 24 febbraio.
«Vero. I territori del Donbass avrebbero avuto un certo grado di autonomia o forse  un alto grado di autonomia, e sarebbero rimasti all’interno dell’Ucraina. Non conosciamo i dettagli completi, ma pare che fossero questi gli accordi. L’allora premier del Regno Unito Boris Johnson, però, si presentò a Kiev e disse al presidente ucraino Zelensky: ‘Tu potrai essere pronto per la la pace, ma l’Occidente no’.  Parole riportate dall’Ukrainska Pravda e confermate nella sostanza nientemeno che da Foreign Affairs sul numero di settembre scorso».

C’era uno spiraglio di pace e non è stato valorizzato?
«Di recente anche l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett ha raccontato di come le trattative per la pace in cui era coinvolto in prima persona a un certo punto siano state bloccate, pur essendo molto positive fino a un momento prima. La storia insegna, diciamolo con dolore, che gli esseri umani a volte non hanno come primo obiettivo l’immediato raggiungimento della  pace. Vi sono tante ragioni per questo, certamente finanziarie, e non ultima, nel caso specifico, la volontà americana di indebolire la Russia. Obiettivo dichiarato apertamente dal segretario alla Difesa americano Austin, con il segretario di Stato Blinken al suo fianco»…

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Artico. Usa e Nato pronte ad aprire il nuovo fronte con la RussiaFabrizio Poggi

Alcune recenti decisioni della Casa Bianca, scrive The Heritage Foundation, si sono rivelate oltremodo vantaggiose per la Russia. Si tratta, in particolare, del decreto che limita l’esplorazione e lo sviluppo di giacimenti di petrolio e gas nell’Oceano artico e in Alaska. Il fatto è, a detta del think tank americano legato ai repubblicani, che Mosca si ritrova la strada spianata al dominio in aree ricche di preziose risorse, sulle quali, tra l’altro, punta da tempo. Per di più, in questo modo si offre la vittoria finale a Pechino su un piatto d’argento: puntando, come fa Joe Biden, all’energia eolica e solare, si arricchisce la Cina, uno dei principali produttori di componenti per energie rinnovabili.

Pur se il materiale di Heritage pare diretto, in particolare, a un auditorio interno, fungendo da portavoce dei settori che puntano  alle risorse minerarie, il vantaggio russo nell’area artica rimane al momento fuori discussione.

E, in effetti, tra le vaste prospettive di cooperazione a livello globale Russia-Cina, quella sullo sviluppo dell’Artico non pare affatto secondaria: dallo sfruttamento delle sue risorse, alle possibilità di rotte commerciali alternative, e anche ai pericoli militari che possono derivare dalla corsa americana per recuperare il forte ritardo accumulato in un’area che, “grazie” anche ai rovinosi cambiamenti climatici innescati dalla bramosia di profitto, sta diventando sempre più strategica.

Interessante, al proposito, una “ricognizione” geo-economica della russa Stoletie, che parte dalla nota del Military Times sulle esercitazioni “Northern Strike”, svoltesi lo scorso gennaio nel nord del Michigan, che hanno visto impegnati reparti della Guardia Nazionale USA, insieme a forze speciali lettoni e di altri paesi, per addestrarsi a possibili conflitti con Russia e Cina nell’Artico.

Mosca, dicono al Ministero degli esteri, non si lascia intimidire da simili prove, è però allarmata e preoccupata, pur se, ammette l’americana Politico, la Russia è molto avanti rispetto a Stati Uniti e Occidente nella battaglia per l’Artico e ci sono forti dubbi che USA e NATO riescano a «superare le capacità e le ambizioni della Russia» nella regione…

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No alla guerra: David Swanson appoggia il 2 aprile

World BEYOND War sostiene chi scenderà in strada per la pace in una manifestazione nonviolenta ovunque il 2 aprile assieme a Europe for Peace. I membri di World BEYOND War in Europa diffonderanno quest’azione e vi prenderanno parte; inoltre, incoraggeremo i nostri gruppi in giro per il mondo a unirsi.

(Correzione: Avrei dovuto dire Kansas, non Kentucky.)

Sono il direttore esecutivo di World BEYOND War e vivo negli Stati Uniti, dove l’attivismo contro la guerra è maggiormente necessario ma minimamente presente. Accampiamo un sacco di scuse: le ampie distanze che ci separano, l’intensa propaganda dei media statunitensi, la precarietà economica. Ma nessuna di queste è all’altezza del bisogno di preservare la vita sulla Terra, a dispetto del rischio crescente di una guerra nucleare, aumentato da persone apparentemente intente a distruggere tutto prima che il collasso dei nostri ecosistemi ci porti alla stessa fine.

L’epidemia dell’inattivismo non è sempre stata presente. Il 2 aprile 1935 migliaia di studenti scioperarono contro la guerra negli Stati Uniti. A metà degli anni ‘30 gli studenti universitari crebbero con gli orrori della Prima Guerra Mondiale in Francia, Gran Bretagna e negli Stati Uniti, credendo che la guerra non portasse vantaggi a nessuno, e temendone il ripetersi. Nel 1934, negli Stati Uniti, si tenne una protesta a cui presero parte 25.000 studenti per ricordare il giorno in cui la nazione prese parte alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1935 negli Stati Uniti fu creato un “Comitato per lo sciopero studentesco contro la guerra”, che attrasse un movimento ancora più grande di 700 studenti dall’Università del Kansas, a cui si unirono altri 175.000 in tutta la nazione e altre migliaia in giro per il mondo. Gli studenti di 140 atenei di 31 Paesi quel giorno abbandonarono le aule perché «la protesta contro il massacro era più utile di un’ora di lezione».

Mentre crescevano la preoccupazione riguardo l’occupazione della Germania, i problemi tra Giappone e Unione Sovietica, Italia ed Etiopia, aumentò la tensione affinché gli studenti facessero sentire la loro voce. Presso l’Università del Kansas, Kenneth Born, un membro dell’equipe di dibattito, mise in discussione i 300 miliardi spesi per la Prima Guerra Mondiale, argomentando che «il razionalismo darebbe soluzioni migliori». Mentre era sul podio fu usato gas lacrimogeno sulla folla, ma Born convinse gli studenti a rimanere, dichiarando: «in guerra affrontereste cose peggiori». Charles Hackler, uno studente della facoltà di legge, descrisse la manifestazione come un promemoria sul fatto che «la guerra non è inevitabile», definendo i cortei del ROTC [Corpo di addestramento degli ufficiali di riserva, NdT] come una «propaganda di guerra per i capitalisti, commercianti di munizioni e altri speculatori di guerra». Molti di questi stessi studenti furono poi forzati a combattere e morire in Europa, Asia e Africa nella Seconda Guerra Mondiale, così le loro parole sono diventate ancora più toccanti.

Per ascoltare quegli attivisti del 2 aprile 1935 o per ascoltare chiunque oggi nell’Occidente parli sensatamente dell’Ucraina, dobbiamo farci strada nella melma accumulata per ottant’anni riguardo la propaganda per la Seconda Guerra Mondiale. Attualmente negli Stati Uniti la gente crede che Putin sia Hitler e che chiunque combatta violentemente contro Hitler sia il salvatore del mondo, e che il mondo abbia bisogno dell’aiuto delle armi statunitensi, a prescindere che lo riconosca o meno. Se esiste chi può convincere il popolo statunitense di avere i requisiti per dire di no, sono gli europei. Perciò dobbiamo celebrare e amplificare in giro per il mondo ogni voce europea che dice “no, grazie”: tenetevi i vostri missili, carrarmati, armi e aerei. Lasciateci il pianeta.

—David Swanson

Traduzione dall’inglese di Mariasole Cailotto.

Ti consigliamo di leggere anche l’appello scritto da Europe for Peace su Pressenza: ll 2 aprile prendiamo la Pace nelle nostre mani!

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Proiettili all’uranio impoverito all’Ucraina, la decisione di Londra non ha solo motivazioni militari: costano meno delle alternative – Tiziano Ciocchetti

Londra, così come Washington, dispone di scarti di uranio provenienti dalle centrali nucleari che dovrebbero essere smaltiti, con conseguenti costi. Spese che non dovranno sostenere se lo stesso materiale viene riutilizzato per produrre munizioni. Inoltre, il punto di fusione dell’uranio è circa tre volte inferiore rispetto a quello dell’alternativa, il tungsteno: ne consegue che la lavorazione richieda temperature più basse e, quindi, un minor dispendio energetico

L’annuncio di Londra è arrivato, anche se in maniera irrituale. Come dichiarato dalla baronessa Annabel Goldie, viceministra della Difesa nel governo Tory di Rishi Sunak, all’Ucraina, insieme a uno squadrone di tank MBT Challenger 2, verrà inviato il relativo munizionamento APFSDS (Armour-Piercing Fin-Stabilized Discarding Sabot) con penetratore cinetico all’uranio impoverito. Perché Mosca teme così tanto questo tipo di proiettili e perché fino a ora non li ha utilizzati, visto che ne dispone in gran quantità? Innanzitutto è bene ricordare che gli americani ne hanno fatto un ampio uso sia nei Balcani (con il munizionamento installato sui velivoli caccia-carri A-10 dell’USAF), sia in Iraq. In quest’ultimo Paese, il Comitato scientifico SIGNUM (Studio Impatto Genotossico nelle Unità Militari), nella sua relazione, ha dichiarato che non meno di 300 tonnellate di munizionamento all’uranio impoverito sono state impiegate nella Guerra del Golfo del 1991. L’altra domanda è perché il Regno Unito decida di utilizzare munizioni che mettono a rischio la salute dei militari e della popolazione presenti nei luoghi di impiego. Le motivazioni, più che nel campo militare, devono essere ricercate in quello economico: produrre proiettili all’uranio impoverito costa meno, soprattutto per quei Paesi, come la Gran Bretagna, che dispongono di grandi quantitativi di scarti provenienti dalle centrali nucleari.

Va però spiegato perché questo tipo di munizioni vengono utilizzate nel munizionamento controcarro. L’uranio ha una densità pari a 18,70 kg/dm³ e un punto di fusione relativamente basso, intorno ai 1.130 °C (per il ferro è di 1.530 °C). Il tungsteno, l’altro metallo impiegato nei penetratori APFSDS, ha una densità pari a 19,30 kg/dm³ e un punto di fusione di oltre 3.000 °C. Si tratta di un materiale assai fragile, ecco perché vengono aggiunti nerofumo o grafite (che vanno a formare il carburo di tungsteno) in modo da aumentarne la resilienza. Tuttavia, tale procedura ne abbassa la densità portandola a 15 kg/dm³. Nella fase di lavorazione, ottenuta una lega monocristallo abbastanza dura, si seguono tre processi per trasformare l’uranio impoverito in penetratori cinetici per i cannoni dei carri armati occidentali. Innanzitutto si realizza un nocciolo perforante che pesi come quello di carburo di tungsteno e che abbia la stessa lunghezza. Dato che il nocciolo in uranio ha un peso specifico maggiore del carburo di tungsteno, il suo diametro sarà minore con conseguente aumento della capacità perforante. Inoltre, a parità di peso il penetratore in uranio avrà lo stesso diametro di quello in carburo di tungsteno ma, essendo più corto, avrà una traiettoria più stabile, sia in volo che all’impatto. Infine, a parità di peso si cerca un compromesso fra i primi due punti, in modo da produrre una munizione equilibrata sia dal punto di vista della stabilità di volo che delle capacità perforanti…

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appello dei Disarmisti esigenti

Gentile eletta/o alla Camera dei deputati,

la stampa riferisce che il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il prossimo mercoledì 22 marzo, alle ore 9:30, terrà le comunicazioni alla Camera sul Consiglio europeo in programma a Bruxelles il 23 e il 24 marzo, avente per oggetto, tra altri punti in discussione, l’Ucraina.

Da parte dei commentatori politici l’appuntamento è stato inquadrato come un momento discriminante relativamente alla natura e all’assetto degli equilibri politici vigenti.

 

La domanda che rivolgono è: sarà mantenuta la barra (storta- ndr) su una solidarietà trasversale filoatlantica nel puntare alla vittoria militare dell’Ucraina (“lo Stato aggredito”) contro la Russia (“lo Stato aggressore”)?

Oppure – ma questo lo suggeriamo noi – verrà dato ascolto e sbocco all’indirizzo pacifista dell’opinione pubblica, nel presupposto che, soprattutto in democrazia, “vox populi vox dei”? 

 

Sulla guerra in Ucraina il governo guidato dalla Meloni chiederà chiarezza filo-Kiev e filo-NATO, in particolare al Pd, ora capeggiato dalla nuova segretaria Elly Schlein; ma, a ben vedere, anche agli stessi alleati di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega.

Ci si perdoni il linguaggio da infotainment: alla Camera arriverà il decreto umanitario sull’Ucraina ma l’appuntamento per “stanare” la “suocera” Schlein sulla posizione dei “democratici” in merito (ma anche le “nuore” Salvini e Berlusconi) è, appunto, quello del 22 marzo, quando il presidente del Consiglio Meloni riferirà in Aula prima del prossimo Consiglio europeo di Bruxelles. Per quell’occasione verrà preparata una risoluzione ad hoc per capire se ci sarà, come c’è stata finora, la sponda del Partito democratico, ben differenziata dalla opposizione “pacifista” del Movimento 5 Stelle.

Di fronte a questo momento cruciale di posizionamenti e di scelte, siamo qui a chiederLe, al di là delle manovre della politica partitica, e delle posizioni ufficiali del suo gruppo parlamentare, in accordo oltretutto con una volontà popolare manifesta, di esprimersi coerentemente con l’art.11 della Costituzione Italiana.

Il senso del “ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” ci sembra pienamente recepito da una opinione pubblica che – la stampa ne è unanimemente testimone – è in modo schiacciante contraria al coinvolgimento militare nel conflitto russo-ucraino e quindi all’invio di armi al governo Zelensky.

Stando agli istituti di sondaggio cui pescano i nostri giornali, con percentuali varianti di poco, secondo gli italiani il principale responsabile della guerra in Ucraina va individuato in Vladimir Putin e la solidarietà con il popolo ucraino martoriato è un atto dovuto. Non concordano però con l’invio di armi all’Ucraina perché vogliono scongiurare escalation militari che portino la NATO ad intervenire direttamente nel conflitto. Non confidano nella vittoria militare di Zelensky perché sperano in un accordo di pace in cui ciascuna delle parti rinunci a qualcosa. Non sono favorevoli, infine, alle sanzioni contro Mosca perché sono convinti che più che la Russia danneggino l’economia italiana ed europea.

Ammesso – e non concesso – sia stata necessaria finora la solidarietà armata all’Ucraina, le circostanze attuali di un conflitto sempre più sanguinoso e pericoloso, che colpisce più gli estranei che non i combattenti sul territorio (la fame in Africa, gli accordi di Parigi sul clima, i missili che cadono accanto a una centrale nucleare…), esigono uno stop immediato agli aiuti militari.

Un esame degli scenari prospettati da maestri della geopolitica come Kissinger e da capi militari americani come il generale Milley dovrebbe indurre a dismettere del tutto un percorso di lotta armata con ogni evidenza senza prospettive (se non eventualmente il baratro).

Sarebbe necessario rivedere queste tre decisioni:

1) la proroga a tutto il 2023 degli aiuti militari alle autorità governative dell’Ucraina

2) conseguire l’obiettivo di una spesa per la difesa pari al 2% del Pil

3) partecipare alle sanzioni UE e NATO contro la Russia.

A questa conclusione è recentemente arrivato il segretario della CGIL Maurizio Landini, che ci sembra abbia ben meditato sulle parole di Papa Francesco: “Oggi non esistono guerre giuste”.

Si dice: “Smettere di inviare armi non fa finire la guerra, fa finire l’Ucraina”. Questo è proprio tutto da dimostrare e non riteniamo saggio orientare la politica su ipotesi che hanno basi più fantastiche che realistiche. (Si veda in proposito quanto riportato dallo “Speciale Russia-Ucraina” predisposto dall’ISPI il 15 febbraio 2023, e rinvenibile online al seguente link: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/speciale-russia-ucraina-10-mappe-capire-il-conflitto-33483 ). Del resto, crediamo che chiunque possa accorgersi facilmente che gli stessi dirigenti di quasi tutti i partiti italiani rappresentati in parlamento, al governo come all’opposizione, sono molto restii e dubbiosi sulle pose marziali ed “eroiche” che devono assumere per fare contenta la retorica atlantica che il presidente USA Joe Biden ci sta imponendo. Dobbiamo citare le esternazioni di un nostro ex presidente del Consiglio per dimostrare che l’entusiasmo per Zelensky è quanto meno posticcio?

Tutto quanto sopra argomentato ci conduce a una domanda cruciale: abbiamo, da europei, tracciato una linea rossa oltre la quale non seguiamo più una guida oltre Oceano i cui valori possono essere sì condivisi, ma i cui interessi non collimano affatto con i nostri?

Il quadro internazionale va comunque approfondito e valutato e questo comporta che ogni decreto, non secretato, passi per il voto dell’aula. Ai cittadini va garantito il diritto a una informazione trasparente.

Lo ribadiamo: non è il caso di istigare un riarmo inviso agli italiani ed anche di fomentare una guerra economica distruttiva ed autodistruttiva.

Quindi ci permettiamo di insistere: non Le chiediamo affatto di ascoltare il movimento per la pace ma proprio il popolo italiano, in particolare quello che, a quanto risulta dall’astensionismo elettorale, non va più a votare, probabilmente anche perché la sua opinione è ignorata sui temi vitali.

Il popolo italiano chiede negoziati di pace subito e questo comporta che il nostro Paese si faccia protagonista di una nuova fase di sforzi diplomatici affinché sia scongiurato il rischio di una ulteriore escalation militare.

L’idea su cui lavorare è, come suggerisce Papa Francesco, rinnovare lo spirito di Helsinki convocando (noi proponiamo Assisi come sede) una Conferenza sulla Sicurezza in Europa.

Solo a questo punto i “pacifisti”, quali noi ci dichiariamo e siamo, Le rivolgono un appello accorato: prima di votare questa o quella mozione consideri con attenzione a non farsi complice di logiche di guerra che rischiano di condurre il Paese verso avventure senza ritorno e persino il baratro della catastrofe nucleare. Si faccia un esame di coscienza e consideri quanto certe scelte belliciste siano solo a favore dei pochi che si arricchiscono sulle spalle dei molti e sempre più poveri. Contribuisca a riportare l’Italia quale punto di riferimento di diplomazia come cultura della cooperazione e non del nemico; e della necessaria pace con la natura, indispensabile per la pace tra le società umane.

 

La invitiamo a un confronto online il 20 marzo dalle ore 19:00 alle ore 20:00

Questo il link per collegarsi:

https://us06web.zoom.us/j/83737497172?pwd=TENTODAva3c3M09QcHJsQVluclc5dz09

Il 22 marzo terremo una conferenza stampa dalle ore 11:00 alle ore 12:00 in piazza dell’Esquilino a Roma.

Alfonso Navarra e Cosimo Forleo introdurranno, tra gli altri, Enzo Pennetta, del comitato referendario “Ripudia la guerra”.

Per la coalizione dei Disarmisti esigenti (www.disarmistiesigenti.org)

Alfonso Navarra – portavoce cell. 340-0736871

Daniele Barbi – comitato antinucleare di Treviri

Ennio Cabiddu – Stop RWM cell. 366-6535384

Cosimo Forleo – Per la Scuola della Repubblica – cell. 347-9421408

Luigi Mosca – Gruppo diplomazia dal basso, fisico delle particelle elementari

Marco Zinno – Radio Nuova Resistenza cell. 335-5414983

Con la collaborazione di:

Moreno Biagioni – Firenze contro la guerra

Angelica Romano – UN PONTE PER

Patrizia Sterpetti – WILPF Italia

 

 

Orizzonti di pace – Giorgio Monestarolo

Tutto esaurito al Polo del ‘900 per il dibattito organizzato dalla Scuola per la pace in collaborazione con l’Istituto A. Gramsci di Torino

Venerdì 10 marzo al Polo del ‘900 di Torino, più di centocinquanta persone per assistere al dibattito de La scuola per pace, in collaborazione con l’Istituto Gramsci. Il titolo, “Articolo 11. L’Italia ripudia la guerra”, cercava di parlare a un popolo che finora non ha trovato un’adeguata rappresentanza politica e culturale. La risposta non si è fatta attendere e molte persone dopo una lunga attesa sono dovute tornare a casa perché i posti in sala erano terminati. C’era voglia di discutere in modo finalmente libero sul conflitto, senza sentirsi “putinisti” perché si è contrari alla guerra o perché le responsabilità del conflitto le si vede distribuite tra i vari attori oppure perché si cerca una lettura complessa della situazione, ricorrendo alla storia, all’economia, alla geopolitica, alla psicologia di massa. Come ha ricordato il direttore dell’Istituto Gramsci, Matteo D’Ambrosio, qualcosa è cambiato, è il tempo per visioni finalmente plurali della drammatica fase che stiamo vivendo da ormai oltre un anno.

Secondo Alberto Negri, inviato de il Manifesto, che ha aperto la discussione, senza abbandonare l’idea di una vittoria totale, accarezzata da entrambe le parti all’inizio della guerra, non si potrà giungere a una vera trattativa. I militari lo sanno, in particolare il capo di stato maggiore Usa Milley. I politici pure ma continuano a negarlo. Quando alla fine arriverà la tregua saranno chiari i disastri della guerra. L’Ucraina, che non può vincere, distrutta. L’Europa dipendente dal gas americano e in ginocchio economicamente, i russi indeboliti e sempre più legati ai cinesi. Che l’Europa sia la vittima è chiaro e che l’attentato allo Stream 2 sia stato fatto dagli Usa come ha scritto il premio pulitzer Seymour Hersh, oppure come suggeriscono nuove cronache da fantomatici commandi pro Ucraina (New York Times), rimane la prova che la guerra è stata una trappola e che Putin ci è caduto dentro, prendendosene le responsabilità che invece sono da condividere con gli Usa, il governo nazionalista ucraino e le élite europee che non sono state in grado di far valere i nostri interessi.

Nico Piro, inviato del Tg 3, ha posto l’accento sul marketing della guerra. Semplificazione della narrazione, costruzione del nemico, trasformazione del dibattito in tifo da stadio sono funzionali all’occultamento delle notizie e delle informazioni. La guerra è così prospettata non come il vero problema ma come la soluzione, a dispetto dei trent’anni di guerre brillantemente vinte sul campo dagli Usa e dall’occidente ma regolarmente perse per quanto riguarda la pace la democrazia e il pluralismo, lasciando milioni di morti civili innocenti e un mondo sempre più in fiamme. Per Piro il fatto veramente inquietante del conflitto ucraino è il tentativo di distruggere la cultura di pace che è stata la più grande conquista civile del nostro paese. Se da una parte c’è una censura aperta in Russia da noi c’è una censura diretta e indiretta che è altrettanto potente e deleteria. Da una parte c’è il dramma della Politkovskaja da noi quello di Assange.

Sara Reginella, documentarista e psicoterapeuta ha messo in luce come se non si guarda alla realtà, se la si distorce vedendo solo ciò che ci piace, si costruisce una situazione collettiva di patologia bipolare. C’è stata una guerra nel Donbass dal 2014 fino al 2022. Ha causato decine di migliaia di morti, era una guerra civile tra nazionalisti (con all’interno formazioni neonaziste) ucraini contro la minoranza russofona. L’Europa ha ignorato questa guerra in modo sistematico. Tutto ciò è servito per presentare l’invasione russa come un fulmine a ciel sereno. Invece, l’Europa aveva trovato la strada della composizione del conflitto attraverso i trattati di Minsk. Abbandonare quella strada è stato disastroso ed ha aperto la possibilità di allargare il conflitto, che è stato voluto dalla volontà degli statunitensi di utilizzare il nazionalismo ucraino per portare alle estreme conseguenze il conflitto civile e provocare l’intervento russo.

Per Gian Giacomo Migone, storico, la guerra è la volontà di due imperi in declino. Quello russo, che è una potenza regionale con un’economia poco sviluppata, una popolazione in declino demografico ma ancora potente militarmente. Quello americano, che è la prima potenza militare al mondo, ma sta perdendo il primato economico e politico a favore dei Brics. L’alleanza-scontro tra Usa e Russia è funzionale a creare una nuova guerra fredda, a ricompattare le reciproche aree di influenza, ad offrire ai due contendenti la possibilità di giocare un ruolo su scala mondiale che ormai da soli non potrebbero sostenere. L’Europa è la grande vittima di questo conflitto che può finire fuori controllo, con il rischio di un confronto diretto con la Nato e con l’uso di armi nucleari.

Alessandra Algostino, costituzionalista, ha messo in luce che oramai la Costituzione vive non più nel cuore delle istituzioni politiche ma vive nelle manifestazioni, nelle piazze, tra i senza diritti che la agitano per reclamare quella giustizia che un assetto politico neoliberista ha messo in discussione. In Parlamento non si cita l’articolo 11, ma questo è presente nei cortei per la pace che percorrono il paese. Ed è chiaro che l’invio delle armi ci pone fuori dalla Costituzione. La violenza è legittima solo se autodifesa. L’Italia non è stata invasa e dunque inviare armi è un atto di guerra dell’Italia contro la Russia. Ma inviare armi è soprattutto lesivo del ruolo che la costituzione assegna alla politica estera: cercare soluzioni pacifiche attraverso la diplomazia. Non ha nemmeno senso che l’Italia sia all’interno della Nato, mentre il suo ruolo dovrebbe essere quello di rilanciare il multilateralismo e l’Onu.

Infine, Raffaele Sciortino, politologo, ha collocato il conflitto in Ucraina all’interno della crisi della globalizzazione. Dopo la grande depressione del 2008, la crisi dell’euro e il covid, il mondo globalizzato vacilla. L’accordo tra Usa e Cina che lo reggeva è in discussione. Gli Usa puntano con dazi e con la rilocalizzazione industriale ad arrestare il proprio declino, la Cina cerca di fare un salto verso la conquista della supremazia tecnologica. Lo scambio dollari in cambio di merci cinesi non è più funzionale. Di qui il tentativo degli Usa di ridurre la competizione con gli europei, di indebolire le loro economie, per avvantaggiare quella americana. Una situazione di guerra economica molto pericolosa, di cui la crisi ucraina è un tassello. Uno scontro che può degenerare in un conflitto generale tra Usa e Cina o in una situazione di caos e disordine mondiale. Allo stesso tempo, la crisi dell’egemonia Usa può rappresentare la possibilità di configurare le relazioni tra le classi sociali e le relazioni internazionali in un modo nuovo e alternativo al neoliberismo. Una speranza non di poco conto. Moltissimi gli interventi dal pubblico tanto che la discussione si è protratta oltre le 21 e l’intervista a Luciano Canfora non è stata trasmessa per lasciare spazio al dibattito. L’intervista a Canfora sarà comunque accessibile attraverso i canali social della Scuola per la pace, come tutti gli interventi dei relatori.

 

Libertà per Elena Berezhnaya! – Enrico Vigna

La più nota attivista ucraina per i diritti umani e sociali, Elena Berezhnaya, è stata sequestrata a Kiev il 16 marzo di un anno fa, scomparsa per molti mesi ora si sa solo che è in un sezione dei servizi di sicurezza in una prigione di Kiev.

Rilanciando l’appello arrivato dagli attivisti per i Diritti umani e avvocati ucraini, chiediamo con forza, il rilascio dell’attivista ucraina per i diritti umani e di tutti gli esponenti politici e civili detenuti illegalmente o pretestuosamente in Ucraina. Ci aspettiamo una risposta e l’intervento di strutture e organismi internazionali pertinenti attraverso l’ONU, l’OSCE, l’UE e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, oltre al mondo del giornalismo e della difesa dei Diritti umani nel nostro paese…

In Ucraina, secondo stime di avvocati e centri dei Diritti umani, attualmente ci sono oltre 7.000 prigionieri politici nelle carceri ucraine, che sono detenuti esclusivamente per opinioni, simpatie o appartenenze a uno dei 47 partiti soppressi in questi anni nel paese. Giornalisti, avvocati, padri ortodossi della COR, artisti, semplici cittadini russofoni o appartenenti alle minoranze della Transcarpazia, della Bucovina, ruteni e altri, invisi al governo di Kiev per le loro radici antifasciste o banalmente non disponibili all’arruolamento per una guerra che non sentono appartenergli . La maggior parte di queste persone non ha nemmeno una condanna, sono detenuti in attesa di una decisione del tribunale”. Oltre a decine di migliaia di ucraini scappati o nascosti nel paese per non essere incarcerati. Oltre 4 milioni rifugiati in Russia o Bielorussia.

Queste decine di migliaia di attivisti o esponenti non soggiogati alla giunta, sono stati arrestati, torturati o scomparsi, in una feroce “caccia all’uomo”, casa per casa. Tutto testimoniato in migliaia di video. L’accusa di “tradimento”  vale per qualsiasi opinione, dichiarazione, presa di posizione per la pace, antifascista o di difesa dei diritti umani e civili. O perché hanno semplicemente sostenuto lo sviluppo di legami paritari e pacifici con la Russia. Fatti tutti documentati…

continua qui

 

Appello. Referendum RIPUDIA LA GUERRA

La Costituzione ripudia la guerra e ci ammonisce che le istituzioni possano agire in nome del popolo italiano nell’ambito dei meccanismi che regolamentano i rapporti internazionali innanzitutto attraverso una richiesta di cessate il fuoco e di trattative che partano dal diritto alla autodeterminazione delle popolazioni interessate.

Sulla base di questo principio da cui è caratterizzato l’Articolo 11, un gruppo di liberi cittadini si è costituito in un COMITATO PROMOTORE UNITARIO dal nome “Ripudia la guerra”. Dietro di loro c’è l’impegno importante di un gruppo di giuristi che hanno elaborato tre quesiti riguardo l’abrogazione delle disposizioni sull’invio di armi all’Ucraina contenute rispettivamente nell’art. 2 bis della Legge 28/2022 e nell’art.1 della legge n. 8/2023; nonché delle disposizioni contenute all’art. 1, comma 6, lettera a) della legge185/1990 che ammettono eccezioni al divieto di invio di armi ai Paesi in stato di conflitto armato.

A questo primo nucleo di comitato se ne aggiunge uno molto più esteso comprendente intellettuali indipendenti, giornalisti, scienziati, artisti, liberi professionisti di ogni settore interessati a farsi interpreti e portavoce della volontà popolare che si riconosce nel dettato costituzionale e che desidera una pace stabile. Il pericolo concreto che si vuole a tutti i costi scongiurare con questa iniziativa è quello che l’Europa si trasformi in una polveriera. Tanti, troppi i danni per la mancanza di determinazione delle parti e di ingombranti intermediari a mettersi intorno ad un tavolo e risolvere i problemi per via diplomatica e attraverso consultazioni referendarie delle popolazioni interessate, da effettuare con le opportune garanzie, nel rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli. La posta in gioco è alta, troppo alta per la gente comune che ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Puntare alla sconfitta di una delle due parti confidando di ottenere la pace senza rimuovere le vere cause del conflitto non è una soluzione, è solo il presupposto per esporre l’Europa e il mondo all’olocausto nucleare. I danni all’economia europea ed italiana sono ingenti e tangibili e a farne le spese è soprattutto la gente comune che affronta una quotidianità sempre più insostenibile. L’estendersi delle sanzioni alla Russia a macchia d’olio fino a interessare anche Paesi terzi finirà per lasciare l’Occidente sempre più isolato, l’Europa priva di risorse e impossibilitata a far funzionare la sua economia, incapace di garantire un’esistenza libera e dignitosa ai cittadini. Tutto ciò nel terzo millennio e per la nostra sensibilità è oggettivamente intollerabile. Quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi da un anno a questa parte non ha precedenti. Siamo ancora in tempo per cambiare il corso della storia ridiventando artefici del nostro destino. Proprio perché la partita è terribilmente importante e squisitamente politica chiederemmo alla politica, ai partiti e ai leader di qualunque forma organizzativa di non comparire e invece di mettere a disposizione la propria forza militante per questo grande obbiettivo unitario.

 

QUESITO 1:

Volete voi che sia abrogato l’art. 1, comma 6, lettera a), legge 09 luglio 1990, n. 185, rubricata “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, e successive modificazioni (che prevede: “6. L’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati: a. verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”) limitatamente alle parole “o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”?”.

 

QUESITO 2:

  1. Volete voi che sia abrogato l’articolo 2 bis del decreto legge 25 febbraio 2022, n. 14 “Di-sposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina”, cosi come inserito dalla legge di conversione 05 aprile 2022, n. 28, rubricato “Cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti milita-f% (e richiamato dall’art. 1 del decreto legge 02 dicembre 2022, n. 185, convertito in legge 27 gennaio 2023, n. 8) e successive modificazioni, che prevede: “Fino al 31 dicembre 2022, previo atto di indirizzo delle Camere, è autorizzata la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, in deroga alle disposizioni di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, agli articoli 310 e 311 del codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e alle connesse disposizioni attuative.
  2. Con uno o più decreti del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti l’elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari oggetto della cessione di cui al comma 1 nonché le modalità di realizzazione della stessa, anche ai fini dello scarico contabile.

2bis. Le somme in entrata per effetto dei decreti di cui al comma 2 sono riassegnate integralmente sui pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero della difesa.

3.Il Ministro della difesa e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con cadenza almeno trimestrale, riferiscono alle Camere sull’evoluzione della situazione in atto anche alla luce di quanto disposto dai commi 1 e 2 del presente articolo”?

 

QUESITO 3:

Volete voi che sia abrogato l’art. 1 del decreto legge 02 dicembre 2022, n. 185, convertito in legge 27 gennaio 2023, n. 8, rubricato “Disposizioni urgenti per la proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell’Ucraina”, che prevede:

“1. E’ prorogata, fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, di cui all’articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, nei termini e con le modalità ivi stabilite.

  1. All’attuazione del presente articolo si provvede nell’ambito delle risorse previste a legislazione vigente”?

* * * *

PRIMI SOTTOSCRITTORI: (il comitato è aperto alla partecipazione di altri esponenti della società che condividano gli stessi ideali e gli stessi valori) canale Telegram REFERENDUM RIPUDIA LA GUERRA https://t.me/referendumRipudiaLaGuerra

ENZO PENNETTA – docente

FEDERICO GRECO – autore cinematografico

EMANUELA LIVERANI – regista

ANDREA ZHOK – docente universitario

DANIELE GIOVANARDI – già’ Direttore Pronto Soccorso Policlinico di Modena.

FULVIO GRIMALDI – giornalista, inviato di guerra

GIORGIO BIANCHI – giornalista indipendente

ELISABETTA FREZZA – giurista

FRANCO FRACASSI – giornalista

ALBERTO CONTRI – Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

FRANCO BATTAGLIA – docente universitario di Chimica Fisica

ANTONIO DI SIENA – avvocato, scrittore

 

 

lettera di Gian Marco Martignoni

Egregio Direttore , in occasione dell’anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il movimento “ Europe for peace “ ha indetto centinaia e centinaia di manifestazioni nel nostro paese e in molti stati dell’Unione Europea, per contrastare la fallacia della narrazione occidentale e ribadire, stante la netta contrarietà all’invio delle armi all’Ucraina e all’aumento previsto delle spese militari, l’urgenza di un immediato cessate il fuoco, tale da  far decollare un serio negoziato di pace.                                                                  Infatti, al di là del quotidiano bombardamento mediatico, la maggioranza dell’opinione pubblica vuole la pace, da un lato perché i proclami della Nato sulla vittoria di Kiev e il conseguente indebolimento della Russia non vengono ritenuti realistici , dall’altro lato perché, come ha  sottolineato acutamente l’intellettuale  francese Edgar Morin nel recente libro “ Di Guerra In Guerra “, “ ci sono ben tre guerre in una : la continuazione della guerra interna tra potere ucraino e provincia separatista ; la guerra russo -ucraina e una guerra politico-economica internazionalizzata  antirussa dell’Occidente animata dagli Stati Uniti.    Il sabotaggio del gasdotto  russo-tedesco NordStream e l’embargo a Gazprom rientrano  nella  guerra per procura condotta dagli Stati Uniti, senza perdite militari sul campo di battaglia, al fine  di garantire la  vendita del loro ben quattro volte più costoso shale gas rispetto a quello russo , e quindi  indebolire economicamente l’Europa per il tramite della Germania, stante il costante arretramento del peso del dollaro nelle transazioni economiche sullo scacchiere mondiale.                                                                          Pertanto, dato che il rischio di una terza guerra mondiale è tutt’altro che remoto, è  senz’altro significativo che Lula abbia drasticamente respinto la richiesta di far pervenire le munizioni del suo paese all’Ucraina, poiché  in questa fase del conflitto paradossalmente  scarseggiano, sostenendo che è stato eletto per combattere la fame che attanaglia un’ ampia fascia del suo popolo e non per fare la guerra.                                                        La sua proposta di indire un G20 che affronti il tema della  pace, tessendo alleanze importanti nel sud del mondo –  dall ‘ Argentina alla Colombia, dal Sudafrica all’India, oltre a tutto il continente africano – è la testimonianza tangibile che lo sforzo diplomatico che il Vaticano da tempo  sta conducendo è tutt’altro che isolato.                                                                                                                                                                          Infine, a fronte del piano di pace avanzato in dodici punti dal diplomatico cinese Wang Yi, Joe  Biden si è precipitato a Varsavia e non a Bruxelles per bocciarlo, suscitando  il velenoso commento di un politico di rango internazionale qual è Romano Prodi.                  Nonostante ciò, consapevole del cul- de- sac in cui si trova l’Europa, Emmanuel Macron ha annunciato che ad Aprile andrà a Pechino  ,per lavorare con la Cina per la fine della guerra.

Di fatto la credibilità del consenso di Washington , dopo le menzogne per giustificare le guerre in Iraq e il ritiro dall’Afghanistan, è più che scalfita a livello mondiale;  quindi, il cieco e pernicioso atlantismo sfoderato reiteratamente ad esempio da Giorgia Meloni , è l’opposto di quel che serve per rilanciare un ruolo autonomo e diplomatico dell’Europa.    Cordiali saluti

Gian Marco Martignoni

 

 

scrive Francesco Sylos Labini

In sintesi, la strategia militare di Washington per indebolire, isolare o addirittura distruggere la Russia è un colossale fallimento e il fallimento mette la guerra per procura di Washington con la Russia su un percorso davvero pericoloso. L’insistenza, imperterrita di fronte alla discesa dell’Ucraina nell’oblio, ignora tre minacce in metastasi: 1. Il persistere di un’inflazione elevata e l’aumento dei tassi di interesse che segnalano la debolezza economica. (Il primo fallimento di una banca americana dal 2020 ci ricorda la fragilità finanziaria degli Stati Uniti). 2. La minaccia alla stabilità e alla prosperità delle società europee, già provate da diverse ondate di rifugiati/migranti indesiderati. 3. La minaccia di una guerra europea più ampia. ….

Fare marcia indietro rispetto alle richieste maligne e asinine dell’amministrazione Biden di un umiliante ritiro della Russia dall’Ucraina orientale prima di poter convocare i colloqui di pace è un passo che Washington si rifiuta di fare. Eppure deve essere fatto. Più aumentano i tassi di interesse e più Washington spende in patria e all’estero per portare avanti la guerra in Ucraina, più la società americana si avvicina al tumulto politico e sociale interno. Sono condizioni pericolose per qualsiasi repubblica.

da qui

 

 

24 Marzo 1999 – 24 Marzo 2023: NOI NON DIMENTICHIAMO

A cura di Enrico Vigna*

“Ho appena dato mandato al comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Clark, di avviare le operazioni d’aria (ndt: bombardamenti aerei…) sulla Repubblica Federale di Jugoslavia…Tutti gli sforzi per raggiungere una soluzione politica negoziata alla crisi del Kosovo sono falliti e non ci sono alternative all’intraprendere l’azione militare…”.

Così, il 23 marzo 1999, l’allora Segretario generale della NATO J. Solana, davanti ai mass media del mondo, decretava l’inizio della fine della “piccola” Jugoslavia e del popolo serbo in particolare.

 

L’aggressione alla Repubblica Federale di Jugoslavia/ Serbia…fu motivata dalla necessità di fermare una “pulizia etnica”, un “genocidio” e ripristinare i “diritti umani” nella provincia kosovara. Perché queste furono le tre basi fondanti su cui la cosiddetta Comunità Internazionale: cioè gli otto paesi più ricchi della Terra, cioè il loro braccio armato, la NATO (in quanto i governi dei 2/3 dell’umanità tra voti contrari e astensioni, erano contrari alla guerra) hanno decretato l’aggressione alla Jugoslavia il 24 marzo 1999

continua qui

 

Redazione
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