La scuola dei carnefici

di Daniela Pia

Eppure avevo riposto il registro nel cassetto, ricordo di essere uscita da scuola. Pioveva a dirotto. Sono tornata a casa, nel tepore delle mie stanze. Da lì, dal Pakistan mi sono giunti i suoni degli spari. Ed ero di nuovo lì, a scuola. Avevo davanti i banchi:

vuoti, macchiati di sangue. Ho aperto il registro. Non mi bastava l’alfabeto, non ne ho trovato uno capace di contenere i nomi, strappati dalle pagine della vita. Sottratti all’istruzione, ai giorni, alla poesia, alle note di un futuro:

Asmaa, l’Eccellente

Doaa, una voce del cuore

Hakima, la saggia

Hamamah, che scontò una pena per molto amore di Allah

Rajyah, colei che spera

Sarah, la principessa

Tahira, l’innocente

Ahmad, il più lodato

Azuz, il prezioso

Bilal, acqua che rinfresca

Faruq, che separa il vero

Hanif, colui che rigetta l’errore

Nassir, colui che porta assistenza

Wajid, colui che trova ciò che desidera

Rahim, pieno di mansuetudine

Seth, dono

Tayeb, il buono (morto bambino)

Zakkaria, pace su di lui.

Daniela-Pakistan

E mentre ripassavo il volto degli assenti che mai avrebbero giustificato annotavo gli argomenti: barbarie, inciviltà, vendetta, guerra. Parole che mi rimbombano nella coscienza e spalancano innanzi il baratro di un inferno. Una voragine che sembra avere inghiottito l’ umanità. Una voragine dalla quale Allah e tutti gli dei sono fuggiti. Non senza aver fotografato la follia di chi spense gli occhi «all’acqua che voleva rinfrescare»; «a colui che doveva portare assistenza»; «a colei che sperava»; alla «voce del cuore» e a tutti coloro «che scontarono una pena – straziante – pur portando molto amore al nome di Allah».

A quella follia Allah chiuderà le porte della Janna per impedire ai bambini di incontrare i loro carnefici e consentire loro di conservare una parvenza di giustizia, protetti dentro un’ aula scolastica dove al fanatismo sarà impedito l’ ingresso.

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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