La tv uccide la mente

Riflessioni (vecchie? nuove? urgenti? fuori tempo?) di Chief Joseph

A fine anni ’70 – in un convegno organizzato dalla Scuola Comunicazioni Audiovisive di Pavia – il compianto Mauro Wolf (docente di Linguaggio Televisivo all’Università di Bologna) affermò che la specificità della tv era rappresentata non tanto dalla contemporaneità (la possibilità di assistere, dalla poltrona di casa, a un avvenimento nel momento stesso in cui accade) ma dal tempo. In pratica, la caratteristica che differenziava la televisione dagli altri mezzi di comunicazione di massa era rappresentata dal numero delle ore spese in sua compagnia. Questa dichiarazione incappò in molte critiche, moltissime perplessità e pochissimi assensi. A distanza di quasi 40 anni, non posso esimermi dal provare un’intima soddisfazione per aver accettato un’affermazione che sanciva, di fatto, la nascita di un nuovo tempo televisivo che, a differenza di quello quotidiano, non è caratterizzato dalla consequenzialità ma da una circolarità che chiude, in luogo di aprire, gli orizzonti. La consequenzialità sancita dalla quotidianità presuppone una concatenazione del tempo cronologica: al mattino ci si alza, si fa colazione, si esce per andare al lavoro ecc. Questa cronologia crea delle relazioni di causalità fra bisogno, necessità, desiderio, dovere: la colazione soddisfa un bisogno e può essere legata al piacere, il lavoro non prescinde dalla necessità, anche se può diventare gratificante. Il tempo quotidiano si motiva attraverso legami cronologici temporali e attraverso relazioni fra il momento e le caratteristiche dell’individuo che lo vive. E’ possibile modificare la cronologia e i legami perché una persona può lavorare di notte e dormire di giorno, mangiare solo una volta al dì, vivere bevendo… E’ un tempo che sviluppa il nesso causa-effetto e permette una diversa collocazione qualitativa e quantitativa di chi, come noi, è un viaggiatore nel tempo. Questo tempo può essere esplorato sia con l’esperienza diretta dei nostri sensi sia con l’acquisizione indiretta, ma concreta, di esperienze effettuate da altri: quando si è sperimentato che un fiammifero provoca calore e luce, non si ha la necessità di vedere direttamente un incendio, ci si può fidare anche di chi lo racconta perché questa fiducia si fonda su un’iniziale esperienza con i nostri sensi che sono indissolubilmente legati a una logica temporale causale. L’esperienza diretta non può prescindere da una esplorazione che vive attraverso tutti i nostri organi sensoriali.

II tempo televisivo, al contrario, è caratterizzato da un andamento circolare che toglie qualsiasi punto di riferimento al fruitore: attraverso l’uso del telecomando, l’uomo telespettatore crede – illusoriamente – di fermare il tempo e di poter fruire costantemente di ciò che più desidera. Infatti, nel momento in cui si sia interessati a una certa tipologia di programma, si può ricercarlo costantemente su svariati canali di ricezione. In questo modo, l’utente televisivo può passare la sua giornata vedendo programmi di quiz, piuttosto che telefilm o prodotti informativi. La programmazione tv permette questo tipo di fruizione perché, nell’arco di 24 ore, premendo un tasto del telecomando, è possibile accedere alla visione della stessa tipologia di prodotto che si ripete. Tuttavia è una circolarità che non trova sbocchi, perché si giustifica al suo interno. In questo senso è molto significativa una ricerca, condotta dal defunto Servizio Opinioni della Rai, che evidenziava l’assoluta e inconsapevole fiducia che lo spettatore instaura con il tempo tv. In quella ricerca si dimostrava che lo spettatore, sino alla fine del monopolio televisivo, nel momento in cui riteneva che non ci fosse nulla di interessante da vedere, spegneva il televisore. Con la nascita delle private e l’avvento di una spietata concorrenza consumata a colpi di telecomando, il fruitore televisivo si convince di poter trovare sempre quello che cerca. Nell’effettuazione di questa ricerca spende il suo tempo senza riuscire a realizzare il desiderio ma con l’incrollabile speranza che un giorno ci riuscirà. Il Grande Fratello è un prodotto che dimostra questa tendenza in modo esemplare: il desiderio su cui si fa leva per coinvolgere lo spettatore non è tanto di vedere la vita quotidiana in tv, bensì di fermare il tempo quotidiano. La voglia inconscia è quella di arrestare l’avanzamento del tempo consequenziale con una logica che, da un lato, non ha fine e, dall’altro, permette una continua ripetizione dell’attimo fuggente. Addirittura con i canali a pagamento lo spettatore è convinto di aver raggiunto il nirvana perché può vedere quello che vuole e quindi ha raggiunto il fine ultimo della vita. Si tratta, però, di un’illusione perché non ci si libera da nulla, semplicemente si diventa prigionieri consapevoli. Questo non aiuta a imboccare la via della coscienza, perché a esempio l’effetto nocivo provocato dall’ingerimento di funghi velenosi non è mitigato dal fatto di esserne un profondo conoscitore. Il tempo tv modifica anche la società che cessa di essere una struttura relazionale migliorabile e perfettibile: l’uomo televisivo tende a instaurare con i mass-media, e la tv in particolare, la speranza di perfettibilità. Quindi lo slogan della cultura di massa targata Hollywood lieto fine – che ci presentava una società all’interno della quale esistevano problemi che potevano essere risolti attraverso l’azione congiunta di tutti i membri della comunità – potrebbe essere parafrasato in questi termini: «La comunicazione audiovisiva e un modello perfettibile perché un giorno sarà possibile passare, davanti alla TV, una giornata perfetta». La circolarità del tempo televisivo si è realizzata attraverso questi meccanismi di acquisizione culturale ma anche, cosa più grave, modificando i nostri meccanismi fisiologici. Come tutti sanno, le immagini presenti negli esseri umani hanno un ruolo evolutivo e biologico: fanno parte di noi. L’uomo potrebbe essere definito una sorta di sintesi delle immagini che ingerisce: è stato dimostrato che la loro acquisizione provoca reazioni fisiche simili all’azione concreta. Nella quotidianità, ogni cosa vista esiste al di fuori di noi, prima che la facciamo entrare in noi per mezzo della vista. Al contrario l’immagine televisiva acquista vita solo quando lo spettatore l’ha organizzata nella sua testa: la retina riceve la luce ininterrottamente e le cellule cerebrali ne registrano la ricezione. Tuttavia la traduzione mentale di energia in immagini non avviene continuamente ma 10-12 volte il secondo. Nella vita reale non esiste problema perché l’uomo si “ciba” di immagini coscientemente attraverso processi empirici che implicano, molto spesso, la messa in gioco dei 5 sensi con l’aggiunta dell’istinto e dell’intuito. Nella vita reale, quando si acquisisce l’immagine di un albero si può toccarlo, sentire il suo odore e udire il rumore delle foglie… Il tempo tv stravolge completamente questo meccanismo fisiologico perché invia immagini per circa 25 volte il secondo. In questo modo, il messaggio colpisce ma non si riesce a elaborarlo con sufficiente rapidità. In pratica il cervello riceve la comunicazione in modo inconscio. Il fruitore televisivo ha dentro di sé immagini che non è consapevole di possedere perché è venuto a mancare il percorso dell’esperienza concreta. Purtroppo, il tempo tv genera un essere umano pieno di immagini inconsapevoli. Prima dell’avvento della televisione, l’esperienza si poneva direttamente fra noi e l’ambiente naturale. In questo modo il cervello si fidava e continua a fidarsi completamente delle informazioni “prodotte” dai sensi. Tuttavia, nel momento in cui l’ambiente è ridotto a una forma astratta e arbitraria, i sensi non reagiscono a informazioni che provengono dalla fonte ma a messaggi manipolati, che sono una manifestazione della mente umana. In pratica, attraverso il tempo delle immagini tv, il telespettatore non può più fidarsi dei suoi sensi ed è costretto a prendere le cose in modo fatalistico perché niente è più sperimentabile direttamente. Sfortunatamente la consapevolezza e la capacità di pensare ai processi manipolativi in atto non potranno salvarci. Infatti le immagini penetrano nei nostri cervelli e ci rimangono. Non siamo più in grado di distinguere con certezza quali siano effettivamente nostre e quali non: in questo modo si è perduto il controllo delle immagini e si vive all’interno di una circolarità senza senso. L’ineluttabile e tragica conseguenza è la constatazione che il tempo televisivo condurrà l’uomo a perdere il controllo della mente.

LE IMMAGINI – scete dalla redazione – sono di Giuliano Spagnul.

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Un commento

  • susanna sinigaglia

    penso che questa riflessione si potrebbe arricchire se pensiamo a quanto tempo si sta davanti al computer e ai social.

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