Le pre-persone, racconto di Philip Dick

commento di Mauro Antonio Miglieruolo

Raramente mi è capitato di leggere qualcosa di più disonesto (oltreché raffazzonato) di questo racconto di Dick. Sarà che l’uomo era un po’ squinternato, di lui pare si dicesse che aveva più di una scimmia sulla schiena; sarà che la fantascienza, lasciando spazi considerevoli, inusitati, all’esercizio dell’immaginazione, induce a esagerare; sarà che fretta, ne so qualcosa, è sempre cattiva consigliare (e la peggiore consigliera di tutti è l’urgenza di incassare quattrini), fatto sta che l’autore è riuscito a esprimere in esso il peggio possa esserci in letteratura: la sovrapposizione, senza mediazioni, delle proprie fobie, propri pregiudizi, propri rancori, sullo sviluppo della narrazione.

Che poi Dick stesso rivendichi e giustifichi questa sua indegnità costituisce un’aggravante, non una esimente (pag. 599 dello stesso volume). Non si sarebbe trattato di un attimo di smarrimento, di un suo limite umano, nonché limite ideologico: la sua è proprio indisponibilità a capire ed a comprendere.

Non che voglia attribuire allo scrittore l’elevata mistica facoltà di essere al riparo dalle proprie passioni, cosa impossibile per un essere umano, sempre soggetto agli inevitabili riflessi  della propria ideologia e contraccolpi della vita privata (non credo infatti nei super partes; mentre credo nella correttezza, nella buona fede e nei galantuomini, specie sempre più rara); e che però non dovrebbero condizionarlo al punto da indurlo a infarcire acriticamente di esse la storia che sta elaborando (se non addirittura, come è il caso, costruire l’intero racconto).

È quel che accade nella storia che presento (la trovate in Philip K. Dick, Tutti i racconti 1964-1981 – Fanucci Editore, euro 9,90, pag 448). Una storia che inizia descrivendo le preoccupazioni di un pre-adolescente alla vista di un furgone bianco del quale conosce fin troppo bene la funzione. La madre (la megera-madre) cerca di tranquillizzarlo, ma lo fa in modo molto poco simpatico e tantomeno tranquillizzante. I timori del bambino infatti non sono infondati. Si scopre che i furgoni bianchi hanno una ben triste funzione, una funzione che non può non intimorire anche chi, forse, non può più esserne vittima. I bambini, nel mondo immaginato da Dick, finché non superano l’età fatidica dei 12 anni, sono trattati alla stregua di cani e gatti.

La colpa di tutto questo è degli abortisti che nel XX secolo, i quali sarebbero riusciti a vincere la loro ignobile battaglia, allargandosi al punto da estendere la pratica ai neonati e successivamente ai bambini fino alla preadolescenza (proprio dei tipacci questi abortisti: nazisti consapevoli). Il discrimine è costituito dalla presenza nell’individuo dell’anima, che si è arrivati a stabilire entri nelle persone appunto a dodici anni. Pertanto sono esenti dalle pratiche “abortive” solo coloro che hanno la capacità di effettuare operazioni algebriche e di matematica superiore, le quali costituirebbero la prova inconfutabile dell’esistenza dell’anima. Sono anche esenti i bambini muniti da un permesso D, permesso oneroso, che non tutti i genitori sono in grado di ottenere per i propri figli. Una di questi reietti incappa in un Accalappiabambini. Per salvarlo il padre squattrinato laureato di Stanford si dichiara anche lui privo di anima. Il funzionario della Clinica al quale viene portato, subodorando una trappola degli antiabortisti rilascia tutti, subito, prima che arrivino in massa i giornalisti.

Finale positivo con artificiosa aggiunta negativa, tutta centrata sulla cattiveria delle donne, assassine seriali di figli, le quali sicuramente si opporranno al loro disegno di emigrare in Canadà, dove le pratiche “abortive” non sono ammesse. E dove tutti potrebbero vivere felici e contenti.

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12marzoXDick_nDick evidentemente non ha mai avuto occasione di parlare con una donna che ha subito la pena di un aborto. Non di udirla rievocare la pena per quell’evento e non di avere avvertito il suo dolore e visto le sue lacrime. Questo anche a mesi di distanza dall’avvenimento. Come tutti gli abortisti ritiene che le donne ricorrano all’aborto per sport, per superficialità, per disamore, con leggerezza… neanche immaginano quanto possa costare (a parte i pericoli all’integrità del corpo) praticarlo. Né quali e quante pressioni contrastanti, pressioni economiche e sociali, contribuiscono a determinare la decisione della donna; quali e quante specifiche condizioni, alcune orribili, uno stupro, ad esempio, possono rendere inevitabile la scelta.

O forse parla così perché le donne statunitensi sono così (o lui immagina siano così). A guardarle nei film e a intravederle quel paio di volte che ho fatto scalo a Huston, a me non sembrano molto diverse dalle donne del resto del mondo. Non ne ho vista neanche una con due teste o con un coltellaccio tra i denti. Come immagino non siano diversi dal resto degli abitanti del pianeta gli uomini ai quali si accompagnano.

Tutte preoccupate solo ed esclusivamente delle possibili smagliature della pelle della pancia? E nessun uomo che si pieghi su di loro con tenerezza per baciare quelle smagliature, testimoni della positiva attività della coppia? È evidente che Dick è del tutto ignaro di tutto questo e della completa verità delle tante donne, la stragrande maggioranza, che non si preoccupano di perdere l’armonia delle forme, dei sacrifici, ogni tipo di sacrificio, che dovranno poi affrontare per assolvere agli oneri che comporta allevare i propri piccoli, della cui crescita sono spesso costrette farsi carico da sole.

Né sembra sospettare che quella di “pre-persone” ha ben poco a che fare con la fantascienza. La fantascienza parla di uomini e di mostri, del peggio degli uomini e dei mostri; qui invece si parla di Orchesse e pure esageratamente Orchesse. E Orchi e Orchesse abitano sole le favole (diseducative) per bambini, non la letteratura per quegli esseri maturi e raziocinanti che sono i lettori di fantascienza.

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