L’opposizione alla presenza militare in Sardegna

Battaglie politiche dal secondo dopoguerra agli anni sessanta: il ruolo del Partito Comunista Italiano

di Walter Falgio*

Mercoledì 15 ottobre 2025, organizzato da l’Associazione Antonio Gramsci, ISSASCO** e ANS**, viene presentato a Cagliari il numero 3, anno III,  della rivista Acronia dedicato all’antimilitarismo in Italia, Mimesi edizioni (https://www.mimesisjournals.com/ojs/index.php/acronia/issue/view/270). Un numero monografico degli Studi di storia dell’anarchismo e dei movimenti radicali, a cura di Isabelle Felici e Giorgio Sacchetti, che affronta quel che è stato il movimento antimilitarista in Italia dal secondo dopoguerra agli anni Venti di questo secolo.

L’interessantissimo numero contiene interventi, oltre che dei due curatori, di Walter Falgio, Marco Labbate, Tommaso Rebora, Elisa Santelena, Pippo Guerreri, Gianni Piazza e Luca Salza

Riprendiamo, per gentile concessione dell’autore, il contributo di Walter Falgio

 

Introduzione

«Resistenza al colonialismo significava di più che semplice resistenza al dominio degli italiani. Come molte isole, e secondo una valutazione antica di secoli, se non di millenni, la Sardegna era ritenuta strategicamente importante. Inoltre, con le grandi estensioni di terra sottopopolata era il luogo ideale per l’addestramento militare», scriveva lo storico inglese Martin Clark nel 19891. Questa affermazione esprimeva in estrema sintesi non solo una specifica percezione della funzione strategica dell’isola in qualità di estesa base addestrativa nel bacino mediterraneo ma anche un sentimento diffuso e radicato in svariate forme di opposizione alle politiche centraliste del governo.

La destinazione di piattaforma di servizio era stata assegnata alla Sardegna nel dopoguerra in ambito NATO e in virtù di accordi diretti tra il governo italiano e quello statunitense. Il processo decisionale che aveva condotto a tale esito si inquadrava in una cornice complessiva molto ampia che, nei termini generali, si ritiene non esclusivamente riducibile entro le dinamiche di una mera subordinazione alla potenza guida del campo occidentale. La dialettica diplomatica da parte italiana orchestrata al fine di invitare2 gli Stati Uniti ad assumere un ruolo espansionista nel bacino Mediterraneo, anche per indebolire «la prevedibile influenza britannica» osserva Ennio Di Nolfo3, risaliva al 1943. Sebbene impostata su piani indiscutibilmente ineguali, tale dinamica poteva essere inizialmente ascrivibile, «più che alle costrizioni della guerra fredda», prevalentemente alle logiche della politica estera post armistizio. In proposito è opportuno rilevare che nell’aprile del 1944 Pietro Badoglio si rivolgeva al presidente americano Roosevelt offrendogli «un ruolo dirigente nei confronti di tutte le altre potenze» e «una decisa e decisiva influenza sull’Italia e sulle cose italiane», in contrasto con qualunque influenza dall’est e in concorrenza con «la rigida e intransigente politica britannica». In quella specifica circostanza l’obiettivo del capo del governo del Regno d’Italia era quello di ottenere un «riesame della durissima situazione» al fine di superare la cobelligeranza e di conquistare lo status di alleato4. Anche Elena Aga Rossi converge verso il concetto dell’«impero su invito» rimarcando che in età repubblicana «la delega da parte dell’Italia e di altri paesi occidentali di una parte della loro sovranità agli Stati Uniti non era stata imposta dall’imperialismo americano, ma era stata volontariamente concessa da governi democraticamente eletti»5.

Con tali circostanze si coniugava la riconosciuta potenzialità strategica del territorio italiano anche riguardo al rischio che potesse cadere in mani nemiche6.

È interessante segnalare in proposito un rapporto della CIA dell’aprile del 1948 dove si affermava il rilievo dell’Italia per la sicurezza degli Stati Uniti «per il potenziale contributo in basi navali e aeree»7.

In questo scenario la Sardegna acquistava un interesse ulteriore e centrale, già manifestato nel corso della guerra in relazione alle ipotesi di uno sbarco alleato (il primo piano di conquista dell’isola poi archiviato è predisposto dagli inglesi tra la fine del 1940 e i primi mesi del 1941, saranno studiati altri piani mai realizzati sino al 1943).

Si riteneva che la Sardegna potesse costituire un’eccellente base per offensive contro l’Italia, per un maggior controllo sulle comunicazioni marittime nel Mediterraneo occidentale e per stringere il blocco, consentendo di intercettare il commercio italiano con Barcellona e Valencia, nonché di minacciare la navigazione lungo la costa occidentale italiana […] la perdita della Sardegna avrebbe avuto un fondamentale effetto sul morale della popolazione e accelerato l’eliminazione dell’Italia, costituendo una base avanzata per l’azione dei bombardieri contro tutto il territorio italiano; si sarebbe ridotta la minaccia di operazioni nemiche condotte dal mare contro il Nord Africa francese, incoraggiando il gen. Weygand a resistere; avrebbe consentito una copertura alle unità navali francesi per uscire dai porti del sud della Francia; Cagliari avrebbe fornito una base aggiuntiva per forze navali leggere nel Mediterraneo centrale, col vantaggio di essere al di fuori del normale raggio dei bombardieri tedeschi; si sarebbe ridotta la scala degli attacchi aerei tedeschi dalla Sicilia e si sarebbero impediti quelli contro Gibilterra, allora possibili dalla Sardegna. La conquista dell’isola presentava dunque molti vantaggi, ma non includeva il controllo del Mediterraneo centrale8.

L’interesse strategico per la Sardegna era confermato anche a seguito del non facile inserimento dell’Italia nella NATO nel 19499 benché, notoriamente, l’Alleanza Atlantica privilegiasse il fronte dell’Europa centrale «relegando il cosiddetto fianco sud a ruolo di “cenerentola”»10. Del territorio italiano, per l’appunto, era «strategicamente importante mantenere le isole»11.

L’adesione all’organizzazione intergovernativa presupponeva l’adeguamento della politica estera e della difesa al contesto ideologico della guerra fredda, nonostante l’instabilità interna italiana e le divergenze periodiche tra Roma e Washington nella fase di consolidamento dell’Alleanza a partire dagli anni cinquanta12.

A seguito del Trattato del Nord Atlantico gli Stati membri stipulavano pertanto svariate convenzioni che disciplinano tuttora, tra l’altro, lo status delle forze armate, dei rappresentanti, dei quartieri generali internazionali, e sottoscrivevano accordi bilaterali con gli Stati Uniti13.

Mappa della Sardegna con aree a mare e in cielo sottoposte

L’esigenza americana di allestire basi, strutture e infrastrutture per sostenere l’operatività militare nello scenario europeo richiedeva ai governi schierati con il blocco occidentale di siglare accordi «al confine tra la limitazione della libertà dello Stato sul piano politico e quella della sua sovranità: una volta che essi sono accettati, stipulati, conclusi, ogni Stato si assume degli obblighi che deve rispettare, subendo – de iure – limitazioni sia pur non desiderate della sua sovranità»14.

Il negoziato con gli Stati Uniti per l’installazione delle basi in Italia15 si apriva nel gennaio del 1953 e si protraeva sino ad agosto dell’anno successivo: «la concessione di facilities era uno dei contributi sostanziali all’alleanza che Washington faticava a imporre agli elusivi partner europei, in quanto simboleggiava una sia pur parziale perdita di sovranità e costituiva perciò facile bersaglio per le opposizioni interne»16.

Uno degli accordi bilaterali tra il governo italiano e quello americano tuttora secretato che ha determinato effetti anche sulla Sardegna è il Bilateral Infrastructure Agreement (BIA), del 20 ottobre 195417: «Secondo un autorevole commentatore, esso fu firmato dall’allora ministro italiano degli esteri Giuseppe Pella e dall’amba- sciatrice usa in Italia, Clara Booth Luce. Tra l’altro, esso stabilisce il tetto massimo delle forze usa che possono stazionare in Italia. L’accordo è inoltre corredato di annessi tecnici, relativi alle singole basi»18.

Tra queste, se ne individuavano due da istituire in Sardegna, nei territori di La Maddalena e di Decimomannu: ovvero la base appoggio per sottomarini e la base aerea successivamente installate. L’isola era contrassegnata come territorio ideale dove allestire poligoni di tiro, impianti di telecomunicazioni, depositi di armi, munizioni e carburante secondo le strategie difensive sovranazionali dell’Alleanza Atlantica. Una sorta di retrovia in funzione del controllo del confine orientale. È in quest’ottica che a metà degli anni cinquanta iniziavano ad essere operativi i poligoni di Quirra e di Capo Teulada, seguiti da Capo Frasca, attualmente in piena attività al fine di addestrare Esercito, Marina e Aeronautica dei Paesi dell’Alleanza alle missioni out of area e per la sperimentazione di armamenti e di tecnologie militari e civili gestita anche da soggetti privati19. Attraverso questo contributo si cercherà di comprendere in che modo, a partire dal secondo dopoguerra e sino agli anni sessanta, in Sardegna si concretizza una battaglia politica finalizzata a ostacolare la presenza militare imposta, nei termini appena accennati, in ampie fette del territorio. Molti dei caratteri di questa azione di contrasto possono essere desunti dall’iniziativa delle leader e dei leader sardi del Partito Comunista Italiano e in particolare dai temi delle inchieste curate dalla redazione della rivista «Rinascita sarda» e dai contenuti del dibattito parlamentare che qui si prendono in esame.

La battaglia politica del PCI

Nell’immediato dopoguerra, sull’onda degli appelli del movimento dei Partigiani della pace20 e dell’Unione Donne Italiane (UDI), si svolgono anche in Sardegna diversi incontri e congressi sul tema del disarmo. Ne è protagonista la costituente Nadia Gallico Spano che, nel dicembre del 1948, interveniva a Cagliari nell’ambito delle iniziative per il congresso provinciale dell’udi dedicate alla difesa della pace21. Diversi anni dopo sulla rivista «Rinascita sarda» la stessa leader comunista ricordava che «la coscienza dei pericoli per la Sardegna insiti in una tensione internazionale ha avuto inizio proprio durante la raccolta delle firme contro le armi atomiche: e insieme a queste, anche la protesta per l’utilizzazione dell’Isola per installazioni missilistiche, per esercitazioni pericolose e inutili»22.

Nel 1951, a margine del II Convegno regionale della Pace che si era tenuto a Oristano l’11 marzo, sempre Gallico richiamava sulla stampa la denuncia dell’assise sarda nei confronti di coloro che «intendono inserire la Sardegna nel piano di una eventuale guerra, reclamando per essa gli impianti e le commesse per una produzione bellica e indicandola come una possibile riserva di armi e come una gigantesca portaerei»23.

Meno di un mese dopo, in occasione del VII Congresso del PCI convocato a Roma dal 3 all’8 aprile, il senatore di Teulada Velio Spano esprimeva sentimenti di preoccupazione riguardo alla «collocazione internazionale della Sardegna e sul pericolo che l’isola, nel buio clima della “guerra fredda”, possa divenire una “portaerei” della Nato»24. Si trattava di uno dei primi interventi pubblici pronunciati dal dirigente comunista «sulla necessità di legare la battaglia per la Rinascita alla lotta contro l’imperialismo americano e per la pace»25. Velio Spano, leader di levatura internazionale26, innescava la battaglia contro la presenza militare in Sardegna e assumeva un ruolo centrale nella vertenza contro lo Stato sul piano politico. A partire dal 1963, sui primi numeri di «Rinascita sarda» in edizione quindicinale, organo del Comitato regionale sardo del PCI, comparivano i suoi interventi dedicati alla «disatomizzazio- ne del Mediterraneo» e ai rischi potenziali per l’isola. Si trattava di una denuncia molto netta relativa al fatto che i missili nucleari statunitensi Polaris27 destinati ai sottomarini potessero essere movimentati anche nelle basi italiane. Nel sommario di un suo articolo si legge: «Con i Polaris, una volta scoppiata la guerra atomica il nemico della rato non potrebbe più accontentarsi di distruggere 6 basi o 6 città italiane, ma dovrebbe rendere impraticabile tutto il Mediterraneo. Occorre subito una iniziativa pacifica»28. In questo scenario, rimarcava il giornale comunista, si registravano «vivissime apprensioni nella opinione pubblica sarda, data la posizione centrale che la Sardegna viene ad assumere nel teatro mediterraneo di manovra dei terribili strumenti di morte»29. La testata guidata da Umberto Cardia e con la vice- direzione di Giuseppe Podda30 proponeva svariati servizi e inchieste sul tema della smilitarizzazione dell’isola: a luglio del 1963 si riportava la notizia della costituzione a Cagliari di una sezione della Consulta italiana della pace, associazione alla qua- le aderiva anche l’Unione Donne Italiane. Il sodalizio nasceva qualche anno prima su impulso del presidente nazionale della consulta, Aldo Capitini, allora professore ordinario di Pedagogia all’Università del capoluogo sardo, che «garantirà certo una fervida vita all’iniziativa, come è avvenuto fin dal 1961 per la prima marcia della pace in Sardegna»31. L’intellettuale perugino promuoveva nell’isola un “movimento giovanile di azione” contro le basi militari accompagnando le sue iniziative con frequenti interventi sulla stampa e con occasioni di confronto pubblico. La successiva Marcia della pace per la fratellanza dei popoli che si svolse il 13 maggio 1962 nel capoluogo isolano, rappresentava uno dei momenti culminanti dell’attività del pensatore in Sardegna: Migliaia di persone convenute a Cagliari da tutta l’isola […] diedero vita a una civile manifestazione, esprimendo in una mozione conclusiva l’adesione a un piano per la pace e chiedendo la riduzione progressiva delle spese militari e delle armi convenzionali, l’eliminazione di tutte le basi missilistiche, la distruzione delle armi atomiche, l’istituzione di un servizio civile per i giovani […]32

A febbraio del 1965 il giornale politico del PCI isolano denunciava il massiccio sbarco di truppe alleate per le attività addestrative nel poligono di Teulada: «C’è tutto quel che occorre. Spazi per il tiro missilistico, spazio per le esercitazioni dei reattori, zone libere per gli sbarchi e per il lancio dei paracadutisti». E ricordava che nella zona dove sorge l’installazione militare erano stati espropriati oltre 7 mila ettari di terreno e l’intera frazione di Foxi costringendo gli agricoltori «scacciati dalle terre» all’emigrazione33. Il Partito Comunista in Sardegna attraverso l’impegno dei deputati e dei massimi dirigenti locali si era dunque schierato ufficialmente contro la presenza militare dell’Alleanza Atlantica nell’isola e per la smobilitazione delle basi34. Oltre a Spano e tra gli altri, interverranno più volte in proposito su «Rinascita sarda», il segretario regionale Umberto Cardia35, il parlamentare Luigi Polano36, e il vicedirettore Giuseppe Podda37. La chiara presa di posizione si evinceva anche dal testo del programma presentato in occasione delle elezioni regionali del giugno del 1965: «L’Italia è costellata di basi della rato e la stessa Sardegna è diventata un campo di esercitazioni militari e di esperimenti missilistici, nel quadro della strategia atlantica e della riorganizzazione della potenza militare della Germania di Bonn», si leggeva nell’opuscolo elettorale del PCI diffuso nell’isola38. Nel 1967 il Comitato regionale sardo del Partito Comunista diramava un comunicato con il quale chiedeva la «soppressione delle basi della NATO disseminate in Sardegna»39, mentre, all’assemblea regionale del PCI presieduta dal vicesegretario nazionale del partito Enrico Berlinguer, riunita a Cagliari il 26 e 27 luglio 1969, Cardia ribadiva la necessità di «riprendere e sviluppare il movimento unitario affinché l’Italia esca dalla NATO e la NATO dall’Italia, per il superamento dei blocchi e la denuclearizzazione e il disarmo nell’area del Mediterraneo»40.

Il dibattito parlamentare

Contemporaneamente al fronte giornalistico e della politica regionale la battaglia si consumava anche su quello parlamentare. Una delle prime interrogazioni sulla presenza militare in Sardegna rivolta al presidente del Consiglio e al ministro della Difesa era presentata da Nadia Gallico Spano alla Camera dei Deputati il primo ottobre del 1956. Si trattava di una serie di domande articolata per punti e relativa alla fase di installazione delle strutture permanenti della Difesa.

La deputata comunista interpellava il governo per sapere se «sono vere le notizie apparse sulla stampa sarda secondo le quali sono in corso di allestimento a Cagliari, Alghero, Teulada, Perdasdefogu, ecc., basi militari della NATO, attrezzate per la difesa antiatomica, destinate a rifugi di sottomarini atomici e al lancio di missili teleguidati»41. Chiedeva inoltre se reparti militari della NATO saranno dislocati nell’isola e se questi preparativi siano finalizzati al riconoscimento della Sardegna quale «inaffondabile portaerei del Mediterraneo»42. Gallico Spano si opponeva con decisione a questa prospettiva rimarcando i rischi ai quali erano esposti i territori militarizzati, tanto più nel momento in cui «una minaccia seria di guerra grava sul Mediterraneo». La risposta governativa sarà brevissima ed estremamente elusiva: il 13 novembre successivo il sottosegretario di Stato per la Difesa, Giacinto Bosco, sosteneva che le notizie richieste «rientrano tra quelle di carattere specificamente militare, di cui, per legge, non è consentita la divulgazione»43.

Il rappresentante del governo riteneva di assicurare l’interrogante sostenendo che «le opere militari difensive installate o da installare in Sardegna non rappresentano alcun pericolo, ma anzi una precisa garanzia di difesa della pace per la popolazione»44. La parlamentare si dichiarava insoddisfatta dalla concisa risposta del sottosegretario e riportava le affermazioni del ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani che durante una recente visita nell’isola in piena campagna elettorale «ebbe a dichiarare che la Maddalena sarebbe diventata base della NATO e che sarebbe stata costruita in Sardegna una base di lancio di missili telecomandati in località non precisata per ragioni di sicurezza militare»45. Per Nadia Gallico Spano l’insediamento di tali strutture rappresentava non solo una minaccia al mantenimento della pace ma anche un freno allo sviluppo economico. Non mancherà il richiamo ai 7 mila ettari di terre «coltivate e coltivabili» espropriati a Teulada per l’installazione della base comprensivi di 700 ettari che l’Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna avrebbe dovuto assegnare ai contadini: «questa nuova destinazione delle terre ha fin d’ora causato il licenziamento di 150 braccianti aggravando la disoccupazione già preoccupante della zona», dichiarava in aula la leader comunista in una ulteriore interrogazione ai ministri della Difesa e dell’Agricoltura e foreste46.

I temi del conflitto e della mancata armonizzazione tra esigenze militari e primarie esigenze del territorio erano dunque già ampiamente sul tappeto sin dalla metà degli anni cinquanta anche in virtù dell’opposizione parlamentare attuata dal Partito Comunista Italiano.

Il 15 ottobre 1963 il difficile rapporto tra la comunità di Teulada e il poligono militare era sempre al centro del dibattito47. Quel giorno i senatori comunisti Velio Spano e Luigi Pirastu interrogavano il ministro della Difesa Giulio Andreotti. Quarta legislatura, cinquantesima seduta di Palazzo Madama, pomeriggio: «Per sapere se sia a conoscenza dei gravi danni provocati dalle periodiche esercitazioni militari che si svolgono nella zona di Teulada, sia nei confronti dello sviluppo turistico della zona, sia nei confronti delle attività pescherecce»48, e per avere informazioni riguardo all’attività svolta a Quirra e all’installazione a Tavolara. «Dette esercitazioni, infatti, come l’ultima svoltasi il 6 luglio 1963, costringono i pesca- tori della zona alla inattività e provocano gravi impedimenti e danni, oltre che pericoli alle persone, allo sviluppo del turismo, soprattutto nella vicina spiaggia di Porto Pino», aggiungevano i leader comunisti. Dopo le prime esercitazioni svolte tra il 1952 e il 1953 e gli espropri successivi, un’area che progressivamente avrebbe raggiunto i 7400 ettari, ricadente prevalentemente nel Comune di Teulada e marginalmente in quello di Sant’Anna Arresi, era stata assegnata alla Difesa per l’installazione di uno dei poligoni più importanti d’Europa. Come accennato, la base militare iniziava a essere operativa ufficialmente nel 1956 nell’ambito delle politi- che di conversione dell’isola in grande piattaforma logistica nel Mediterraneo al servizio delle forze rato e degli Stati Uniti. Spano e Pirastu chiedevano al ministro democristiano se intendesse intervenire allo scopo di sospendere le esercitazioni soprattutto durante la stagione estiva e indagavano su altri aspetti già allora centrali nel quadro dei rapporti tra Regione e Difesa. I deputati comunisti avanzavano richieste di delucidazioni riguardo all’eventualità che il governo italiano avesse concesso il suo assenso all’effettuazione da parte dello Stato maggiore della Bundeswehr di una serie di esperimenti missilistici nell’isola e «per conoscere le ragioni che hanno determinato la scelta della Sardegna e non di una zona della Repubblica federale tedesca per tali esperimenti». Gli interroganti desideravano conoscere se «detti esperimenti definiti “scientifici” non siano in realtà di carattere militare e tali da poter causare gravi pericoli alla popolazione dell’Isola e danni al suo sviluppo economico». Il riferimento è alle attività condotte in quel periodo nell’altro grande poligono sardo di Quirra49. Il dibattito parlamentare del 15 ottobre prevedeva una terza interrogazione sui temi della presenza militare in Sardegna sempre di Velio Spano e Pirastu alla quale si associava anche Luciano Mencaraglia. I tre senatori si rivolgevano al presidente del Consiglio e ancora al ministro Andreotti per sapere se siano esatte le informazioni pubblicate da un’agenzia di stampa circa la costruzione nell’isola di Tavolara di una base per sottomarini armati di missili Polaris. E qualora la notizia fosse vera esigevano sapere come la «presenza di tale base possa conciliarsi col solenne impegno, assunto dal governo nell’inverno scorso, che escludeva categoricamente la presenza di basi italiane per i sottomarini armati di missili». Si discuteva dell’eventualità che Tavolara diventasse una base appoggio per sommergibili americani con armamento nucleare. Di fatto, a partire dal 1961, l’area era stata espropriata per l’istallazione di una stazione radio50 oggi dotata di antenne a bassissima frequenza per le comunicazioni con i sommergibili e gestita dalla rato. Mentre, come scritto, i sottomarini a propulsione e armamento atomico approderanno undici anni dopo poco lontano, nell’arcipelago de La Maddalena. La risposta del ministro Andreotti sul punto sollevato dai parlamentari sardi era preceduta da alcune dichiarazioni sul Bilancio in relazione ad altre interrogazioni e dalle premesse che rinnovano la scelta di campo del governo: «la solidarietà con gli alleati del Patto Atlantico, attraverso la quale si è resa possibile la sicurezza della nostra Nazione» e «l’indispensabilità della permanenza della VI Flotta nel mar Mediterraneo e delle forze americane di terra e di cielo nel Continente europeo». Andreotti si soffermava anche sul tema attualissimo del disarmo e sul recente trattato di Mosca per la messa al bando degli esperimenti nucleari definendolo un «notevole passo avanti» che allentava una «pericolosissima tensione internazionale»: la crisi dei missili di Cuba era stata risolta da appena un anno. Il ministro della Difesa iniziava quindi a trattare la problematica delle esercitazioni a Teulada con una argomentazione piuttosto debole: la base militare, secondo Andreotti, era «situata in una zona che, quando venne scelta, nessuno poteva pensare che sarebbe stata disturbata in altre sue attività». E proseguiva alimentando la convinzione diffusa che vede la Sardegna quale terra lontana: «Anche per noi è un sacrificio portare sino a Teulada questi giovani per l’addestramento, ma anche questi trasferimenti servono alla formazione del personale». Secondo l’esponente del governo l’ipotesi di costruire basi missilistiche o di sommergibili equipaggiate con ordigni Polaris a Tavolara era una «enorme sciocchezza». Il ministro confermava che nell’isola gallurese era stata installata «semplicemente una stazione radio destinata alle Forze armate». Spano, nel prendere atto delle risposte di Andreotti, non si dichiarava soddisfatto: «il suo discorso nell’insieme è tutt’altro che rassicurante sul terreno politico», affermava il senatore comunista rivolto al titolare della Difesa, e incalzava: «Sulle manovre militari ella non ci ha detto niente, onorevole Andreotti. In una zona del paese dove io sono nato c’è una base della NATO, e ogni tanto si fanno delle manovre. I bagnanti e i contadini vengono avvertiti, è vero: passa un motoscafo lungo la costa con un megafono un’ora prima che le esercitazioni comincino. Poi cominciano a sparare, e i bagnanti, che spesso non hanno sentito il megafono, sentono poi gli scoppi dei proiettili». Il teuladino Spano citava il caso di due pescatori subacquei feriti dallo scoppio di un ordigno la primavera passata e rinnovava la richiesta di sospensione delle esercitazioni. Diceva poi: «È veramente provato che l’installazione di una pacifica stazione radio (dico pacifica perché, per quanto si tratti di un’installazione militare, è un’installazione a carattere abbastanza pacifico) è incompatibile con l’utilizzazione turistica delle coste dell’isola?». Il politico sardo citava anche le operazioni di scandaglio effettuate attorno all’isola dai militari e i segni di vernice bianca e rossa visibili nella costa est che sembravano configurare l’imbocco di caverne affioranti o subacquee. Come si conciliavano queste informazioni con l’operatività di una stazione radio? Ricordava altresì la trattativa per la vendita di alcune porzioni dell’isola al gruppo Onassis per cifre intorno al miliardo poi improvvisamente sfumate a causa degli espropri della Difesa. Spano concludeva chiedendo di effettuare un sopralluogo nell’isola. Altrettanto insoddisfatto si dichiarava il senatore Pirastu che stigmatizzava la mancata risposta di Andreotti sulla presenza delle forze armate tedesche a Quirra e rilevava la tendenza del governo nel «procedere a una graduale utilizzazione della Sardegna per scopi militari». Citava quindi Teulada e Decimomannu, dove «vi è un’altra base NATO, occupata da gruppi di aviazione tedesca, che si abbandonano a frequenti esercitazioni, le quali talvolta rappresentano un pericolo per le persone e per le cose, come avvenne quando alcuni spezzoni caddero nei pressi dell’abitato di Serramanna», e Perdasdefogu, dove «si svolgono esperimenti di carattere militare, tanto è vero che sono stati requisiti per larghi tratti terreni anche trasformabili, provocando danni ai contadini e ai pastori e suscitando le legittime proteste dei consigli comunali dei paesi vicini». Pirastu esclamava «che il popolo sardo desidera la pace e non gradisce che l’isola sia trasformata in un avamposto di una guerra calda o fredda. La Sardegna è vista dal governo con una mentalità semicoloniale, allo stesso modo con cui de Gaulle può considerare il Sahara o il governo degli Stati Uniti qualche atollo sperduto del Pacifico». Il senatore richiamava quindi i dati dell’emigrazione, di «proporzioni eccezionali»: in sei anni l’isola «che si appresta a diventare un deserto» ha perso 150mila abitanti, un decimo della popolazione. «Per questa ragione – incalzava il parlamentare – i sardi si battono per la rinascita e vedono, giustamente, negli apprestamenti militari un ostacolo allo sviluppo economico». Il deputato comunista rimarcava altresì che la battaglia contro l’opprimente presenza militare accomuna tutte le forze di sinistra in Sardegna: «Noi pensiamo che tutte le forze che si apprestano a trattare per il centro-sinistra debbano porre la loro attenzione su questi problemi, se si vuole che il centro-sinistra non nasca troppo guerriero, con i missili Polaris e con gli esperimenti atomici nel suo programma». Pirastu chiedeva infine al governo investimenti per la Rinascita, «non apprestamenti militari, non poligoni di tiro, non utilizzazione dell’Isola per esperimenti missilistici della Germania federale o di altre Nazioni atlantiche».

A distanza di un mese un altro parlamentare del PCI, Giuliano Pajetta, rafforzava l’iniziativa di Pirastu e di Spano. Il 16 novembre l’allora responsabile esteri del partito interpellava con urgenza il presidente del Consiglio e il ministro della Difesa: «Corrispondono a verità le allarmanti rivelazioni della stampa tedesco-occidentale – e in particolare dell’autorevole “Frankfurter Allgemeine Zeitung” (14.11.63) – circa la conclusione di un accordo tra il governo italiano e il governo della Repubblica federale tedesca per la concessione alla Bundeswehr di un poligono sperimentale per missili sulle coste orientali della Sardegna e se è vero che sono stati già iniziati i lavori a questo primo poligono esclusivamente tedesco?» La risposta del rappresentante del governo era riportata anche dallo scrittore Ugo Dessy51 nella già richiamata inchiesta del 1972, Sardegna un’isola per i militari52:

Circa dieci giorni dopo, il ministro della difesa Andreotti risponde all’interrogazione urgente di Pajetta: «Nel programma di esperimenti del poligono del Salto di Quirra ne figurano anche alcuni concordati tra organismi militari italiani e germanici che riguardano semplicemente lanci di razzi sonda per ricerche meteorologiche e prove d’impiego di missili terra-aria a caratteristiche limitate. Tali prove rientrano nel quadro dei programmi di sperimentazioni e di progresso scientifico dei Paesi NATO basati sul reciproco appoggio tecnico-logistico e risultano perciò di comune interesse per detti Paesi53.

A ciò faceva seguito un dibattito con ricadute internazionali e smentite al governo italiano che suscitava anche una presa di posizione della NATO. Dessy appuntava tutti i passaggi a partire da alcuni servizi della stampa tedesca e ne riportava le traduzioni. Citava il «Deutsche Woche», testata di Monaco: Ora i soldati tedeschi sono di nuovo in Sardegna. Non come guarnigione ma come ospiti. Essi, negli alti vasti cieli dell’isola, conducono esercitazioni per le quali il nostro spazio aereo è troppo piccolo. Il governo italiano, con un semplice provvedimento, ha destinato alle esercitazioni la zona… La Sardegna è una Regione autonoma con un autogoverno riconosciuto nei limiti della Costituzione repubblicana, ma noi non abbiamo sentito che i sardi siano stati pregati a lungo e intensamente prima della cessione delle basi. A Roma raramente si ritiene necessario consultare i sardi per qualcosa54

E il «Kölnische Rundschau», quotidiano di Colonia:

Pubblicamente, questi giovani dai 18 ai 25 anni possono presentarsi soltanto in abiti civili. Quando i soldati tedeschi si devono mostrare in divisa in città hanno un bel daffare per non venire fotografati. A ogni occasione, «L’Unità» e l’altra stampa di sinistra ricorda alla popolazione, attraverso l’apparizione delle truppe di Bonn, i mesi cruciali del 1943, quando i nazisti invasori furono cacciati dalla Sardegna. La stampa comunista va anche oltre. Si scaglia contro il governo che ha permesso che la Sardegna venisse trasformata nella portaerei del Mediterraneo, così come era nei progetti di Hitler e di Mussolini. Oltre ciò nell’isola verrebbero allineate sempre più basi di missili. Se scoppiasse una guerra atomica, gli abitanti della Sardegna sarebbero tra le prime vittime. Sarebbe insensato affermare che le basi NATO portano il benessere: per la loro costruzione sono stati spesi centinaia di milioni di lire che avrebbero potuto avere un impiego migliore in piani di sviluppo industriale e agricolo55.

La Sardegna si trovava al centro di uno scontro politico nel pieno della guerra fredda.

A questo punto, il comando supremo della NATO, dal quartier generale di Parigi, rilascia la seguente dichiarazione: In Sardegna esiste da tre anni un poligono di collaudo per le armi dell’alleanza e alcune nazioni, tra cui la Germania occidentale, ne hanno usufruito. Il poligono è stato creato sotto gli auspici della NATO: l’Italia funge semplicemente da paese ospite dell’impianto56.

Conclusioni

Dall’analisi delle prime forme di contrasto alla presenza militare in Sardegna espresse dall’immediato secondo dopoguerra sino agli anni sessanta emerge il ruolo primario assunto dal PCI nell’isola attraverso le campagne giornalistiche del periodico «Rinascita sarda» diretto da Umberto Cardia e l’opposizione parlamentare esercitata in particolare dalla deputata Nadia Gallico e dal teuladino Velio Spano. In seguito, oltre all’affermazione della leadership comunista, la battaglia contro la militarizzazione del territorio ha visto il protagonismo di altri, diversi attori di estrazione movimentista: dai gruppi anarchici, pacifisti, antimilitaristi, indipendentisti a quelli di matrice ambientalista, radicale, cristiana, dalle associazioni alle forme di espressione individuale, dalla denuncia mediata attraverso l’arte cinematografica alla produzione pubblicistica. Sino al raggiungimento di quello che può essere definito l’apice della contestazione: la rivolta di Pratobello del giugno 1969. Episodio simbolico della protesta antimilitarista isolana che distilla molti dei significati politici delle lotte identitarie e popolari verso l’imposizione esterna. Sull’onda di una forte opposizione contro «l’arroganza del potere centrale e della Regione, quale suo braccio cagliaritano»57 e nel caso delle aree interne, contro la condizione di una «provincia amministrata in armi»58, scrive Eliseo Spiga, esplode una contestazione spontanea al tentativo di idtituire un poligono di tiro della Brigata Trieste nei pascoli di Pratobello alla quale partecipa tutto il paese di Orgosolo.

Queste manifestazioni di conflitto «avevano un respiro internazionale e un riferimento al sessantottesco maggio francese, ma anche un aggancio evidente con la specifica realtà sarda»59. Infine, per giungere a una prima radicalizzazione dello scontro con il governo da parte della Giunta regionale bisognerà attendere la presidenza del sardista Mario Melis, tra il 1984 e il 1989.

Il dissenso verso i gravami della Difesa, pertanto, ha assunto nel tempo lineamenti diffusi, eterogenei e trasversali dai quali emergerebbero i contenuti di un oggetto di ricerca talora peculiari, ascrivibili agli scenari della storia politica e sociale della Sardegna del Novecento, altresì in connessione con più ampi e complessi contesti transnazionali.

Walter Falgio da Acronia Anno III, n. 3, 2003: L’antimilitarismo in Italia Dal secondo dopoguerra a oggi

* Walter Falgio. Dottore di ricerca in Storia moderna e contemporanea all’Università di Cagliari, insegnante, ha pubblicato monografie e saggi sulla circolazione delle idee, sui movimenti del ’68 e sulla storia della Resistenza. Recentemente ha curato l’edizione delle memorie del partigiano Antonio Garau, La resistenza di Geppe (Soter, 2021) e, con Daniele Sanna, Dall’esilio in Sardegna alle istituzioni del Regno. Materiali per una biografia di Gaspare Finali (FrancoAngeli, 2023). Dal 2000 al 2012 ha firmato svariate inchieste giornalistiche sulla presenza militare in Sardegna per i quotidiani «L’Unione Sarda» e «Liberazione». Presiede l’Istituto Sardo per la Storia dell’Antifascismo e della Società Contemporanea (issasco).

** ISSASCO – Istituto Sardo per la Storia dell’Antifascismo e della Società Contemporanea

*** ANS -Assemblea Nazionale Sarda

Pratobello 1969

NOTE

1 Martin Clark, La storia politica e sociale (1915-1975), in Massimo Guidetti (a cura di), Storia dei sardi e della Sardegna, Jaca Book, Milano, 1990, pp. 454-456.

2 La tesi dell’impero su invito è stata esposta per la prima volta dallo storico norvegese Geir Lundestad, Empire by Invitation? The United States and Western Europe, 1945-1952, «Journal of Peace Research», vol. 23, n. 3, 1986, pp. 263-277: si tratta di uno dei fattori rilevanti e concomitanti di un quadro complesso all’origine dell’espansionismo e dell’egemonia americana in Europa e nel Mediterraneo. In relazione all’ampio dibattito storiografico sul tema si veda altresì:

Elena Aga Rossi, L’Italia tra le grandi potenze. Dalla Seconda guerra mondiale alla guerra fredda, il Mulino, Bologna, 2019; Massimo De Leonardis, Guerra fredda e interessi nazionali. L’Italia nella politica internazionale del secondo dopoguerra, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014; Holger Nehring, Cosa è stata la Guerra fredda?, saggio introduttivo contenuto nel n. monografico di «Contemporanea», vol. 15, n. 1, 2012, pp. 119-129; Federico Romero, La guerra fredda nella recente storiografia americana. Definizioni e interpretazioni, «Italia contemporanea», n. 200, 1995, pp. 397-412; Id., Le frontiere storiografiche della guerra fredda, «Studi Storici», n. 3, 1994, pp. 667-75; Melvyn P. Leffler, A Preponderance of Power. National Security, the Truman Administration, and the Cold War, Stanford University Press, Stanford, 1992.

3 Ennio Di Nolfo, Prefazione, in Alessandro Brogi, L’Italia e l’egemonia americana nel Mediterraneo, La Nuova Italia, Firenze, 1996, p. xiv. Sulle relazioni culturali e diplomatiche tra Italia e Stati Uniti a partire dallo scoppio della Seconda guerra mondiale si veda Ennio Di Nolfo, Maurizio Serra, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Laterza, Bari, 2010, pp. 5-34.

4 La lettera di Badoglio è citata anche in Massimo De Leonardis, Guerra fredda, cit., p. 318. La fonte è: Badoglio a Roosvelt, 3 aprile 1944, in I Documenti Diplomatici Italiani, Serie x (1943-1948), vol. 1 (9 settembre 1943-11 dicembre 1944), Istituto poligrafico dello Stato, Roma, 1991, p. 225.

5 Elena Aga Rossi, L’Italia tra le grandi potenze, cit., p. 706.

6 Massimo De Leonardis, Guerra fredda, cit., pp. 324-325.

7 Alessandro Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., p. 47.

8 Maria Rosa Cardia, La Sardegna nella strategia mediterranea degli alleati durante la Seconda guerra mondiale: i piani di conquista, 1940-1943,CUEC, Cagliari, 2006, pp. 12-13.

9 L’adesione al Patto Atlantico, di fatto senza condizioni, incontrava la scontata opposizione del Partito Comunista Italiano ma anche, per esempio, dei dossettiani favorevoli a una linea neutralista o di componenti del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI). Il 23 marzo 1949 il senatore Emilio Lussu, dai banchi del Partito Socialista, dichiarava che «nell’era della bomba atomica e della bomba batteriologica questa è la più folle delle avventure, questo Patto è il più sciagurato dei patti di avventura», in Emilio Lussu, Discorsi parlamentari, Senato della Repubblica, Roma, 1986, vol. 1, p. 515; e poi si trattava di «un vero e proprio “autoinvito”, certo non incoraggiato da tutti gli altri membri del Patto», Alessandro Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., p. 10. Si veda anche Luigi Cortesi, Antonio Liberti (a cura di), 1949: il trauma della NATO . Il dibattito alla Camera sull’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole, 1989; Gianni Long, Parlamento e Forze armate: dalla Costituente alla Sesta legislatura, in Carlo Jean (a cura di), Storia delle Forze armate italiane 1945-1975. Aspetti ordinativi e sociologici, FrancoAngeli, Milano, 1994, pp. 207-8.

10 Massimo De Leonardis, Guerra fredda, cit., p. 228.

11 Ibid.

12  Alessandro Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., pp. 67-84.

13 Una sintesi sulla disciplina delle basi militari nato e usa in territorio nazionale si trova sul portale del Parlamento italiano: https://leg16.camera.it/561?appro=327 (8 aprile 2024).

14 Paolo Michelutti, Servitù militari e militarizzazione. Il Friuli Venezia Giulia 1949-1989, «Italia contemporanea», n. 267, 2012, pp. 293-4.

15 «Fondées sur une dépendance réciproque quoiqu’inégale, les relations entre les États-Unis et l’Italie sont singulières et ambiguës. Pour Washington, l’Italie revêt une importance stratégique en sa qualité de membre de l’Alliance atlantique et, plus encore, dans la mesure où elle offre un nombre important d’installations militaires à l’otan et aux forces armées américaines. Durant les années de guerre froide, en effet, l’État italien mit à disposition du bloc occidental une cinquantaine de bases ou points d’appui militaires», Frédéric Heurtebize, Le péril rouge. Washington face à l’eurocommunisme, Presses Universitaires de France, Paris, 2014, p. 33.

16 Alessandro Brogi, L’Italia e l’egemonia americana, cit., p. 102; cfr. anche, Liliana Saiu, Basi e strutture militari degli Stati Uniti in Italia, Aracne, Ariccia, 2014.

17 «L’accordo è la chiave di volta della presenza militare americana in Italia, il principale mai firmato dai due paesi», Alfonso Desiderio, Paghiamo con le basi la nostra sicurezza, «Limes», n. 4, 1999, p. 31.

18  Natalino Ronzitti, Le basi americane in Italia – problemi aperti, in «Dossier» Servizio Affari Internazionali, Senato della Repubblica, n. 70, 2007, pp. 1-13; riguardo al profilo strettamente giuridico, si veda Id., Diritto internazionale dei conflitti armati, Giappicchelli, Torino, 2017 (sesta edizione), pp.133-6.

19  Per un quadro sulle ripercussioni sanitarie e ambientali della presenza militare in Sardegna, cfr. Aide Esu, Violare gli spazi. Militarizzazione in tempo di pace e resistenza locale, Ombre Corte,
Verona, 2024; Giovanni Sistu, Elisabetta Strazzera (a cura di), Zone militari: limiti invalicabili? L’impatto della presenza militare in Sardegna, Gangemi Editore, Roma, 2023; Mauro Cristaldi, Cristiano Foschi e Lucio Triolo (a cura di), Ambiente e salute nel territorio del Poligono
Interforze Salto di Quirra, Editori Riuniti, Roma, 2021; Relazione finale Commissione parlamentare di inchiesta sull’Uranio impoverito, XVII Legislatura, 7 febbraio 2018 www.documenti.Camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/Indiceetesti/022bis/023/interno.pdf  (8 aprile 2024); Massimo Coraddu, Massimo Zucchetti, Bagni, morte e manette al poligono sperimentale di Perdasdefogu-Quirra, «Contropiano», 8 giugno 2017 www.contropiano.org/news/
scienza-news/2017/06/08/bagni-morte-manette-al-poligono-sperimentale-perdasdefogu-quirra-092692 (8 aprile 2024); Massimo Zucchetti, Impatto ambientale e sanitario delle basi militari
in Italia. Il caso Sardegna: Maddalena e Quirra, «Quaderni della Maddalena di Chiomonte», n. 2, giugno 2011; Fabrizio Aumento, Determinazione di radioattività in matrici biologiche marine
intorno alla base de La Maddalena, in Massimo Zucchetti (a cura di), Il male invisibile sempre più visibile. La presenza militare come tumore sociale che genera tumori reali, Odradek, Roma, 2005,
pp. 234-41; Marco Mostallino, L’Italia radioattiva, cuec, Cagliari, 2004; Mariella Cao, Guerra e basi della guerra: un’isola contro, «L’Ernesto», n. 3, 2004, pp. 31-35; Salvatore Sanna (a cura di), La Maddalena, Sardegna. Storia e cronaca della base nucleare di S. Stefano. 1972-1991, cuec, Cagliari, 1994; Relazione conclusiva Commissione Stato-Regione, 1987 www.regione.sardegna.it/
documenti/1_26_20051108115234.pdf (8 aprile 2024); cfr. inoltre: www.aforas.noblogs.org;
www.nobasi.noblogs.org/; www.nobordersard.wordpress.com/; www.facebook.com/stopbomberwm/; www.facebook.com/FemministeAntimilitariste?locale=it_it (8 aprile 2024).

20 Il movimento di massa egemonizzato dalle forze comuniste e in grado di coinvolgere ampie porzioni della società civile, nacque ufficialmente a seguito del Congresso di Parigi del 1949 e rappresentò «la prima e più consistente manifestazione di reazione sociale e politica ai pericoli e alle tensioni suscitate dalla divisione in blocchi e dall’inizio della “guerra fredda”», Giulio Pietrangeli, I Partigiani della pace in Italia, 1948-1953, «Italia contemporanea», n. 217, 1999, pp. 667-92. Tuttavia «per i comunisti italiani la lotta per la pace è qualcosa di diverso dalla psicosi bellicista da “stato d’assedio”, che per Stalin è indispensabile strumento di dominio sui popoli sovietici e bussola della propria politica estera», Giovanni Gozzini e Renzo Martinelli. Storia del Partito comunista italiano, Einaudi, Torino, 1998, vol. vii, p. 149. L’intervento dei Partigiani della pace «si fermò alle soglie di un generico pacifismo: furono proprio gli stretti lacci della guerra fredda a impedire di riannodare la propria azione alla tradizione antimilitarista e, più ancora, nonviolenta»: in Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell’Italia del Novecento, Donzelli, Roma, 2006, p. 70.

21 Domani il congresso dell’ UDI per la pace, «L’Unione Sarda», 11 dicembre 1948; si veda anche Gianluca Scroccu, “Lottiamo contro la guerra e per la Sardegna”: le donne della sinistra sarda e il movimento della pace (1948-1955), «Storia e Futuro», n. 51, 2019.

22 Nadia Gallico Spano, Al livello delle donne, «Rinascita sarda», n. 3-4-5, maggio 1979.

23 Pace per la rinascita, «Rinascita sarda», n. 11, 1951.

24 Antonello Mattone, Velio Spano. Vita di un rivoluzionario di professione, Edizioni Della Torre, Cagliari, 1978, p. 193.

25  Ibid.

26 Ricoprirà l’incarico di segretario dei Partigiani della pace e, a partire dal 1958, di segretario del Movimento italiano per la pace e vicepresidente del Consiglio mondiale della pace. Spano si era unito in matrimonio con Nadia Gallico nel 1939, cfr. Sondra Cerrai, I Partigiani della pace in Italia. Tra utopia e sogno egemonico, libreria universitaria.it, Limena, 2011.

27 Riguardo alle prese di posizione del governo italiano a seguito dell’accordo di Nassau del 1962 tra Stati Uniti e Gran Bretagna sulla fornitura dei missili Polaris ai sottomarini inglesi, si veda Adriana Castagnoli, La guerra fredda economica. Italia e Stati Uniti 1947-1989, Laterza, Roma-Bari, 2015, pp. 99-100.

28 Velio Spano, Disarmo e coesistenza, «Rinascita sarda», n. 5, 1963, p. 12. Si tratta di uno degli ultimi interventi del comunista di Teulada su «Rinascita sarda» prima della sua morte sopraggiunta il 7 ottobre 1964.

29 Solcheranno le acque sarde i terribili “Polaris”. Intervista al prof. Cesare Cases, «Rinascita sarda», n. 3, 1963, p. 5.

30 La Rivista d’informazione politica e culturale, come detto organo del PCI nell’isola, «Rinascita sarda», che ebbe sede a Cagliari e a Sassari e che fu diretta, tra gli altri, da Renzo Laconi, Girolamo Sotgiu e dallo stesso Umberto Cardia, iniziò le pubblicazioni il 25 marzo 1951.

31 Angiola Massuco Costa, Sette punti per la pace, «Rinascita sarda», n. 12, 1963, p. 12.

32  Elisa Nivola, Presenza a Cagliari di Aldo Capitini, in Id., Maria Erminia Satta (a cura di), Tessiduras de Paghe. Tessiture di Pace, n. monografico di «Quaderni Satyagraha», n. 9, 2006, pp. 183-90.

33 Il giorno più lungo, «Rinascita sarda», n. 2, 1965, p. 13.

34 Le medesime istanze erano rilanciate anche dalle conferenze femminili zonali del PCI. In particolare, il 10 aprile 1965, la conferenza di San Vito denunciava gli espropri funzionali all’installazione della base nel Salto di Quirra descritta come «grave danno che ha ripercussioni di carattere economico e psicologico: vi sono infatti centinaia di ettari che non si possono coltivare e morte certa di tutta la popolazione in caso di guerra». Si chiedeva dunque lo smantellamento immediato dell’installazione nato e il rilancio dell’agricoltura nelle terre occupate dai militari, asc, fondi issra 146, fondo Chiari-Pirastu, Archivio donne comuniste Cagliari 1953-1972, vol. 6.

35 Umberto Cardia, La bomba tra noi, «Rinascita sarda», n. 22, 1965, p. 5.

36 Luigi Polano, Le elezioni e la NATO , «Rinascita sarda», n. 14-15, 1965, p. 12.

37 Giuseppe Podda, Stranamore anche in Sardegna, «Rinascita sarda», n. 2, 1966, pp. 8-9.

38 Con i comunisti, per la pace e la rinascita verso il socialismo. Il programma del PCI per le elezioni regionali del 13 giugno 1965, allegato a «Rinascita sarda», n. 9, 1965.

39 Comunicato del Comitato Regionale Sardo del PCI . Intensificare la lotta contro la Giunta Del Rio. Via dalla Sardegna le basi della NATO , «Rinascita sarda», n. 20, 1967, p. 2.

40 La relazione di Umberto Cardia. In Sardegna sulla linea del XII congresso, «Rinascita sarda», n. 15-16, 1969, p. 3.

41   Atti Parlamentari (ap), Camera dei Deputati, Resoconto sommario e bollettino delle commissioni, lunedì 1° ottobre 1956, p. 60.

42 Ibid.

43 ap, Camera dei Deputati, Legislatura ii, Discussioni, Seduta del 13 novembre 1956, pp. 29172-29173.

44 Ibid.

45 Ibid.

46 ap, Camera dei Deputati, Legislatura ii, Discussioni, Seduta del 29 marzo 1957, Allegato al resoconto della seduta, p. xxii; Spano aggiungerà che alcune delle settanta famiglie residenti nei terreni da espropriare «hanno speso opere di miglioria per le quali avevano ottenuto il concorso della regione» e, pertanto, rischiano «di perdere definitivamente il contributo regionale e le spese già sostenute».

47 «A Capo Teulada non vi è più posto per i pastori con le greggi e i contadini con gli aratri […] il poligono di tiro è divenuto con i recenti lavori di ampliamento, il più attrezzato e il migliore d’Europa […] Le zone militari in Sardegna aumentano quindi il loro prestigio: nessuna preoccupazione per il turismo che va in malora e per città come Cagliari il cui centro urbano annovera tra gli altri monumenti, poligoni di tiro, depositi di carburante e di munizioni […], (“Sardegna Oggi”, 28 gennaio 1965)», Ugo Dessy, Sardegna: un’isola per i militari, Marsilio, Padova, 1972, p. 117. La rivista quindicinale «Sardegna Oggi» edita da Fossataro che avviò le pubblicazioni nel 1962 sotto la direzione di Sebastiano Dessanay rappresenta un altro interessante luogo di confronto sul tema della militarizzazione della Sardegna.

49 Al poligono di Quirra è dedicato il documentario di Giuseppe Ferrara, Inchiesta a Perdasdefogu (Italia, 1961). Il film – accompagnato dal brano contro la guerra di Italo Calvino, Cantacronache e Sergio Liberovici Dove vola l’avvoltoio? – inquadra il malcontento della popolazione di dieci paesi «da Villaputzu a Ulassai» interessati dalla installazione della base militare con le testimonianze dirette degli abitanti. L’esproprio delle terre, quello che Ferrara definisce un «avvenimento drammatico», è all’origine di una protesta corale raccolta dal regista.

50 «L’esproprio di Tavolara per esigenze militari segna la fine del turismo internazionale in Sardegna. Negli ambienti della finanza svizzera e britannica la notizia è stata ricevuta e ritrasmessa in quattro lingue. L’Aga Khan e i suoi fratelli Guiness, Duncan, Miller e la Begum, David Niven e il barone di Asshe hanno girato il cablo tra le mani e hanno avuto un gesto di disappunto. Il loro pensiero è corso all’unica prospettiva possibile: recuperare gli oltre due miliardi investiti nell’acquisto delle coste brulle della Gallura nord-orientale […] (“Sassari Sera”, ottobre 1961)»: Ugo Dessy, Sardegna, cit., p. 63. Come «Sardegna Oggi» anche il periodico «Sassari Sera» fondato da Pino Careddu è una fonte importante per la ricostruzione del dibattito politico sulla presenza militare nell’isola sin dai primi anni sessanta.

51 Insegnante di Terralba, libertario, particolarmente attivo nelle iniziative di educazione popolare. Il 4 novembre del 1969 a Milano, a margine del congresso del Partito Radicale, si tiene uno dei primi incontri nazionali del movimento antimilitarista al quale Dessy presenta un contributo sulla realtà sarda: «La sua relazione documentò per la prima volta il processo di militarizzazione del territorio sardo: fu pubblicata da Umanità Nova, giornale con il quale Dessy collaborò per due anni», ricorda «A-Rivista Anarchica», 1 febbraio 1984.

52 Ugo Dessy, Sardegna, cit.

53 Ivi, p. 50.

54I vi, p. 51.

55 Ivi, pp. 51-52.

56 Ibid.

57 Eliseo Spiga, Il neo-sardismo, in Manlio Brigaglia (a cura di), La Sardegna. Enciclopedia, vol.II, Autonomia, Della Torre, Cagliari, 1982, p. 143.

58 Ibid.

59 Ibid.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *