Luglio ’60: anche in Sicilia sangue versato per…

per opporsi al tentativo democristian-fascista di Tambroni

di Domenico Stimolo

Nella parte iniziale di luglio la Sicilia fu attraversata da una lunga scia di sangue: grandi manifestazioni popolari si svolsero nelle principali città isolane, come in atre parti d’Italia. I tragici avvenimenti isolani chiusero “il calendario di lotta” contro il governo Tambroni.

Il monocolore democristiano, subentrato al dimissionario governo Segni, era in carica dal 25 marzo sostenuto dal decisivo appoggio parlamentare dei neofascisti targati Msi. Una situazione dirompente. A soli 15 anni dalla conclusione della Lotta di Liberazione i fascisti erano tornati in auge.

L’aspetto determinante della sdegno e della rabbia popolare fu l’indizione del congresso nazionale Msi per il 2 luglio a Genova. Un vero e proprio oltraggio alla città medaglia d’oro della Resistenza. In città si svolsero manifestazioni di protesta, indette dai partiti della sinistra e dall’Anpi, con lo sciopero generale della Cgil. Alla grande iniziativa del 29 giugno intervenne con un vibrante discorso Sandro Pertini (futuro Presidente della Repubblica). Durante l’immenso corteo del 30 giugno, aperto dai comandanti partigiani, scontri di notevole portata con la polizia. Il corteo pacifico fu attaccato dalle “forze dell’ordine”.

Il 2 luglio la Camera del Lavoro indisse un altro sciopero generale; lo stesso giorno il congresso “missino” fu annullato.

Nei giorni seguenti, dato il permanere del governo Tambroni, nuove manifestazioni di protesta. Quasi tutte funestate da incidenti con polizia e carabinieri. A Reggio Emilia il 7 luglio il corteo con decine di migliaia di partecipanti la polizia sparò oltre 500 colpi uccidendo Lauro Ferioli (22 anni), Ovidio Franchi (19 anni, operaio), Emilio Reverberi (39 anni, operaio, ex partigiano), Marino Serri (41 anni, contadino, ex partigiano) e Afro Tondelli (35 anni, operaio, ex partigiano).

In quelle giornate gravissimi accadimenti si verificarono in Sicilia dove si chiedeva anche lavoro e giustizia sociale: sfruttamento, emarginazione e intensa emigrazione “qualificavano” gran parte della popolazione.

Tutte le manifestazioni, di grande partecipazione popolare, furono caricate e abbondante fu il sangue versato.

Il 5 luglio a Licata (grande paese in provincia di Agrigento) fu ucciso Vincenzo Napoli, operaio di 25 anni, e 5 manifestanti restarono feriti in maniera grave. Era stato indetto uno sciopero generale per il lavoro e al grido di «Licata non deve morire» partecipano 20.000 persone.

L’8 luglio a Palermo 4 morti sotto i colpi delle “forze dell’ordine”: Francesco Vella, 42 anni, sindacalista della Cgil; Giuseppe Malleo, 16 anni; Andrea Gancitano, 18 anni; Rosa La Barbera, 53 anni, casalinga; 36 manifestanti furono feriti da proiettili; 400 i fermati, 71 gli arrestati.

Sui fatti tragici del luglio 1960 una preziosa pubblicazione di Angelo Ficarra è stata edita alcuni anni addietro a cura dell’Anpi palermitano: «8 luglio 1960, la battaglia di Palermo».

Sui tragici fatti di Licata, si legge (a pagina18): «Vado in centro e seguo il corteo – è la testimonianza di Luigi Ficarra, reso in un intervento rievocativo al Comune di Palermo l’8 luglio 2006 – poi, seguendo gruppi di manifestanti, ritorno presso la ferrovia e trovo che l’hanno occupata. La polizia presente in notevoli forze non annuncia l’attacco. Sparano ad altezza d’uomo. Vidi cadere nel sangue, a meno di un metro dame, un giovane lavoratore, che poi seppi essere Vincenzo Napoli. Lottava per il pane ed ebbe il piombo. E’ un eroe del lavoro che non c’era, l’eroe di una lotta “mancata”».

Nella giornata dell’8 luglio un’imponente manifestazione popolare attraversò l’area urbana storica di Palermo. Le dinamiche che si svolsero per gran parte della giornata di sciopero (iniziato alle ore 14) riguardarono molti quartieri cittadini. Davanti allo storico Cantiere Navale di mattina si erano recati Pio La Torre e Nicola Cipolla per informare gli operai della strage avvenuta a Reggio Emilia e dello sciopero che era stato indetto dalle organizzazioni sindacali.

A pag. 22 del libro viene riportata la testimonianza di Manlio Guardo – dottore in chimica e dirigente giovanile comunista. Fra l’altro si legge: «la furia incontrollata di chi dirigeva le forze dell’ordine è esplosa verso le 17.15, quando la massa dei dimostranti, dopo avere fatto fronte e numerose cariche, si è attestata in via Maqueda… Altri reparti militari, sembra apparentemente scollegati tra loro, nel frattempo entrano in azione vanificando ogni tentativo di non fare precipitare la situazione«». A pagina 23 Angelo Ficarra scrive: «la battaglia continuerà fino a tarda sera con un terribile bilancio di violenza e di morte».

L’8 luglio a Catania fu ucciso dalla polizia Salvatore Novembre, giovane lavoratore edile di 19 anni, proveniente da Agira (Enna): sposato da quarantacinque giorni, lavorava a Catania in un frantoio per attività edilizie. Era iscritto alla sezione catanese del Pci dedicata al martire fascista Rosario Pitrelli, originario di Caltagirone, trucidato alle Fosse Ardeatine a Roma. Molti altri giovani manifestanti (ufficialmente 16 quelli portati in ospedale) rimasero feriti – anche da armi da fuoco – e vennero successivamente tutti imputati.

Quei tragici eventi catanesi sono stati meticolosamente rievocati da Nicola Musumarra – allora giovane ventenne protagonista dei fatti, militante nel Pci e ferito alla gola da un proiettile – in un libro edito nel 2010 «1960 fermammo Tambroni, 2011 fermeremo Berlusconi» con prefazione di Pietro Barcellona, ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura e deputato del Pci. Scrive fra l’altro (alle pagine 83-84): «L’arrivo della polizia nella piazza Stesicoro fu accompagnato da una fitta sparatoria; e che non sparassero in aria lo constatammo con gli schizzi che uscivano dalle angurie (esposte per la vendita) colpite dai proiettili. Lo constatammo anche dai primi compagni che caddero feriti. I poliziotti fecero il tiro a segno con i giovani lavoratori. Capimmo che la situazione era seria e grave. Invitammo i manifestanti a tenersi al coperto nelle traverse di via Gambino e di piazza Spirito Santo. Le pietre ritardarono l’avanzata dei poliziotti ma non poterono fermare le pallottole e le granate sparate contro noi giovani. I primi feriti vennero posti dentro le auto che riuscimmo a trovare nelle vicinanze e portati negli ospedali più vicini […] Solo uno, Salvatore Novembre, rimase isolato e troppo vicino ai poliziotti e ai carabinieri, le grida non bastarono per farlo indietreggiare, per farlo mettere al riparo. Continuò a stare all’avanguardia per difendere il suo diritto a manifestare… Fu colpito, mentre si difendeva riparandosi dietro un rudere, da un vile cecchino che mirò alla gola per ucciderlo».

Nel pomeriggio dell’11 luglio si svolsero i funerali del giovane ucciso. La camera ardente era stata allestita nel salone della Camera del Lavoro (in via Crociferi) e l’orazione funebre fu tenuta dall’avvocato Giovanni Albanese, antifascista catanese, già condannato dal Tribunale Speciale durante la dittatura fascista. Decine di migliaia accompagnarono il feretro – in primissima fila la giovane moglie – attraversarono per alcuni chilometri tutta l’area storica della città fin quasi al cimitero nell’estrema periferia. La Cgil nazionale fu rappresentata dal segretario Rinaldo Scheda, il Pci dagli onorevoli Giorgio Napolitano e Mario Alicata.

Il 19 luglio si dimise il governo Tambroni.

In “bottega” abbiamo scritto più volte del governo Tambroni e della spietata repressione poliziesca contro chi protestava; in particolare cfr Luglio 1960: la polizia uccide a Reggio Emilia e in Sicilia

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

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