di Agnese Ranaldi (*). A seguire un breve scritto di Somayeh Haghnegahdari e i nostri link.

«Quando è arrivata la notizia è stato un momento di dolore comune per tutta la comunità, fuori e dentro l’Iran»: per Parisa Nazari, del movimento “Donna, vita, libertà – Italia”, la morte della 22enne così simile a quella di tante altre donne iraniane, si è rivelata in un certo senso unica: ha riportato l’attenzione internazionale sugli sforzi, faticosi ma decennali, della resistenza contro il regime degli ayatollah.
L’immagine del corpo di Mahsa Jina Amini, in coma su un letto d’ospedale, ha fatto il giro del mondo in poche ore. I capelli raccolti in modo spettinato la facevano sembrare una bambina. In realtà, aveva appena 22 anni: adulta quanto basta da essere punita per non aver rispettato gli imperativi del codice d’abbigliamento cui devono sottostare le donne nella Repubblica islamica. È morta in circostanze sospette mentre era sotto la custodia della polizia morale.
«Il 16 settembre del 2022, dopo pochi giorni che circolava, la foto di Mahsa Jina Amini è diventata virale. Quando è arrivata la notizia (della sua morte, ndr) è stato un momento di dolore comune per tutta la comunità, fuori e dentro l’Iran».
Per Parisa Nazari, del movimento “Donna, vita, libertà – Italia”, quella morte, così simile a quella di tante altre donne iraniane, si è rivelata in un certo senso unica: ha riportato l’attenzione internazionale sugli sforzi, faticosi ma decennali, della resistenza contro il regime degli ayatollah.
Grido di liberazione
A distanza di tre anni, il nome di Mahsa Jina Amini si è fatto grido universale di liberazione. Sono apparsi foto e video di donne che si toglievano il velo, fiumi di persone che occupavano le strade: donne, uomini, giovani e anziani. «Dopo la morte di Mahsa, per la prima volta ha preso piede in Iran l’idea di mettere la donna proprio al centro delle proteste contro il regime», spiega Nazari. «Così si scendeva in piazza e si gridava “donna, vita, libertà” insieme al nome di Mahsa Amini e a un deciso: “No alla dittatura”. Si è trattato di una spaccatura profonda, perché quegli slogan miravano al cuore del sistema della Repubblica Islamica».
Da lì, la lotta di chi si oppone alla teocrazia di Khamenei (imposta con la Rivoluzione islamica del 1979 che ha deposto lo Scià Mohammad Reza Pahlavi) si è fatta più sistematica, sia in territorio iraniano che nei vari epicentri della diaspora.
«Il seguito lo conosciamo: repressioni, uccisioni, arresti, stupri. Finché le manifestazioni non si sono placate». Ma c’è un sentimento, dice Nazari, che ora resta latente ma persistente: «Quello che è davvero cambiato con l’uccisione di Mahsa Amini, e potevi sentirlo nell’aria, era proprio questo non voler più stare a quelle regole». «Questa rabbia c’è ancora, anche se la forma di protesta è cambiata», spiega ancora l’attivista. «Io sono stata in Iran negli scorsi anni e ho visto con i miei occhi quanto le donne erano determinate, non portavano il velo, sapendo a cosa andavano incontro. Le esecuzioni capitali sono l’arma più potente che ha Teheran per reprimere il dissenso».
L’allargamento della violenza in Asia occidentale, che dai territori palestinesi si è estesa con l’attacco di Israele contro i siti nucleari iraniani a metà giugno, ha inciso profondamente sul potere e sulle volontà della resistenza iraniana. «Mai come ora, dopo la guerra di 12 giorni (tra Tel Aviv e Teheran, ndr) le persone che alzano una voce di dissenso vengono accusate di attività contro la sicurezza dello stato e condannate a morte».
Divisioni interne
In passato, intorno all’anniversario della morte di Mahsa Jina Amini, le autorità iraniane avevano impedito qualsiasi tipo di manifestazione e commemorazione pubblica. Oggi, dopo i bombardamenti su Teheran, il clima è ancora più restrittivo. Quello che preoccupa Nazari è che il sentimento nazionalistico iraniano, che si è rinvigorito all’indomani degli attacchi, possa rendere più difficili le azioni della resistenza dal basso, rischiando di dare spazio a istanze controverse.
Le posizioni della diaspora, infatti, non sono univoche. Esiste una frangia di iraniani all’estero che auspica un ritorno del figlio del monarca esiliato che ha governato il paese in maniera autoritaria (e molto vicina ai paesi occidentali) dal 1941.
Si tratta di Reza Pahlavi, il principe ereditario figlio di Mohammad Reza Pahlavi. Alcuni lo vedono come l’unica speranza di ritornare a un paese laico, altri attribuiscono alla sua famiglia la responsabilità di ciò che è accaduto in Iran fino a oggi. Sabato scorso in alcune città d’Italia è stato possibile assistere a piccoli raduni di suoi sostenitori, che, muniti di bandiere monarchiche e israeliane, hanno commemorato a modo loro la morte di Mahsa Amini.
«In Iran questa gente non ha nessuna presa», commenta Nazari. «Sono disperati perché vogliono tornare in Iran, vogliono che il paese sia libero a qualunque costo». Ma l’attivista invita a rimanere lucidi. «È la stessa cosa che è accaduta nel 1979, quando i nostri genitori volevano soltanto che l’Occidente se ne andasse, senza pensare che c’era il rischio di passare da una dittatura a un’altra, anche più feroce», dice, riferendosi alla transizione dalla monarchia alla teocrazia nata dopo la Rivoluzione di Khomeini.
«L’unico elemento positivo causato da questa terribile “guerra dei 12 giorni” è che la gente ha capito chi è il figlio dello Scià», dice. «Uno che si professa nazionalista e poi si allea con l’invasore. Mentre la gente stava sotto le bombe, lui continuava a giustificare l’attacco israeliano. I miei connazionali non devono compiere lo stesso errore di allora: aggrapparsi a quest’uomo».
(*) articolo apparso sul quotidiano “Il domani”

Sulla tua tomba qualcuno ha scritto:
«Jina, amata, non morirai mai; il tuo nome sarà simbolo eterno.»
Il seme che hai lasciato nella terra ha messo radici
e ha fiorito ovunque,
si è sparso lontano come vento leggero.
Ha squarciato l’oscurità,
trasformandosi in luce sul nostro cammino…
Il tuo nome è divenuto il nostro canto:
«Donna, Vita, Libertà — per sempre!»
Somayeh Haghnegahdar
15 settembre 2025
#mahsa_jina_amini
#mahsa_amini
#WomanLifeFreedom
#donnavitalibertà
#زن_زندگی_آزادی
#ژن_ژیان_ئازادی
#مهسا_امینی
In “bottega” cfr Ridatele il suo nome curdo: Jina Amini, Iran: sollevato il velo di Mahsa e Iran: «Donna Vita Libertà»

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega