Morire di (studio-)lavoro: fra quitting, rivolta e …

… e istituzioni schifosamente complici degli assassini

di Vito Totire (*)

 

UN INFORTUNIO NEL CORSO DI UNO STAGE DI “FORMAZIONE-LAVORO”  E’ UN ASSURDO, UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI: che la protesta giovanile cresca e produca un vero cambiamento

 

Nelle ultime settimane in Italia si sono verificati diversi infortuni gravi ai danni di ragazzi in formazione-lavoro. Due (a Udine e a Roma) sono stati mortali. Ora si apprende di un evento, meno grave, a Brindisi, in un cantiere navale.

I due infortuni mortali hanno determinato un’energica reazione di protesta di giovani che ne hanno denunciato l’assurdità; come accadde dopo l’omicidio sul lavoro di Luana D’Orazio a Prato nel 2021. Quello di Luana D’Orazio (22 anni) fu un “incidente” – in verità un omicidio – citato da Draghi in Parlamento ma senza la successiva capacità del governo di porre rimedio e varare serie misure di prevenzione alle stragi sul lavoro. Poi le istituzioni hanno reagito alle manifestazioni degli studenti per i due ragazzi morti addirittura in termini di repressione poliziesca senza rendersi conto del fatto (o proprio per questo?) che le proteste sono la punta di un iceberg che si va scoperchiando e si inserisce in quel movimento che i sociologi hanno definito quitting vale a dire la spinta – ormai molto forte a livello mondiale – a rifiutare condizioni di lavoro di sfruttamento e di alienazione psicologica.

Certo i padroni e il “mercato” corrono ai ripari facendo del disagio lavorativo un terreno di ulteriore profitto. Per esempio a Bologna è emersa un’offerta (privata, quindi a pagamento) di supporto a condizioni di burn out: un fenomeno, a sua volta diffusosi nel cosiddetto long-covid o post-covid (non nel senso clinico individuale ma nel senso psicosociale del termine). L’interpretazione di queste tendenze nella condotta della “forza lavoro” correla le reazioni psicologiche alla strage da covid e alla pulsione spontanea e diffusissima a porsi – di fronte alla precarietà della vita – un interrogativo sempre più pressante: «perché devo accettare un lavoro di merda?». In effetti durante e dopo l’epidemia è mutato l’atteggiamento di molti lavoratori e lavoratrici rispetto a certi connotati schiavistici del lavoro in numerosi comparti produttivi (servizi, riders, logistica, agricoltura ed altri settori). Così si sono abbassati i livelli di “tolleranza” e di rassegnata obbedienza. La morte vista da vicino nel corso dell’epidemia, le condizioni di isolamento, mobbing, costrittività (lavorare 8 ore, senza pausa, con la mascherina!) e avversatività subite da chi lavora stanno spostando le priorità dalla mera sussistenza materiale alla ricerca di un lavoro “dignitoso”.

Persino un rampollo della casa reale dei Windsor (andato comunque via di casa) in qualità di consulente del lavoro ha lanciato un appello: rifiutare lavori alienanti. Se è vero che non sarà un “nobile” inglese, emulando Robin Hood, a guidare la riscossa degli sfruttati, cionondimeno la situazione pare davvero in movimento e positivamente. Arrancando dietro gli eventi le istituzioni hanno scoperto l’esigenza di garantire una “logistica etica” avendo scoperto – dopo decenni di rimozioni – che “nuove” forme di schiavismo attecchiscono in Italia. Un po’in ritardo …visto che l’integrità anche morale dei lavoratori è garantita (in teoria) persino dal Codice Civile degli anni quaranta del secolo scorso; ma spesso i governanti sono affetti da perniciose quanto comode amnesie.

Per concludere: anzitutto un augurio di pronta guarigione al giovane brindisino infortunato. Siamo consapevoli che quando si è stati vittima della violazione del “contratto psicologico” (entrare in un luogo di lavoro per apprendere una professione e uscirne infortunato) niente torna come prima.

Ha scritto Luce Irigaray: un corpo che ha già sofferto è un corpo che chiede rivincite;

che la rivincita – collettiva – per miliardi di persone nel mondo sia un lavoro a dimensione umana e non per il profitto di pochi e a tutti i costi.

(*) Vito Totire, medico del lavoro e psichiatra, è portavoce della «Rete europea per l’ecologia sociale»

LA VIGNETTA E’ DI BENIGNO MOI (ripresa da una “furundulla”, la rubrica che esce ogni giovedì in “bottega”)

 

Redazione
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Un commento

  • Egr. Redazione de La Bottega del Barbieri ,

    in questa società liberista ormai sembra quasi d’obbligo che per incentivare lo sviluppo economico e produttivo di un Paese tanti giovani debbano continuare a passare attraverso il ricatto “salute/lavoro1

    Per poter davvero progredire si dice spesso che sono necessari anche sacrifici e vite umane !

    Ma a scegliere le vittime sacrificali stranamente sono sempre l’Alta Finanza e il grande Patronato industriale -con l’avallo dei soliti corrotti e venduti della politica istituzionale!

    Ma la formazione teorica e pratica dei giovani che si preparano ad entrare nel Mondo del lavoro non può essere scevra dal garantire loro un corretto stato di salute e di sicurezza per la vita umana nei luoghi di lavoro , nonchè il diritto alla libera scelta formativa e di lavoro per i giovani interessati
    …. soprattutto in questo particolare momento di crisi di valori e modelli economici e produttivi

    …. anche in relazione all’accentuazione dei cambiamenti climatici in atto !

    Una normativa 2scuola/lavoro” così come è stata concepita dal Governo Renzi, per il nostro Paese non serve a formare uomini liberi (obiettivo a cui per prima cosa dovrebbe tendere una scuola pubblica seria!) ma solo schiavi di una Confindustria speculativa, ricattatrice e sfruttatrice di un lavoro giovanile gratuito!

    Per me il diritto ad una formazione e ad un lavoro di libera scelta se questo nostro Paese vuol davvero progredire , non può essere negato ai nostri giovani!

    Cordiali saluti, Onofrio Infantile

    Salerno, 27 marzo 2022

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