Per Gian Maria

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di Erri De Luca (tratto da http://fondazionerrideluca.com)

Coltivo una rosa bianca in luglio come in gennaio
per l’amico sincero che mi da la sua mano franca.
Per chi mi vuol male e mi stanca il cuore con cui vivo
ne’ cardi ne’ ortiche coltivo,
coltivo una rosa bianca.

Questi versi sono del poeta Cubano José Martí, che morì combattendo per l’indipendenza della sua isola dalla dominazione spagnola alla fine del 1800.
La poesia fu tradotta e messa in musica dal cantautore Sergio Endrigo, oggi ricordato da chi è di una fascia d’età novecentesca.
I versi mi sono venuti in mente per Gian Maria Testa, compagno di palchi, di sere, di viaggi. La sua amicizia era solida come le sue sue spalle di contadino. Invece non conosceva l’inimicizia. “Per chi mi vuol male e mi stanca il cuore con cui vivo/ ne’ cardi ne’ ortiche coltivo/ coltivo una rosa bianca”.
Era cresciuto nei campi, i cardi e le ortiche venivano tolti. Lo ricordo e lo ammiro per questa virtù che non ho.
Ho cardi e ho ortiche. A mia discolpa posso dire che non li coltivo, crescono da soli. A mia colpa aggiungo che non li sradico, lascio che si secchino da soli.
In tre, con Gabriele Mirabassi, abbiamo girovagato per teatri, arene, piazze d’Italia, Francia, Spagna, Svizzera, Belgio, Canada. Gli artisti fanno cena dopo il concerto. Li ho persuasi a cenare con me prima di salire sul palco, presentandoci a stomaco lieto. Così si stava insieme in ogni occasione del giorno. Avevamo per patto l’amicizia, saremmo stati insieme finché aumentava.
Gian Maria lavorava in ferrovia, aveva vinto da giovane un concorso per capostazione. Dopo venti anni di servizio mischiato a concerti, riuscì a dedicarsi solo alla musica. A me è capitato lo stesso con i libri, dopo venti anni di lavori operai.
Per dote di famiglia ho una sorella e non un fratello. Così un fratello l’ho cercato in giro, nei posti di migliore assembramento in cui mi trovavo. Ne ho avuto uno maggiore a Sarajevo, Izet Sarajlic, poeta, nominato in ogni sera dei nostri concerti intitolati a Chisciotte. Lui chiamava noi due i fratelli Grimm e prima di lui nessuno mi aveva chiamato con questo intimo legame di famiglia.
Ne ho poi avuto uno più giovane, Gian Maria.
A Mantova domenica 11 settembre al festival delle letterature abbiamo parlato di lui in piazza, ascoltando un paio di sue canzoni. C’era in un angolo un suo libro, scritto a contrappeso del male che lo rovinava: “Da questa parte del mare”.
Sui palchi abbiamo anche scherzato, “pazziato” tra il mio napoletano e il suo piemontese. Sbottava a ridere per qualche scemenza che improvvisavo sul momento. Posso ricordarlo anche per quei momenti di sorriso scippato alla sua serietà.
Entrambi i miei vincoli fraterni sono stati dissolti dalla peggiore causa.
Izet Sarajlic dopo aver perso tutti i membri della sua famiglia mi scrisse: “Ma io non posso non essere fratello”.

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