Perché ci siamo rassegnati alla scomparsa delle edicole?

di Michele Lupi (ripreso da rivistastudio.com)

(Foto di Allegra Martin che ritrae l’Aedicola Lambrate, via Conte Rosso 9)

Ne sono rimaste poche e quelle ancora in attività faticano a trovare la propria identità nello spazio che occupano. Garantirne l’esistenza significa ripensare il mercato editoriale e ragionare in termini di prossimità, attribuendo una rinnovata rilevanza ai quartieri.

Mi sono sempre chiesto perché, in tutti questi anni, ci siano state così poche idee indirizzate a rivoluzionare o almeno a dare un futuro a quei chioschi (roventi d’estate, gelidi d’inverno) chiamati edicole. Quando facevo il direttore di riviste, un tentativo di pensare a cosa sarebbero diventate le edicole, una volta che la crisi della carta stampata avrebbe strangolato la distribuzione dei giornali, l’avevo innescato. Ricordo ancora un editoriale d’apertura di Rolling Stone Italia, scritto forse nel 2011, in cui segnalavo il progetto di una società svedese che proponeva di trasformare le edicole degli aeroporti in distributori automatici on demand, in grado cioè di stampare sul momento il giornale scelto dal cliente: niente più catena distributiva, ma un semplice invio di file digitali da parte dell’editore a un sistema automatizzato che avrebbe “sputato” la copia stampata, al momento e nelle mani del lettore. Niente più tirature, niente più distribuzione.

Quell’editoriale ricordo che provocò la reazione del rappresentante italiano degli edicolanti, che mi scrisse una lettera di fuoco (ma devo dire anche cordiale) per accusarmi di essere un sabotatore degli edicolanti: in pratica stavo – seppur involontariamente – alimentando con idee nuove la crisi di un mestiere antico. È sempre così: la tecnologia semina il panico, e viene accusata di mangiarsi i posti di lavoro – basta guardare cosa sta accadendo oggi con le polemiche su ChatGPT e sull’Intelligenza Artificiale. Il problema, però, non è la tecnologia in sé, ma l’evoluzione della società e dei costumi, che chi si occupa di tecnologia cerca di cavalcare e alla quale vuole anche dare risposte.

Allora ne nacque un acceso scambio epistolare, dove la controparte “edicolanti” muoveva critiche legittime: «Voi giornalisti, ma soprattutto i vostri editori, non venite mai a parlare con noi, che rappresentiamo la parte finale della vostra filiera e siamo gli unici davvero a contatto con i vostri lettori: conosciamo tutti i loro gusti, conosciamo le lamentele, sappiamo cosa vogliono. Eppure, con noi, nessuno parla». Avevano ragione. Come sono andate le cose lo sappiamo: i grandi editori hanno fatto un’immensa fatica a capire e ad adattarsi ai cambiamenti, il modello di business tradizionale non ha retto e ora – nel mondo della carta stampata – quelli che erano i titoli più autorevoli faticano molto e le uniche cose davvero interessanti e vivaci – perché fatte con passione e cuore – sono i prodotti della stampa indipendente.

Se guardiamo agli Stati Uniti, il mercato delle riviste di carta è florido per quelle indipendenti (che hanno strutture leggere, nate oggi) e drammatico per gli editori tradizionali, i vecchi dinosauri. Il problema distributivo resta: se la stampa indipendente vive di un circuito proprio – che non sfrutta il sistema delle edicole – tutto il resto della stampa tradizionale boccheggia da anni. L’emorragia di edicole sul territorio italiano è evidente: a leggere i dati, si apprende che il 25 per cento dei Comuni italiani non ha più un’edicola in attività. Oltre a questo, un altro 30 per cento (l’equivalente di circa 2500 Comuni) possiede una sola edicola aperta.

In base alla ricerca condotta dal Sindacato Nazionale Autonomi Giornalai, aderente alla Confcommercio, in Italia a oggi ci sono poco meno di dodici mila edicole in attività (il numero esatto – al momento della ricerca – dice che erano 11.904), con ben 844 punti vendita chiusi nel 2021. Solo a Roma, sono ben 54 le edicole che hanno cessato l’attività nello stesso anno, ma il numero sale a 77 se si considera l’intera provincia. Un dato interessante è questo: circa il 40 per cento delle edicole sono imprese femminili. Per fortuna non ci sono solo chiusure: tra subentri e nuove imprese, il numero delle aperture è di circa 500: più di un quarto di queste, hanno come titolare un under 40.

E qui arriviamo alla mia esperienza personale: nonostante siamo ben oltre i quaranta anni di età, con quattro amici (Martina, Alioscia, Paolo e Alessandro) ho deciso di comprare un’edicola. Non è proprio un acquisto: tecnicamente si tratta di rilevare una licenza da edicolante, perché il suolo sul quale poggia l’edicola non si può comprare, essendo del Comune di Milano, che lo dà in concessione. Il tema è simile a quello delle spiagge – con tutti i problemi e le polemiche legate alla direttiva Bolkestein relativa ai servizi nel mercato europeo – ma in sostanza la cosa più importante è che un’edicola non può cambiare destinazione d’uso, e quindi deve continuare con la sua attività di vendita giornali e non può essere trasformata in qualche cosa d’altro, tipo baretto, chiringuito o altro. Ampliando la licenza si possono vendere anche altri beni di consumo, ma non si può fare mescita: per intendersi, si può vendere un succo di frutta chiuso, sigillato, ma non lo si può servire in un bicchiere. Per capirci, non si può fare concorrenza ai bar.

Quando abbiamo visto che l’edicola del nostro quartiere (a Milano, Lambrate, in via Conte Rosso) aveva definitivamente tirato giù le saracinesche cessando l’attività, abbiamo deciso di intervenire rilevandola. Quindi non per trasformare il chiosco in un negozietto di souvenir o in un chiringuito, ma semplicemente per cercare di salvare e ridare slancio al ruolo sociale dell’edicola all’interno della nostra comunità: per immaginare sul campo, soprattutto, cosa possono diventare le edicole oggi. Ci siamo subito infatti accorti di quanto l’edicola di via Conte Rosso mancasse a tanti residenti: agli anziani – che, non utilizzando i supporti digitali, con la chiusura non potevano più leggere un quotidiano – ma anche ai bambini, che in quell’edicola compravano riviste per l’infanzia, i libri e qualche giocattolo. Da sempre le edicole hanno un ruolo importante come punto d’incontro dei quartieri, ma anche come punto d’ascolto. Noi siamo infatti partiti dal concetto di lettura, non solo della carta stampata, ma anche del territorio. L’edicola della quale oggi siamo proprietari è una bella struttura longilinea, adagiata sulle mattonelle rosa che delimitano l’angolo tra viale delle Rimembranze di Lambrate e via Conte Rosso. Quando abbiamo notato il cartello «Vendesi», era da tempo che stavamo cercando un progetto da sviluppare insieme, qualcosa che ci permettesse di essere utili al quartiere, e che potesse darci la possibilità anche di divertirci.

Nelle prime riunioni, a casa di Alioscia, frontman dei Casino Royale e gestore di Elita Bar in zona Navigli, eravamo davvero a zero: abbiamo cercato di capire quale potesse essere la via giusta, trovando un equilibrio tra l’attività di vendita di riviste e giornali e un’attività culturale di più ampio respiro. Abbiamo studiato, incontrato i responsabili del Comune di Milano che ci hanno spiegato. Il nostro obiettivo era, soprattutto, l’evitare che quel chiosco diventasse «un residuato del passato, come una sorta di cabina telefonica nell’epoca dei cellulari» (la frase è di Andrea Innocenti, del Sindacato dei Giornalai). Adesso non ci resta che partire.

(*) Dal 15 novembre è in edicola e nelle librerie il settimo numero di Urbano, il magazine dedicato alla cultura dell’urbanistica nato in occasione del centenario di Borio Mangiarotti, società di sviluppo immobiliare fondata a Milano nel 1920. In questa nuova uscita, che sarà presentata anche da Biblioteca Ostinata, con un talk in occasione di BookCity, dedicata ai luoghi del sapere, protagoniste, tra gli altri, sono le edicole, la cui crisi costringe il mercato dell’editoria a un generale ripensamento, dal quale può nascere una più amplia riflessione sugli spazi della città. Pubblichiamo qui uno dei pezzi del nuovo numero, firmato da Michele Lupi.

https://www.rivistastudio.com/edicole-crisi/

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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