Perchè la guerra alla Russia? E la Nato vuole…
… aiutare la UE o suicidarla?
un dossier di Giorgio Monestarolo.A seguire Ennio Remondino (ripreso da remocontro.it) con un video di Nicolai Lilin, sulla propaganda della Nato a base di droni.
SCHEMA DEL DOSSIER
1 Le cause della guerra
2 Le cause profonde della guerra
3 Navigare nel caos
4 Fermare la guerra è possibile
1 Le cause della guerra
Da quando è arrivato Trump la gestione della guerra è mutata. Le notizie si rincorrono in un alternarsi di stop and go nella direzione, apparentemente, di una soluzione del conflitto, di un armistizio o di un suo rilancio.
In realtà, seguendo la cronaca giorno per giorno si percepisce un senso di smarrimento, non si capisce bene effettivamente dove si stia andando. Lo smarrimento è il frutto di una non comprensione delle ragioni, delle cause del conflitto. Il primo punto che vorrei chiarire è proprio questo. Lo faccio riferendomi ad un articolo uscito recentemente sul New York Times, di cui si è parlato molto per un attimo e su cui è poi caduto il silenzio. Il titolo è già molto esplicativo: L’alleanza. Storia segreta della guerra in Ucraina. Il ruolo nascosto degli Usa nelle operazioni militari ucraine contro la Russia. Si tratta di un dossier frutto i di più di trecento interviste a uomini e donne della Nato a cura di Adam Entous e pubblicato il 29 marzo del 2025.
L’importanza dell’articolo è semplice: l’autore riconosce, con dovizia di particolari, la natura di guerra per procura dell’Ucraina alla Russia, guerra per conto degli USA. Una guerra preparata dalle amministrazioni democratiche e repubblicane negli ultimi trent’anni. Non è chiaramente una notizia bomba. Molti studiosi dal febbraio del 2022 hanno sostenuto questa tesi. La novità è il fatto che il giornale dell’amministrazione democratica, il giornale di sistema più prestigioso degli Usa lo abbia dichiarato senza infingimenti di sorta. Il motivo era chiaro: la guerra non è stata vinta anzi è stata proprio persa. Per quali ragioni? Da una parte la responsabilità è stata attribuita agli Ucraini. Malgrado tutto il sostegno Usa e della Nato gli Ucraini hanno continuato a condurre la guerra in modo autonomo, non hanno ascoltato a sufficienza gli alti comandi statunitensi. Quando hanno obbedito si sono visti i successi, come nell’estate autunno del 2022. Quando hanno fatto di testa loro, difesa ostinata e senza motivo di Bacmuth/Artemovsk o ancora peggio, sfondamento delle linee russe nel distretto di Kursk nell’estate del 2024, le operazioni sono state un disastro di tali proporzioni da compromettere l’intera campagna militare. Il tono è chiaro: si accetta la sconfitta ma si scaricano le responsabilità sulle truppe ucraine, sull’alleato borioso e corrotto. L’articolo che sembra un “mea culpa” è in realtà una classica autoassoluzione. L’amministrazione Biden ha fatto tutto per bene, dosando mese dopo mese l’escalation, scegliendo i tempi per allentare la tensione e quelli per alzarla. L’arrivo di Trump è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’insipienza della politica di guerra ucraina e la propaganda di Trump hanno rotto il giocattolo perfetto della guerra, “non provocata e brutale” del dittatore Putin. Per quello che ci riguarda l’importanza dell’articolo è solo nell’ammissione, oramai manifesta, della guerra per procura e dell’impossibilità di vincerla sul campo.
Perché allora la guerra per procura? Semplicemente perché essa si inserisce nella strategia di lungo periodo, democratica e repubblicana, elaborata dal movimento dei neoconservatori, per creare una salda egemonia Usa anche per il XXI secolo. La guerra in altri termini ha una natura squisitamente imperialistica che soltanto il disarmo concettuale della sinistra politica di classe ha reso possibile il fraintendimento.
2 Le cause profonde della guerra
Qualcosa però è andato storto. E’ dunque necessario un chiarimento sulla portata della guerra e sulla sua natura profonda. Nel progetto Usa, la guerra serviva a risolvere tanti problemi. Schiacciare l’Europa (questione Brezinski), disintegrare la Russia in una serie di stati dipendenti dagli Usa e in second’ordine dagli alleati (qualcosa si deve pur dare ai cornuti europei che fanno la guerra contro i loro interessi) riavviare un ciclo di accumulazione impossessandosi delle enorme ricchezze russe, in prospettiva impartire alla Cina una dura lezione: è con noi che devi trattare, non ti azzardare a competere con la nostra industria militare e high tech. In sostanza, dopo la crisi del 2008 gli Usa hanno percepito una crescente debolezza del loro ruolo di dominus della globalizzazione. La loro risposta è stata un’accelerazione nella riorganizzazione del sistema delle relazioni internazionali prima che diventasse troppo tardi. Il problema è che è diventato troppo tardi. Come ogni impero della storia, a un certo punto i costi per esercitare il proprio dominio imperiale sono superiori ai vantaggi. Il momento per una ritirata sensata dell’impero è stata la presidenza Obama: ci si aspettava la chiusura dell’insensata guerra in Afghanistan ed invece c’è stato il rilancio con le primavere arabe e la guerra in Siria. Nel 2008, quindi possiamo rintracciare l’anno di svolta per la storia Usa, della globalizzazione e anche del traballante sistema internazionale.
Arriviamo quindi al punto essenziale, che si riconnette alla questione dell’imperialismo. La natura storica del capitalismo è stata quella di esercitare un dominio, equivalente a sfruttamento del lavoro ed estrazione di risorse naturali praticamente senza pagare costi che non fossero quelli dell’organizzazione delle catene del valore e dello sfruttamento, nei confronti delle società e degli stati del sud del mondo. Ora è questo vantaggio competitivo che caratterizza il capitalismo come estrazione di surplus sostanzialmente infinita. La fase attuale è quella del raggiungimento del limite. Un limite ambientale (le risorse scarse inducono una crisi che assume i tratti del collasso) un limite politico: la globalizzazione ha ribaltato i rapporti di forza, le fabbriche del mondo delocalizzate nel sud globale hanno risalito la scala del Valore e competono su tutti i piani con la potenza egemonica: tecnologia, esercito, finanza.
La natura del ribaltamento di forze spiega la politica altrimenti incomprensibile della nuova amministrazione Trump. I dazi, il tentativo di separare Russia e Cina, lo sganciamento dalla guerra in Ucraina. Ma come dicevo, è un pò troppo tardi. Uscire dal processo della finanziarizzazione dell’economia è sostanzialmente impensabile. I capitali non hanno bandiera. All’annuncio dei dazi i capitali si sono ritirati dalla borsa e NON HANNO PRESO LA STRADA DEL BENE RIFUGIO PER ECCELLENZA, IL DOLLARO. La fuga di capitali annuncia il limite invalicabile alle politiche di reindustrializzazione, almeno così mal concepite dal gruppo di governo Usa.
Cosa significa tutto ciò? In termini pratici, la classe dominante Usa è divisa e incerta sul da farsi: la ritirata sembra impossibile come la fuga in avanti nella guerra. Questa situazione determina l’indebolimento sempre più rapido della potenza egemone e la minaccia sempre più forte di un caos globale, di una guerra generale per stabilire la nuova egemonia.
3 Navigare nel caos
Il senso di smarrimento, di sgretolamento dell’ordine, è evidente, percepito e diffuso a tutti i livelli, in quello che si chiama pomposamente Occidente.
Si abbozzano tentativi per frenare la caduta, anche diversi, come la linea Trump e quella europea sulla questione Ucraina, ma su un punto la consegna è chiara: bisogna impedire a tutti costi il ritorno in campo del mondo del lavoro, dell’idea di un controllo politico sul capitale. Questa tendenza spiega molto bene come i neoliberali siano pronti e disponibili ad allearsi con le forze profasciste: si tratta di prendere tempo, il populismo di destra assorbe il malcontento generato dalla degenerazione del modello neoliberale, ma alla fine i signori del capitale sono convinti di avere loro il controllo del vapore. Nel caso di Meloni, Orban, le Pen le cose stanno effettivamente così. Ma nel caso di un precipitare della crisi, il quadro potrebbe drasticamente mutare e un controllo militare sul lavoro potrebbe tornare all’ordine del giorno. Per ora censura, manipolazione legale, svuotamento dei sistemi elettorali sono sufficienti per continuare la navigazione a vista nel caos.
4 Fermare la guerra è possibile
In Europa, il tentativo di rilegittimare attraverso la guerra una classe politica che ha condotto il continente, con il progetto neoliberale di Unione, ad un fallimento storico è, se lo si vuole, facilmente contendibile.
Il partito della guerra non fa breccia tra le masse popolari perché la minaccia della conquista europea della Russia fa ridere i polli e ad essa non ci crede nessuno. Il riarmo è dunque vissuto come un vero e proprio sopruso che suscita repulsione e disprezzo. Oggi la strada segnata è quella di organizzare politicamente un partito della pace che sia anche, e credibilmente, un partito capace di rivoluzionare, di capovolgere i pilastri del vecchio ordine che sta cadendo. Un partito, inteso come una forza trainante, che sappia dire poche cose ma chiare.
No al riarmo e si alla diplomazia per risolvere le crisi.
Tassazione patrimoniale sui super ricchi.
Nazionalizzazioni e intervento diretto dello stato in economia.
Transizione ecologica a favore dei lavoratori e non contro i lavoratori.
Liberazione della scuola e delle università dalla rete di norme che puntano a privatizzazione, finta meritocrazia, competizione tra individui.
Rilancio dei consumi pubblici e riduzione dei consumi privati, non più sostenibili.
Ferrea opposizione alla politica guerrafondaia e genocida dell’Europa, anche pronti ad uscire da questa Europa che ha tradito tutti i suoi ideali.
Una nuova cultura della tolleranza, del riconoscimento reciproco, contro settarismi, deliri identitari, fughe in avanti frutto di una cultura del consumismo narcisistico.
Questo ultimo punto è particolarmente importante perché ha infettato a tutti i livelli quella che era una volta la sinistra. Soltanto praticando la cultura del riconoscimento e dell’emancipazione (non solo a chiacchiere) è possibile costruire quel partito rivoluzionario della pace di cui c’è urgenza assoluta. I nemici di classe sono confusi e indecisi. Ma anche noi lo siamo. Abbiamo davanti un tempo limitato. E’possibile che ai proclami bellicisti si dia seguito concreto. Il riarmo è il primo passo. La guerra il secondo. Cerchiamo l’unità e la chiarezza prima dei nostri avversari e potremo imprimere una svolta al nostro destino.
La Nato americana va a difendere l’Europa o a suicidarla?
di Ennio Remondino (ripreso da remocontro.it). A seguire un video di Nicolai Lilin, sulla crescente propaganda della Nato a base di droni.
L‘Europa alla prova dei droni, con Zelensky ‘ospite’ al vertice di Copenaghen che spinge sul 19esimo pacchetto di sanzioni antirusse. ‘Le contraddizioni di Trump azzoppano la NATO per annichilire l’Europa’, denuncia Analisi Difesa. Trump ‘Un catalogo completo di sindromi psichiatriche’ per il Fatto Quotidiano. Altra sintesi efficace: «Bellicosa con Mosca, sottomessa con gli Usa, compiacente con Israele: l’Europa come regno dell’ipocrisia». Possibile che i leader europei non sospettino che la Casa Bianca non persegua obiettivi a nostro danno?
Trump, nel sostenere che le nazioni della NATO dovrebbero ‘abbattere gli aerei russi se violano il loro spazio aereo’, definisce l’Alleanza Atlantica come una organizzazione diversa dagli Stati Uniti che della NATO sono (o erano) azionisti di maggioranza. «Voi siete la NATO, noi gli Stati Uniti». Alla Marchese del Grillo: ‘io sono io e voi non siate un cazzo’. E alla domanda se gli Stati Uniti aiuterebbero in armi gli alleati europei contro la Russia: «dipende dalle circostanze».
Demenziale macchina propagandistica
La demenziale macchina propagandistica che anche in Italia punta a riscaldare la guerra fredda con la Russia utilizzando le supposte violazioni dello spazio aereo NATO è in moto. In prima pagina su Repubblica: «I caccia della NATO respingono incursioni dei jet russi sull’Alaska e al confine lettone». Per La Stampa i jet russi erano stati «intercettati in Alaska e Lettonia». Per Il Giornale «Mosca provoca con droni e jet». Mentre il ministro degli Esteri russo Lavrov denuncia all’Onu «come la NATO e l’Unione Europea vogliono dichiarare, e hanno già dichiarato, una vera e propria guerra alla Russia e vi partecipano direttamente».
Ma siamo matti? Contaballe senza ritegno
Il Fatto Quotidiano quasi solo: «Ogni giorno un falso pretesto per la guerra». Verifica sulle ‘violazioni russe’ nei cieli della NATO. Quattro caccia F-16, hanno raggiunto bombardieri Tu-95 e caccia Su-35 nell’area di ‘identificazione aerea’ nello Stretto di Bering, esterna agli spazi aerei nazionali, dove russi e americani controllano ogni movimento aereo militare della controparte. Nessuna violazione russa dello spazio aereo americano. Due caccia JAS-39 ungheresi schierati in Lituania, decollati per ‘identificare’ tre MiG-31. Col comando NATO a precisare che gli aerei russi non hanno violato lo spazio aereo lettone. Allarmismi utili ai paesi baltici per non perdere i finanziamenti degli Stati Uniti.
Droni a guida incerta, pericolo per tutti
Certo nei tre anni e mezzo di guerra qualche drone russo ma anche missili e droni ucraini sono caduti oltre i confini polacco, rumeno, ungherese, moldavo (persino in Croazia, dove cadde un drone ucraino nel 2022) ma a causa di guasti o deviati dalle contromisure elettroniche. Il reale e il ridicolo. «L’incursione di uno sciame di droni russi a Gerbera in Polonia è sprofondata nel ridicolo appena sono apparse le immagini dei droni tenuti insieme dal nastro isolante e atterrati nei campi e sul tetto di una conigliera». Dubbio di Analisi Difesa, «velivoli probabilmente caduti in Ucraina e rimessi in sesto per farli volare su Bielorussia e Polonia per mettere in scena una commedia finita in farsa».
Fronte baltico in cerca di guerra
Anche la tanto reclamizzata violazione dello spazio aereo estone ad opera di 3 Mig-31 riconosciuti e scortati dagli F-35 italiani, non sarebbe stata una violazione volontaria o provocatoria dello spazio aereo stando alle informazioni fornite dalla NATO, tenuto conto che in quell’aerea le vie aeree utilizzabili dai russi sono limitate e strette, come ben sanno tutti i piloti che hanno volato in quei cieli. Il Comandante supremo della NATO in Europa, il generale Alexus Grynkewich, ha spiegato come l’incursione russa in Estonia fosse probabilmente accidentale, dovuta alla scarsa esperienza e formazione dei piloti russi.
Ma i droni che bandiera battono?
E i droni russi sugli aeroporti di Oslo e Copenhagen? Nessuna prova che fossero russi e nessun dettaglio sui modelli. Unica cosa certa, oggi ammessa anche dalle autorità danesi e norvegesi ma subito anticipata dagli esperti di traffico aereo: si tratta di droni fatti decollare da sconosciuti nei pressi degli aeroporti. Chiunque avrebbe potuto farlo. Il ministro della Difesa danese Troels Lund Poulsen, ha ammesso che «non ci sono prove contro Mosca» ma poi, patriottico, ha affermando che «azioni ostili di questo tipo potrebbero avere l’obiettivo di minare il sostegno all’Ucraina». Non il contrario come appare logico.
Gli attacchi hacker agli aeroporti?
Gli attacchi hacker agli aeroporti del Nord Europa attribuiti ai soliti russi, erano opera di un cyber criminale britannico. Le ridicole dichiarazioni di Andrius Kubilius, ex premier lituano e attuale commissario Ue per la Difesa e lo Spazio per il quale «le interferenze del segnale Gps stanno diventando un problema molto diffuso e oggi circa il 40% dei voli in Europa attraversa aree disturbate da apparecchiature russe. Si tratta di un fenomeno davvero di ampia portata». Le stesse interferenze GPS che avrebbero sabotato l’aereo del presidente della Commissione von der Leyen in atterraggio in Bulgaria, smentite categoricamente dalle autorità di Sofia.
Per Trump ucraini al massacro
Per Analisi Difesa in contesto di certi volta faccia è grave: «Se Trump esorta le nazioni della NATO ad ‘abbattere gli aerei russi’ i casi sono due: o anche questo presidente statunitense ha perso la lucidità o vuole mandare gli europei allo sbaraglio contro la Russia per darle il colpo di grazia». Peggio: «Che quella in corso sia l’ultima guerra contro l’Europa non è da trascurare. In fondo questa guerra è stata concepita fin dal 2014 per colpire l’Europa per indurla prima con le buone (sanzioni) e poi con le cattive (esplosione del Nord Stream) a rinunciare all’energia russa per poi costringerla a logorarsi nel confronto militare con Mosca. Come spiegarsi diversamente queste affermazioni di Trump?
Azzardo paranoico
«Penso che l’Ucraina, con il sostegno dell’Unione Europea, sia in una posizione di combattere e riconquistare i suoi territori. Con tempo e il sostegno finanziario e della NATO, i confini originali di quando la guerra è iniziata, sono un’opzione». L’Ucraina non ha prospettive militari che possano anche solo lasciare la speranza di riconquistare quel 20 per cento di territorio perduto (Crimea inclusa) né, continuando a combattere, evitare di perdere ulteriori porzioni di territorio. Evidente, con molte roccaforti semi circondate dai russi e capacità militari in costante calo con la popolazione in povertà che fugge all’estero o si nasconde nelle cantine per non farsi arruolare.
Sconfitta Ucraina e dell’Europa
«Quindi occorre chiedersi se Trump non stia in realtà puntando a far terminare la guerra velocizzando la sconfitta dell’Ucraina e, con essa, la disfatta dell’Europa». Mai dimenticare che Trump e il suo vice Vance sono ben consapevoli che la gran parte dei governi europei odiano ideologicamente l’amministrazione statunitense, che a sua volta è consapevole che la sconfitta dell’Ucraina sarà anche la disfatta dei vari Merz, Starmer, von der Leyen, Macron… Lo sanno gli Stati Uniti, lo sanno i mediocri leader citati, destinati ad una ingloriosa uscita di scena. Le ‘guerra lampo’ millantate da Trump.
Russia ‘tigre di carta’?
La Russia ‘tigre di carta’ in una guerra che doveva vincere in una settimana, afferma Trump. Dimenticando le guerre Usa infinite e senza vittoria: dal Vietnam all’Iraq fino all’Afghanistan da cui proprio Trump negoziò il ritiro statunitense con i Talebani. Oltre a una narrazione basata sulla debolezza economica della Russia e la sua incapacità militare che hanno dominato per tre anni la narrazione di Biden. Mentre si coltiva la fobia dell’Europa per un’invasione russa che potrebbe cominciare tra un mese o tra tre, quattro o cinque anni, a seconda dei diversi personaggi politici e militari che si avventurano in questi pronostici.
‘Tigre di carta’ ad invadere l’Europa?
Propaganda raffazzonata e sempre meno credibile. Se la Russia è una ‘tigre di carta’ come potrà invadere l’Europa? Se non è una vera potenza perché dovremmo effettuare un forsennato riarmo per difenderci da essa? L’ipotesi che Trump possa fingere di provocare Putin per galvanizzare il venditore Zelensky (che porta contratti per forniture militari agli USA facendole pagare alla NATO, cioè agli europei) e dare il colpo di grazia ai concorrenti europei non dovrebbe venire sottovalutata. Mentre il segretario generale della NATO Rutte che ha chiamato Trump ‘paparino’ (daddy) è favorevole ad abbattere velivoli russi intrusi.
Nato caricaturale di Rutte
Ma intanto ‘paparino’ sta negoziando con i russi l’estensione del trattato sulle armi nucleari New START, il bando allo sviluppo di armi biologiche, il ritorno delle compagnie petrolifere Usa nello sfruttamento dei giacimenti siberiani (mentre agli europei chiede di rinunciare all’energia russa), e accordo di cooperazione spaziale. «Trump sta scaricando sugli europei (la NATO) il fardello della guerra in Ucraina mantenendo il business delle forniture militari a caro prezzo». Azzoppare l’Europa e toglierla di mezzo come competitor economico e commerciale è uno dei pochi obiettivi condivisi dalle amministrazioni Obama, poi Trump, Biden e Trump bis.
Forse nella Storia nessuno si era mai piegato così a una potenza esterna senza esserne stato prima pesantemente sconfitto militarmente. Se in Europa è rimasto qualche statista sarebbe il caso di rifletterci un po’ sopra.