Philippe Sands, Michael Tomasello, Lucio Bellomo con…

…Jo Nesbø, Don Winslow – sei recensioni di Valerio Calzolaio

 

Città di sogni – Don Winslow

Traduzione di Alfredo Colitto

 

HarperCollins Milano 2023 (orig. City of Dreams)

Pag. 382 euro 22 (dopo la fine a pagina 354, si può leggere l’anteprima del prologo e del primo capitolo del terzo e ultimo volume della trilogia, Città in rovina)

 

Dalla East Coast alla California e al Nevada. Fine 1988 – aprile 1991. Danny Ryan, poco più che trentenne, cuore tenero e spalle larghe, un metro e ottantatre, capelli castani ribelli verso il rossiccio, è in fuga, con il vecchio padre Marty (quasi sempre ubriaco e mezzo cieco), il piccolo figlio Ian di diciotto mesi e i pochi amici rimasti vivi. Vengono da Providence, Rhode Island, dove da agosto 1986 al Natale 1988 vi è stata una guerra, la miccia si è accesa per una donna, una scintilla casuale per un incendio che comunque covava. Prima le comunità (anche criminali) irlandesi (la sua) e italiane erano state alleate per generazioni, fronte comune (civile e fuorilegge) contro altri, pubblici e privati: gestivano insieme il New England. Loro ne escono sconfitti. Lui ha rubato, picchiato e ucciso per difesa tre uomini (un poliziotto corrotto poco prima); era un aiutante, è divenuto un capo; ha visto morire di cancro l’amata moglie Terri e tante persone care; infine ha buttato nell’oceano dieci chili di eroina (per un valore di due milioni di dollari). Hanno preso poche cose e due auto, si disperdono poveri e affranti verso ovest. Devono mettere più distanza possibile dai Moretti, dalla polizia cittadina e statale, dai federali, da traditori e trafficanti. Danny chiama l’anziano boss italiano Pasquale Pasco Ferri, col quale ha sempre mantenuto buoni rapporti, gli dice che non ha la droga e vuole solo ricominciare altrove. Ci prova a San Diego, lavori in nero (ora da barista), profilo defilato (con baffi ridicoli), sempre all’erta, fa il padre. Finché potenti Dea-Fbi lo ricattano imponendogli una remunerativa missione armata contro un narcotrafficante, pur potendosi poi tenere molto. Finché per caso scopre che stanno facendo un film a Hollywood sulla loro guerra a est. Finché non viene chiamato sul set a dirimere problemi. Finché non nasce amore con l’attrice.

Secondo magnifico atto della nuova trilogia (già tutta scritta) dell’eccelso scrittore americano Don Winslow (New York, 1953) che all’uscita del primo ha anche repentinamente annunciato (e finora confermato) il successivo ritiro dalle scene letterarie. Il libro è uscito in contemporanea in decine di paesi, subito avanti nelle classifiche, a primavera 2023 Winslow sta gioendo per il notevole successo di critica e di pubblico, mentre si sfinisce dedicandosi giustamente a tempo pieno a impedire la possibile rielezione di Trump nel 2024. Come spesso in precedenza, la narrazione è in terza varia al presente, anche qui vi sono tre parti (“Terre deserte” dalla fuga di fine 1988; “Quadri senza vita” dalla seconda fuga dopo la ricca rapina per i federali dal novembre 1989; “cosa vogliono le anime dei morti” dopo la fuga dall’attrice a la morte del padre dall’aprile 1991), ognuna con esergo tratto dall’Eneide di Virgilio, ognuna con vari capitoli (in tutto ventidue) e ficcanti dialoghi, che ricostruiscono quanto trascorso dai vari punti di vista e seguono in diretta i tanti personaggi su molteplici scene e fronti. Volutamente, niente di esatto storicamente, tutto plausibile oggi, minuziosamente basato sulla classica antichissima epopea di Enea. Il primo sogno del titolo è proprio la migrazione forzata verso le città della West Coast, “il fottuto sogno americano”, legato poi al nomignolo di Los Angeles, “la città che preleva le fantasie dai nostri cervelli e le colloca a dieci metri di altezza” (la grotta di Cartagine con i murali che descrivono la guerra di Troia). Di continuo l’autore dispensa efficaci misurati inserti biografici, funzionali alla storia, in particolare anche qui su donne cruciali: Madeleine (Afrodite) la mamma che aveva abbandonato Danny da piccolo e ora fa a Las Vegas la potente nonna protettiva di Ian (Ascanio) e del figlio; l’irlandese Cassie Murphy, sorella maggiore di Terri, già abusata da ragazzina che ora finisce per legarsi all’indebolito capo italiano Peter Moretti; la meravigliosa sensibile fragile attrice Diane Carson (Didone), bionda, tette grandi, occhi azzurri, una nuova Marilyn; Reggie Moneta, la vendicativa direttrice dell’FBI per il crimine organizzato. L’industria cinematografica e la classe criminale s’intersecano spesso. Segnalo la cittadina Winslow sulla strada americana verso ovest, a pag. 43. Vodka o whisky, dipende. Canzoni irlandesi d’epoca, con Danny che continua pure a incantarsi con forse il più grande poeta americano contemporaneo, il boss Bruce Springsteen. Su Winslow ho scritto saggi (fra l’altro sul magazine scientifico patavino: https://ilbolive.unipd.it/it/news/don-winslow-alta-letteratura-politica-quotidiana-1, https://ilbolive.unipd.it/it/news/don-winslow-alta-letteratura-crime-politica), dovremo tornarci sopra al termine della trilogia, intanto il secondo non è meno capolavoro del primo. Imprescindibile, da leggere.

 

 

Luna rossa – Jo Nesbø

Traduzione di Maria Teresa Cattaneo, Stefania Forlani e Eva Kampmann

Einaudi Torino 2023 (orig. 2022 Blodmåne)

Pag. 586 euro 21

 

Oslo. Da metà settembre a inizio ottobre 2022 (mascherine ancora attive in Europa). Il 30 agosto due belle ragazze sono scomparse dopo una festa lussuriosa a casa del 66enne magnate immobiliare Markus Røed. Non si conoscevano fra loro pur essendo entrambe amanti dipendenti da lui: la 26enne bionda Suzanne Andersen e la 27enne castana Bertine Bertilsen. Quella sera Katrine Bratt dell’Anticrimine (mamma single di Gert, tre anni, storia complicata alle spalle) e Sung-min Larsen della Kripos (sudcoreano adottato e gay) devono andare dove è stato trovato il cadavere della prima. Ben presto scoprono che le è stato asportato il cervello. Gli organi di informazione sono scatenati e “Dagbladet” sembra stare sempre un passo davanti agli altri, merito del viscido Terry Våge. Harry Hole è lontano, cane bastonato e solitario, fuggito a Los Angeles, lasciando una vita in rovina, una moglie assassinata, un collega che si era suicidato. Alto magro pallido severo, iridi azzurre, capelli corti e biondi spruzzati di grigio, una protesi di metallo al dito medio sinistro e una cicatrice color fegato dalla bocca all’orecchio, Harry vive stabilmente alcolizzato. Al bar aveva conosciuto una piccola ex attrice 72enne che gli ricorda la madre, si chiama Lucille Owens, beve molto ed è piena di debiti. L’aveva difesa dagli esattori e adottato per tre settimane un Moderation Management dell’alcol per farle la guardia. Lo chiama Johan Krohn, avvocato di Røed, per incaricarlo di indagare in difesa del cliente, risponde no. Poi però rapiscono Lucille e lo ricattano: la uccideranno se non consegna 960 mila dollari entro dieci giorni. Richiama il legale e parte per la Norvegia. Mette su un’improbabile curiosa squadra di reietti e ci prova. Saranno guai per tutti.

Jo Nesbø (Oslo, 1960), già calciatore di A, giornalista, chitarrista e paroliere (spesso negli stadi con la sua band Di Derre) scrive da oltre venti anni ottimi lunghi romanzi della serie HH, enorme costante successo mondiale, questo è il tredicesimo, ormai siamo tutti tragici holeomani. L’autore narra ancora in terza varia e mossa al passato, su tutti gli investigatori e vari personaggi, spesso anche sull’assassino (giocando sul soprannome poco conosciuto, Prim, alla fine autore di sei omicidi). Fra l’altro, ai lati delle scene aleggia sempre un prete con collarina e, in fondo, si annuncia come al solito la prossima indagine su un cadavere fatto a pezzetti minuscoli. È un grande noir sull’odio struggente e sul miscuglio con l’amore (pure paterno materno filiale), talora lucido. L’affinata terza persona consente garbati espedienti letterari, invertendo spesso a sorpresa (e ad arte) l’attribuzione della suspense sulla scena, con flash sul passato (nei 53 capitoli pluriavvenimenti in quindici giorni) e l’annunciata fatidica eclissi delle 22.35 del primo venerdì d’ottobre sempre in primo piano, da cui i titoli norvegese e italiano, e detta anche “luna di sangue”. Ancora una volta la trama è arzigogolata e avvincente, un sapiente essere animato che ti avviluppa con cento intelligenti fili narrativi ed emotivi, turpi e toccanti. Harry resta il leggendario poliziotto che conosciamo, stanare i criminali cattivi è la sua unica implacabile missione, con metodo e morale: “non credeva a niente. Qualunque cosa avessero detto gli altri, avrebbe avanzato un’ipotesi alternativa, solo per mostrare loro che le alternative esistevano…per mantenere la mente aperta”. I fili conduttori sono biologici e antropologici, i parassiti e le bugie. Ampio spazio viene riservato all’amata Oslo (in trasformazione), in particolare a Edvard Munch, soprattutto per il nuovo enorme museo dedicatogli, struttura criticata praticamente all’unanimità, e per Il tronco giallo, il quadro del 1912. Superalcolici e vini in gran quantità, il bianco più importante è il Remoissenet Chassagne-Montrachet del 2018. Tanti musicisti (soprattutto chitarristi e alcolizzati), talora attraverso playlist, risaltano come al solito Bowie e Cohen.

 

 

33 isole. A vela in solitaria alla scoperta del loro futuro. Da Ustica a San Pietro – Lucio Bellomo

Mursia Milano 2023

Pag. 388 euro 19

 

Mediterraneo occidentale, Tirreno. 15 aprile – 26 giugno 2018. Ustica, Alicudi, Salina, Lipari, Vulcano, Filicudi, Panarea e Stromboli nell’insulare Sicilia settentrionale, Capri, Procida e Ischia in Campania, Ventotene e Ponza nel Lazio; Isola del Giglio, Isola d’Elba, e Capraia in Toscana, Palmaria in Liguria, La Maddalena, Sant’Antioco e San Pietro nell’insulare Sardegna orientale, sono le venti isole italiane abitate, raggiunte cinque anni fa in poco più di due mesi da un colto navigatore solitario palermitano, attraverso la prima parte di un unico avventuroso viaggio in barca a vela. Scopriamo bene perché e cosa è accaduto, conosceremo meglio il mare e i sapiens, le nostre isole e la nostra terraferma, il passato e i possibili futuri della biodiversità umana. Nel Mediterraneo gli ecosistemi insulari sono da millenni avamposti della connessione non solo tra differenti specie vegetali e animali ma soprattutto tra i differenti gruppi e popoli della nostra specie, piccoli gruppi che vi continuano a vivere in età moderna e contemporanea nonostante le molte peculiari difficoltà e le crescenti disparità con i sovraffollati contesti urbani e metropolitani continentali. Bellomo ha pianificato tappe e incontri, attrezzato il barchino Maribelle (6 metri e 15 di lunghezza, una vela centrale con albero di 7 metri, un motore elettrico sormontato da pannello solare, nessun posto letto) e organizzato una rete di sostegno e collaborazione; poi è partito con lo scirocco primaverile, proseguendo in mezzo al mare di approdo in approdo sulle isole, senza mai sbarcare in terraferma. Il volume attuale costituisce così una delle multimediali memorie di un’esperienza unica ed esemplare, da meditare e comparare.

Lucio Bellomo (Palermo, 1983) si è laureato in ingegneria elettronica e per una decina di anni ha seguito la carriera universitaria fra la Sicilia e Parigi nel campo dell’oceanografia fisica, divenendo dottore di ricerca e poi professore associato a Tolone in Francia. Successivamente e senza salvagenti, ha deciso di abbandonare tutto, è divenuto istruttore di immersioni subacquee a Ustica, ha lavorato un paio d’anni alle Maldive in un resort, finché non si è dedicato completamente alla complicata inedita impresa di cui ora racconta nel libro, una complessa avventura geografica, ecologica, culturale e anche un poco politica. La prefazione dell’amico siciliano, consulente finanziario e noto scrittore, Isidoro Meli (Palermo 1977) presenta efficacemente l’autore (partendo dal libro di Gavin Francis, egualmente e diversamente affetto da isolo-filia, uscito fra il viaggio concreto di Bellomo e la pubblicazione della successiva narrazione) e chiarisce gli obiettivi dell’impresa antropologica: incontrare i coraggiosi e mirabolanti  visionari che stanno provando a praticare formule (logistiche, finanziarie, umane) di esistenze isolane economicamente sostenibili nel breve, medio e lungo periodo. L’autore stesso elenca subito i personaggi incontrati, quattro o cinque per ogni isola: operatori turistici e culturali, maestre, artisti e artiste di varia attività, naturalisti, guide e istruttori, marittimi. Nella premessa ricostruisce l’origine dell’idea e tutto il faticoso fantasioso percorso per renderla praticabile, la sola concreta preparazione ha successivamente occupato l’autunno e l’inverno 2017-2018. Seguono i venti capitoli cronologici delle isole, l’arrivo e il transito, gli incontri e i principali dialoghi, gli spunti e le proposte in ciascun specifico contesto. All’inizio Bellomo aveva scritto di considerare le Maldive un’isola-prigione, abbastanza estranea al suo desiderio di libertà e navigazione. E non mancano riferimenti agli usi storicamente detentivi nelle isole dell’agognato Mediterraneo, anche per le complicazioni attuali di permessi di approdo: mancano così Pianosa e Gorgona fra le venti, per fare un esempio (e manca l’Asinara fra le trentatre dell’intero viaggio, esperienza che forse sarebbe stata particolarmente utile). Il diario è avvincente, corroborante e stimolante.

 

 

 

Dalle lucertole all’uomo. Storia naturale dell’azione – Michael Tomasello

Traduzione di Silvio Ferraresi

Raffaello Cortina Milano – 2023 (orig. 2022 The Evolution of Agency. Behavioral Organization from Lizards to Humans)

Pag. 215 euro 20

 

Da circa tre miliardi di anni in avanti, non linearmente. Gli esseri viventi si distinguono dai non viventi non tanto per una sostanza, o un’entità, animante, quanto per un tipo speciale di organizzazione chimica che li rende almeno in parte individualmente agentivi, con qualche grado di libertà per un’organizzazione di azioni (tra le quali movimenti autoprodotti) che favoriscono sopravvivenza e riproduzione. I comportamenti di quasi tutti gli organismi vitali sono attuati simultaneamente su molteplici livelli psicologici gerarchici, solo alcuni sotto il controllo del singolo individuo. Tale flessibilità comportamentale (basata su un qualche giudizio e una qualche presa di decisioni) non implica necessariamente l’apprendimento. L’agentività non è semplicemente un’altra abilità comportamentale o cognitiva specializzata, quanto piuttosto il quadro organizzativo generale entro cui gli individui viventi formulano e producono le proprie azioni. Considerato ormai acquisito che anche il comportamento sociale umano ha una base evolutiva (il che non implica alcun determinismo), l’evoluzione ha creato sia meccanismi utili in senso generale sia specifiche soluzioni funzionali a pressioni e sfide ecologiche altrettanto specifiche. Per altri versi, come noto, la psicologia umana è composta da molteplici meccanismi computazionali specializzati, dominio-specifici, ciascuno dei quali si è diacronicamente evoluto per risolvere uno specifico problema adattativo. Appare dunque indispensabile comparare gli esseri umani con le altre specie animali e ricostruire il percorso evolutivo verso la sapiente agentività psicologica umana, la nostra.

Il grande psicologo evoluzionista statunitense Michael Tomasello (Bartow, Florida, 1950) è co-direttore al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia e ha avviato un interessantissimo progetto di ricerca di cui l’ottimo chiaro testo appena uscito costituisce fondamento scientifico teorico e programma di lavoro sperimentale. Tomasello esamina quattro tipi principali di agentività psicologica (architetture organizzative riguardanti la presa di decisioni e il controllo comportamentale) in quattro taxa rappresentativi di importanti antenati dell’essere umano (comprese specie estinte) in ordine di comparsa evolutiva (l’ipotesi è che siano intervenute in risposta ad altrettanti tipi di incertezza e interazione sociale): appare comunque diretta a uno scopo quella negli antichi vertebrati; almeno intenzionale quella negli antichi mammiferi; ormai razionale nelle antiche grandi scimmie; infine socialmente normativa già negli antichi umani. La novità rispetto ai primi organismi sul pianeta Terra, che erano attori biologici ma non agenti psicologici, va probabilmente fatta risalire a dopo l’esplosione del Cambriano, circa cinquecento milioni di anni fa, agli organismi con “corpi adattativi complessi”, bisognosi (per difendersi o fuggire) di modi più efficaci per controllare flessibilmente le proprie azioni. A quel punto forse compare la decisiva organizzazione di controllo a feedback: i primi vertebrati di acqua (i pesci) e di terra (gli anfibi e quindi i rettili) cominciano ad aggiungere una propria nicchia esperienziale alla nicchia ecologica esterna. Così, dopo i primi due capitoli introduttivi, seguono i quattro capitoli dedicati alle lucertole (da cui il titolo italiano e il sottotitolo americano) e ai rettili, ai primi mammiferi, alle grandi scimmie, infine agli umani collaborativi da qualche milione di anni e alla formazione coi sapiens anche di un’agentività collettiva (in gruppi culturali distinti). La comunicazione dei concetti è curata ed efficace (con alcune illustrazioni); costanti sono i riferimenti a teorie, modelli ed esperimenti; le sei affermazioni conclusive risultano fertili e stimolanti; ottimi anche gli apparati.

 

 

 

MessicoAutori vari

Iperborea Milano 2023 (testi 2023, uno 2021, uno 2018)

 

Messico. Oggi. 1.972. 550 km², 129 milioni di abitanti nel 2022 (densità 65), capitale oltre 22 milioni, principio di non rielezione (per esempio a Presidente), dodici vulcani attivi (e il vulcano Pico de Orizaba è la cima più alta, 5675 metri), esportazione in gran quantità di argento, avocado, birra, frutta tropicale e pomodori (circa l’80% dell’insieme dei prodotti esportati vanno negli Usa). Il Messico è il paese con il maggior numero di madrelingua spagnoli (quasi 125 milioni), quello in cui sono stati uccisi più giornalisti negli ultimi cinque anni 2018-2022, uno di quelli in cui si lavorano più ore annuali per persona ma si realizza meno PIL per ora di lavoro, quello in cui il consumo medio di bibite zuccherate analcoliche è più alto al mondo (e il Chiapas alza enormemente la media), quello in cui la percentuale di donne in parlamento è superiore a Giappone, Usa, Regno Unito, Italia, Svezia e a vari altri. Come al solito, a introdurre il nuovo volume The Passenger “per esploratori del mondo” dedicato al Messico, la parola si dà innanzitutto ai numeri. Impossibile non decidere poi di leggere il resto, magari di visitarlo, forse di tornarci presto. Purtroppo, anche il nuovo presidente “populista di sinistra” Andrés Manuel López Obrador, nonostante la retorica dei “più abbracci, meno pallottole”, segue quella lunga tradizione (locale e non solo) che preferisce imporre le soluzioni piuttosto che ascoltare la volontà dei cittadini. Tuttavia, i maya, i mexica, gli zapotechi, i mixe e decine altri popoli originari non sono stati spazzati via dalla conquista, né dalla repressione statale. Solo riconoscendo anche loro come messicani, la maggioranza criolla potrà forse risolvere la propria contraddizione costitutiva e schizofrenica: essere allo stesso tempo europei e americani, conquistatori e conquistati, carnefici e vittime. Proviamo ad approfondire.

La collana è ormai nota e molto apprezzata, commissiona o raccoglie articoli recenti su luoghi umani del pianeta (città, paesi ed ecosistemi) in bei volumi illustrati e vuol farci meglio capire, partendo sempre da temi d’attualità. Il volume è ricco di foto (d’autore, Fabio Cuttica), dati, grafici, schede (fra l’altro, sugli ultimi quattro presidenti), infografiche (originali e ben leggibili). Si possono così leggere brevi godibili interessanti saggi del sociologo giornalista Juan Villoro sulla presenza ingombrante e ambigua dei militari, dei cartelli del narcotraffico e degli Stati Uniti; del giornalista spagnolo Jacobo Garcia sull’attività di playear, la ricerca dei panetti di droga spinti dal vento sulle rive caraibiche; dalla linguista e ricercatrice Yasnaya Elena A. Gil sulla riappropriazione della lingua indigena ayuuik (ovviando così anche al monolinguismo spagnolo); della poetessa e drammaturga Carmen Boullosa sulla visitatissima basilica della Nostra Signora di Guadalupe, una straordinaria personalità religiosa doppia e meticcia (Maria, madre di Gesù, e Tonantzin, madre di tutti gli dei della cosmogonia preispanica); dell’esperto italiano testimone di migrazioni messicane Federico Mastrogiovanni sul nesso Tijuana – San Diego; oltre che tanti altri articoli di giornalisti e studiosi sulla sotterranea atzeca Tenochtitlan e sull’eredità precolombiana di Città del Messico, sul discutibile megaprogetto di treno maya, sulla persistente terribile piaga dei femminicidi, sul riso nella gastronomia e nella cucina messicane, su Guadalajara, il Jalisco e la tequila (Pino Cacucci), sul mito di Frida Khalo (Valeria Luiselli). A chiusura un’appendice con spunti sulle sciamane, consigli d’autore per i libri, una playlist e una breve bibliografia.

 

 

L’ultima colonia. Sullo sfondo della decolonizzazione la storia di un popolo che lotta per la sua terra – Philippe Sands

Traduzione di Elisa Banfi

Guanda Milano 2023 (orig. The Last Colony. A Tale of Exile, Justice and Britain’s Colonial Legacy 2022)

Pag. 277 euro 19

 

1966 – 2022. Arcipelago delle Chagos, svariati atolli corallini con innumerevoli isole, sette delle quali abitate fino a pochi decenni fa, le più note sono Île du Coin (atollo pulviscolare di Peros Banhos), Six Iles (la più popolosa), Diego Garcia (la più grande). Per cortesia, osservate le tre mappe nelle prime pagine: 12-13, 14 e 15. Siamo nell’oceano Indiano, più o meno alla stessa lunga distanza sia da India e Sri Lanka (a nord) che da Madagascar e Mauritius (a sud-ovest). Ci troviamo su uno splendido minuscolo arcipelago di fertili terre insulari ampie circa 56 km², antropizzato da millenni e da secoli occupato da paesi europei, uno dopo l’altro: Portogallo, Olanda e quindi Francia, che iniziò a usarlo per produrre olio di copra dall’essicazione della polpa del cocco delle piantagioni di palme, lavoro di schiavi e schiave lì immigrati forzatamente e appositamente. Le Chagos confinano pure con le Maldive (qualche centinaia di chilometri a nord) e perlopiù furono considerate “annesse” alle Mauritius, infine come una colonia inglese (trovandosi comunque a circa 2 mila chilometri da quell’altro grande arcipelago di oltre 2000 km², ovvero più che da Napoli sul mediterraneo Tirreno ad Amburgo sull’atlantico mar del Nord, non via terra poi, ma via mare). Mauritius è dal 1968 e ancor oggi una repubblica indipendente, il Regno Unito si è tenuto illegalmente le Chagos: tutti i 1500 abitanti sono stati deportati nel 1973 e subito dopo Diego Garcia è stata “affittata” agli Usa per costruirvi una grande base militare americana, marina e aerea, ben operativa da decenni (flotta, bombardieri, forze di intervento rapido e prigione di transito e interrogatorio di prigionieri presunti terroristi). Della vicenda si è occupato negli ultimi anni il Tribunale Onu dell’Aia.

Il pluripremiato docente e avvocato inglese Philippe Sands (Londra, 1960) è uno dei massimi esperti mondiali di diritto internazionale, spesso impegnato in processi di competenza della Corte penale internazionale, fra cui quello per l’estradizione di Pinochet e quelli descritti in tanti autorevoli articoli e nei precedenti importanti saggi (tradotti i due sul nonno Leon Buchholz fra gli ebrei perseguitati dai nazisti a Leopoli con il successivo processo di Norimberga e sui criminali di guerra nazisti fuggiti anonimi in Sudamerica con il caso della morte di Wächter a Roma). In più punti della sua ultima puntuale opera fa riferimento al percorso accademico e professionale che lo ha condotto all’incarico di seguire la terribile vicenda della Chagos da parte del governo di Mauritius, quando nel 2010 il governo del Regno Unito annunciò la creazione di una vasta riserva naturale in quell’area, una disonesta cortina fumogena per impedire una volta per tutte il ritorno dei chagossiani sul proprio territorio insulare. Per ricostruire gli eventi con precisione ed emozione Sands riporta spesso ricordi e commenti di Madame Liseby Elysé, nata il 24 luglio 1953 e vissuta felicemente a Peros Banhos fino a venti anni, poi dal 27 aprile 1973 mandata via da casa sua con la forza insieme a parenti, amici e a tutti i “concittadini” (nel settembre 2018 ha testimoniato durante le udienze orali davanti alla Corte dell’Aia). Il testo è fatto molto bene, stile colloquiale e godibile, ricco di cultura giuridica e passione civile. Il prologo racconta i giorni convulsi e il contesto affettivo della testimonianza ufficiale di Madame Liseby. Seguono cinque capitoli storici intitolati a una data (1945, 1966, 1984, 2003, 2019) e capaci di riassumere efficacemente la nascita dell’Onu e l’avvio di convenzioni e accordi relativi alla decolonizzazione (facendo emergere con chiarezza le durature ideologie coloniali), la titolarità legale sull’arcipelago in una dinamica prevaricatrice rispetto ai sapiens che lo abitavano, le dinamiche geopolitiche dei paesi coloniali fra di loro e rispetto all’Onu (con frequenti opportuni riferimenti al Sudafrica), ricorsi e processi che hanno infine legalmente riconsegnato le Chagos ai chagossiami e a Mauritius, senza che il Regno Unito dia tuttavia ancora corso alle decisioni, con rara protervia. L’epilogo aggiorna la situazione al 2022, narrando anche i viaggi che per qualche giorno hanno consentito di ritrovare le case e le chiese, i cimiteri lasciati. Ottimi anche gli apparati: crediti iconografici e bibliografici, note dettagliate, indice analitico.

 

Se c’erano chagossiani le isole erano abitate: un terribile misfatto coloniale – Valerio Calzolaio

Il Sudafrica uscì definitivamente dall’apartheid organico e legale nel 1991, decenni di discriminazione razziale istituzionale di sapiens di incarnato più chiaro verso altri di incarnato più scuro, dopo secoli di schiavitù e poi almeno un secolo di apartheid sperimentale o di fatto dei colonizzatori provenienti da vari Stati europei, soprattutto gli attuali Paesi Bassi e Regno Unito. I rappresentanti di tutti i cittadini del nuovo Stato costituzionale democratico concordarono unitariamente nel 1995 di istituire una Truth and Reconciliation Commission (Commissione per la verità e la riconciliazione) con l’obiettivo di avere un’effettiva transizione congiunta (senza segreti e senza amnistie generiche), di far testimoniare sia le vittime che gli autori dei crimini contro i diritti umani commessi durante il regime segregazionista, di ricostruire quanto più precisamente possibile i fatti avvenuti, di richiedere e concedere (quando possibile) il perdono in modo pubblico e trasparente per tali azioni violente di origine ideologico-politica, esclusi dunque i reati comuni e le attività della criminalità organizzata.

Sarebbe da tempo necessario che i paesi che hanno avuto (e talora hanno ancora) colonie nel mondo concordassero con tutti gli altri paesi l’istituzione di una simile commissione presso l’Onu. Ciò forse aiuterebbe ad aprire molti occhi e cuori in Europa e in Occidente, consentirebbe di rimuovere almeno alcuni dei misfatti e crimini di discriminazione razziale ancora in corso qua e là per il pianeta, costituirebbe un patrimonio conoscitivo potenzialmente comune agli oltre otto miliardi di attuali conviventi umani, toglierebbe senso o vigore alla cosiddetta cancel culture nei gruppi sociali che hanno subito schiavitù e oppressioni nei paesi colonizzati. Terribile ed esemplare, in tal senso, la triste persistente vicenda delle Chagos nell’Oceano Indiano, di cui si sta ancora dibattendo nelle Corti di giustizia internazionale. La storia moderna è tutta coloniale: l’abitato arcipelago fu raggiunto dai portoghesi all’inizio del Cinquecento e poi, per la gran parte dei secoli successivi, fu controllato da Mauritius, che a sua volta era una colonia francese. Col trattato di Parigi del 1814, la Francia cedette Mauritius e le sue dipendenze (comprese le isole Chagos) al Regno Unito.

Si tratta di una sessantina di atolli corallini e piccole isole, almeno tre anticamente abitate dai sapiens. Siamo nel bacino oceanico Indiano, a est dell’Africa, a ovest del Pacifico, a sud delle Maldive, più o meno alla stessa lunga distanza sia da India e Sri Lanka (a nord) che da Madagascar e Mauritius (a sud-ovest). Esiste lì uno splendido minuscolo arcipelago di fertili terre insulari, ampie in tutto soltanto 56 km² (all’incirca come l’Asinara), da millenni antropizzato e da secoli considerato “annesso” alle Mauritius, pure da due secoli come una colonia inglese, pur trovandosi comunque a circa 2 mila chilometri (ovvero più che da Napoli sul mediterraneo Tirreno fino ad Amburgo sull’atlantico mar del Nord, non via terra poi, ma via mare) da quell’altro grande arcipelago di oltre 2000 km². Mauritius è oggi una pacifica repubblica africana indipendente, Chagos fa ancora parte del Regno Unito. Più che saggi o cronache, per capire leggete se vi capita lo splendido recente romanzo di Caroline Laurent, Le rive della colleratraduzione dal francese di Giuseppe Giovanni AllegriEdizioni e/o Roma2023 (orig. 2020), pag. 347 euro 20.

Ai fatti l’autrice aggiunge qualche fiction letteraria, inventa alcuni personaggi e intrecci, iniziando a narrare dai primi mesi del 1967. Nell’arcipelago delle Chagos, con poche altre migliaia di sapiens perlopiù analfabeti, vive la carina 21enne Marie-Pierre Ladouceur, proprio a Diego Garcia, l’agglomerato più grande. Lei ama girare arruffata a piedi nudi, pelle nera dai riflessi dorati, ha una figlia Suzanne di quattro anni, risiede nel villaggio con la madre, la sorella Josette 25enne in procinto di sposarsi con Christian accanto ai loro figli, altri parenti e concittadini chagossiani (o îlois, come si auto-definiscono). A marzo fa scalo lì da Port-Louis (Mauritius) la Sir Jules (cinque giorni di traversata), ognuna di quelle rare volte con l’approdo un intero regno si riversa sulle loro spiagge, cibi oggetti e altri sogni.

In quell’occasione scende dalla nave anche un bel 18enne mauriziano, longilineo ed elegante, duro e raffinato, colto e inesperto, Gabriel Neymorin. Uno sguardo ricambiato (ma non sincronico) con Marie e via. Lui vorrebbe fuggire in Inghilterra ma intanto lo hanno mandato lì ad aiutare l’amministratore coloniale dell’isola, è imberbe (anche nelle relazioni affettivo-sessuali, legato alla sorella 14enne rimasta col padre). Ben presto nascerà un grande fertile complicato amore fra Gabriel e Marie, proprio quando, con le elezioni e poi il referendum, sta maturando l’indipendenza di Mauritius e sta per compiersi la crudele scelta inglese di affittare le Chagos agli americani per una base navale militare (decenni dopo vi decolleranno pure i famosi B52 per bombardare Afghanistan e Iraq).

Caroline Laurent (1 gennaio 1988) è un’accorta editrice francese, una stimolante professoressa associata di Letteratura moderna alla Sorbona e una bravissima scrittrice. La mamma e una relativa parte della famiglia sono di origini mauriziane, “culla e rifugio fondanti”, fra gli ultimi ad aver visitato liberamente le Chagos (dove trascorsero pure uno straordinario Natale). Così, la vicenda del suo secondo mirabile pluripremiato romanzo le fu raccontata proprio dalla madre, “una tragedia insulare”. Il fatto che gli inglesi abbiano martoriato l’arcipelago (deportando gli abitanti e dicendolo disabitato) “venduendo” in questo modo della povera gente, inoltre, è terribile storia, Laurent l’ha ricostruita con ricerche e testimonianze.

La narrazione alterna la voce in prima persona del figlio Joséphin di Marie (e Gabriel), brevi inserti sul suo volo verso Parigi e sul suo arrivo all’Aja per alcune udienze della Corte internazionale di giustizia del 2019 (l’autrice fu associata alla delegazione chagossiana), all’appassionato sguardo in terza persona sui due protagonisti del contrastato amore, Marie e Gabriel, dettagliatamente e liricamente descritti nei loro contesti geograficamente naturali (compreso un ciclone), storicamente culturali (emergono pure nel bel glossario finale), relazionalmente emotivi (simili a tutti noi), con capitoli datati fra il marzo 1967 e l’agosto 1975. Toccanti l’immagine di copertina e il titolo. La motivata collera li riguarda tutti: risanare, tornare.

Le rive della collera ci riguardano, il romanzo è da leggere e meditare, approfondendo l’insieme dell’opera triste e vitale dell’autrice: “il meticciato è sempre troppo oppure troppo poco. Non c’è equilibrio. Non c’è ricetta, né dosaggio. Qualunque cosa tu faccia, ti considerano per quello che non sei”. Segnalo ovviamente che: non sempre le prigioni sono armate di sbarre; nel 1967 le cinque celle della prigione di Diego Garcia erano vuote; sulle Chagos furono per secoli deportati prigionieri, schiavi dal Madagascar (una tratta qui descritta per esempio) e forse terroristi dopo l’11 settembre 2001. La musica del romanzo è il mare; si beve di tutto, importato, rum e birra, vino rosso e whisky.

Rive della collera esistono in tutti i paesi colonizzati, appartengano a oceani, mari, fiumi, laghi dove vivevano sapiens di vario incarnato da molto prima che arrivassimo noi di incarnato più chiaro, con armi, acciaio e malattie. Alle Chagos la ferita è ancora aperta, sanguinante, sovrasta la stessa collera. Periodicamente, in questi anni e mesi la questione è tornata alla ribalta degli organismi internazionali e degli organi di informazione. Come raccontato da Laurent, la disputa territoriale va avanti da decenni, l’arcipelago è riconosciuto come proprio territorio ed è rivendicato dalla Repubblica di Mauritius, che ha ora chiesto più volte che ci si adegui al parere della Corte internazionale di giustizia dell’Aia del 2019 e al successivo voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

A febbraio 2022 vi è stata la spedizione simbolica di una delegazione di ex residenti su uno degli atolli delle Chagos, discendenti di quei circa duemila abitanti autoctoni, deportati nel 1972 a Mauritius o alle Seychelles per permettere la costruzione della base militare “Diego Garcia”. Anche dopo l’indipendenza di Mauritius e l’affitto delle Chagos, il Regno Unito non ha smesso mai di esercitare il proprio controllo (pur con opinioni diverse nei parlamenti inglese e scozzese e lavorando gli scienziati a una riserva marina come qui accennato:). Mauritius continuò, invece, a considerarlo come un territorio di propria competenza per ragioni storiche e culturali (non mancando peraltro problemi ambientali).

Nel febbraio 2019 la Corte internazionale di giustizia respinse all’Aja la richiesta di sovranità del Regno Unito sull’arcipelago, pochi mesi dopo anche l’Assemblea Generale dell’ONU diede ragione ai chagossiani e a Mauritius, sostenendo che il territorio fosse stato separato “illegalmente”. Sebbene con una mozione non vincolante, l’Onu diede al Regno Unito sei mesi di tempo per restituire le isole a Mauritius: condizione che non è stata finora mai rispettata. Il governo di Mauritius ha anche chiesto nel gennaio 2020 di modificare la dicitura che indica l’arcipelago su Google Mapse lo descrive come Territorio Britannico dell’Oceano Indiano (in inglese British Indian Ocean Territory, o BIOT) “a metà strada tra l’Africa e l’Indonesia”. Ho visitato il sito i primi giorni di maggio 2023 e la dizione è ancora quella, sbagliata secondo l’Onu.

In questi giorni della primavera 2023 sta uscendo anche la traduzione italiana del libro dell’avvocato britannico (e professore di diritto a Londra) Philippe Sands The Last Colony: A Tale of Exile, Justice and Britain’s Colonial Legacy (“L’ultima colonia”, Guanda Milano, pag. 285 euro 19, traduzione di Elisa Banfi, orig. 2022), dedicato proprio alle Chagos, alle atrocità del colonialismo e all’ipocrisia dei Paesi occidentali. Sands fece testimoniare all’Aja una chagossiana deportata dagli inglesi per consentire l’affitto dell’isola dove viveva. Davanti alla Corte Madame Liseby Elysé, analfabeta, parlò nel 2019 solo per tre minuti e quarantasette secondi. La sua dichiarazione testimoniale, il coraggio, la dignità e l’integrità mostrati, furono un elemento chiave del processo.

Quando sono stati deportati gli chagossiani erano circa duemila. Oggi si stima che la loro comunità conti quattromila persone (compresi nuovi “meticci”, poiché ci sono stati matrimoni con mauriziani, seicellesi e a volte inglesi), divise tra Mauritius, Seychelles e Londra. Le nuove generazioni non combattono più per la terra, hanno un altro passaporto e hanno visto i loro genitori esaurirsi nella giusta rivendicazione. Fra l’altro, sanno bene che il loro arcipelago si trova in cima a una gigantesca depressione concava nell’oceano, profonda quasi cento metri. Con il mare al suo livello potenziale, se non fosse per l’enorme anomalia gravitazionale che mantiene aperta quella “scodella”, le isole Chagos sarebbero tutte in fondo al bacino oceanico. Ciò non toglie che loro vi abitavano, è terra loro e a loro è stata rubata. E il 30 aprile 2023 nella Polinesia Francese ha vinto per la prima volta le elezioni territoriali il partito indipendentista, di sinistra e antinucleare, con il 44,29% dei voti si sono aggiudicati 38 dei 57 seggi (ne avevano 8) battendo due formazioni autonomiste di centro-destra (la maggiore legata a Macron), con la prospettiva di un prossimo referendum sull’indipendenza.

La decolonizzazione nel pensiero e nella pratica non è stata completata. Il colonialismo è una pagina nera della nostra storia europea e, nel caso delle Chagos, del presente del nuovo re del Regno Unito. La verità storica e la riconciliazione sociale servono ai nostri diritti, per quanto sia poi ardua e conflittuale la coesistenza pacifica. Lo è anche nel nuovo Sudafrica democratico, è noto. Ero in Sudafrica da parlamentare militante anti-apartheid quando fu ucciso il leader del Partito Comunista Sudafricano Chris Hani (28 giugno 1942 – 10 aprile 1993) e il Presidente De Klerk chiamò Nelson Mandela a parlare in televisione in prima serata per evitare i disordini e forse la guerra civile. Ero in Sudafrica da osservatore elettorale Onu quando milioni di sapiens neri si mettevano in fila alle 5 del mattino (per alcuni di loro fu anche considerato il primo censimento anagrafico) in vista del primo voto free and fair ed elessero Mandela Presidente. Ero in Sudafrica la primavera successiva (il loro autunno) quando il Parlamento discuteva della commissione. Vi sono tornato ancora e seguo con rispetto e trepidazione il travaglio democratico, il confronto e le leggi, i tentativi e gli errori, le risse e la corruzione, le persistenti povertà e previlegi, tanti altri fenomeni economici e sociali non sconosciuti dalle nostre parti. Verità e riconciliazione su schiavitù e apartheid sono premesse indispensabili che noi europei dobbiamo all’umanità intera, non soluzioni a tutto.

Quella specie sudafricana di tribunale non penale venne presieduto da Desmond Tutu (andai al incontrarlo presso la residenza-vescovado dietro Table Mountain), si articolò in tre comitati specifici (violazioni, riparazioni, amnistia) ed ebbe una vasta eco nazionale e internazionale, morale e culturale: molte udienze furono trasmesse in televisore, oppressi e oppressori poterono ascoltare e riconoscere i misfatti subiti e praticati, vi sono stati girati sopra vari film, tanti sudafricani conobbero per la prima volta quel che era accaduto davvero per decenni nel loro paese a proprio nome. I risultati della commissione furono pubblicati tre anni dopo, il 28 ottobre 1998. Le testimonianze e le indagini portarono alla luce i crimini commessi dal governo dell’apartheid, dalla polizia e dall’esercito, ma anche dall’ANC e da altre organizzazioni paramilitari che si opponevano al governo. L’amnistia individuale fu concessa nei casi in cui gli abusi perpetrati si potevano considerare “politicamente motivati” e “proporzionati” ed erano stati confessati pienamente dai colpevoli. L’amnistia fu concessa a 849 persone e negata a 5392, su un totale di 7.112 richieste totali (ci furono diverse categorie aggiuntive, quali le “richieste ritirate”). La commissione aveva pecche e limiti, non ha certo risolto l’insieme dei problemi sociali e civili, ha solo garantito un po’ più di verità e una parziale riconciliazione, ovvero quel che ancora manca istituzionalmente a molti nostri misfatti coloniali.

da qui

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *