Poesia viaggio instancabile di Janine Pommy Vega
a cura di Sandro Sardella
la ricca fermentante collana “Tracce – Casa della poesia” edita
da Multimedia in Salerno .. ci regala una pubblicazione al solito
ben curata con un artwork d’apertura di Jack Hirschman e la
traduzione di Raffaella Marzano .. Janine Pommy Vega :
“Dall’altra parte del tavolo” ..
Janine Pommy Vega (1942 – 2010) a soli 16 anni si aggregò al
gruppo storico della Beat Generation diventandone in seguito
una della maggiori figure femminili ..
la sua poesia è il viaggiare l’incontrare il camminare nella vita
sulle strade del mondo .. dal New Jersey a New York .. poi Israele
e l’Europa .. San Francisco .. l’America Latina .. tornata a N.Y. ..
l’insegnare poesia ai bambini e tenere laboratori di scrittura in
carcere .. in Italy dal 2000 ha letto in Salerno Baronissi Napoli
Pistoia Trieste Reggio Calabria .. ..
la sua poesia è un canto in con i ritmi della vita .. è il silenzio che
respira .. è piedi nudi sulla terra .. è tornare a casa dal regno delle
ombre .. è slancio d’amore .. passione ..
un vagabondare per trovare la luce .. nella strada .. il cuore della
sua poesia sorgiva che non smette di rigenerarsi .. brucia la carne
ancora .. il buio non fa paura ..
La cucina in tempo di guerra
Penso alle donne di Yannis Ritzos
che marciano verso la cucina al primo rumore di guerra
penso alla mole della nonna a Jersey City,
una mole che non potrei mai replicare mentre avanzo
con passo felpato per tritare il basilico cresciuto
l’anno scorso, spazzolare il gatto, sminuzzare l’aglio
per condire l’insalata.
Occupazioni deliberatamente tranquille, benché potrei cominciare
a lanciare in aria le pentole come mia madre, posso dirti
che potrei fare un tale putiferio che ti chiederesti chi
è impazzito, ed è il mondo
nelle foto che non porterò a casa,
nell’atteggiamento impudico e offensivo di un presidente
impostore, messo lì da un pugno di corporazioni
Potrei mostrarti come il pianto mi ha scavato nel cuore
un buco profondo come le pantofole
in cui lei affondava i piedi nelle fredde mattine polacche,
sono diventata quella donna babushka
testimone della carneficina, ogni spiritosaggine è fuori
luogo, niente scherzi su bambini infranti o madri
urlanti, i soldati morti essi stessi bambini
Niente scherzi sui bambini, i bambini di chiunque
non perdono il loro massacro
il petrolio le armi l’oro in pile alte quanto questa casa
non possono comprare la loro risata, non possono seppellire
le loro urla
nella notte, accuso i vecchi uomini bianchi affogati nell’avidità
dei loro assassinii, batterò su ogni pentola e padella
che possiedo per un mondo libero dalle loro mani.
(Willow, New York, aprile 2003)
Radovan Karadzic
Radovan Karadzic, che hai fatto?
Hai bombardato la mia casa e la mia famiglia.
Mi hai mandato nel futuro con un occhio solo.
Mi hai portato via l’infanzia.
Che cosa ti ho mai fatto? Radovan Karadzic,
vergognati. Che hai fatto?
Una quattordicenne bosniaca ha scritto
questa poesia durante una mia lezione nel Queens nel 1992.
Era cieca da un occhio.
Izet Sarajlic, il poeta bosniaco, parlava
della Sarajevo prima delle bombe:
intellettuali, poeti, operai, musulmani,
cristiani, ebrei sedevano tutti ad un tavolo
e discutevano della disgregazione della Yugoslavia.
“Ma non con la violenza,” diceva Izet.
“Non deve succedere con la violenza.”
Il suo amico, il poeta/psichiatra seduto dall’altra parte
del tavolo, disse, “Izet, sei proprio un sognatore.
Certo, deve essere con l’uso della forza”.
Quando iniziarono i bombardamenti serbi,
il primo edificio distrutto fu il gioiello di Sarajevo,
la Biblioteca Nazionale. In seguito, per giorni,
la carta venne giù come neve sulla città,
una neve lenta e silenziosa, fatta di testi in cirillico,
greco, arabo, ebraico e tutte le lingue occidentali.
La biblioteca che vidi nel 1999 era una carcassa, un edificio
distrutto, senza tetto, con nulla dentro.
Izet ci disse che una bomba aveva anche colpito la sua casa,
corsero giù per le scale, disse, sua moglie
gridava, la bomba
aveva sfondato il tetto della sua biblioteca,
i libri erano sparpagliati sul pavimento. Lui ne prese
uno, era autografato per lui dal suo amico,
il poeta/psichiatra. “Guarda, ecco il suo libro, non mi è mai piaciuto,
ed ecco la bomba, anch’essa porta il suo nome.”
Elie Weisel, in visita a Belgrado nel ’92,
vide un uomo affascinato dal potere assoluto
su nemici ed alleati.
“Perché hai bruciato la Biblioteca Nazionale?”
chiese a Karadzic, faccia a faccia.
“Vuoi essere conosciuto come poeta/psichiatra,
hai paura che i libri possano dire la verità su di te?”
Paonazzo, Karadzic battè i pugni sul tavolo.
“I musulmani l’hanno bruciata dall’interno!”
Ma Weisel vide le stesse cicatrici d’artiglieria che ho visto io,
un tesoro sepolto dall’esterno.
Un nonno dall’aspetto mistico comparve a Belgrado,
nel luglio 2008. Aveva vagabondato in piena vista, nascondendosi
dietro barba e capelli bianchi legati da un nastro per tredici anni.
La sua aura spirituale era la facciata.
Lanciava sguardi dalle prime pagine di tutti i giornali.
Identificato come Karadzic, era stato arrestato.
Guardando quel volto mite e contemplativo, pensai,
la meditazione aveva davvero funzionato?
Ora era pentito per gli 8000 morti,
per le innumerevoli donne violentate e le città distrutte?
Di nuovo rasato, somiglia ad un avvoltoio,
ed Izet, che non aveva più pronunciato il suo nome
nelle storie raccontate prima di morire,
Izet non lo perdonò mai.
(Geneseo, NY, Agosto 2008)