Porcellum infinito: il voto e il vuoto

di Mario Sommella (*)

Il “Neoporcellum” e la paura di perdere: così la destra vuole blindare il potere cambiando le regole del gioco

 

C’è un filo rosso che lega la sconfitta del centrodestra in Campania e Puglia, le simulazioni YouTrend sui collegi del Sud, le dichiarazioni di Donzelli e Benigni, e l’intervista del costituzionalista Gaetano Azzariti. Quel filo si chiama paura di perdere. E quando chi governa ha paura di perdere, la tentazione è sempre la stessa: cambiare la legge elettorale.

Oggi quel cantiere ha un nome, quasi uno scherzo di cattivo gusto: “Porcellum costituzionalizzato”, ribattezzato da qualcuno “meloncellum”. Un proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che supera il 40 per cento, abolizione dei collegi uninominali e liste bloccate. Una riedizione del vecchio Porcellum, ma adattata al nuovo Parlamento ridotto nei numeri. 

Dietro il tecnicismo, però, c’è un progetto politico molto concreto: impedire che un campo largo di opposizione – quello che in Campania e Puglia ha vinto con Fico e Decaro – possa, nel 2027, mettere in discussione il dominio parlamentare del blocco guidato da Giorgia Meloni. 

Il punto di partenza: perché la destra ha fretta di cambiare la legge

Secondo le simulazioni elaborate da YouTrend, se alle politiche del 2027 il centrosinistra si presentasse unito – Pd, M5S, Alleanza Verdi-Sinistra, Iv e altre forze – nel Mezzogiorno potrebbe strappare al centrodestra fino a 18 collegi uninominali al Senato.

Oggi la destra dispone di 120 senatori su 200: perdere quei collegi significherebbe mettere seriamente a rischio la maggioranza a Palazzo Madama. 

Tradotto in politica:

se il campo largo regge, il Rosatellum smette di essere un’assicurazione sulla vita per il centrodestra il meccanismo dei collegi uninominali, che nel 2022 ha premiato una destra unita contro un centrosinistra diviso, diventerebbe un boomerang il Sud, dove si è vista la forza della coalizione Fico–Decaro, diventerebbe il terreno su cui la destra potrebbe perdere il controllo del Senato. 

E infatti la reazione arriva immediata: Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, apre ufficialmente il cantiere per eliminare i collegi uninominali e passare a un proporzionale con premio alla coalizione che arriva al 40 per cento. Stefano Benigni (FI) insiste sulla necessità di “garantire la formazione del governo” nel 2027. 

Il messaggio, al netto delle formule rassicuranti sulla “stabilità”, è molto semplice: se con questa legge rischiamo di perdere, cambiamo la legge.

Azzariti: quando le regole diventano un’arma di parte

Nell’intervista rilasciata a Repubblica, il costituzionalista Gaetano Azzariti mette il dito nella piaga. Da trent’anni – dal 1993 ad oggi – l’Italia è intrappolata in una stagione di riforme elettorali “compulsive”: quattro leggi in poco più di trent’anni, due dichiarate incostituzionali dalla Consulta, l’attuale (Rosatellum) piena di criticità. 

Il punto politico è devastante:

le leggi elettorali non vengono più pensate per garantire rappresentanza e equilibrio tra poteri vengono scritte “su misura” per chi governa, per evitare sconfitte o rendere più difficile la vittoria dell’avversario il risultato è una crisi di rappresentanza che alimenta l’astensionismo: le persone smettono di votare perché percepiscono il voto come inutile, schiacciato dentro un gioco truccato. 

Azzariti è molto chiaro su due punti:

il maggioritario “ha fallito”: l’illusione degli anni Novanta, secondo cui la democrazia dell’investitura avrebbe “restituito lo scettro al principe”, si è rovesciata nel suo contrario oggi servirebbe una riforma che curi la crisi della rappresentanza, non un restyling truccato per garantire sempre e comunque la sopravvivenza della maggioranza di turno. 

E propone un modello diverso:

collegi uninominali per avvicinare eletto e territorio ma riparto proporzionale dei seggi per rispecchiare fedelmente il voto degli elettori un Parlamento che torna ad essere “sede del compromesso”, come ricordava Kelsen, e non una macchina per ratificare decisioni prese altrove. 

È l’esatto contrario della direzione in cui sta andando la destra.

Il “Neoporcellum”: proporzionale con super-premio, senza collegi e con liste bloccate

L’ipotesi oggi in discussione – descritta da agenzie e retroscena parlamentari – è una legge proporzionale con queste caratteristiche essenziali:

abolizione dei collegi uninominali liste plurinominali, con capilista bloccati decisi dai partiti soglia di sbarramento (si parla del 4 per cento) premio di maggioranza alla coalizione che supera il 40 per cento dei voti, con assegnazione almeno del 55 per cento dei seggi; in alcune ipotesi, premio crescente fino al 60 per cento sopra il 45 per cento. 

È una sorta di Porcellum 2.0:

stesso impianto di premio forte alla coalizione vincente stessa logica di compressione della rappresentanza stessa tendenza a trasformare il voto in un plebiscito sul capo, più che in una scelta sui programmi.

Con una differenza cruciale: nel frattempo il Parlamento è stato ridotto a 400 deputati e 200 senatori. Con numeri così compressi, ogni punto percentuale in più o in meno pesa di più in termini di seggi. Distorsioni che prima apparivano “tollerabili” diventano ora esplosive. 

Dove sta il trucco: premio al 40 per cento e liste civetta

Torniamo al meccanismo che avevamo già analizzato:

una coalizione prende il 40–41 per cento dei voti grazie al premio sale al 55 per cento dei seggi il resto dei seggi viene ripartito proporzionalmente tra tutte le liste sopra soglia.

Sulla carta sembrerebbe un compromesso fra governabilità e rappresentanza. In realtà, se il sistema è studiato bene (male per la democrazia, bene per chi governa), diventano decisive le liste “esterne” ma affini: le famose liste civetta.

Immaginiamo:

Coalizione di destra: 41 per cento Campo largo di centrosinistra: 37 per cento Lista “moderata” C: 8 per cento Lista “civica” D: 6 per cento Tutte sopra il 4 per cento.

La coalizione di destra sale al 55 per cento dei seggi. C e D, che non fanno formalmente parte della coalizione, partecipano al riparto del 45 per cento residuo. Ma se in Parlamento si collocano stabilmente nell’orbita della maggioranza, quel 55 per cento diventa di fatto un 60, 62, 65 per cento potenziale.

Qui sta il cuore del disegno:

spacchettare il consenso della destra in più contenitori elettorali occupare sia il blocco del premio sia una quota significativa del proporzionale residuo ridurre le opposizioni vere a una minoranza numerica troppo esigua per incidere.

La somiglianza con la legge Acerbo non è solo retorica: anche allora una soglia apparentemente “ragionevole” e un premio gigantesco consegnarono al fascismo la possibilità di dominare il Parlamento e svuotarlo dall’interno. 

I paletti della Costituzione: dove può intervenire la Consulta

La Corte costituzionale, con le sentenze sul Porcellum (2014) e sull’Italicum (2017), ha fissato alcuni principi chiave:

il premio di maggioranza deve avere una soglia minima adeguata e una misura non eccessivamente distorsiva rispetto alla forza reale la legge non può compromettere in modo irragionevole l’uguaglianza del voto e la rappresentatività delle Camere le liste bloccate non possono essere tali da azzerare la scelta degli elettori sugli eletti. 

Un premio che assegni il 55 per cento dei seggi con il 40 per cento dei voti, in un Parlamento ridotto, è esattamente il tipo di meccanismo che rischia di essere qualificato come “abnorme” e “irragionevole” dalla Consulta, perché produce una compressione eccessiva delle opposizioni. 

Ma c’è un’altra criticità, che Azzariti sottolinea con forza:

una legge elettorale così importante dovrebbe essere almeno in parte condivisa con le opposizioni approvarla in solitaria, a colpi di maggioranza, significa trasformare una regola del gioco in un’arma di parte anche questo, in prospettiva, può pesare nella valutazione di costituzionalità complessiva, perché incide sulla lealtà costituzionale fra maggioranza e opposizione. 

Il vero obiettivo: i due terzi e la revisione costituzionale senza popolo

Tutto diventa ancora più chiaro se lo si collega all’articolo 138 della Costituzione.

La norma è semplice:

le leggi di revisione costituzionale devono essere approvate due volte da ciascuna Camera se nella seconda votazione ottengono solo la maggioranza assoluta, può essere chiesto un referendum confermativo se raggiungono i due terzi dei componenti, il referendum non si tiene. 

Ora, metti insieme:

una legge elettorale che consegna alla coalizione vincente almeno il 55 per cento dei seggi una costellazione di liste civetta, moderate, “di responsabilità”, che in Parlamento votano abitualmente con il governo l’assenza di collegi uninominali, che rende più difficile per le opposizioni costruire radicamento territoriale alternativo.

Arrivare ai due terzi dei seggi non è più un’ipotesi da laboratorio: diventa una possibilità concreta.

Con quei numeri si può:

riscrivere la forma di governo (premierato, poteri del Presidente della Repubblica, rapporti governo–Parlamento) intervenire su pesi e contrappesi, sulla giustizia, sulla struttura stessa delle garanzie costituzionali farlo senza dover passare dal giudizio diretto degli elettori in un referendum confermativo.

La combinazione fra “Neoporcellum” e riforme costituzionali rischia, dunque, di trasformare una maggioranza elettorale relativa in una maggioranza costituente permanente. 

La grande assente: la crisi della rappresentanza e l’astensione

In tutto questo discorso, nota Azzariti, il grande rimosso è l’astensionismo. milioni di persone non vanno più a votare non perché non abbiano opinioni, ma perché percepiscono la politica come un teatro dove il finale è già scritto ogni nuovo intervento sulla legge elettorale che punta a “blindare” chi governa allarga ancora di più questa distanza. 

Se prendessimo sul serio la crisi della rappresentanza, il discorso sulla riforma sarebbe rovesciato:

meno ossessione per la governabilità ad ogni costo più attenzione al rapporto tra eletto ed elettore, ai territori, alla possibilità per le opposizioni di essere davvero tali un sistema misto che unisca collegi uninominali e proporzionale, come suggerisce lo stesso Azzariti, restituendo centralità al Parlamento come luogo di compromesso. 

Invece, si procede nella direzione opposta:

abolire i collegi che oggi, numeri alla mano, potrebbero permettere al campo largo di far saltare la maggioranza della destra al Senato rafforzare un premio di maggioranza che rischia di essere incostituzionale incastonare tutto dentro una riforma del premierato che tende a verticalizzare il potere.

Conclusione: difendere la democrazia dalle sue scorciatoie

La formula “è la politica, bellezza” viene spesso usata per giustificare tutto: anche l’uso spregiudicato delle regole elettorali. Ma qui non siamo davanti a un normale aggiustamento tecnico.

Siamo davanti a un disegno che, combinando:

proporzionale con super-premio alla coalizione che supera il 40 per cento abolizione dei collegi uninominali liste bloccate decise dai vertici di partito possibile uso di liste civetta per erodere lo spazio delle opposizioni

mira a costruire un Parlamento dove chi vince una volta può cambiare le regole del gioco, la forma di governo e pezzi di Costituzione, riducendo al minimo sia il controllo delle minoranze sia quello diretto del corpo elettorale tramite referendum. 

La storia italiana – dalla legge Acerbo alla legge truffa del 1953, fino al Porcellum bocciato dalla Consulta – ci ricorda che ogni scorciatoia sulla rappresentanza si paga cara. Non necessariamente subito, non necessariamente da chi la costruisce, ma quasi sempre dalla democrazia nel suo insieme. 

Per questo “stare molto attenti” non è allarmismo: è il minimo sindacale di igiene democratica.

Il resto lo decideranno gli elettori, se verranno messi nelle condizioni di scegliere davvero, e non solo di ratificare un verdetto già scritto nei codicilli di una nuova legge elettorale cucita su misura per chi oggi ha paura di perdere il potere.

(*) ripreso da «Un blog di Rivoluzionari Ottimisti. Quando l’ingiustizia si fa legge, ribellarsi diventa un dovere»: mariosommella.wordpress.com

LA GAZZA LADRA CHE HA FATTO IL NIDO IN “BOTTEGA” ha trovato molte vecchie (ma sempre vere) luccicanti vignette di Mauro Biani e ne ha rubate due.

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