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La Bottega del Barbieri

Dice un proverbio africano: quando due vicini litigano…

…prima è passato un inglese

articoli e video di Francesco Dall’Aglio, Ariel Umpièrrez, John Mearsheimer, Fulvio Scaglione, Ennio Remondino, Fabio Ruzzarin, Fabio Mini, Ugo Mattei, Giacomo Gabellini, Stefano Orsi, Fabrizio Poggi, Marco Travaglio, Ezequiel Bistoletti, Alberto Capece, Alessandro Orsini, Sara Reginella, Sergei Lavrov, Gaetano Colonna, Laura Ruggeri, Tatiana Santi, Giuliano Marrucci

Il mito che Putin fosse intenzionato a conquistare l’Ucraina e a creare una Grande Russia – John Mearsheimer

Un numero crescente di prove convincenti dimostra che la Russia e l’Ucraina sono state coinvolte in seri negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina subito dopo il suo inizio, il 24 febbraio 2022 (vedi sotto). Questi colloqui sono stati facilitati dal Presidente turco Recep Erdogan e dall’ex Primo Ministro israeliano Naftali Bennett e sono stati caratterizzati da discussioni dettagliate e sincere sui termini di un possibile accordo.

A detta di tutti, questi negoziati, che si sono svolti nel marzo-aprile 2022, stavano facendo progressi reali quando la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno detto al Presidente ucraino Zelensky di abbandonarli, cosa che egli ha fatto.

La cronaca di questi eventi si è concentrata su quanto sia stato sciocco e irresponsabile da parte del Presidente Joe Biden e del Primo Ministro Boris Johnson porre fine a questi negoziati, considerando tutte le morti e le distruzioni che l’Ucraina ha subito da allora – in una guerra che Kyiv probabilmente perderà.

Tuttavia, un aspetto particolarmente importante di questa storia, riguardante le cause della guerra in Ucraina, ha ricevuto poca attenzione. La convinzione convenzionale ben radicata in Occidente è che il Presidente Putin abbia invaso l’Ucraina per conquistare il Paese e renderlo parte di una Grande Russia. Poi, si sarebbe spostato a conquistare altri Paesi dell’Europa orientale. La controargomentazione, che gode di scarso sostegno in Occidente, è che Putin sia stato motivato all’invasione soprattutto dalla minaccia che l’Ucraina entrasse nella NATO e diventasse un baluardo occidentale al confine con la Russia. Per lui e per altre élite russe, l’Ucraina nella NATO era una minaccia esistenziale.

I negoziati del marzo-aprile 2022 chiariscono che la convinzione convenzionale sulle cause della guerra è sbagliata e la controargomentazione è giusta, per due ragioni principali. In primo luogo, i negoziati si sono concentrati direttamente sulla soddisfazione della richiesta della Russia di non far entrare l’Ucraina nella NATO e di diventare invece uno Stato neutrale. Tutti coloro che hanno partecipato ai negoziati hanno capito che il rapporto dell’Ucraina con la NATO era la preoccupazione principale della Russia. In secondo luogo, se Putin fosse stato intenzionato a conquistare tutta l’Ucraina, non avrebbe accettato questi colloqui, poiché la loro stessa essenza contraddiceva qualsiasi possibilità di conquista dell’intera Ucraina da parte della Russia.

Si potrebbe sostenere che Putin abbia partecipato a questi negoziati e abbia parlato molto di neutralità per mascherare le sue ambizioni più grandi. Non ci sono prove, tuttavia, a sostegno di questa linea di argomentazione, senza contare che: 1) la piccola forza d’invasione russa non era in grado di conquistare e occupare tutta l’Ucraina; e 2) non avrebbe avuto senso ritardare un’offensiva più ampia, perché avrebbe dato all’Ucraina il tempo di costruire le proprie difese.

In breve, Putin ha lanciato un attacco limitato in Ucraina allo scopo di costringere Zelensky ad abbandonare la politica di allineamento di Kiev con l’Occidente e a far entrare l’Ucraina nella NATO. Se la Gran Bretagna e l’Occidente non fossero intervenuti per ostacolare i negoziati, ci sono buone ragioni per pensare che Putin avrebbe raggiunto questo obiettivo limitato e avrebbe accettato di porre fine alla guerra.

Vale anche la pena ricordare che la Russia ha annesso gli oblast ucraini di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia solo nel settembre 2022, ben dopo la fine dei negoziati. Se fosse stato raggiunto un accordo, l’Ucraina controllerebbe quasi certamente una quota molto maggiore del suo territorio originario rispetto a quella attuale.

È sempre più chiaro che, nel caso dell’Ucraina, il livello di stupidità e disonestà delle élite occidentali e dei media mainstream occidentali è sbalorditivo.

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LA GUERRA, DI COLPO, NON CI PIACE PIU’ – Fulvio Scaglione

L’infilata è stata notevole. Prima Time Magazine, con un reportage spietato da Kiev, protagonista un presidente Zelens’kyj che, nelle confidenze dei suoi stessi collaboratori, sembra aver perso il senso della realtà. Poi The Guardian, impegnato a raccontare la disillusione e il pessimismo degli ucraini mentre la guerra si prolunga.  Quindi il Wall Street Journal, che invita a rimettere i piedi per terra quanto a sconfitta della Russia. Per chiudere Gazeta Wiborcza, il più importante quotidiano polacco, che titola “Mosca trionfa, l’Occidente esita”, e parla di “vergognoso fallimento” (nostro) nella guerra in Ucraina. Questo ammosciamento generale mi fa poca impressione: è assolutamente speculare al ridicolo entusiasmo che su queste stesse testate dilagava un anno fa, quando Zelens’kyj e i suoi parlavano addirittura di marcia su Mosca. Ho scritto sempre che questa guerra non avrà vincitori ma solo sconfitti e resto del mio parere. Anche per quanto riguarda la Russia che, al di là delle pesanti conseguenze militari, politiche ed economiche, spostandosi verso l’Asia rinnega la sua anima più vera e profonda.

Resto del mio parere anche su un altro fatto, che cercai di sottolineare più di un anno fa, quando nella nostra povera provincia informativa impazzava la caccia al putiniano. Scrissi per Lettera da Mosca che i veri putiniani “cioè quelli che fanno gli interessi di Vladimir Putin e della classe dirigente russa che abita il Cremlino, sono proprio i sostenitori della guerra senza se e senza ma, della guerra da condurre fino allo sfinimento delle forze armate russe e/o al tracollo economico della Russia e a quello sociale del popolo russo, considerato colpevole quanto i suoi leader”. E anche qui non era difficile azzeccare il pronostico.

Tutto quello spirito combattivo, tutta quell’ansia di “fargliela vedere”, infatti, si basava su previsioni minate alla base da  due errori fondamentali, da due sottovalutazioni fatali. Il primo errore: sottostimare la Russia in generale e il Cremlino in particolare. Non sembra ma erano e sono molti quelli convinti che avesse ragione il povero (perché è morto giovane e perché non era molto acuto) John McCain quando diceva che la Russia non è altro che una pompa di benzina travestita da Stato. Piace vincere facile. E invece eccola lì la tua pompa di benzina, che resiste a migliaia di sanzioni, riconverte l’apparato industriale in un’economia di guerra e tira avanti più che bene. E poi, altra previsione sbagliata: tutti a immaginare rivolte di piazza e complotti anti-Putin. Nulla di tutto questo, Prigozhin parzialmente a parte. A colpi di servizi segreti, intimidazioni e leggi repressive il Cremlino ha tenuto il controllo del Paese. Cosa che peraltro non sarebbe riuscita (e anche questa banalità la scrivo da molti anni) se dietro Putin non ci fosse anche il consenso di una parte più o meno importante della popolazione.

L’altro errore fondamentale è stato sottovalutare la situazione internazionale. Ovvero, non rendersi conto che c’era tutta una serie di Paesi che della politica occidentale a trazione Usa ne aveva piene le tasche. D’altra parte, come poteva essere diversamente dopo l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia  ecc. ecc.? Dopo l’ascesa della Cina e dell’India, dopo gli infiniti pasticci americani in America Latina? Come potrebbe essere diversamente se il pensiero del responsabile della politica estera (e quindi della diplomazia) dell’Unione europea, Josep Borrell, è che l’Europa è un giardino e tutto il resto una giungla? Questo ha fatto si che, al momento dello scontro anche economico con l’Occidente, la Russia trovasse un sacco di sponde. L’Iran, la Cina, certo. Ma anche Paesi da sempre alleati dell’Occidente: per esempio l’Arabia Saudita, che nell’Opec+ collabora con la Russia per tenere discretamente alti i prezzi del petrolio, tanto che il famoso “tetto” dei 60 dollari a barile, decretato dal presuntuosissimo G7, è andato subito a farsi benedire. Come testimonia il Financial Times, il petrolio russo è andato venduto a non meno di 75-80 dollari a barile per tutto l’anno. Quelle sponde hanno aiutato la Russia a resistere alle sanzioni e a chiudere il 2023 con un attivo di 75 miliardi di dollari nella bilancia commerciale.

Il risultato di questa incredibile approssimazione politica è quello che abbiamo sotto gli occhi e che i giornali fin qui citati (nessuno sospettabile di putinismo, vero?) stanno cominciando a descrivere. E dunque avevo ragione. I putiniani veri erano quelli che incitavano alla guerra, senza rendersi conto del pasticcio in cui andavamo a infilarci. Un pasticcio, peraltro, che il radar delle opinioni publiche ha intercettato da tempo. Davvero nessuno nota  che quasi tutti i Governi europei che erano in carica nella prima fase della guerra sono stati mandati a casa come in Slovacchia (dove ora è premier quel Robert Fico che è considerato filorusso) o in Finlandia o in Italia o nel Regno Unito, o feriti a morte come in Polonia (lì avevano fiutato l’aria e avevano cominciato a litigare con l’Ucraina ma il Pis di Jaroslaw Kacsinski non riuscirà a formare una coalizione) o in Olanda, dove il partito più votato e quello del razzista Geert Wilders, di solito definito filorusso.  Altrove l’hanno sfangata con esiti paradossali come in Spagna dove il premier Sanchez, pur di restare in carica, si è acconciato all’amnistia per i separatisti catalani. E l’autonomismo catalano, per molti qui da noi e in Europa, a suo tempo era un prodotto degli hacker russi!

Sapete quali sono stati i due massimi putiniani? Angela Merkel e Francois Hollande. Hanno confessato, anche con un certo orgoglio, di aver lavorato, dopo il Maidan del 2014 e la ribellione del Donbass, non per realizzare gli Accordi di Minsk o comunque trovare una via per la pace ma per rafforzare militarmente l’Ucraina. Non sarebbe stato meglio invece cercare una soluzione negoziata? Oggi davvero pensiamo che, rinunciando a priori a quella prospettiva, Merkel e Hollande abbiano fatto un favore all’Ucraina e all’Europa?

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La guerra di cui tutti sono stanchi: mancano uomini, soldi, armi e soluzioni – Ennio Remondino

Con la crisi mediorientale che nessuno sa come potrà andare a finire, e la Cina che resta affacciata su Taiwan, la guerra impantanata d’Ucraina, voragine senza fine, diventa eccessiva anche per superpotenza. «Gli Usa potrebbero scaricare sull’Ue il peso della fornitura di armi», l’allarme di Francesco Palmas su Avvenire. In realtà, è da tempo che il comando Usa-Nato prova a scaricare in casa Ue più oneri possibili. Mentre sull’altro fronte, i russi aumentano i fondi, ma sembrano incapaci di fermare l’inerzia, sostiene chi capisce di cose militari.

Combattere non attrae più

In Ucraina, i due belligeranti non hanno mai comunicato né le perdite subite, né lo stato degli arsenali, rendendo azzardata ogni previsione sulla guerra. «Sappiamo però che combattere non attrae più», avverte Palmas. Perfino il comandante supremo ucraino, rimbrottato da Zelensky, si è detto pessimista sulle capacità del Paese: «Potremmo ritrovarci senza effettivi», ha confidato all’Economist. E l’asettica ANSA scrive che 16 mila soldati ucraini hanno disertato, abbandonando la zona di conflitto del Donbass, molti dei quali con le armi. Le città ucraine, piene di mutilati e di invalidi, vedono molti uffici di arruolamento vuoti. E oggi, l’età media di chi combatte al fronte è di 43 anni, «un handicap per qualsiasi esercito moderno».

Fine del consenso generalizzato

E c’è anche di peggio. Time descrive una presidenza isolata, ‘hybris’, troppo orgogliosa, con un Zelensky cieco di fronte ai segnali allarmanti che arrivano dalle battaglie. «L’Ucraina non ha bisogno di F-16, ma di un comando e controllo efficiente, perché è questo il motore e il cervello delle forze armate. Quasi in crisi e scosso dalle purghe di molti quadri, il vertice militare manca purtroppo di ufficiali di stato maggiore. Non ha mai imparato a coordinare azioni di grande respiro, uniche in grado di rompere il fronte», spiega l’analista di cose militari. «È il motivo principale che spiega il fallimento della controffensiva estiva, come ammesso dagli stessi comandanti ucraini». I 400chilometri quadrati riconquistati e i 17 chilometri di avanzata hanno deluso tutti, a partire dai finanziatori occidentali.

Gli assaltatori di ieri frenano

Joseph Borrell, politica estera Ue, citato da Metadefense, ha messo le mani avanti, dicendo che Bruxelles non potrà sostituire Washington nel caso in cui il prossimo nuovo inquilino della Casa Bianca voltasse le spalle a Kiev. «La paralisi amministrativa che pende sulle dinamiche d’oltreatlantico rischia di spegnere le illusioni ucraine, azzerate soprattutto se si realizzasse la vittoria trumpiana», avverte Francesco Palmas. Resta sempre più sola ‘Ursula von der Nato’. A promettere senza soldi. Mentre Le Figaro ipotizza un inverno durissimo, foriero di sconfitte per Kiev. E sulla stampa europea, anche la più militarizzata di ieri, cominciano ad affiorare dubbi su una disfatta ucraina, rilanciati pure dal premier rumeno.

Cancellerie e comandi militari a rivedere vecchie priorità. I nuovi fronti del Vicino Oriente e dalle tempeste che si profilano in Asia, anche se il G7 –ormai pressoché inutile-, ripete il sostegno a Kiev e parte della Commissione si inventa una impossibile ammissione Ue di corsa.

Le pressioni su Zelensky

«La verità è che i nostri leader stanno premendo ufficiosamente su Zelensky perché accetti colloqui con la Russia, pur non avendo precisato i termini della persuasione: pensano forse a un trattato di pace? O a un armistizio in stile coreano? O a un semplice cessate il fuoco? E i russi sarebbero d’accordo a intavolare trattative?».

Guai anche russi

L’Armata Rossa sta facendo l’impossibile: aumenta l’età dei reclutabili; l’industria che sforna missili e blindati e ha la sponda degli arsenali iraniani e nordcoreani. E l’anno prossimo il 6% del Pil nazionale sarà dirottato sulle armi. Servirà davvero? «La Russia è zeppa di problemi. Si trova nella stessa impasse tattica ucraina, nell’incapacità di una manovra dinamica in attacco e nella predominanza della difesa. Insomma non ha nulla capace di spezzare l’inerzia. Mosca ha un’aviazione intatta, ma priva di occhi e di intelligence strategica (acquisire e colpire gli obiettivi in tempo reale)».

Finale prossimo venturo?

Per il generale ucraino Zalujny solo l’arrivo di armi dirompenti (game-changers) potrebbe scompaginare il quadro. Ma i pochi F-16 che stanno per arrivare non consentiranno nessuna svolta. «A Kiev servirebbero piuttosto uomini, difese aeree, mezzi antimina, sistemi da guerra elettronica, armi anticarro e centinaia di aerei». Avvertimento del presidente ceco Petr Pavel il 9 novembre. «Il tempo ora è a favore della Russia, che ha una base più forte per mobilitare le risorse umane», ha detto Pavel. «Potrebbe esserci un momento per l’inizio dei negoziati l’anno prossimo», ha aggiunto Pavel senza specificare i dettagli.

Poco dopo la sua elezione nel gennaio 2023, Pavel aveva dichiarato che l’Ucraina avrebbe avuto solo una possibilità per lanciare una controffensiva di successo, affermando che in caso di fallimento, difficile/impossibile ottenere finanziamenti per un’altra.

Conflitto a spegnersi

Salvo sorprese, il conflitto scemerà forse d’intensità, non solo per le avversità climatiche, ma anche per l’impotenza dei belligeranti, la conclusione su Avvenire.

«La guerra si farà semicalda, con scontri sporadici al fronte, bombardamenti a lungo raggio e un fronte che correrà lungo la nuova cortina di ferro Est-Ovest, a riprova che la pace è un miraggio ancora lontano».

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La débâcle militare e la resa dei conti interni: cosa accadrà ora a Kiev? – Giacomo Gabellini

All’inizio di novembre, il generale Valerij Zalužny, comandante in capo dell’esercito ucraino, ha scritto un articolo pubblicato sull’«Economist», arricchito da un’intervista rilasciata sempre alla nota rivista britannica.

Dal quadro dipinto dal generale, emerge con chiarezza cristallina che la controffensiva avviata nella tarda primavera di quest’anno dalle forze armate ucraine non ha raggiunto alcuno degli obiettivi perseguiti dal governo di Kiev e dai suoi sponsor occidentali. Secondo Zalužny, il conflitto «si sta muovendo ora verso una nuova fase: quella che noi militari chiamiamo guerra “di posizione”, di combattimento statico e logoramento sulla falsariga della Prima Guerra Mondiale, in contrasto con la guerra “di manovra” di movimento e velocità».

A suo avviso, le forze in campo si sono arenate in una situazione di stallo che non lascerebbe spazio ad alcuna svolta significativa della guerra, poiché la parità tecnologica – tipica dei conflitti simmetrici che l’Occidente si è ormai disabituato ad affrontare – che caratterizza i due schieramenti impedisce alle truppe di sfondare le linee difensive del nemico. Ne consegue che, in assenza di un concreto avanzamento qualitativo ma anche quantitativo di una parte sull’altra dal punto di vista delle capacità militari e di intelligence,  il conflitto è destinato a languire nella condizione in cui si trova allo stato attuale.

Per Zalužny, il superamento della guerra di posizione passa necessariamente per l’ottenimento «della superiorità aerea che consenta alle forze di terra di penetrare in profondità nei campi minati; di una maggiore efficacia del fuoco di controbatteria; di accresciute capacità in materia di guerra elettronica, oltre che dalla possibilità di formare e addestrare unità di riserva in numero adeguato», attualmente compromessa dalle diserzioni di massa che si registrano ormai da molti mesi. Il generale chiarisce che «le armi di base, come missili e proiettili, rimangono essenziali. Ma le forze armate ucraine necessitano di capacità e tecnologie fondamentali per uscire da questo tipo di guerra, la principale delle quali è la potenza aerea. Il controllo dei cieli è essenziale per le operazioni di terra su larga scala».

Senza dimenticare le apparecchiature per il disturbo delle comunicazioni e dei segnali di navigazione del nemico, in quanto la guerra elettronica rappresenta «la chiave per la vittoria in una guerra come questa, caratterizzata dall’impiego di un numero particolarmente elevato di droni. La Russia ha modernizzato le sue forze armate negli ultimi dieci anni […], e in questo campo ci supera. Abbiamo anche bisogno di una maggiore assistenza nel campo dell’intelligence da parte dei nostri alleati, a partire dai dati trasmessi da risorse che raccolgono informazioni sui segnali, e di linee di produzione ampliate per i nostri sistemi guerra elettronica anti-drone sia in Ucraina che all’estero».

In altri termini, Zalužny sembra sostenere che l’appoggio della Nato ha posto l’Ucraina nelle condizioni di reggere provvisoriamente l’urto russo, ma non di volgere il conflitto a proprio favore. Del resto, come sottolineato dallo stesso generale, i Paesi occidentali «non sono obbligati a darci nulla, e noi siamo grati per quello che abbiamo ricevuto, sto semplicemente enunciando i fatti». Il messaggio di fondo, però, rimane difficilmente equivocabile: l’inerzia del conflitto volgerebbe inesorabilmente a favore della Russia qualora la Nato non si impegnasse a colmare con un notevole sforzo aggiuntivo le numerose lacune segnalate da Zalužny. Lacune che arricchiscono di ulteriori dettagli il quadro a tinte fosche che era stato tratteggiato dal «Time» qualche giorno prima che il generale rivelasse le proprie convinzioni all’«Economist», in quella che si configura indubbiamente come la valutazione più severa formulata sino ad ora da un membro verticistico della classe dirigente ucraina in merito alla situazione sul campo di battaglia…

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Il futuro dell’Ucraina, l’occidente e il principio “cannoni invece che burro” – Fabrizio Poggi

Come afferma la politologa Elena Markosjan, l’Occidente e la NATO stanno preparando moralmente e psicologicamente gli ucraini al ritiro dai territori liberati dall’esercito russo, rinunciando a ogni mito di possibile vittoria sulla Russia. I Servizi USA hanno già cominciato a muoversi in questo senso, secondo una linea di contenimento a lungo termine della Russia; vale a dire che, mentre rimane valido l’obiettivo strategico di controllo sull’Ucraina quale piazzaforte avanzata contro Mosca, i compiti tattici stanno passando dalle sbandierate “controffensive”, a un conflitto lungo, volto al logoramento della Russia.

Sta mutando in questo senso anche l’area mediatica ucraina: è così, ad esempio, per la russofoba ex deputata Irina Farion, passata dal dichiarare di non considerare ucraini i militari di Kiev di lingua russa, ad affermare che al fronte è più pratico usare la lingua russa; oppure, per le pubbliche dichiarazioni di alti ufficiali ucraini secondo cui è molto difficile tenere Avdeevka e, comunque, «lì ci considerano invasori».

È così che, in vista del prossimo summit UE, previsto per metà dicembre, si infittiscono i problemi per Vladimir Zelenskij. Li riassume Vladimir Karasëv su News-Front, cominciando dal blocco di tre varchi di transito alla frontiera polacco-ucraina, deciso dagli ultranazionalisti di “Confederazione”, appoggiati dal partito presidenziale PiS e che non sembra suscitare particolare preoccupazione a Bruxelles. La misura è ufficialmente diretta a salvaguardare le imprese di trasporto polacche e a farne le spese è il magnate ucraino – sponsor di raggruppamenti nazisti e di Zelenskij – Viktor Pinchuk, che controlla la “Interpipe group”, la cui produzione passa appunto per la Polonia. Un altro problema è il referendum consultivo indetto da Viktor Orban: «Siete d’accordo che l’Ucraina divenga membro UE a pieno titolo, mentre nel paese è in corso una guerra che potrebbe varcare la soglia della nostra casa?». Gli analisti ungheresi sono convinti che il 90% dei cittadini voterà “No”, così che, al summit UE, Orban dichiarerà che la questione dell’ammissione di Kiev non è all’ordine del giorno. Ci sono poi le richieste della Commissione europea a Kiev, in particolare sulle questioni delle lobby e delle minoranze nazionali ed è molto improbabile che Zelenskij riesca a venirne a capo a breve termine; o, comunque, prima che qualcun altro ne prenda il posto, tra i molti che, tra le stesse élite ucraine, annusata l’aria nuova, si stanno facendo avanti…

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La ritirata di Russia – Marco Travaglio

Martedì Repubblica ha intervistato in pompa magna Anna Netrebko, “regina della lirica, soprano russa senza confronti, voce da brivido, vigore espressivo, piglio da diva, milioni di follower e carisma ammaliante”, “scoperta dal geniale direttore Valery Gergiev, vicino a Putin”. A dieci giorni dalla prima della Scala che la vedrà mattatrice nel Don Carlo di Verdi, si è concessa in “esclusiva” a Rep “a patto di non citare quei temi” (la guerra in Ucraina). E Rep ha subito accettato: “Bello prendersi una vacanza dai fuochi e affrontare il ritratto del suo personaggio verdiano”. Non bello: bellissimo. Abbiamo atteso 24 ore prima di scriverne per dare modo ai Riotta, Mieli, Polito, Cappellini, Severgnini, Folli, Grasso, Sarzanini, Guerzoni, Iacoboni e gli altri atlantisti nostrani di infilare Rep in una nuova lista di putiniani servi della cyberpropaganda russa. Invece tutti zitti e Mosca.

Sembra passato un secolo, non 18 mesi, da quando la “regina della lirica” dovette ritirarsi dalla Scala perché Sala e il teatro avevano cacciato il “geniale direttore” Gergiev per putinismo molesto. Altri teatri cancellavano i balletti di Tchaikovsky e altri musicisti protoputiniani. La Fiera del libro per ragazzi di Bologna bandiva editori e autori russi. Il Festival della fotografia di Reggio Emilia rimandava indietro il russo Gronsky, così putiniano che appena rientrò a Mosca sfilò in un corteo contro la guerra di Putin e fu arrestato dalla polizia di Putin. Gli atleti russi, olimpici e pure paralimpici, erano banditi dalle gare o costretti a parteciparvi senza bandiere. La Bicocca, dopo approfondite ricerche, scoprì che era russo anche tal Dostoevskij, sedicente scrittore che, con Tolstoj, Cechov, Puskin, Gogol’ e altri putribondi figuri, minacciava di diffondere la propaganda putiniana e sospese il seminario di Paolo Nori sulle sue opere. Mezzo mondo cancellò i film russi e i corsi di russo. Le fiere feline squalificarono i gatti russi per evitare miagolii putinisti. Il concorso Albero dell’Anno espulse la quercia di Turgenev (pure lui proditoriamente russo). Banditi anche gli intellettuali e artisti ucraini che avevano osato nascere o esibirsi in Donbass o in Crimea. La delegazione russa fu estromessa dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz, notoriamente liberato non dall’Armata Rossa, ma dagli ucraini e dagli americani (come ne La vita è bella di Benigni). Il tutto fra le standing ovation della stampa atlantista. La stessa che ora copia Orsini, relega l’eroico Zelensky nei trafiletti, invoca un compromesso Mosca-Kiev prima che si noti la disfatta Nato e stende tappeti rossi alla regina putiniana della lirica, che si esibirà non a caso dinanzi a La Russa. Di questo passo c’è pure il rischio che riabilitino quel Dostoevskij.

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La Nato recluta criminali – Alberto Capece

Il sospetto girava da tempo, ovvero quello che la Nato reclutasse criminali incalliti per mandarli nella “Legione straniera” ucraina con un preciso  scopo: quello di sparare ai soldati ucraini in fuga dalle loro posizioni. insomma un accoppiamento perfetto tra un’alleanza criminale ( sta uscendo fuori per esempio lo scandalo dei civili regolarmente uccisi in Afghanistan dalle truppe inglesi) e soldati recuperati dalle galere per reati gravissimi . Dopo un evento drammatico, quello che ha visto l’artiglieria ucraina sparare sulle proprie stesse truppe uccidendo quasi tutti gli uomini di un reparto nella zona di Verbovoy, vicino  Zaporozhye è stato catturato un cittadino georgiano Georgy Chubetidze un cecchino della 2a Legione Internazionale dell’ esercito ucraino salvatosi proprio perché era in posizione arretrata rispetto alle truppe e pronto a sparare su di esse qualora si fossero ritirate. Egli ,  ha confermato le  molte testimonianze precedenti sul fatto che i che i mercenari vengono usati come distaccamenti di barriera.

Però ha anche avvalorato il fatto che molti di questi soldati  stranieri sono criminali provenienti da diversi paesi del mondo che cercano in questo modo di uscire di galera con uno sconto  di pena o la liberazione definitiva continuando la loro carriera di assassini, ma con l’assenso del potere e per giunta ben pagati. Lui stesso è una prova in corpore vili di questa pratica, visto che si è arruolato per uscire dalla galera . Questi mercenari sono noti per la loro noncuranza nei confronti della popolazione civile e delle stesse truppe regolari: è conosciuta la storia di due mercenari francesi che hanno sparato a bruciapelo a un residente perché non li voleva far entrare in casa. Ovviamente sparano anche ai militari quando si rifiutano di svolgere missione suicide e dunque non sorprende che i militari ucraini li uccidano   quando l’occasione è buona come è accaduto a due americani una decina di giorni fa.

Chubetidze ha anche confermato che nella legione straniera si fa uso intensivo di droghe e ha raccontato che un giorno i cecchini spagnoli non hanno calcolato bene la dose di droga perdendo completamente la testa;  così hanno dovuto essere sostituiti da delinquenti georgiani che tuttavia non conoscevano bene il terreno e sono finiti direttamente nelle mani dei russi. Insomma è un bel quadretto che riassume tutto quanto l’occidente riesce ad offrire oltre naturalmente ai virus, alle cazzate climatiche e adesso anche alle pulizie etniche.

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Elezioni Usa La controffensiva è fallita, ma ora Zelensky fa un favore a Biden – Alessandro Orsini

La controffensiva ucraina è stata un fallimento colossale. Sebbene sia certificato dalla stampa americana, quella italiana non riesce a pronunciare queste semplici parole. Penso, per citare un solo caso, all’articolo del Wall Street Journal del 16 novembre intitolato It’s Time to End Magical Thinking About Russia’s Defeat ovvero “è giunto il momento di porre fine al pensiero magico sulla sconfitta della Russia”. LA STAMPA ITALIANA NON RIESCE a dirlo perché il potere mediatico e quello politico sono compenetrati. Pronunciare una frase così chiara e veritiera significherebbe dichiarare il fallimento dei governi italiani che hanno esecrato la diplomazia e inviato armi per spogliare la Russia dello status di superpotenza sconfiggendola sul campo. Riecheggia il profluvio di: “Dobbiamo evitare di infliggere un’umiliazione troppo grande alla Russia”. Questa frase – oggi che l’Unione europea in recessione è incapace di produrre munizioni mentre il Pil della Russia cresce – fa ridere. La controffensiva, iniziata il 5 giugno, avrebbe dovuto sbaragliare i russi in una settimana. Ciò che gli ucraini hanno ottenuto sotto il profilo territoriale è il nulla assoluto. Il “pensiero magico” era diffuso in Italia. C hi dimenticherà mai la torma di leader di partito, giornalisti, professori universitari e generali in pensione, che ritraevano i russi come un esercito di cartone? La Russia “combatte con le pale a Bakhmut”, rasa al suolo a colpi di cannone. Oggi nessuno ha il coraggio di fare simili affermazioni. E le liste di proscrizione contro i “putiniani”, gli insulti, la diffamazione, le carriere distrutte? Parliamone. La guerra in Palestina ha salvato molti commentatori della guerra in Ucraina. Dopo avere dissanguato l’esercito e distrutto molti mezzi della Nato, Zelensky si trova ad affrontare l’offensiva della Russia su quasi tutto il fronte. Avdiivka è il nuovo epicentro che i russi stanno circondando. La violenza dell’attacco russo ha costretto gli ucraini a spostare la massa dell’artiglieria da Zaporizhzhia in Donetsk. L’Ucraina non è riuscita a conquistare la Crimea e Zaporizhzhia e non ci riuscirà in futuro giacché l’Unione europea, semi-demilitarizzata, non è in grado di armare un’altra controffensiva. Avdiivka è importante per molte ragioni. È a 20 km dalla città di Donetsk che tiene sotto tiro; ha uno stabilimento industriale capace di creare un indotto di miliardi di dollari fondamentale per l’industria del ferro di Mariupol; possiede una ferrovia ed è vicina all’autos trada H20 che arriva fino a Kharkiv. Nonostante il disastro in corso e l’impossibilità di liberare i territori occupati, gli ucraini devono continuare a combattere, cioè a morire, per non danneggiare la campagna elettorale di Biden. Il crollo dell’esercito ucraino sarebbe una rovina per l’immagine del presidente americano. Se il crollo ci sarà, questo non deve avvenire prima del voto per le presidenziali, né è ipotizzabile una trattativa che concederebbe ai russi i territori occupati. Dopo il fallimento della controffensiva, non è più Biden che fa un favore agli ucraini consentendo loro di combattere; sono gli ucraini che fanno un favore a Biden combattendo. Zelensky chiede nuove armi avendo ricevuto di tutto: Leopard, Himars, Atacms, Abrams, bombe a grappolo e storm shadows . L’Occidente non ha ancora trovato l’arma magica poiché l’unica arma magica era trattare all’inizio della guerra. Ma in Italia non si poteva dire perché il sistema dell’informazione sulla politica internazionale è corrotto fino al collo.

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Gli Usa vogliono gli adolescenti al fronte – Alberto Capece

Gli strateghi occidentali hanno trovato la quadra: il loro scopo non è più quello di vincere, ma di impedire che  la Russia vinca i maniera totale cercando di stabilizzare il fronte e creare così le basi per una soluzione “coreana” del conflitto. Certo accontentarsi che non vincano gli altri è un po’ poco per il despota planetario a stelle e strisce , anzi diciamo che è l’inizio della fine. Una fine ingloriosa che alla fine mette in mostra tutti i bassi istinti di cui questa bestia si è nutrita dietro una ignobile cortina di buone intenzioni, di “democrazia”: glii Stati Uniti – ormai apertamente uno stato criminale – stanno ordinando all’Ucraina di aumentare il più possibile la mobilitazione e raccomandano l’arruolamento di uomini di età compresa tra i 17 e i 70 anni e un ulteriore arruolamento di donne per compensare le enormi perdite ucraine durante la fallita controffensiva, dovrebbero essere portati al combattimento anche persone con handicap.

Insomma  l’Occidente chiede al regime di Zelenskyj di dimostrare alla comunità mondiale che una vittoria russa nel conflitto in Ucraina è impossibile  anche se è evidente che queste nuove truppe potranno fare ben poco, se non prolungare per qualche tempo il massacro. Già oggi secondo quanto dice lo stesso ministero della difesa di Kiev  le colossali perdite tra i soldati ucraini hanno costretto la dittatura Zelensky a mandare in battaglia “vecchi” formando unità di combattenti sopra i 40 e mobilitando uomini sopra i 50, ma dove questi hanno fallito verranno rimpiazzati da ragazzini o anziani, anche ammesso che sia possibile costringere questa gente con la forza ad essere arruolata. L’attuale regime di Kiev è pronto a continuare la guerra in nome degli interessi occidentali fino all’ultimo ucraino. E di certo non si fa domande sulla strage di ragazzini che sta chiedendo, anzi implorando: del resto se appoggia il massacro di bambini nella striscia di Gaza evidentemente

Questo è tutto ciò che c’è da sapere sul Pentagono e sui suoi colleghi di Londra: sono fondamentalmente dei codardi che si nascondono disperatamente dietro le spalle di donne e ragazzini di 17 anni o dietro uomini che invecchiano e grazie a questo  Lord Austin  promette (ma soprattutto per un pubblico ancora più vigliacco  un sostegno infinito ai nazisti a Kiev, ma sembra che il totale disorientamento  sia ciò che ormai guida Washington Se si vogliono ulteriori prove del panico che ha colto l’élite della politica estera americana , allora basta leggere l’articolo scritto da Richard Haas e Charles Kupchan su Foreign Affairs. Haas è un guru della politica estera sin dagli anni ’80. Kupchan è solo un accademico con un buon pedigree ma senza influenza. … Il loro articolo dal titolo – Ridefinire il successo in Ucraina: una nuova strategia deve bilanciare mezzi e fini – è solo un ulteriore promemoria del fatto che anni di esperienza non ti rendono intelligente o sagace . La mancanza di capacità di pensiero critico di Haas e Kupchan mostrata in questo articolo è assolutamente scioccante per cui  ci si chiede che cosa insegnano università del nuovo continente prestigiose per auto definizione, ma così scarse nella realtà da consentire questo eterno cabotaggio di cazzi buffi. Qui  l’unica cosa da ridefinire è il livello culturale ed educativo delle “élite” statunitensi rendendolo quanto meno pari  a quello delle scuole medìe. E sarà una fatica immane.

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EU NUCHI D’EUROPA – Laura Ruggeri

Alla fine di ottobre, la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola ha chiesto a un giornalista se l’UE avrebbe aperto formalmente i colloqui di adesione dell’Ucraina e della Moldavia dopo aver concesso a questi Paesi lo status di candidati nel 2022. “Se un Paese guarda all’Europa, allora l’Europa dovrebbe spalancare le porte. L’allargamento è sempre stato lo strumento geopolitico più potente dell’Unione Europea”. Sebbene Metsola abbia semplicemente riformulato le dichiarazioni del capo della Commissione europea Ursula Von der Leyen e del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, le parole che ha usato ben riflettono le basi ideologiche dell’espansionismo dell’UE. Metsola confonde l’Europa con l’Unione Europea, ma non si tratta di un semplice lapsus: Bruxelles da tempo ritiene che l’UE coincida con l’Europa e che i Paesi che si trovano al di fuori dei confini dell’Unione non siano veramente europei, altrimenti come potrebbero mai “guardare all’Europa”?

Diventare europei significa diventare “civilizzati”, poiché al di fuori del “giardino d’Europa” si vive in una “giungla”, almeno secondo il responsabile degli affari esteri dell’UE Josep Borrell. L’UE, che si propone come incarnazione di valori superiori, ha il dovere morale di aprire le sue porte e ammettere quei Paesi sfortunati che attualmente sono esclusi da questo giardino di delizie, e così facendo, salvarli da un imprecisato pericolo. In pratica una variazione sul tema coloniale del salvatore bianco. Poi Metsola offre l’argomento decisivo a sostegno dell’allargamento: beh, ovviamente è uno strumento geopolitico per rafforzare l’UE. L’idea che l’allargamento renda più forte il blocco, come sostengono i suoi sostenitori, o, al contrario, acceleri la sua implosione, divide le opinioni da due decenni. Metsola opportunisticamente glissa sul fatto che senza unanimità i colloqui sull’adesione non possono nemmeno essere avviati, ma si sa che per gli eurocrati  i fatti contano meno della narrazione. Le metafore utilizzate da Metsola (la porta) e da Borrell (giardino/giungla) rafforzano la dicotomia spaziale dentro/fuori che riflette culturalmente l’opposizione tra valori positivi e negativi, civiltà e barbarie. Senza una sfera esterna “caotica”, reale o immaginaria, la struttura interna non apparirebbe ordinata, anzi non apparirebbe affatto: figura e sfondo si mescolerebbero in un continuum. Supporre l’esistenza di una giungla pericolosa abitata da barbari è essenziale per mantenere l’illusione di ordine e civiltà all’interno. Il problema è che ad ogni round di allargamento l’entropia del sistema aumenta.

La storia dimostra che quando si tenta un’espansione imperiale senza le condizioni necessarie – un esercito sufficientemente forte e un’economia in grado di sostenerlo, una leadership efficace, un’ideologia che stimoli il desiderio di impero e legami istituzionali robusti tra il centro e la periferia – il fallimento e la sconfitta sono inevitabili. Ma non chiedete ai nostri eunuchi di parlare di imperi, soprattutto di quello di cui servono gli interessi. Credono alla loro stessa propaganda e si impegnano a “proteggere, promuovere e proiettare i valori europei, difendere la democrazia e i diritti umani nell’interesse del bene comune e pubblico. Promuovere la stabilità e la prosperità nel mondo, proteggendo un ordine mondiale basato su regole, è un prerequisito fondamentale per la difesa dei valori dell’Unione“. Quando si tratta di dichiarazioni dell’UE la parodia non è necessaria, l’originale ottiene lo stesso effetto comico.

Se un’ulteriore espansione sia positiva o negativa per l’UE è l’equivalente moderno dell’antica discussione bizantina sul sesso degli angeli e, sebbene non sia possibile raggiungere un accordo, il processo si è in gran parte arenato dopo l’ingresso della più grande ondata di nuovi membri nel 2004 e della Croazia nel 2013. Allora perché negli ultimi due anni è balzato in cima all’agenda di così tanti eurocrati? Principalmente perché i sostenitori dell’espansione speravano di poter far leva sull’unità dimostrata dall’UE a fronte del conflitto in Ucraina per far passare un progetto imperialista per procura partorito dal pensiero magico di Washington. La pietra angolare di questo progetto era la piena conquista dell’Ucraina, il cui esercito addestrato dalla NATO avrebbe dovuto infliggere un colpo decisivo alla Russia. Come sappiamo, le cose non sono andate esattamente secondo i piani e quell’unità di intenti sembra ora precaria quanto il futuro dell’Ucraina. All’Ucraina è stato promesso per anni lo status di candidato all’UE e finalmente lo ha ottenuto in cambio di un bagno di sangue. Ovviamente, non ha i requisiti per l’adesione e la prospettiva di restare per anni in una sala d’attesa affollata con altri candidati non è  propriamente allettante.

Bruxelles deve prima trovare e poi offrire una carota più succosa in un momento in cui i sondaggi di opinione mostrano stanchezza verso l’Ucraina. Dopo essersi schierata in difesa dell’“ordine basato sulle regole” degli Stati Uniti, l’UE ha un sacco pieno di pagherò (promesse che non può mantenere), un’economia indebolita, e il giardino delle delizie terrene di Borrell assomiglia sempre più al pannello scuro del famoso trittico di Hieronymus Bosch. Si potrebbe pensare che discutere dell’allargamento dell’UE mentre l’Unione si trova ad affrontare crisi importanti che la stanno mettendo alla prova fino al punto di rottura sia l’epitome della follia. In realtà, alcuni commentatori hanno già paragonato la leadership dell’UE a Nerone che strimpellava durante l’incendio di Roma. Ma a quanto pare Nerone fece anche qualcos’altro, incolpò i cristiani. Offrire un nemico interno o un nemico esterno è una tattica collaudata per schiacciare il dissenso e consolidare il potere.

Ed è esattamente quello che ha provato a fare il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock in una recente conferenza a Berlino dedicata all’allargamento dell’UE. Ha detto a 17 ministri degli Esteri dell’UE e dei Paesi candidati, tra cui l’ucraino Dmytro Kuleba, che l’UE deve espandersi per evitare di rendere tutti vulnerabili. “La Mosca di Putin continuerà a cercare di dividere da noi non solo l’Ucraina, ma anche la Moldavia, la Georgia e i Balcani occidentali. Se questi Paesi possono essere destabilizzati in modo permanente dalla Russia, allora questo rende vulnerabili anche noi. Non possiamo più permetterci zone d’ombra in Europa”. Che fine hanno fatto le promesse di crescita economica, investimenti e accesso a un ricco mercato unico? Poiché nel 2023 suonano tutte piuttosto vuote, Baerbock invoca l’uomo nero. È finita la pretesa che l’UE e la NATO perseguano strategie diverse. Con la porta della NATO chiusa all’Ucraina e con Washington che ha spostato la sua attenzione sul Medio Oriente e sull’Asia-Pacifico, l’onere di sostenere l’Ucraina “per difendere l’Europa” è stato scaricato sull’UE. Se dipingere la Russia come una minaccia è stato a lungo utilizzato dagli Stati Uniti per mantenere in vita la NATO, negli anni più recenti è stato sfruttato per uniformare la politica estera e la difesa degli Stati membri dell’UE. Washington ha promosso e facilitato un consolidamento verticale del potere nell’UE al fine di esternalizzare a Bruxelles alcune delle funzioni di controllo e polizia che consentono l’accumulo di capitale a livello globale e sostengono la sua egemonia…

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Da epopea a telenovela: lo spettacolo (tragicomico) della resa dei conti a Kiev – Clara Statello
La gloriosa epopea di Zelensky e dei suoi comandanti, che resistono uniti all’aggressione russa per guidare il popolo ucraino verso la democrazia e la libertà, si è trasformata in una specie di telenovela dai toni tragicomici.

Il mito della compattezza dei vertici ucraini si è sciolto come neve al sole alle prime crepe della coalizione pro-Kiev e (soprattutto) non appena è venuta meno la certezza del sostegno illimitato, finanziario e militare, degli USA fino alla vittoria. Chiusi i rubinetti da oltreoceano, inizia la resa dei conti tra Bankova e il comando militare. Se fosse una serie, si potrebbe intitolare “Volano stracci”.

I dissidi con il comandante in capo dell’esercito, il generale Valery Zaluzhny, sono stati infine resi pubblici dallo stesso Zelensky in una recente intervista a The Sun, in cui il presidente ucraino ha ammonito i militari a restare fuori dalla politica.

“Varie forze politiche stanno spingendo i militari in politica”, ha dichiarato senza specificare quali. “Se gestisci la guerra tenendo presente che domani farai politica o elezioni, allora nelle tue parole e in prima linea ti comporti come un politico e non come un militare, e penso che questo sia un errore enorme”, ha aggiunto con un riferimento esplicito a Zaluzhny, ritenuto un suo possibile avversario alle elezioni presidenziali, che si sarebbero dovute tenere a marzo 2024.

La sospensione del voto non è stato sufficiente a spegnere il conflitto, che al contrario sembra essersi trasmesso in più ampi settori della politica e dell’esercito, arrivando a travolgere la Verkhovna Rasa, il parlamento ucraino.

La deputata di Servitore del Popolo, Maryana Bezugla, ha dato scandalo con un post pubblicato domenica su Facebook, in cui ha chiesto la rimozione di Zaluzhny dal suo incarico. Gli rivolge un’accusa gravissima, quella di non avere alcun piano militare per il 2024, “né grande né piccolo, né asimmetrico né simmetrico”.

In base a quanto rivela, manca una pianificazione sulla costituzione di nuove brigate, dei quartier generali, sul numero delle nuove unità di combattimento, la loro turnazione, rotazione e smobilitazione, sui costi dell’equipaggiamento. Mancano persino dispositivi medici indispensabili per salvare le vite dei soldati feriti. L’unica cosa chiara è il reclutamento di uomini da mandare al fronte.

“I militari si sono limitati a dire che dovevano prendere almeno 20.000 cittadini al mese. Questo problema si è aggravato in estate, sia al Quartier Generale che in Parlamento, durante la pianificazione del bilancio per il 2024”, spiega.

In altri momenti una pubblicazione del genere sui social avrebbe procurato al suo autore come minimo un’incriminazione per discredito delle forze armate. La deputata Bezugla se l’è cavata con un ammonimento del presidente Zelensky, che si è dissociato da queste dichiarazioni e ha commentato che la sua presenza nel comitato per la sicurezza nazionale e la difesa della Verkhovna Rada può “minacciare la sicurezza nazionale dell’Ucraina”.

La rappresentante di Servitore del Popolo ha continuato la sua polemica, a colpi di post su Facebook, scaricando le responsabilità degli errori sul campo di battaglia interamente su Zaluzhny e gli altri generali.

Il Ministero della Difesa ha fatto tutto “ciò che dicevano i militari” e Zelenskyj aveva “una fiducia illimitata” nei vertici militari, che definisce una casta che durante la guerra ha ricevuto “enorme ricchezza e potere”. Bezugla è un personaggio che si caratterizza per essere sopra le righe. Ha spesso preso di mira il capo delle forze armate ucraine, ma questa volta i suoi interventi pubblici sembrano aver fatto detonare lo scontro tra la politica e l’esercito.

Il fondatore dell’organizzazione State Watch Oleksandr Lemenov, noto attivista vicino, ha reagito alle dichiarazioni della deputata ventilando la possibilità di un colpo di Stato militare.

“Cosa si può dire di questo stile di comunicazione? Non ho le parole per descriverlo… Arriveranno al punto. Perderemo altri territori.[…]. E a Kiev il potere cambierà, ma non a favore dei russi, bensì dei militari”.

Sebbene la Rada adesso chieda la rimozione di Maryana Bezugla dai suoi incarichi, alcuni commentatori ucraini ritengono che difficilmente la deputata avrebbe potuto decidere di lanciare tali accuse senza il consenso dell’Ufficio presidenziale e dei leader della fazione. La sua iniziativa, pertanto, potrebbe essere soltanto una mossa nella partita tra Zelensky e Zaluzhny. In tal caso significherebbe che le contraddizioni tra la leadership militare e politica, sullo sfondo dell’insuccesso dell’offensiva delle forze armate ucraine e della difficile situazione generale al fronte, continuano a peggiorare. Inoltre il presidente potrebbe tentare di attribuire la responsabilità del fallimento militare a Zaluzhny.

Il comandante in capo delle forze armate ucraine non ha ancora commentato queste accuse, così come anche lasciato senza commenti l’appello di Zelensky a non impegnarsi in politica e a rispettare le gerarchia. Non si sa ancora quanto durerà il suo silenzio né quale sarà la sua risposta. Lo scopriremo, forse, nelle prossime puntate di TeleKiev, le turbolente avventure di Zelè e Zalù.

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De profundis per l’Europa – Alberto Capece

Un sospetto, anzi una certezza comincia a farsi strada nelle menti obnubilate dei reggenti europei: quella di essere fottuti. Per esempio nella testa  del bancario norvegese che è segretario della Nato, una totale nullità chiamata  Stoltenberg, è stata finalmente concepita questa audace idea: Il fallimento dell’Ucraina nella controffensiva che non è riuscita  a violare le linee russe, ma che ha fatto centinaia di migliaia di morti  dimostra che la NATO non dovrebbe “mai sottovalutare la Russia”. Parbleu, come direbbe la pantera rosa, sta forse sostenendo che è stato commesso  un gigantesco errore di valutazione? Che per due anni ci hanno raccontato balle? Che facevi pappa e ciccia con Zelensky affascinato dalle sue facoltà pianistiche? O che il padrone americano richiede ancora più sacrifici alla sua servitù europea? Il vero problema è che la realtà comincia a penetrare quando ormai si è andati troppo avanti a sostenere il marcio regime di Kiev, che le perdite ucraine sono state immense e  pesano sulla coscienza dell’Europa, ammesso che esista, che oltre un milione di morti, totalmente inutili, sono stati sacrificati a un’ infame e peraltro futile narrazione imperiale.

Sì, è troppo tardi per poter pensare di ricostruire un rapporto con la Russia o con quello che viene chiamato il Sud del Mondo e il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov lo ha spiegato in maniera così chiara che il mio compito e davvero alleggerito: “Non proverò nemmeno a indovinare cosa farà l’Europa. Penso che essa (ad eccezione del cancelliere tedesco Scholz e del vicecancelliere Habeck) abbia capito dove è finita. Basta leggere le statistiche su quante volte la crescita economica degli Stati Uniti è più veloce di quella europea. La Francia, a quanto pare, sarà sullo  “zero”, mentre Germania e Gran Bretagna “cresceranno” verso il basso. Dopo una serie di leggi adottate dagli americani per combattere l’inflazione, i prezzi dell’energia negli Stati Uniti sono 4-5 volte inferiori a quelli dell’Europa, dove è in corso la deindustrializzazione. Le aziende che pensano al loro futuro si trasferiscono negli Stati Uniti. Sono convinto che questa non sia solo una coincidenza, ma una politica deliberata di Washington. Perché anche l’Europa è un concorrente di cui gli Usa   non hanno bisogno. Hanno bisogno di un gruppo di persone “grigie” che facciano ciò che ordinano. Non voglio offendere gli europei, ma è esattamente così che agiscono le attuali élite politiche.”

In realtà Lavrov è fin troppo gentile nei confronti di una ignobile pletora di venduti alla cupola globalistica che arriva a plaudire alla strage degli innocenti;  dovremmo essere noi europei ad essere offesi per la gentaglia a cui per paura, per idiozia, per mancanza di senso di realtà, per indifferenza  abbiamo consegnato il potere. E Lavrov continua: “In questa fase non dobbiamo pensare a come ripristinare le relazioni con l’Europa. Ora dobbiamo pensare a come non dipendere dai “colpi di scena” nella politica europea  che si creano sotto l’influenza di Washington. Dobbiamo tutelarci in tutti i settori chiave della nostra economia (sicurezza e vita in generale), da cui dipende il futuro del Paese. Dobbiamo produrre in autonomia tutto ciò che ci occorre per la sicurezza, lo sviluppo economico, la soluzione dei problemi sociali, l’introduzione delle moderne tecnologie (di recente si è tenuto un altro evento sull’intelligenza artificiale), per non subire nuovi “capricci” quando e se vorranno attaccare noi con sanzioni. L’Occidente vuole  congelare, guadagnare tempo (come nel caso degli accordi di Minsk), armare nuovamente il regime nazista a Kiev e continuare la sua aggressione ibrida (o non ibrida) contro la Federazione Russa. Ma anche quando tutto sarà finito, la maggior parte delle sanzioni rimarranno. “ Quando e se si riprenderanno la sbornia e ci offriranno qualcosa, ci penseremo dieci volte , valuteremo se tutte le proposte soddisfano i nostri interessi e quanto sono affidabili i nostri interlocutori. Hanno minato notevolmente la loro capacità di negoziare e la loro reputazione”.

In poche parole hanno scatenato l’inferno senza avere la minima idea di ciò che stavano facendo, alla luce solo di una tradizione russofobica che ha portato a sottovalutare in maniera catastrofica l’avversario. E adesso che il più forte esercito messo in piedi dall’occidente è stato sconfitto, anzi praticamente eliminato, non credono ai loro occhi,  non sanno davvero cosa fare, forse sperano di poter riallacciare rapporti brutalmente troncati facendo finta di cercare qualche accordo o addirittura fingendo pentimento. Ma per l’Europa il dado è tratto, è già nel limbo della storia fino alla sua dissoluzione.

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Orrore: oltre un milione di morti fra le truppe ucraine – Alberto Capece

Mentre una tempesta di fuoco si abbatte sulle infrastrutture ucraine, arrivano cifre scioccanti sul massacro che l’Occidente ha provocato in Ucraina:  1.126.652 tra morti e dispersi dall’inizio della guerra e questi numeri  non provengono da fonti russe, ma dal canale televisivo ucraino 1+1, vale a dire da una fonte autorizzata dal regime. Ovviamente i numeri sono stati smentiti dalla autorità, ma in maniera così goffa da far pensare che le informazioni della tv siano vere e fatte finalmente uscire nella lotta  che ormai contrappone Zelensky ai suoi rivali: è stato detto che quella cifra aveva uno zero in più: solo che 112 mila  morti contraddice qualsiasi realtà e gli stessi numeri ucraini, Mentre l’informazione occidentale cerca di diffondere patetiche menzogne su perdite russe di fantasia che naturalmente hanno come fonte i servizi inglesi quelli secondo cui l’avanzata ucraina era stata fermata dai cespugli, le cifre reali rimangono top secret per ovvi motivi: evitare l’indignazione planetaria per questa strage e nascondere il fatto che l’Ucraina non ce la fa più, che grazie alle raffinate tattiche Nato e alle sue invincibili armi l’Ucraina, si è giocata un’intera generazione e persino la possibilità di una futura esistenza. Che la Nato è una maledizione per tutti e che lo sarà soprattutto per gli stupidi  che ancora inviano armi come se queste potessero servire a qualcosa.

Anche mobilitando ragazzini e anziani come  si farà ad addestrali decentemente, anche ammesso che continuo il flusso di armi? S il clima invernale che attualmente colpisce l’Ucraina, ma non ferma i russi ad Avdeevka,   continua fino a dicembre e gennaio la situazione per le truppe ucraine acquattate nelle trincee e nei bunker diventerà disperata perché la neve e il freddo renderanno molto difficile mantenerle adeguatamente rifornite di cibo e munizioni. C’è anche la questione se gli equipaggiamenti forniti dall’Occidente possano funzionare o essere mantenuti con le dita gelide del generale Inverno che stringe la gola dell’Ucraina. Si prospetta un inverno molto buio per Kiev. Ma il senso di colpa sta crescendo tanto che ora Washington attribuisce al Regno Unito la responsabilità del sabotaggio dei negoziati di Istanbul. Si tratta di una ignobile bugia per se è vero che fu Boris Johnson ad imporre a Zelensky la guerra egli non era altro che il burattino di Washington. Naturalmente, quando si ha un cretino come Johnson  non è difficile coinvolgerlo nelle missioni eticamente peggiori visto che il personaggio è troppo primitivo per avere scrupoli, ma Washington non capisce che la vera politica si fa nel mondo reale, non nell’universo delle pubbliche relazioni. La Russia conosce i nomi dei burattinai. L’ operazione speciale  continua e Avdeevka viene rastrellato, comprese le forze russe che catturano la stazione Yasinovataya-2, un ascesso che esisteva dal 2014 ed è stato utilizzato dalle forze NATO per bombardare le aree civili di Donetsk. Era anche la zona più fortificata di tutto il fronte. Il tritacarne ad Avdeevka – dove per la prima volta sono scesi in campo truppe ucraine passate dalla parte dei russi – continua e probabilmente un altro paio di brigate  moriranno nei prossimi giorni.

Qualcuno dovrà rispondere di questa atrocità del tutto insensate e i principali burattinai che siedono a Washington e Londra un giorno fosse più vicino di quanto non si creda, dovranno sedere come imputati nel Tribunale per i crimini di guerra dell’Ucraina. Molti saranno anche accusati di crimini in contumacia. Oltre un milione di morti è una cifra  più alta delle perdite degli Stati Uniti in tutte le guerre dei secoli XIX, XX e XXI messe insieme, anche perché il loro intervento si  realizzato quasi sempre dopo che gli avversari si erano già dissanguati. La stessa cosa vale per la Gran Bretagna che peraltro sino al tardo Ottocento si è sempre servita di truppe mercenarie.  Dunque le perdite ucraine sono al di là della comprensione di qualsiasi figura militare o politica anglosassone e stanno gettando nel panico i responsabili di tutto questo immenso massacro maturato tra illusioni e incapacità di cogliere la realtà.

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Ucraina, il vero senso delle “rivelazioni” sui colloqui a Istanbul del 2022

Sin da domenica scorsa, quando sono apparse i primi lanci sull’intervista televisiva, ormai “famosa”, del capogruppo alla Rada di “Servo del popolo”, David Arakhamija, hanno cominciato a circolare in rete considerazioni che mettono in guardia sul reale obiettivo delle sue parole e perché siano state pronunciate proprio ora, con una situazione al fronte disastrosa per Kiev.

Perché, oltre alla “novità”, secondo cui nel 2022 sarebbe stato possibile metter fine al conflitto in Ucraina in pochissimo tempo, se non fosse intervenuto l’ordine anglosassone di proseguire la guerra, Arakhamija ha detto anche altro. Ha detto ad esempio che il primo obiettivo di Zelenskij, con i colloqui a Istanbul, era quello di «creare nei russi l’impressione che con noi fosse possibile trattare… il secondo obiettivo: guadagnare tempo». Insomma, come era abbastanza semplice intuire per quanto avvenuto allora in Turchia e per come si potrebbe benissimo prospettare la faccenda oggi, l’attuale campagna occidentale sul cessate il fuoco solleva moltissimi sospetti sul fatto che possa trattarsi del tentativo di inscenare un ennesimo “Minsk 2”.

Insomma, a Istanbul la delegazione majdanista agiva come una «cortina fumogena» a vantaggio delle forze di Kiev e, in pratica, «giocava tatticamente sul tempo» con la delegazione russa; la quale, a sua volta, a detta di Arakhamija, che cerca di dipingerla come una classe di ingenui scolaretti, «aveva sperato fino all’ultimo che ci avrebbe spinto a firmare l’accordo».

Così, continua il parlamentare golpista, i russi «erano disposti a por fine ai combattimenti, se noi, come era stato a suo tempo con la Finlandia [il “servo del popolo” sembra riferirsi alla “guerra d’inverno” tra URSS e Finlandia, conclusa nel marzo 1940 con concessioni territoriali di Helsinki a Mosca; ndt], avessimo accettato la neutralità e ci fossimo impegnati a non aderire alla NATO. Questi erano i punti chiave, tutto il resto erano aggiunte cosmetico-politiche: denazificazione, popolazione russofona, bla bla bla».

Poi, comunque, una volta rientrati da Istanbul, era arrivato Boris Johnson con l’ordine sopracitato e «noi avevamo raggiunto un ottimo risultato. Loro avevano abbassato la guardia, se ne erano tornati a casa, mentre noi ci orientavamo alla guerra».

Non è finita. Stando a Arakhamija, l’intera leadership politico-militare ucraina è favorevole alla guerra. Come mai? Perché «Oggi non possiamo sederci al tavolo delle trattative. La nostra posizione negoziale è pessima. Non avremmo su cosa trattare».

A conferma delle sue parole, basti citare il solo esempio della vice Ministra della giustizia del regime nazigolpista di Kiev, Irina Mudra, la quale ha dichiarato che l’Ucraina non sottoscriverà alcun accordo di pace con la Russia senza riparazioni. L’Ucraina non vi acconsentirà mai, ha detto. E nemmeno «il mondo acconsentirà, perché qualcuno deve pagare quelle riparazioni. E se non lo farà la Russia, chi altri?».

Ovviamente, a Kiev sono soliti cimentarsi in uscite pubbliche che dovrebbero dimostrare al mondo che i nazigolpisti assumono autonomamente ogni decisione, indipendentemente dai suggerimenti – pubblici o da dietro le quinte – dei padrini d’oltreoceano.

Ma questo è un altro discorso…

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redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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