”Riforma o morte”: il grido di battaglia dell’élite che ha già vinto

di Mario Sommella

Una volta era “Rivoluzione o morte”, oggi è “Riforma o morte”. Ma a pronunciarlo non sono i popoli oppressi, né i leader rivoluzionari. Sono i tecnocrati dell’élite finanziaria.
Mario Draghi lancia il suo ennesimo ultimatum all’Europa: o si piega al nuovo paradigma del mercato globale, o scompare. Dietro il monito si cela una visione che ha già escluso i cittadini: una nuova egemonia capitalista che pretende riforme imposte dall’alto, mentre le democrazie si svuotano e le diseguaglianze si consolidano.
È davvero questo il futuro che ci viene offerto?Il dogma della riforma: una religione senza popolo
“Riforma o morte”: il titolo scelto da Mario Draghi per la sua nuova offensiva comunicativa è più che una sintesi economica. È un manifesto ideologico. Non c’è spazio per il dissenso, per l’alternativa, per il tempo del confronto democratico. L’Europa, dice l’ex presidente della BCE, è irrilevante perché non si riforma abbastanza, perché non investe abbastanza, perché non si adegua abbastanza alla nuova guerra mondiale dei capitali.

Ma cos’è, in concreto, questa riforma? Non è certo un’idea condivisa di giustizia sociale o di redistribuzione. Riforma, nel linguaggio di Draghi e delle istituzioni sovranazionali, significa sempre la stessa cosa: tagli, flessibilità, privatizzazioni, efficienza di bilancio, deregolamentazione industriale, compressione dei diritti collettivi. È un’economia armata contro il lavoro e blindata nei suoi dogmi.

Il tramonto dell’Europa e il risveglio della verità
Draghi ha lanciato l’allarme da Rimini, proprio mentre la Germania sprofonda nella stagnazione. Il PIL tedesco è tornato a contrarsi e l’economia europea nel suo insieme fatica a riprendersi. Il motivo? Secondo Draghi, non si è fatta abbastanza integrazione finanziaria, non si è costruita una rete energetica comune, non si sono liberalizzati i mercati. Ma il sospetto è che, dietro queste parole, ci sia molto di più.

Il modello europeo fondato sull’austerità, sulla tecnocrazia e sull’illusione di una forza geopolitica data solo dal peso commerciale, è arrivato al capolinea. Draghi stesso lo ammette: l’Europa ha creduto per anni che le sue dimensioni economiche le garantissero automaticamente influenza. Ma si sbagliava. Lo dimostra Trump, che tratta Bruxelles come una pedina marginale sullo scacchiere globale.

Il messaggio è chiaro: non abbiamo più alcun potere se non ci adeguiamo al modello americano, se non diventiamo anche noi una “economia di guerra” capace di produrre, investire, controllare. Ma questa narrazione dimentica che l’Europa non è solo un mercato. È, o dovrebbe essere, anche un’idea di civiltà, di welfare, di diritti, di pace.

Le riforme che nessuno ha chiesto
Da un anno Draghi ripete lo stesso mantra: serve una nuova strategia industriale, un bilancio europeo ambizioso, una rete elettrica integrata, una finanza unificata. Ma nulla si muove. E il motivo è semplice: gli Stati membri, stretti tra interessi nazionali e vincoli esterni, non sono disposti a cedere altra sovranità a Bruxelles. E i cittadini, soprattutto, non vengono mai coinvolti in questo dibattito.

Quello che Draghi propone è un’accelerazione tecnocratica dell’integrazione, in nome della competitività globale. Ma senza un progetto democratico, senza partecipazione popolare, senza redistribuzione, questa accelerazione diventa un suicidio politico. Lo stesso think tank Bruegel ammette che solo il 20% delle proposte è stato attuato. Il resto è carta straccia. Non per caso, ma per mancanza di legittimità.

Una rivoluzione al contrario: il potere dei pochi contro i molti
Il paradosso è drammatico. Il linguaggio di Draghi richiama quello delle rivoluzioni, ma in modo rovesciato. Dove i popoli dicevano “o ci liberiamo o moriamo”, ora le élite affermano “o ci seguite o morirete”. È il capitalismo che si è appropriato dell’immaginario rivoluzionario, svuotandolo di ogni contenuto emancipativo. Le riforme non servono più a liberare, ma a garantire i profitti dei fondi speculativi, delle multinazionali, delle piattaforme digitali.

Mentre Lagarde tesse l’elogio dei migranti come forza-lavoro invisibile che salva l’Europa dalla stagnazione, Draghi grida all’irrilevanza se non ci si piega alla concorrenza globale. Ma nessuno, tra questi grandi tecnocrati, si chiede che fine abbia fatto il consenso sociale. Nessuno parla di salario minimo, di diseguaglianza, di diritto all’abitare, di servizi pubblici. Il popolo non è previsto nel loro disegno. Se non come ostacolo.

Lo spettro della guerra economica totale
Nel frattempo le crisi si moltiplicano. Gaza muore di fame sotto embargo israeliano, l’Ucraina è intrappolata in un conflitto interminabile, la Francia viene attaccata diplomaticamente dagli Stati Uniti per non essere abbastanza allineata sul piano ideologico. E l’Europa? Rimane spettatrice o peggio: complice silenziosa.

La guerra commerciale con Washington è stata evitata a prezzo di una resa: accettare il 15% di dazi sui prodotti europei per non aprire uno scontro. Altro che sovranità. Intanto la coesione sociale si sgretola, la sicurezza alimentare si dissolve, e le reti pubbliche vengono smantellate. Eppure la priorità resta sempre la stessa: “riformare per crescere”. Ma crescere per chi?

Conclusione: disobbedire al futuro che ci impongono
Il problema non è Mario Draghi in sé. Il problema è il mondo che rappresenta. Un mondo che non ha bisogno della politica, che considera il consenso un ostacolo, che riduce la democrazia a un rito inutile. Un mondo in cui si parla di riforme come se fossero leggi della fisica, e in cui al popolo resta solo da obbedire.

Ma questa narrazione non può più bastare. L’alternativa non è “riforma o morte”, ma “partecipazione o sottomissione”. Non abbiamo bisogno di una nuova governance tecnocratica, ma di una nuova sovranità popolare. Non ci serve un’economia armata per competere, ma una società giusta per vivere.

Per troppo tempo abbiamo creduto che il cambiamento potesse arrivare dall’alto. Ma oggi è evidente: o il popolo riprende in mano il proprio destino, o l’élite continuerà a riformare tutto. Tranne sé stessa.

Fonti e approfondimenti:
• Discorso di Mario Draghi, Rimini, agosto 2025
• Bruegel Think Tank – Rapporto sulla competitività europea 2025
• BCE – Discorso di Christine Lagarde, Jackson Hole Symposium
• Eurostat – PIL e crescita UE 2022–2025
• Politico EU Playbook – Agosto 2025
• ISTAT – Rapporto su disuguaglianze e investimenti pubblici in Italia
• OCSE – Industrial Policy and Inequality, 2024
• Amnesty International – Famine in Gaza and International Responsibility, luglio 2025

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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