Villa del seminario

Nel suo romanzo Sacha Naspini evoca una storia realmente accaduta. Grosseto fu l’unica diocesi in Europa ad aver stipulato un regolare contratto d’affitto con un gerarca fascista per la costruzione di un campo di internamento, a Roccatederighi, dove vennero rinchiusi un centinaio di ebrei e oppositori politici che poi sarebbero stati deportati nei campi di sterminio in Germania.

di David Lifodi

Le Case è una frazione di Roccatederighi, nella Maremma toscana, isolata da tutto. È qui che Sacha Naspini, nel suo romanzo Villa del seminario, evoca una storia realmente accaduta. A Roccatederighi, tra il 1943 e il 1944, furono infatti prigionieri, nel seminario del vescovo Galeazzi, un centinaio di ebrei e oppositori politici che poi sarebbero stati deportati nei campi di sterminio in Germania.

Grosseto fu l’unica diocesi in Europa ad aver stipulato un regolare contratto d’affitto con un gerarca fascista per la costruzione di un campo di internamento. Lo spiega, nelle note, lo stesso autore, ricordando, da un lato, una comunità disorientata di fronte all’operato del monsignore e, dall’altro, la volontà dei ministeri della Giustizia e dell’Interno nel far cadere l’oblio sui fatti accaduti all’interno del seminario.

Nel romanzo di Naspini emergono sia la denuncia per la presenza del campo di prigionia che incombe su una piccola comunità sia una storia caratterizzata da sentimenti forti di tutti i suoi personaggi.

René, detto Settebello per aver perso, in gioventù, tre dita sul tornio, è il ciabattino del paese che, come tutti gli abitanti, cerca di tirare avanti nel novembre 1943. Nel suo stesso palazzo abita Anna, che ha perso il figlio Edoardo, fucilato dai nazisti dopo aver scoperto che si era dato alla macchia con i partigiani nonostante in paese fosse riuscito a far credere a tutti di combattere nella Wermacht.

Il sentimento del ciabattino nei confronti di Anna è timoroso: vorrebbe dichiararsi, ma non lo fa e, quando la donna le fa capire esplicitamente che avrebbe scelto la strada della clandestinità per unirsi alle brigate partigiane, non la segue.

Settebello era solito andare nella casa della donna e, quando un giorno non le risponde, capisce che ha lasciato il paese. Per difenderla, e fare in modo che ai fascisti giunga voce che Anna (ormai con il nome di battaglia di “Ombra”) sia alla macchia, ogni giorno si reca nella sua abitazione per aprire le finestre, le tende e far capire che la casa è ancora vissuta. Addirittura, grazie ad uno stratagemma, riesce ad evitare che il dottore vada a visitarla, ma alla fine i fascisti lo capiscono, si presentano alla bottega di René e lo arrestano conducendolo appunto alla villa del seminario.

In questo luogo tetro, di prigionia e torture, a cui anche René è sottoposto, inizia un lento, quanto complesso e difficoltoso mutamento del ciabattino. Prima titubante verso la Resistenza, inizia a prendere coscienza della lotta partigiana anche grazie a Simone, un giovanissimo militare che, dal seminario, portava a riparare alla bottega di Settebello gli scarponi dei commilitoni e dei tedeschi. Durante la detenzione di René sarà il suo carceriere, ma in realtà è antifascista e gli porta notizie sull’avanzamento degli Alleati che risalgono l’Italia.

Trovatosi rocambolescamente dal seminario alla macchia, insieme ai partigiani René capisce definitivamente da che parte stare e la sua storia, d’amore e Resistenza, diviene anche di riscatto, sia nei confronti dei suoi compaesani, che spesso lo apostrofavano in maniera sgradevole sia perché, una volta tornato al borgo a Liberazione avvenuta, lo aveva fatto festeggiando e sentendosi partecipe della cacciata dei nazifascisti.

Vent’anni dopo la Liberazione Simone tornò a Le Case per ritrovare René. Il ciabattino non aveva dimenticato ciò che era accaduto nella villa del seminario, ormai divenuto un luogo abbandonato e lo stesso faceva Simone, che andava a cercare gli aguzzini di allora nei paesi della Maremma senza fare alcunché, ma inchiodandoli con uno sguardo che valeva più di mille parole.

Era passato tanto tempo, ma ancora René «non si abituava al modo che Le Case aveva avuto di ricomporsi dopo la guerra…. . Alla Festa della Liberazione restava in casa. Gli faceva schifo l’idea che tanta gentaglia pendesse dalle labbra del sindaco durante il discorso di rito, che comunque non sfiorava mai i fatti della villa… . I fatti del seminario sembravano non essere mai esistiti», mentre monsignor Galeazzi continuava ad istituire nuove parrocchie in tutta la Maremma.

Caduto il fascismo, per i repubblichini del paese, come in tutta Italia, venne l’amnistia. «L’ennesima bestialità di Le Case era questa: non avevano mai ribattezzato la strada. Restava imperterrito il cartello: VIA DEL SEMINARIO. La gente continuava a percorrerla con la leggerezza di chi raccoglie i papaveri».

Il 27 gennaio 2008, spiega Naspini, nelle note, nel giardino della villa fu posta la targa che invitava a non dimenticare i fatti del 1943 ricordando gli ebrei rinchiusi lì dentro, vittime delle persecuzione razziale fascista. Sotto due firme, quella dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea e della diocesi di Grosseto. Per quest’ultima, una sorta di ammissione di colpa, per quanto tardiva, o, forse, il sistema migliore per lavarsene le mani?

Una presa di distanza da quanto accaduto, contando sul fatto che, a distanza di così tanti anni, nessuno si sarebbe preso la briga di verificare come tra i responsabili della costruzione del campo d’internamento nella villa del seminario vi fosse stata proprio la diocesi stessa.

Villa del seminario

di Sacha Naspini

edizioni e/o, 2023

Pagg. 204

17.50

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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