«Santi di Stato»: l’esplosione di Francesco

di Fabio Bettoni (*)

Trombe, pifferi, tamburi e cembali squillanti hanno annunciato il Grande Evento: l’assisano Poverello, il Giullare di Dio, è stato nazionalmente ri-patronizzato: così dal prossimo 4 ottobre 2026 (e da lì per saecula saeculorum) vedremo il ritorno di una Grande ItaloFesta.

E l’ha spuntata, Francesco di Benardone, sulla senese Caterina di Jacopo, la quale è rimasta, poverina, al più umile stadio civile dell’Italo-Festevolezze. Del resto, oltre ad essere donna era pure domenicana, e, come si sa, tra “minori” e “predicatori” non è mai corso buon sangue! (Accomunati nella Santa Inquisizione, purtuttavia! Con un di più di francescano antisemitismo!).

Dal 27 aprile 2023, l’Amichetta dell’Orribile (a dire dell’impareggiabile signora Aspesi) Trump, tramite il fido scudiero Mantovano, ha messo in piedi un Comitato nazionale per celebrare gli ottocento anni dalla morte del Giullare; sì, perché nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1226, il Piccolino se ne volava in Cielo tra le braccia del Padre: insomma moriva, con ciò trovando, in verità, il suo dies natalis, ovvero il giorno della nascita, quella vera, tra le braccia del Padre, appunto. E di lì a non molto, nel 1228, lo facevano santo: battendo, così, ogni record di santoral proclamazione!

Subito prima del 4 ottobre di quest’anno e durante il medesimo, i social fremettero, pure le reti on line (tipo Vatican new; San Francesco; e l’ufficiale www.sanfrancesco-vive.org) e le televisive: al punto che Rai1, in un tripudio di preti frati e pellegrini sciamanti in ogni dove a cagione del romano Giubileo, e con questo miscelando la Festa del santo Patrono Canterino (nei mistici trasporti, esondava Bianchetti la garrula, giuliva Lorena)… Rai 1 – dicevo – batteva il papalin-leonino Canale Tv 2000.

Tutti i giornali, giornalini, giornaletti e giornaloni scrissero della Festa. Il Sole 24 Ore di domenica 5 ottobre si distinse, giacché in III pagina del suo collaudato supplemento (sempre arricchito della cardinalizia Sapienza Ravasiana) pubblicò Il canto di Francesco nel paradiso della poesia: uno stralcio del saggio scritto da Davide Rondoni per l’edizione del Cantico delle creature licenziato dai torchi di stampa proprio quel 4 di ottobre per la cura delle Edizioni Tallone. Un libretto squisito di 60 pagine in 24°, composte a mano, lettera per lettera, con i caratteri Garamond corpo 10 e 8, stampato in 14 tirature sulle più belle carte fatte a mano prodotte in Italia, Inghilterra, Giappone e Cina: 24 esemplari in tutto – pensate! – corredati da un’acquaforte realizzata da Pietro Paolo Tosco.

Lo stralcio del Rondoni riecheggiava il discorso pronunciato dal medesimo sempre il 4 ottobre nella sua qualità di presidente del Nazional Comitato, organo di comando del prossimo Centenario all’insegna del motto programmatico: Una esplosione di vita! quanto mai incongruo in un periodo nel quale 56 guerre dilaniano il mondo, e la spada nucleare pende sulla testa di tutti! Poeta e drammaturgo, Rondoni vorrebbe accreditare di sé il profilo di uomo libero. In realtà è ben collocato a destra: si laureò a Bologna con Ezio Raimondi, ma dichiara suo “maestro” Mario Luzi. Il destrume che amministra Cinisello Balsamo gli ha fatto ponti d’oro chiamandolo (2022) a presiedere il Museo di Fotografia Contemporanea (Mufoco). Rende costante omaggio a don Giussani, e nel 2024 partecipò al meeting riminese di CL a dialogarvi su Il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di san Francesco (Ed. Il Messaggero, Padova) libro scritto a quattro mani con Guidalberto Bormolini, un prete.

Lo si dà antropologo quando non si ha il coraggio di darlo tanatologo (contro la morte sono ammessi tutti i noti gestacci alla Totò!). Scrive e scrive, il prete maxibarbuto, e si spericola anche discettando su La vera ricchezza. Lezioni di economia e spiritualità (Ponte alle Grazie, 2023). Con Rondoni ha girato e gira l’Italia di destra (che com’è noto ha ormai una capillare diffusione) pubblicizzando il detto, libresco Cantico.

Il nostro «manifesto» – benché quotidiano ancora comunista – non poteva rimaner fuori dalla fiera. Con la firma in sigla and.car., il 5 ottobre strillava un titolone in 7ma: Meloni usa San Francesco “Uomo di pace mai estremista”, sintesi non priva di efficacia, come il relativo occhiello: La premier contestata chiede di “capire le ragioni degli altri”. Poi attacca le piazze di Gaza (implicitamente ripetendo il suo “coro brutale e arrabbiato, verso le barche”: così la dirompente signora Aspesi in altra sede commentando). Il «manifesto» prendeva sul serio l’Itala Sorella e affidava a Paolo Rodari un colonnino di corsivo commento. In contrasto con l’importante sostenitrice di un Poverello “riformatore, non rivoluzionario”, lo scrittore, con penna elegante e forbita, asseriva: Francesco “fu tutto fuorché un semplice correttore del sistema”; espresse, invece, una “rivolta evangelica” incardinata sui pilastri della povertà, della fraternità universale, dell’amore radicale per il creato; e corroborava l’assunto con exempla a dire il vero non privi di fondamento, ma inoltrandosi nel terreno scivoloso delle astrazioni indeterminate (per richiamare il vecchio Karl). Tanto indeterminate che, solo per fare un esempio togliendo le parole dalla bocca di Rondoni, sulla parola povertà si può ben cincischiare affermando non essere essa da identificare con la “miseria, che infatti lui combatte”, bensì con il “comprendere che non puoi alzare la mano contro nessuno, nessuno, e nemmeno il bimbo nascente, né contro la persona morente”. Con il che, alludendo gesuiticamente all’aborto, ne combatte il diritto.

Slittamento per slittamento nel tempo, Rodari non è il solo sostenitore di un Canterino rivoluzionario. Vi ricordate di Hardt e Negri e del loro ingombrante Empire (2001)? “Per denunciare – scrissero – la povertà della moltitudine ne adottò la condizione comune e vi scoprì la potenza ontologica di una nuova società. Il militante comunista fa lo stesso […] In opposizione al capitalismo nascente, Francesco rifiutava qualsiasi disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne contrapponeva una vita gioiosa”. Più che un’eco della francescana perfetta letizia, sembra di leggere un ritorno al Gramsci che vedeva in Francesco l’uomo dall’ “ingenua effusione di fede”, dall’ “ingenua effusione dei sentimenti”; tuttavia un uomo dalla “forte personalità”, fondatore di un ordine religioso normalizzatore, messo lì a riassorbire nell’alveo della Chiesa romana i tanti rivoli delle radicalità ereticali, a riconnettere chiesa e popolo. La Cronica di fra Salimbene da Parma (intra 1287), dice il nostro Antonio, dimostra “quanto sia decaduto lo spirito di san Francesco”.

(*) ripreso dall’ultimo numero del bel mensile «Micropolis» che esce nelle edicole umbre come supplemento al quotidiano «il manifesto». Sul sito micropoolisumbria.it ci sono tutte le annate (scaricabili, volendo) e anche l’ultimo numero, il mese dopo l’uscita in edicola.

La redazione della “bottega” ha scelto di illustrare l’articolo con due immagini di un film tanto geniale (quanto frainteso): «Uccellacci e uccellini» di Pier Paolo Pasolini.

In “bottega” ne abbiamo scritto di recente: San Francesco e i lupi d’oggi (di Andrea Babini, con molti link utili); La povertà in Italia e il paradosso di san Francesco (con un articolo di Gianluca Cicinelli)

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