Scor-data: 9 marzo 1945

Chi ama il cinema… dove arte e vita si mescolano

di Fabio Troncarelli

Palais de Chaillot a Parigi viene proiettato per la prima volta «Les enfants du paradis» di Marcel Carné: è il 9 marzo 1945. E’ il primo film francese che viene mostrato a Parigi dopo la Liberazione. Dura tre ore, ma il pubblico è entusiasta. Carné si batte perché venga proiettato per intero, con un intervallo, come se fosse un’opera teatrale. Due cinema lo avranno in esclusiva: La Madeleine e Le Colisée. Alla Madeleine resterà per 54 settimane. Nel 1995 è stato considerato da seicento critici il più bel film francese di tutti i tempi. Eppure era nato quasi per caso. Nel 1943, durante l’occupazione tedesca, Carné incontrò a Nizza, nella Francia ancora libera, Jean-Louis Barrault , che aveva già diretto in «Jenny» (1936) e «Drôle de Drame» (1937). Barrault gli parlò di un famoso mimo del 19 ° secolo, Jean Baptiste Gaspard Debureau, che aveva completamente rinnovato l’arte della pantomima al Theatre des Funambules, uno dei teatri più famosi dell’altrettanto famoso Boulevard du Temple, ribattezzato Boulevard du Crime (distrutto dalla costruzione di Place de la République a metà del 19° secolo). Debureau, che non parlava mai durante i suoi spettacoli, passò alla storia per aver parlato in un processo. Aveva ucciso, per caso, un ubriaco che lo aveva aggredito e, al suo processo, tutta Parigi si precipitò per sentirlo parlare, provando un’emozione straordinaria. Barrault si ricordò che aveva provato la stessa emozione per il primo film sonoro di Charlie Chaplin, pochi anni prima. Da questo corto circuito fra cinema e storia, nell’ora più tragica per la Francia, nacque l’idea di un film in cui arte e vita si mescolassero, così come parlato e mimo; un film che celebrasse la grandezza della Francia dell’Ottocento e i suoi grandi attori, come Debureau ma anche come il più famoso attore dell’epoca, Frédérick Lemaître (elogiato da Victor Hugo e Alfred de Vigny).

Doveva scrivere la sceneggiatura Jacques Prévert che però non gradiva la pantomima. Ma accettò di collaborare quando si rese conto di avere l’occasione di mettere in scena un altro personaggio storico, Pierre-François Lacenaire, detto «il criminale dandy». Accanto alle grandi figure dell’arte ci sarebbe stata una grande figura del crimine.

Girato in condizioni avventurose, con mezzi limitati e ambizioni grandiose, in parte nella Francia occupata e in parte nella Francia libera, il film costò un’enormità ma fu, come scrisse Sadoul: «un atto di fede prodigioso nel 1943-1944: una cattedrale elevata in onore dell’arte francese nell’ora più terribile per il Paese». In questa cattedrale, in quest’epopea, degna di Balzac, della Parigi dell’Ottocento, la Parigi popolare e popolosa che non era stata ancora rasa dal suolo dal Barone Haussmann, spicca come un fiore spuntato fra ardesia e pietra una donna dal nome di fiore, Garance, che ha gli occhi luminosi della bellissima Arletty e mormora sorridendo che «l’amore è semplice». Eppure la sua semplicità sfugge agli uomini che la amano semplicemente per la sua bellezza o per il suo candore. Solo un essere maledettamente complicato, un mimo che non parla e si esprime a gesti come un bambino, ma è vulnerabile e fragile come un vecchio scontroso, solo lui sa cogliere la vera semplicità del fiore di carne: la sua anima luminosa. Ed ecco, per miracolo, la donna matura e disinvolta diventa timida, schiva e il ragazzo scontroso e silenzioso diventa eloquente, ardito. L’amore li trascina via dalla vita di ogni giorno e li fa vivere di una vita più vera, nascosta nelle pieghe segrete di una realtà fiammeggiante. Gli anni passano, il dolore, la passione, la crudeltà, le morti scivolano via, Gli amanti immortali si ritrovano. E si lasciano. E si ritrovano ancora per non ritrovarsi mai. Eppure ciò che li tiene in vita, ciò che li inebria, li stordisce, li sfinisce è la violenza di un sentimento che sta in agguato dietro ogni persona, dietro ogni cosa. Garance, dopo una vita tumultuosa, dirà trasognata: «Mi avete aiutato a vivere per anni e anni. Mi avete impedito di invecchiare, di divenire un animale, di sprofondare in un abisso… Mi dicevo: Non hai il diritto di essere triste. Tu sei felice. Sempre. Perché c’è qualcuno che ti ha amato». E Baptiste, il mimo, la guarderà con lo stupore, con lo smarrimento con cui si guarda una statua che improvvisamente si anima e parla e le dirà con gli occhi, con i gesti le stesse parole che ascolta e che non sa dire con la voce.

Molti anni fa, nel 1971, ho conosciuto Jean Louis Barrault. Io ero un ragazzino e lui era una leggenda vivente. Come ogni ragazzino ero totalmente incosciente e non mi sembrò affatto strano telefonargli nel suo albergo e dirgli che non avevo trovato i biglietti per il suo spettacolo e che lo adoravo da quando avevo visto «Les enfants du paradis» e che ci sarei rimasto malissimo se non l’avessi potuto vedere recitare. Con la sua bella voce roca (eh, cari miei, il mimo che non parlava aveva la voce roca da Humphrey Bogart, proprio così) Barrault mi disse di venire all’entrata e di chiedere di lui. Mi sorrise, dopo avermi squadrato da capo a piedi rendendosi conto subito che ero un vero incosciente e non un furbacchione, un folle come lui o per lo meno come i suoi personaggi, e che ero davvero convinto che si poteva parlare a una leggenda vivente così, al telefono, e che il mio amore per lui giustificava ogni cosa. Fu veramente cordiale senza parlare. Mi guardò come se io fossi Baptiste e lui Garance. E poi mi disse : «Vite, dépêche-toi. Derrière la scene…» (Sbrigati ragazzino. Entra! Mettiti dietro le quinte). Io entrai e ancora oggi ho davanti agli occhi lo sfarzo, lo splendore di Villa Medici di notte, rivoluzionata per divenire un’immensa quinta di teatro, con il verde cupo degli allori coperto di fiori come in quadro di Botticelli. In questo giardino di Alcina, in questo regno della magia la leggenda vivente recitava, mimava, trionfava mettendo in scena Rabelais, un grande, colossale testo in prosa che parla di un gigante, dell’esuberanza, della gioia di vivere del Rinascimento e della rinascita perenne della vita che si sprigiona nell’energia del mimo, nei suoi salti, nelle sue capriole piene di grazia, nelle sue parole che non sono parole.

Stordito, rapito, innamorato dell’arte per l’arte come se fossi davvero Baptiste davanti a Garance, non riuscii a dormire per tutta la notte e non riuscii a parlare di questa storia per anni. Ancora adesso mi pare incredibile averla vissuta. Eppure, ogni volta che rivedo Baptiste scandire come una pantera il palcoscenico dei Funambules e scoprire con gli occhi disperati gli occhi luminosi di Garance, mi sembra di essere lì, in mezzo a les enfants du paradis, che significa in gergo “il pubblico del loggione”, il pubblico dei più poveri e dei più appassionati. E sono contento di esserlo stato davvero quando il loggione, il paradiso aveva lo splendore incantato di Villa Medici e Barrault vivo guizzava come il fuoco davanti a me e mi faceva conoscere l’altra faccia della disperazione di Baptiste, l’entusiasmo silenzioso di chi sa amare e non disprezza l’incoscienza dei giovani e anzi, senza paura, ne sa sorridere.

(*) Condivido con Fabio la passione per questo film. E non credo si tratti di un’opera “datata”. Di recente fatto vedere l’edizione completa (tre ore appunto) a persone appassionate di cinema ma che in quel lontano 1945 erano ben lontane dal nascere e che dunque presumevano di vedere un film importante ma morto, come poteva essere un «pitecantropus erectus» rispetto a un «homo sapiens-sapiens». Queste persone – giovani e giovanissime – hanno reagito proprio come me e Fabio: «Les enfants du paradis» (in italiano gira anche con il titolo «Amanti perduti» ma attenti a non prendere il dvd con l’edizione tagliata) anche oggi avvince e fa innamorare. Non bisogna abusare di parole come capolavoro o immortale ma qualche volta sono opportune. Questo è il caso.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata», di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-date» si intendono i rimandi a persone o eventi che per qualche ragione il pensiero unico e l’ignoranza che l’accompagna non possono o vogliono conoscere oppure rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 9 marzo avevo ipotizzato: 1306: Dolcino e il suo popolo in fuga verso le prealpi biellesi; 1430: nasce il profeta Muhammad; 1851: muore Hans Christian Orsted; 1890: nasce Molotov; 1916: Pancho Villa “invade” gli Usa; 1930: nasce Ornette Coleman; 1945: 83mila morti nel bombardamento di Tokio; 1954: è la fine di McCarthy; 1959: nasce la bambola Barbie; 1973: sequestrata Franca Rame; 1978: discorso-choc di Barbara Seaman; 1979: l’Oms dichiara l’alcolismo «problema principale» per la salute umana; 1985: ucciso Pedro (cioè Pietro Maria Walter Greco); 1996: risoluzione del Parlamento europeo su sessualità e riproduzione. E chissà, a cercare bene, quante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.

Molte le firme e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevissimi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • Avviso per chi abita a Roma e dintorni: se volete vedere LES ENFANTS DU PARADIS su grande schermo (versione originale con sottotitoli italiani) il giorno giusto è sabato 16 marzo alle 21 all’Azzurro Scipioni (via degli Scipioni 82, telefono 06 39737161, http://www.silvanoagosti.it)… che sempre sia lodato.

  • Ho ri-visto LES ENFANTS DU PARADIS ieri sera a Imola nell’edizione restaurata (grazie alla cineteca di Bologna, sempre sia lodata):d’una bellezza difficile da raccontare in parole. Bisogna proprio vederlo. Noi ieri sera in sala eravamo solo 26 persone. D’accordo il freddo ma… perchè tante persone ignorano la bellezza? (db)

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