Scor-date: 7 e 12 aprile 1973

 La bomba di Nico Azzi e il poliziotto ammazzato a Milano

di d. b.Saverio Ferrari  (*)   «I nostri ragazzi fanno bravamente allo scoperto il loro dovere»: con questa frase di Giorgio Almirante (allora capo del Movimento Sociale Italiano, Msi) titolavo un paragrafo del mio libro «Agenda nera: 30 anni di neofascismo in Italia» (pubblicato all’inizio del 1976 dalla piccola casa editrice Coines).

In gennaio Almirante aveva detto al congresso che non c’era spazio alla destra del Msi e che erano i missini a esporsi in prima persona.

Nel pomeriggio del 7 aprile il missino Nico Azzi gli dà ragione: si fa esplodere (per imperizia) tra le gambe una bomba che stava collocando sul direttissimo Genova-Roma. L’inchiesta porterà all’incriminazione di un gruppetto, «La Fenice», da poco rientrato nel Msi e a cui Servello – visegretario nazionale Msi e federale di Milano – aveva offerto cariche nel partito.

Cinque giorni dopo a una manifestazione non autorizzata, i neofascisti milanesi lanciano bombe contro la polizia, uccidendo un agente, Antonio Marino.

I due avvenimenti sono collegati. […]

Azzi è del Msi e lo dichiara: «Siamo missini. Il Msi aveva promesso a tutti noi coperture e cariche nel partito. Servello era il nostro ispiratore ideologico». (Ndr: nel giugno ’74 Azzi e altri de «La Fenice» saranno condannati; Servello riuscirà a rimanere fuori).

Egualmente missini sono coloro – fotografati fianco a fianco – che guidano la testa del corteo fascista del 12 aprile che si conclude con il lancio di bombe a mano: ci sono Francesco Petronio e Franco Maria Servello, due dei capi milanesi Msi, i picchiatori Nestore Crocesi e Petro “Mario” De Andreis, i due dirigenti nazionali Massimo Anderson e Ciccio Franco, tutti a braccetto. Poco più in là Vittorio Loi e Maurizio Murelli, accusati di aver gettato le bombe che hanno ucciso il poliziotto Marino.

In luglio verrà chiesta in Parlamento l’autorizzazione a procedere contro Servello e Petronio: ma contro il Msi, in quanto tale, nessun procedimento neppure come organizzatore del corteo e per la partecipazione dei suoi dirigenti all’organizzazione degli scontri.

Ancora una volta, pur se colto con le mani nel sacco, il Msi non paga il conto.

Così la stessa vicenda viene riassunta e inquadrata, nel 2011, da Saverio Ferrari nel suo libro «Fascisti a Milano: da Ordine Nuovo a Cuore Nero» (Bfs, cioè Biblioteca Franco Serantini editrice), un libro spesso citato – e lodato per la sua capacità di collegare i fatti dell’oggi a vicende più lontane – qui in blog.

Milano fu anche la città della cosiddetta Maggioranza silenziosa. Un principio di movimento reazionario di massa, ispiratosi a partire dal nome, ai destinatari negli Stati Uniti degli appelli dell’allora presidente repubblicano Richard Nixon, rivolti «alla maggioranza silenziosa da contrapporre a quella vociante dei drogati, dei pederasti e dei sovversivi». Fece la sua prima apparizione nel 1971 presentandosi come «forza in grado di soffocare l’urlo della sovversione al grido di Italia Italia, ilcomunismo non passerà». Ebbe un effimero precedente a Torino, il 7 marzo di quello stesso anno, dove si tenne in piazza San Carlo, un comizio (in verità completamente fallito, con non più di un centinaio di partecipanti) organizzato dall’Oci (Organizzazione dei cittadini indipendenti), un movimento finanziato dalla associazione industriali, fondato da tale Elio Toschi, un ex combattente della Decima Mas. Dopo Torino fu la volta di Milano, con ben altri risultati. In prima fila si schierarono infatti i piccoli e medi industriali mischiati coi fascisti. La sostennero giornali come «La Notte»di Nino Nutrizio e «Il Borghese» di Mario Tedeschi. Vi aderirono personalità della politica del calibro di Massimo De Carolis, capogruppo Dc in consiglio comunale, e del socialdemocratico Vittorio D’Aiello. La prima riunione si tenne la sera del 1° febbraio nella sede del Pdium (Partito democratico di unità monarchica), in corso Genova 26, sotto il ritratto di Umberto II di Savoia. Vi parteciparono Luciano Buonocore per il Fronte della gioventù, Gabriele Pagliuzzi per l’organizzazione giovanile del Partito Liberale, Pasqualino di Marineo, un democristiano con simpatie monarchiche, Elena Manzoni di Chiosca per il circolo Jan Palach, Bruno Sebastiani per Alleanza cattolica e Giorgio Muggiani per il Comitato tricolore. «L’iniziativa di riunirli» partì «da una di loro, Giampaolo Landi di Chiavenna del Pdium», scriverà anni dopo Luciano Buonocore.Nacque in questo modo «il “Comitato cittadino anticomunista” che nei mesi seguenti avrebbe firmato decine di manifesti, avrebbe organizzato e diretto le manifestazioni della futura Maggioranza silenziosa, e di essa sarebbe stata la “voce” politica». La prima manifestazione «unitaria anticomunista», convocata da porta Venezia a piazza Duomo, il 13 marzo 1971, un sabato, fu un successo. Diverse migliaia di persone scesero in piazza, «molte le pellicce e le bandiere tricolori di seta pura con i manici animati di piombo e impugnate da torvisanbabilini». Al corteo aderirono l’Msi, i centri De Gasperi, i centri Sturzo e i «partigiani cattolici». I saluti romani si sprecarono, così i gagliardetti dei reduci repubblichini, tanto che il 17 aprile successivo, dopo le proteste dei partiti antifascisti e dei sindacati, la seconda adunata fu vietata dal Questore Allitto Bonanno. Le signore in pelliccia e i benpensanti fuggirono, rimasero solo gli squadristi che si scontrarono con la polizia. «Gli scontri […] si svolsero su un’area assai vasta», così li ricostruì Luciano Buonocore, «da corso Buenos Aires a piazza Duomo […] durarono più di quattro ore», e «i giovani missini [vi] svolsero una parte attiva, lanciando sassi contro la polizia, percorrendo di corsa le strade con le bandiere alzate, disperdendosi e raggruppandosi velocemente».

Il bilancio fu di tutto rispetto: assalti alle sedi di Italia-Cina in corso Buenos Aires e del Pci in via Sirtori, incendio di un distributore di benzina, barricate in via Tommaso Grossi e in corso Giacomo Matteotti. Ventidue furono i feriti, di cui dieci fra le forze dell’ordine, 87 fermati, otto arrestati, processati per direttissima.

L’anticomunismo fu il denominatore comune della Maggioranza silenziosa, ma il mix composito, che andava dal ceto medio, al mondo imprenditoriale, ai picchiatori di San Babila, deflagrò presto. Le fazioni più estreme presero infatti presto il sopravvento. All’interno del Comitato anticomunista si sviluppò anche una componente che puntava a far identificare il movimento coll’Msi. Fu l’inizio della fine. L’originario comitato promotore si spaccò, attratto in parte dai Comitati di resistenza democratica promossi da Edgardo Sogno, si scoprirà in seguito, funzionali a un progetto di tipo golpista «bianco e anticomunista».

IL 12 APRILE 1973

Il colpo di grazia a questo tipo di esperienze di costruzione di un movimento anticomunista di massa fu dato dalla manifestazione del 12 aprile 1973, quando nel corso di violenti scontri nel centro di Milano tra fascisti e forze di polizia, vennero lanciate due bombe a mano tipo Srcm contro un cordone di agenti, dislocato in via Bellotti, poco oltre via Kramer. A terra, ucciso sul colpo, rimase Antonio Marino di 22 anni, guardia di ps, colpito in pieno petto da una di esse. Ben dodici furono i poliziotti feriti dalle schegge.

Solo qualche giorno prima, il 7 aprile, all’altezza della stazione ferroviaria di Santa Margherita Ligure, Nico Azzi del gruppo La Fenice, era rimasto ferito nel tentativo di compiere la già citata strage sul direttissimo Torino-Roma. Nell’innescare in una toilette del treno due saponette di tritolo militare da mezzo chilo l’una, causa un contatto, forse dovuto a uno scossone del treno, provocava l’esplosione di uno dei detonatori. Con una gamba straziata, veniva immediatamente tratto in arresto. Ma Nico Azzi non aveva agito da solo. Con lui erano stati notati alcuni giovani ostentare a lungo nei corridoi del convoglio copie del quotidiano «Lotta continua».

La manifestazione da cui scaturirono gli scontri era stata promossa dall’Msi-Destra nazionale e dal Fronte della gioventù, per protestare contro la «violenza rossa». In un primo momento il questore, per motivi di «incolumità pubblica», aveva vietato il corteo che da piazza Cavour avrebbe dovuto raggiungere piazza Tricolore, dove, tra gli altri, era stato previsto un comizio di Ciccio Franco, il capo dei «boia chi molla» della rivolta di Reggio Calabria. Per l’occasione era anche stato organizzato un massiccio afflusso di attivisti da diverse parti d’Italia. Ma nella stessa mattinata del 12 aprile, il prefetto Libero Mazza aveva vietato tutte le manifestazioni di carattere politico fino al giorno 25. Nel pomeriggio verso le 17.30 si radunarono presso la sede dell’Msi in via Mancini alcune centinaia di giovani che si diressero verso piazza Tricolore. A loro si aggregarono altri gruppi provenienti da piazza Oberdan Altri ancora si attestarono in corso Concordia. Qui a ridosso di piazza Tricolore – dopo che una delegazione dell’Msi, capitanata da Franco Maria Servello, il federale di Milano, e composta dall’onorevole Franco Petronio, Ciccio Franco e Ignazio La Russa, segretario regionale del Fdg, si era recata in Prefettura per protestare contro il divieto – veniva lanciata una prima bomba a mano che feriva un agente di ps e un passante. Successivamente gli incidenti più gravi in via Bellotti con l’uccisione dell’agente Marino. Moltissimi anche i danneggiamenti materiali e gli assalti, tra gli altri, alla Casa dello studente in viale Romagna, e a un istituto magistrale, il Virgilio in piazza Ascoli, notoriamente di sinistra. Il Sostituto procuratore della Repubblica, Guido Viola, nell’occasione ebbe modo di scrivere «sembravano un orda di barbari intenta a distruggere, a saccheggiare, a ferire, a devastare».

Nel corso delle indagini, che in solo due gironi portarono all’emissione dei mandati di cattura nei confronti di Maurizio Murelli di 19 anni e Vittorio Loi di 21, il figlio dell’ex campione di pugilato, accusati di aver lanciato le bombe, si appurò che i disordini erano stati programmati da tempo, ben prima dei divieti. Si ricostruirono con una certa precisione le riunioni tenute con i «sanbabilini» in alcuni dei bar della piazza dagli emissari della federazione missina, Pietro De Andreis e Nestore Crocesi. Furono chiarite anche le modalità attraverso cui si recuperarono pistole, molotov e mazze ferrate (poi portate in piazza), e soprattutto le tre bombe a mano, non casualmente fornite dallo stesso Nico Azzi. Tra i manifestati furono individuati Mario Di Giovanni, di lì a poco in Ordine nero, processato e condannato nel 1974 a Varese per la detenzione di tre chilogrammi di materiale esplodente, e Cesare Ferri, successivamente imputato e assolto per la strage di piazza Della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974. L’Msi, in quei giorni convulsi, per cercare di allontanare da sé ogni responsabilità, emise anche una taglia di cinque milioni di lire in favore di chiunque potesse fornire «indicazioni decisive per l’identificazione del colpevole». La taglia, si saprà in seguito, fu poi intascata dallo stesso segretario provinciale del Fdg, Gianluigi Radice, autore, già la sera del 12, di una «soffiata» all’Ufficio politico della questura, con i nomi dei due responsabili del lancio mortale. I dirigenti missini cercarono anche di sostenere che i due arrestati nulla avevano anche fare con il partito. Ma Maurizio Murelli, al momento della cattura, portava in tasca la tessera dell’Msi, e Vittorio Loi proveniva dalla Giovane Italia. D’altro canto, fu proprio l’Msi a mettere i 22 milioni che servirono agli imputati per risarcire i danni materiali e morali. Maurizio Murelli alla fine fu condannato a 18 anni, Vittorio Loi a 19, Nico Azzi a due.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio sul 13 aprile c’erano, fra le altre, queste ipotesi: 1204: invece di pensare a Gerusalemme i crociati assaltano Costantinopoli; 1257: una storia ritrovata da Fatima Mernissi («Le sultane dimenticate»); 1529: Carlo V, editto di Spira; 1861: guerra “di secessione”; 1888: nasce Augusto Masetti, anarchico; 1928; 20 morti in un attentato a Vittorio Emanuele a Milano; 1932: scoperta vitamina C; 1961; Gagarin vola; 1963: nasce Lydia Cacho Ribero; 1988: brevettato un topino; 1989: muore Abbie Hoffman; 2007; rivolta cinese a Milano; 2008: gli operai della Dacia (filiale rumena Renault) lottano e vincono. E chissà – a ben cercare- quante altre scor-date si potrebbero trovare.

Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano?) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

Redazione
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Un commento

  • Sono la ex moglie di pietro de andreis. Divorziati da quasi 40 anni. Io lo avevo conosciuto giovanissima. A Genova dove abito. C eravamo sposati in pochissimo tempo.ma il matrimonio nn andava proprio.ieri. ho saputo che è morto il 10/11/2016. Nonostante tutto oggi mi sento strana…nn so come spiegare. Chi mi da qualche informazione degli ultimi suoi anni e del decesso? So che era domiciliato a Genova. Ma lui cambiava sempre domicili. Grazie Isabella

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