Se anche il bolscevico Kissinger parla di invasione provocata…

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“La guerra in Ucraina è stata provocata dagli Stati Uniti” – Jeffrey Sachs

Riconoscendo che la questione dell’allargamento della NATO è al centro di questa guerra, capiamo perché gli armamenti statunitensi non porranno fine a questa guerra. Solo gli sforzi diplomatici possono farlo.

 

di Jeffrey D. Sachs* per Common Dreams

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

George Orwell scrisse in “1984” che “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato.” I governi lavorano incessantemente per distorcere la percezione pubblica del passato. Per quanto riguarda la guerra d’Ucraina, l’amministrazione Biden ha ripetutamente e falsamente affermato che la guerra d’Ucraina è iniziata con un attacco non provocato della Russia all’Ucraina il 24 febbraio 2022. In realtà, la guerra è stata provocata dagli Stati Uniti in modi che i principali diplomatici statunitensi avevano previsto per decenni nel periodo precedente la guerra, il che significa che la guerra avrebbe potuto essere evitata e che ora dovrebbe essere fermata attraverso i negoziati.

Riconoscere che la guerra è stata provocata ci aiuta a capire come fermarla. Non giustifica l’invasione della Russia. Un approccio di gran lunga migliore per la Russia sarebbe stato quello di intensificare la diplomazia con l’Europa e con il mondo non occidentale per spiegare e opporsi al militarismo e all’unilateralismo degli Stati Uniti. In effetti, l’incessante spinta statunitense ad espandere la NATO è ampiamente osteggiata in tutto il mondo, quindi la diplomazia russa, piuttosto che la guerra, sarebbe stata probabilmente efficace.

Il team di Biden usa senza tregua la parola “non provocata”, di recente nell’importante discorso di Biden per il primo anniversario della guerra, in una recente dichiarazione della NATO e nell’ultima dichiarazione del G7. I media mainstream favorevoli a Biden si limitano a ripetere le parole della Casa Bianca. Il New York Times è il principale colpevole: ha descritto l’invasione come “non provocata” non meno di 26 volte, in cinque editoriali, 14 colonne di opinione di scrittori del NYT e 7 op-editoriali ospiti!

In realtà le provocazioni statunitensi sono state principalmente due. La prima è stata l’intenzione degli Stati Uniti di espandere la NATO all’Ucraina e alla Georgia per poter circondare la Russia nella regione del Mar Nero con una cintura della NATO (Ucraina, Romania, Bulgaria, Turchia e Georgia, in ordine antiorario). Il secondo è stato il ruolo degli Stati Uniti nell’installazione di un regime russofobico in Ucraina con il rovesciamento violento del presidente filorusso Viktor Yanukovych nel febbraio 2014. La guerra in Ucraina è iniziata con il rovesciamento di Yanukovych nove anni fa, non nel febbraio 2022 come vorrebbero farci credere il governo statunitense, la NATO e i leader del G7.

La chiave per la pace in Ucraina è rappresentata da negoziati basati sulla neutralità dell’Ucraina e sul non allargamento della NATO.

Biden e la sua squadra di politica estera si rifiutano di discutere queste radici della guerra. Riconoscerle minerebbe l’amministrazione in tre modi. In primo luogo, rivelerebbe il fatto che la guerra avrebbe potuto essere evitata, o fermata in anticipo, risparmiando all’Ucraina l’attuale devastazione e agli Stati Uniti oltre 100 miliardi di dollari di spese finora sostenute. In secondo luogo, rivelerebbe il ruolo personale del Presidente Biden nella guerra, come partecipante al rovesciamento di Yanukovych e, prima ancora, come convinto sostenitore del complesso militar-industriale e precursore dell’allargamento della NATO. In terzo luogo, spingerebbe Biden al tavolo dei negoziati, minando la continua spinta dell’amministrazione all’espansione della NATO.

Gli archivi mostrano in modo inconfutabile che i governi statunitense e tedesco promisero ripetutamente al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov che la NATO non si sarebbe mossa “di un solo centimetro verso est” quando l’Unione Sovietica avesse sciolto l’alleanza militare del Patto di Varsavia. Ciononostante, la pianificazione statunitense per l’espansione della NATO è iniziata all’inizio degli anni ’90, ben prima che Vladimir Putin diventasse presidente della Russia. Nel 1997, l’esperto di sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski ha delineato la tempistica dell’espansione della NATO con notevole precisione.

I diplomatici statunitensi e i leader ucraini sapevano bene che l’allargamento della NATO avrebbe potuto portare alla guerra. Il grande statista statunitense George Kennan definì l’allargamento della NATO un “errore fatale”, scrivendo sul New York Times che “ci si può aspettare che una tale decisione infiammi le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militaristiche dell’opinione pubblica russa; che abbia un effetto negativo sullo sviluppo della democrazia russa; che ripristini l’atmosfera della guerra fredda nelle relazioni tra Est e Ovest e che spinga la politica estera russa in direzioni decisamente non gradite”.

Il Segretario alla Difesa del Presidente Bill Clinton, William Perry, considerò di dimettersi per protestare contro l’allargamento della NATO. Ricordando questo momento cruciale a metà degli anni ’90, Perry ha detto quanto segue nel 2016: “La nostra prima azione che ci ha davvero portato in una cattiva direzione è stata quando la NATO ha iniziato ad espandersi, coinvolgendo le nazioni dell’Europa orientale, alcune delle quali confinanti con la Russia. A quel tempo, stavamo lavorando a stretto contatto con la Russia, che cominciava ad abituarsi all’idea che la NATO potesse essere un’amica piuttosto che un nemico… ma era molto a disagio all’idea di avere la NATO proprio sul suo confine e ci ha fatto un forte appello a non andare avanti”.

Nel 2008, l’allora ambasciatore americano in Russia, e ora direttore della CIA, William Burns, inviò un cablogramma un cablogramma a Washington in cui avvertiva a lungo dei gravi rischi dell’allargamento della NATO: “Le aspirazioni alla NATO dell’Ucraina e della Georgia non solo toccano un nervo scoperto in Russia, ma suscitano serie preoccupazioni per le conseguenze sulla stabilità della regione. La Russia non solo percepisce l’accerchiamento e gli sforzi per minare l’influenza della Russia nella regione, ma teme anche conseguenze imprevedibili e incontrollate che potrebbero compromettere seriamente gli interessi della sicurezza russa. Gli esperti ci dicono che la Russia è particolarmente preoccupata che le forti divisioni in Ucraina sull’adesione alla NATO, con gran parte della comunità etnica russa contraria all’adesione, possano portare a una grande spaccatura, con violenze o, nel peggiore dei casi, alla guerra civile. In questa eventualità, la Russia dovrebbe decidere se intervenire o meno; una decisione che la Russia non vuole affrontare.”

I leader ucraini sapevano chiaramente che fare pressione per l’allargamento della NATO all’Ucraina avrebbe significato la guerra. L’ex consigliere di Zelensky Oleksiy Arestovych ha dichiarato in un’intervista del 2019 “che il nostro prezzo per entrare nella NATO è una grande guerra con la Russia”.

Nel periodo 2010-2013, Yanukovych ha spinto per la neutralità, in linea con l’opinione pubblica ucraina. Gli Stati Uniti hanno lavorato segretamente per rovesciare Yanukovych, come si evince vivamente dal nastro dell’allora vicesegretaria di Stato americana Victoria Nuland e dell’ambasciatore statunitense Geoffrey Pyatt che pianificano il governo post-Yanukovych settimane prima del violento rovesciamento di Yanukovych. Nella telefonata, Nuland chiarisce che si stava coordinando strettamente con l’allora vicepresidente Biden e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, lo stesso team Biden-Nuland-Sullivan ora al centro della politica statunitense nei confronti dell’Ucraina.

Dopo il rovesciamento di Yanukovych, è scoppiata la guerra nel Donbas, mentre la Russia rivendicava la Crimea. Il nuovo governo ucraino ha chiesto l’adesione alla NATO e gli Stati Uniti hanno armato e aiutato a ristrutturare l’esercito ucraino per renderlo interoperabile con la NATO. Nel 2021, la NATO e l’amministrazione Biden si sono fortemente impegnati per il futuro dell’Ucraina nella NATO.

Nel periodo immediatamente precedente l’invasione della Russia, l’allargamento della NATO è stato al centro dell’attenzione. Il progetto di trattato USA-Russia di Putin (17 dicembre 2021) chiedeva di fermare l’allargamento della NATO. I leader russi hanno indicato l’allargamento della NATO come causa della guerra nella riunione del Consiglio di sicurezza nazionale russo del 21 febbraio 2022. Nel suo discorso alla nazione di quel giorno, Putin dichiarò che l’allargamento della NATO era una delle ragioni principali dell’invasione.

Lo storico Geoffrey Roberts ha recentemente scritto“Si sarebbe potuta evitare la guerra con un accordo russo-occidentale che avesse fermato l’espansione della NATO e neutralizzato l’Ucraina in cambio di solide garanzie di indipendenza e sovranità ucraina? Probabilmente sì.” Nel marzo 2022, la Russia e l’Ucraina hanno riferito di aver fatto progressi verso una rapida fine negoziata della guerra, basata sulla neutralità dell’Ucraina. Secondo Naftali Bennett, ex primo ministro israeliano, che ha svolto il ruolo di mediatore, un accordo era vicino ad essere raggiunto prima che Stati Uniti, Regno Unito e Francia lo bloccassero.

Mentre l’amministrazione Biden dichiara che l’invasione russa non è stata provocata, nel 2021 la Russia ha cercato opzioni diplomatiche per evitare la guerra, mentre Biden ha rifiutato la diplomazia, insistendo sul fatto che la Russia non aveva voce in capitolo sulla questione dell’allargamento della NATO. Nel marzo 2022, la Russia ha insistito sulla diplomazia, mentre il team di Biden ha nuovamente bloccato la fine della guerra per via diplomatica.

Riconoscendo che la questione dell’allargamento della NATO è al centro di questa guerra, capiamo perché gli armamenti statunitensi non porranno fine a questa guerra. La Russia si intensificherà se necessario per impedire l’allargamento della NATO all’Ucraina. La chiave per la pace in Ucraina è rappresentata dai negoziati basati sulla neutralità dell’Ucraina e sul non allargamento della NATO. L’insistenza dell’amministrazione Biden sull’allargamento della NATO all’Ucraina ha reso quest’ultima vittima di aspirazioni militari statunitensi mal concepite e irraggiungibili. È ora che le provocazioni cessino e che i negoziati riportino la pace in Ucraina.

da qui

 

 

“Vedere la guerra attraverso gli occhi della Russia” – Un appello di Eisenhower Media Network

Pubblichiamo la traduzione completa ad opera di Nora Hoppe dell’appello comparso su una pagina del New York Times ad opera Eisenhower Media Network

 

La guerra tra Russia e Ucraina è stata un disastro senza attenuanti. Centinaia di migliaia di persone sono state uccise o ferite. Milioni di persone sono state sfollate. La distruzione ambientale ed economica è stata incalcolabile. La devastazione futura potrebbe essere esponenzialmente maggiore, dato che le potenze nucleari si avvicinano sempre più alla guerra aperta.

Deploriamo la violenza, i crimini di guerra, gli attacchi missilistici indiscriminati, il terrorismo e altre atrocità che fanno parte di questa guerra. La soluzione a questa violenza sconvolgente non è rappresentata da più armi o più guerra, con la garanzia di ulteriore morte e distruzione.

Come americani ed esperti di sicurezza nazionale, esortiamo il Presidente Biden e il Congresso a usare tutti i loro poteri per porre fine rapidamente alla guerra tra Russia e Ucraina attraverso la diplomazia, soprattutto alla luce dei gravi pericoli di un’escalation militare che potrebbe andare fuori controllo.

Sessant’anni fa, il presidente John F. Kennedy fece un’osservazione che oggi è fondamentale per la nostra sopravvivenza. “Soprattutto, pur difendendo i propri interessi vitali, le potenze nucleari devono evitare quegli scontri che portano l’avversario a scegliere tra una ritirata umiliante o una guerra nucleare. Adottare questo tipo di approccio nell’era nucleare sarebbe solo la prova del fallimento della nostra politica, o di un desiderio di morte collettiva per il mondo.”

La causa immediata di questa disastrosa guerra in Ucraina è l’invasione della Russia. Tuttavia, i piani e le azioni per espandere la NATO ai confini della Russia sono serviti a provocare i timori russi. I leader russi lo hanno ribadito per 30 anni.

Il fallimento della diplomazia ha portato alla guerra. Ora la diplomazia è urgentemente necessaria per porre fine alla guerra russo-ucraina prima che distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità.

 

Il potenziale per la pace

L’attuale ansia geopolitica della Russia è influenzata dal ricordo delle invasioni di Carlo XII, Napoleone, del Kaiser e di Hitler. Le truppe statunitensi facevano parte di una forza d’invasione alleata che intervenne senza successo contro la parte vincitrice nella guerra civile russa del primo dopoguerra. La Russia vede l’allargamento e la presenza della NATO ai suoi confini come una minaccia diretta; gli Stati Uniti e la NATO vedono solo una prudente preparazione. In diplomazia, bisogna cercare di vedere con empatia strategica, cercando di capire i propri avversari. Questa non è debolezza: è saggezza.

Rifiutiamo l’idea che i diplomatici, cercando la pace, debbano scegliere da che parte stare, in questo caso Russia o Ucraina. Favorendo la diplomazia, scegliamo la parte della sanità mentale. Dell’umanità. Della pace.

Riteniamo che la promessa del Presidente Biden di sostenere l’Ucraina “fino a quando sarà necessario” sia una licenza a perseguire obiettivi mal definiti e in definitiva irraggiungibili. Potrebbe rivelarsi altrettanto catastrofica quanto la decisione del Presidente Putin, lo scorso anno, di lanciare la sua invasione e occupazione criminale. Non possiamo e non vogliamo approvare la strategia di combattere la Russia fino all’ultimo ucraino.

Chiediamo un impegno significativo e genuino alla diplomazia, in particolare un cessate il fuoco immediato e negoziati senza precondizioni squalificanti o proibitive. Le provocazioni deliberate hanno portato alla guerra tra Russia e Ucraina. Allo stesso modo, la diplomazia deliberata può porvi fine.

 

Le azioni degli Stati Uniti e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia

Con il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, i leader statunitensi e dell’Europa occidentale assicurarono ai leader sovietici e poi russi che la NATO non si sarebbe espansa verso i confini della Russia. “Non ci sarà un’estensione della… NATO di un solo centimetro verso est”, disse il Segretario di Stato americano James Baker al leader sovietico Mikhail Gorbaciov il 9 febbraio 1990. Simili rassicurazioni da parte di altri leader statunitensi e di leader britannici, tedeschi e francesi nel corso degli anni ’90 lo confermano.

Dal 2007, la Russia ha ripetutamente avvertito che le forze armate della NATO ai confini della Russia erano intollerabili – proprio come le forze russe in Messico o in Canada sarebbero intollerabili per gli Stati Uniti ora, o come lo erano i missili sovietici a Cuba nel 1962. La Russia ha inoltre indicato l’espansione della NATO in Ucraina come particolarmente provocatoria.

 

Vedere la guerra attraverso gli occhi della Russia

Il nostro tentativo di comprendere la prospettiva russa sulla loro guerra non approva l’invasione e l’occupazione, né implica che i russi non avessero altra scelta che questa guerra.

Tuttavia, così come la Russia aveva altre opzioni, anche gli Stati Uniti e la NATO hanno avuto la possibilità di scegliere fino a questo momento.

I russi hanno chiarito le loro linee rosse. In Georgia e in Siria hanno dimostrato che avrebbero usato la forza per difenderle. Nel 2014, la presa immediata della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbas hanno dimostrato la serietà del loro impegno a difendere i propri interessi. Non è chiaro perché questo non sia stato compreso dai vertici degli Stati Uniti e della NATO; è probabile che vi abbiano contribuito l’incompetenza, l’arroganza, il cinismo o un infido mix di tutti e tre.

Ancora una volta, anche quando la Guerra Fredda è finita, diplomatici, generali e politici statunitensi hanno messo in guardia sui pericoli di un’espansione della NATO fino ai confini della Russia e di un’interferenza dolosa nella sfera d’influenza russa. Gli ex funzionari di gabinetto Robert Gates e William Perry hanno lanciato questi avvertimenti, così come i venerati diplomatici George Kennan, Jack Matlock e Henry Kissinger. Nel 1997, cinquanta esperti di politica estera degli Stati Uniti scrissero una lettera aperta al Presidente Bill Clinton per consigliargli di non espandere la NATO, definendola “un errore politico di proporzioni storiche”. Il Presidente Clinton scelse di ignorare questi avvertimenti.

L’aspetto più importante per comprendere l’arroganza e il calcolo machiavellico nel processo decisionale statunitense relativo alla guerra Russia-Ucraina è il rifiuto degli avvertimenti lanciati da Williams Burns, l’attuale direttore della Central Intelligence Agency. In un cablogramma inviato al Segretario di Stato Condoleezza Rice nel 2008, mentre era in carica come ambasciatore in Russia, Burns scrisse dell’espansione della NATO e dell’adesione dell’Ucraina:

“Le aspirazioni dell’Ucraina e della Georgia alla NATO non solo toccano un nervo scoperto in Russia, ma suscitano serie preoccupazioni sulle conseguenze per la stabilità della regione. La Russia non solo percepisce l’accerchiamento e gli sforzi per minare l’influenza della Russia nella regione, ma teme anche conseguenze imprevedibili e incontrollate che potrebbero compromettere seriamente gli interessi della sicurezza russa. Gli esperti ci dicono che la Russia è particolarmente preoccupata che le forti divisioni in Ucraina sull’adesione alla NATO, con gran parte della comunità etnica russa contraria all’adesione, possano portare a una grande spaccatura, con violenze o, nel peggiore dei casi, alla guerra civile. In questa eventualità, la Russia dovrebbe decidere se intervenire o meno; una decisione che non vuole affrontare.”

Perché gli Stati Uniti hanno continuato ad espandere la NATO nonostante questi avvertimenti? Il profitto derivante dalla vendita di armi è stato un fattore importante. Di fronte all’opposizione all’espansione della NATO, un gruppo di neoconservatori e di alti dirigenti dei produttori di armi statunitensi formò il Comitato statunitense per l’espansione della NATO. Tra il 1996 e il 1998, i maggiori produttori di armi hanno speso 51 milioni di dollari (94 milioni di dollari oggi) in attività di lobbying e altri milioni in contributi per le campagne elettorali. Grazie a questa generosità, l’espansione della NATO divenne rapidamente un affare fatto, dopo di che i produttori di armi statunitensi vendettero miliardi di dollari di armi ai nuovi membri della NATO.

Finora gli Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina attrezzature militari e armi per un valore di 30 miliardi di dollari, mentre il totale degli aiuti all’Ucraina supera i 100 miliardi di dollari. La guerra, è stato detto, è un racket, altamente redditizio per pochi eletti.

L’espansione della NATO, in sintesi, è un elemento chiave di una politica estera statunitense militarizzata, caratterizzata da unilateralismo, cambio di regime e guerre preventive. Le guerre fallite, più recentemente in Iraq e Afghanistan, hanno prodotto massacri e ulteriori scontri, una dura realtà che l’America stessa ha creato. La guerra tra Russia e Ucraina ha aperto una nuova arena di scontri e massacri. Questa realtà non è interamente opera nostra, eppure potrebbe essere la nostra rovina, a meno che non ci dedichiamo a forgiare una soluzione diplomatica che fermi le uccisioni e allenti le tensioni.

Facciamo dell’America una forza di pace nel mondo.

* * * *

FIRMATARI

Dennis Fritz, direttore, Eisenhower Media Network; comandante capo sergente maggiore, US Air Force (in pensione) Matthew Hoh, direttore associato, Eisenhower Media Network; ex ufficiale del Corpo dei Marines e funzionario dello Stato e della Difesa. William J. Astore, tenente colonnello, US Air Force (in pensione)

Karen Kwiatkowski, tenente colonnello, US Air Force (in pensione)

Dennis Laich, maggiore Generale, US Army (in pensione) Jack Matlock, ambasciatore degli Stati Uniti presso l’U.R.S.S., 1987-91; autore di Reagan e Gorbaciov: “How the Cold War Ended” [“Come finì la guerra fredda”] Todd E. Pierce, maggiore, avvocato giudice, esercito americano (in pensione) Coleen Rowley, agente speciale, FBI (in pensione) Jeffrey Sachs, professore universitario alla Columbia University Christian Sorensen, ex linguista arabo, US Air Force Chuck Spinney, ingegnere / analista in pensione, Ufficio del Segretario alla Difesa Winslow Wheeler, consigliere per la sicurezza nazionale di quattro repubblicani e democratici statunitensi Lawrence B. Wilkerson, colonnello, esercito americano (in pensione) Ann Wright , colonnello, US Army (in pensione) ed ex diplomatico statunitense

* * * *

CRONOLOGIA

1990 – Gli Stati Uniti assicurano alla Russia che la NATO non si espanderà verso il suo confine “… Non ci sarebbe alcuna estensione di… La NATO un pollice più a est”dice il segretario di Stato americano James Baker.

1996 – I produttori di armi statunitensi formano il Comitato per espandere la NATO, spendendo oltre 51 milioni di dollari per fare pressioni sul Congresso

1997 – 50 esperti di politica estera, tra cui ex senatori, ufficiali militari in pensione e diplomatici, firmano una lettera aperta affermando che l’espansione della NATO è “un errore politico di proporzioni storiche“.

1999 – La NATO ammette Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca nella NATO. Stati Uniti e NATO bombardano l’alleato della Russia, la Serbia

2001 – Gli Stati Uniti si ritirano unilateralmente dal Trattato anti-missili balistici

2004 – Altre sette nazioni dell’Europa orientale aderiscono alla NATO. Le truppe della NATO sono ora direttamente sul confine con la Russia.

2004 – Il parlamento russo approva una risoluzione che denuncia l’espansione della NATO. Putin ha risposto dicendo che la Russia avrebbe “costruito la nostra politica di difesa e sicurezza in modo corrispondente”.

2008 – I leader della NATO annunciano piani per portare l’Ucraina e la Georgia, anche ai confini della Russia, nella NATO.

2009 – Gli Stati Uniti annunciano l’intenzione di installare sistemi missilistici in Polonia e Romania.

2014 – Il presidente ucraino legalmente eletto, Viktor Yanukovych, fugge dalle violenze a Mosca. La Russia vede l’estromissione come un colpo di stato da parte degli Stati Uniti e delle nazioni della NATO.

2016 – Gli Stati Uniti iniziano l’accumulo di truppe in Europa.

2019 – Gli Stati Uniti si ritirano unilateralmente dal Trattato sulle forze nucleari intermedie.

2020 – Gli Stati Uniti si ritirano unilateralmente dal Trattato Open Skies.

2021 – La Russia presenta proposte negoziali mentre invia più forze al confine con l’Ucraina. I funzionari degli Stati Uniti e della NATO respingono immediatamente le proposte russe.

24 febbraio 2022 – La Russia invade l’Ucraina, iniziando la guerra Russia-Ucraina.

da qui

 

 

Hanno la faccia come il culo – Francesco Masala

La morente civiltà occidentale ha delle regole ferree, con la Nato va a combattere per paesi che non ne fanno parte, contro la Russia e a favore dell’Ucraina, per riconquistare territori che volevano andare con la Russia, visto che in grande maggioranza sono russi, parlano russo e sono bombardati dai soldati ucraini.

Con la stessa faccia la Nato proverà, se ci riesce, a combattere contro la Cina, che, senza bombardare nessuno, vuole riprendere il controllo di Taiwan, che tutti riconoscono come una provincia della Cina.

Cioè, centinaia di migliaia di soldati sono morti e milioni di ucraini hanno dovuto espatriare e perdere tutto per una questione di bi-principio (direbbe Orwell).

I pazzi Stranamore che governano il mondo stanno tutti negli Usa, nel resto dell’Occidente vi sono solo squallidi servi, che vogliono la totale distruzione dell’Ucraina, solo per avere le briciole di una impossibile ricostruzione.

Nessuno di loro parla di pace, vogliono la distruzione totale dell’Ucraina, con la bava alla bocca per avere un sub-sub-subappalto.

Gli assassini della Nato, esperti di guerre illegali, si troveranno davanti, fra non molto, un’associazione militare (questa sì difensiva) per proteggere i Brics e tutti i paesi fuori dal giardino dalle follie dell’Occidente in preda a un Alzhaimer violento, senza controllo.

Da Capua a Roma, dopo la sconfitta degli schiavi ribelli di Spartaco, tutti gli schiavi sopravvissuti furono crocefissi, per non aver voluto tradire Spartaco (vedi o rivedi Spartacus, di Stanley Kubrick*).

Questa punizione sarebbe adatta per tutte le classi dirigenti europee (e dell’Occidente) degli ultimi trent’anni, con decine di migliaia di croci da Kiev a Lisbona, nel Corridoio 5, molto amato dai sostenitori della TAV, e sarebbe anche rispettoso delle famigerate, secondo alcuni, radici cristiane dell’Europa?

Basterebbe, di questi tempi, a proposito di riconversione energetica, che tutti quelle migliaia di dirigenti europei e occidentali vengano stipati in qualche pozzo per la raccolta indifferenziata, di sicuro non sono riciclabili.

*pare che Kirk Douglas, il protagonista del film, pose come condizione alla sua partecipazione che alla sceneggiatura ci fosse Dalton Trumbo, vittima del maccartismo (araba fenice che rinasce per fare le liste nere dei giornalisti che non glorificano la guerra in Ucraina).

 

 

La Guerra contro il mondo multipolare – Hauke Ritz

Politici di spicco suggeriscono che si potrebbe rischiare una continua escalation della guerra in Ucraina perché una vittoria russa sarebbe peggiore di una terza guerra mondiale. A cosa è dovuta questa enorme volontà di escalation? Perché sembra non esistere un piano B? Per quale motivo l’élite politica degli Stati Uniti e quella della Germania hanno legato il proprio destino all’imposizione di un ordine mondiale a guida occidentale?

Non si può ignorare che il mondo occidentale sia in preda a una sorta di frenesia bellica nei confronti della Russia. Ogni escalation sembra portare quasi automaticamente alla successiva. Non appena è stata decisa la consegna di carri armati all’Ucraina, si è parlato della consegna di jet da combattimento. Un drone spia americano era appena stato abbattuto vicino al confine russo dal passaggio ravvicinato di un caccia russo, quando la Corte penale internazionale dell’Aia ha pubblicato un mandato di arresto per Vladimir Putin. Criminalizzando il presidente russo, l’Occidente ha deliberatamente distrutto il percorso verso una soluzione negoziale e ha portato l’escalation a un nuovo livello. Ma come se il livello così raggiunto non fosse abbastanza alto, la Gran Bretagna ha annunciato la consegna di munizioni all’uranio, considerate armi “convenzionali” che lasciano una contaminazione radioattiva sul luogo dell’esplosione. La risposta di Mosca non si è fatta attendere ed è consistita nella decisione di posizionare armi nucleari tattiche in Bielorussia a stretto giro.

 

La rinuncia al controllo dell‘escalation

Da dove deriva questa disposizione quasi automatica all’escalation da parte dei politici al potere oggi? È un fenomeno di decadenza? Qualcosa di analogo si verifica quando l’adattamento allo Zeitgeist (lo spirito del tempo) è diventato più importante dell’adattamento alla realtà. Oppure la disponibilità all’escalation può essere spiegata razionalmente? È forse l’espressione di un certo obiettivo politico che è stato minacciato ma che non può essere abbandonato dalla classe politica al potere e che quindi sembra raggiungibile solo attraverso un azzardo?

Una dichiarazione molto significativa, rilasciata dal Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg il 18 febbraio alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, fa pensare a quest’ultima ipotesi: Stoltenberg ha ammesso nel suo discorso che, continuando a sostenere l’Ucraina, c’era il rischio di un’escalation militare tra la NATO e la Russia che non poteva più essere controllata. Tuttavia, ha fatto seguito a questa ammissione chiarendo immediatamente che non esistono soluzioni prive di rischi e “che il rischio più grande di tutti sarebbe una vittoria russa”. In un certo senso, Stoltenberg ha legittimato il rischio di un’escalation militare tra le due superpotenze nucleari. In altre parole, si potrebbe tranquillamente rischiare l’escalation perché una vittoria russa in Ucraina sarebbe potenzialmente peggiore di una terza guerra mondiale.

Ora, si potrebbe liquidare la dichiarazione di Stoltenberg come irrazionale se non fosse in linea con altre dichiarazioni allarmanti di politici, militari e persone che gravitano in questi mondi. Si consideri, ad esempio, l’osservazione fiduciosa di Rob Bauer, Presidente del Comitato militare della NATO, che si è detto sicuro che Putin non userà le armi nucleari anche in caso di escalation (1), il che implicherebbe dunque che si può osare un’escalation. Che altri leader della NATO la pensino allo stesso modo è stato recentemente reso noto da una prostituta (Hanna Lakomy su “Berliner Zeitung”) che bazzica in questi ambienti. Anche il capo del governo ungherese, Victor Orban, ha recentemente avvertito che i Paesi occidentali sono sul punto di discutere seriamente l’invio di proprie truppe in Ucraina. Solo due giorni dopo, il famoso giornalista investigativo Seymour Hersh, noto per le sue fonti nella burocrazia di Washington, ha lanciato avvertimenti molto simili. Secondo Hersh, il governo statunitense sta valutando la possibilità di inviare proprie truppe in Ucraina sotto la copertura della NATO. Il presidente serbo, a sua volta, ha commentato la notizia del mandato di arresto della Corte penale internazionale contro il presidente russo con le parole “E sono pronto a dirvi che temo che non siamo lontani dallo scoppio della terza guerra mondiale”. Perché si era creata una situazione “in cui entrambe le parti scommettono su tutto o niente e rischiano fino in fondo”. Lo scorso dicembre, il leggendario Segretario di Stato americano Henry Kissinger aveva espresso sentimenti simili. Nel suo articolo “Come evitare un’altra guerra mondiale”, ha descritto come in questa guerra si scontrino posizioni assolutiste che potrebbero effettivamente portare allo scoppio di una guerra mondiale.

Affermazioni di questo tipo sollevano la questione di cosa si stia effettivamente combattendo in Ucraina: qual è il vero scopo di questa enorme volontà di escalation? I bacini carboniferi del Donbass? Probabilmente no. Ma allora di cosa si tratta?…

continua qui

 

 

Leonardo S.p.A. adesso punta tutto sulla guerra? Fondazione Finanza Etica e Rete Pace Disarmo azionisti critici in assemblea

Scritto da Coordinamento Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo

Negli ultimi 5 anni il fatturato militare è salito dal 68% all’83%: il progressivo abbandono del comparto civile che pure è più redditizio e presunto coinvolgimento nella produzione di sistemi d’arma nucleari al centro degli interventi in assemblea degli azionisti critici Fondazione Finanza Etica e Rete Italiana Pace e Disarmo

 

Per il settimo anno consecutivo Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e Rete italiana Pace e Disarmo intervengono come azionisti critici all’assemblea di Leonardo spa in programma per il 9 maggio 2023. Il colosso italiano delle armi, controllato con il 30,2% dal Ministero del Tesoro, ha deciso però che la sua assemblea si svolgerà a porte chiuse.

«Leonardo ha scelto di avvalersi di una facoltà prevista dalla legislazione italiana sul Covid-19», spiega Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica. «In questo modo si impedisce, di fatto, ogni forma di contatto e di dialogo diretto tra la società e i suoi azionisti, nonostante l’emergenza pandemica sia da tempo superata». Agli azionisti è stata comunque data la possibilità di inviare domande scritte, a cui dovrebbe essere data risposta tre giorni prima dell’assemblea. Fondazione Finanza Etica del Gruppo Banca Etica ne ha inviate una quarantina, raccogliendo quelle di Rete italiana Pace e Disarmo e di alcuni studenti e studentesse del corso di Corporate Governance dell’Università di Pisa, per la prima volta coinvolti nel progetto.

Per fare il punto sulle criticità – umanitarie ma anche finanziarie – legate a questa trasformazione di Leonardo spa in industria quasi totalmente bellica, gli azionisti critici si incontreranno lunedì 8 maggio alle 18 a Roma, presso la Redazione di Scomodo, un giorno prima dell’assemblea, per commentare pubblicamente le risposte di Leonardo.

«Abbiamo chiesto spiegazioni sull’effettiva generazione di fatturato e posti di lavoro di Leonardo in Italia», spiega Francesco Vignarca, Coordinatore Campagne della Rete italiana Pace e Disarmo. «Ci sembra infatti sproporzionato l’impegno dello Stato in una impresa che produce armi impiegate in conflitti internazionali, con il rischio di violazione di diritti umani fondamentali, rispetto agli effettivi, minimi vantaggi economici per l’Italia».

Negli ultimi cinque anni (2017-2022), il fatturato militare di Leonardo è salito dal 68% all’83%. Mentre nel 2013 era pari al 49,6%. Sono stati abbandonati progressivamente una serie di comparti civili ritenuti non strategici: l’automazione industriale, la robotica, la microelettronica, l’energia e il trasporto ferroviario. «I nostri dati dimostrano che, contrariamente a quanto si pensi, il comparto militare è più rischioso, meno redditizio e crea meno occupazione rispetto a quello civile», continua Vignarca. «È quindi assurdo che lo Stato continui a sostenere la progressiva militarizzazione del gruppo. Nella nostra Costituzione c’è scritto chiaramente che “l’Italia ripudia la guerra”. Perché quindi sostenerla tramite un’azienda multinazionale a controllo statale?».

Tra le domande inviate a Leonardo, alcune si riferiscono anche al coinvolgimento della società in programmi di sistemi d’arma a potenzialità̀ nucleare. «Il presunto coinvolgimento di Leonardo nella produzione di armi nucleari ha già portato all’esclusione dell’impresa da molti portafogli di investitori istituzionali», spiega Teresa Masciopinto. «Quindi stiamo parlando di rischi finanziari oltre che di evidenti rischi umanitari e reputazionali». Per questo motivo all’incontro dell’8 maggio partecipa anche Susi Snyder, coordinatrice della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), premio Nobel per la pace nel 2017.

Nelle domande inviate da Fondazione Finanza Etica per conto degli studenti dell’Università di Pisa si esprimono invece dubbi sulla nomina da parte del governo dell’ex ministro Roberto Cingolani come amministratore delegato di Leonardo. «Vogliamo capire perché Leonardo abbia ritenuto ammissibile tale candidatura alla luce della legge 215/2004 sui conflitti di interesse», spiegano Adrian Jaroszewicz, Alessandro Quaglia e Roberta Zumbo. «Allo stesso modo, vorremmo capire come si concilino le candidature al Consiglio di Amministrazione di Francesco Macrì, leader di Fratelli d’Italia ad Arezzo, e di Trifone Alfieri, politico della Lega, con la Skills Directory di Leonardo, e cioè l’insieme di esperienze e competenze distintive che dovrebbero essere apportate nel CdA».

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Le guerre americane e la crisi del debito statunitense – Jeffrey D. Sachs

Per superare la crisi del debito, l’America deve smettere di alimentare il Complesso Militare-Industriale, la lobby più potente di Washington

Nel 2000 il debito pubblico degli Stati Uniti era di 3,5 trilioni di dollari, pari al 35% del prodotto interno lordo (PIL). Nel 2022 il debito ha raggiunto i $ 24 trilioni, pari al 95% del PIL. Il debito degli Stati Uniti è alle stelle, da qui l’attuale crisi del debito americano. Eppure sia ai repubblicani che ai democratici manca la soluzione: fermare le guerre scelte dall’America e tagliare le spese militari.

Supponiamo che il debito del governo sia rimasto a un modesto 35% del PIL, come nel 2000. Il debito odierno sarebbe di 9 miliardi di dollari, invece di 24 trilioni di dollari. Perché il governo degli Stati Uniti ha contratto l’eccesso di $ 15 trilioni di debito?

L’unica grande risposta è la dipendenza del governo degli Stati Uniti dalla guerra e dalle spese militari.

Secondo il Watson Institute della Brown University, il costo delle guerre statunitensi dall’anno fiscale 2001 all’anno fiscale 2022 ammontava a ben 8 trilioni di dollari, più della metà dei 15 trilioni di debito in più. Gli altri 7 trilioni di dollari provenivano più o meno in egual misura dai deficit di bilancio causati dalla crisi finanziaria del 2008 e dalla pandemia di Covid-19.

Per superare la crisi del debito, l’America deve smettere di alimentare il Complesso Militare-Industriale (MIC), la lobby più potente di Washington. Come notoriamente avvertì il presidente Dwight D. Eisenhower il 17 gennaio 1961: “Nei consigli di governo, dobbiamo guardarci dall’acquisizione di un’influenza ingiustificata, richiesta o meno, da parte del complesso militare-industriale. Il potenziale per la disastrosa ascesa del potere mal riposto esiste e persisterà”. Dal 2000, il MIC ha guidato gli Stati Uniti in disastrose guerre di scelta in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e ora in Ucraina.

Il complesso militare-industriale ha adottato da tempo una strategia politica vincente assicurandosi che il budget militare raggiunga ogni distretto congressuale. Il Congressional Research Service ha recentemente ricordato al Congresso che “la spesa per la difesa tocca ogni membro del distretto del Congresso attraverso la retribuzione e i benefici per i membri dei servizi militari e i pensionati, l’impatto economico e ambientale delle installazioni e l’approvvigionamento di sistemi d’arma e parti dall’industria locale, tra le altre attività.” Solo un coraggioso membro del Congresso voterebbe contro la lobby dell’industria militare, ma il coraggio non è certamente un segno distintivo del Congresso.

La spesa militare annuale dell’America è ora di circa 900 miliardi di dollari, circa il 40% del totale mondiale e superiore a quella dei prossimi 10 paesi messi insieme. La spesa militare degli Stati Uniti nel 2022 è stata il triplo di quella della Cina. Secondo il Congressional Budget Office, le spese militari per il periodo 2024-2033 saranno l’incredibile cifra di 10,3 trilioni di dollari rispetto all’attuale baseline. Un quarto o più di questo potrebbe essere evitato ponendo fine alle guerre scelte dall’America, chiudendo molte delle circa 800 basi militari americane in tutto il mondo e negoziando nuovi accordi sul controllo degli armamenti con Cina e Russia.

Tuttavia, invece della pace attraverso la diplomazia e la responsabilità fiscale, il MIC spaventa regolarmente il popolo americano con rappresentazioni in stile fumetto di cattivi che gli Stati Uniti devono fermare a tutti i costi. L’elenco post-2000 includeva i talebani dell’Afghanistan, Saddam Hussein dell’Iraq, Bashar al-Assad della Siria, Moammar Gheddafi della Libia, Vladimir Putin della Russia e, recentemente, Xi Jinping della Cina. La guerra, ci viene ripetutamente detto, è necessaria per la sopravvivenza dell’America.

Una politica estera orientata alla pace sarebbe osteggiata strenuamente dalla lobby militare-industriale ma non dall’opinione pubblica. Significative pluralità pubbliche vogliono già meno, non più, coinvolgimento degli Stati Uniti negli affari di altri paesi, e meno, non più, dispiegamenti di truppe statunitensi all’estero. Per quanto riguarda l’Ucraina, gli americani vogliono in modo schiacciante un “ruolo minore” (52%) piuttosto che un “ruolo principale” (26%) nel conflitto tra Russia e Ucraina. Questo è il motivo per cui né Biden né alcun presidente recente ha osato chiedere al Congresso un aumento delle tasse per pagare le guerre americane. La risposta del pubblico sarebbe stata un clamoroso “No!”

Mentre le guerre scelte dall’America sono state terribili per l’America, sono state disastri molto più grandi per i paesi che l’America pretende di salvare. Come disse Henry Kissinger, “Essere un nemico degli Stati Uniti può essere pericoloso, ma essere un amico è fatale”. L’Afghanistan è stata la causa dell’America dal 2001 al 2021, fino a quando gli Stati Uniti l’hanno lasciata distrutta, in bancarotta e affamata. L’Ucraina è ora nell’abbraccio dell’America, con gli stessi probabili risultati: guerra in corso, morte e distruzione.

Il budget militare potrebbe essere tagliato in modo prudente e profondo se gli Stati Uniti sostituissero le loro guerre di scelta e la corsa agli armamenti con una vera diplomazia e accordi sugli armamenti. Se i presidenti e i membri del congresso avessero solo ascoltato gli avvertimenti dei massimi diplomatici americani come William Burns, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Russia nel 2008, e ora direttore della CIA, gli Stati Uniti avrebbero protetto la sicurezza dell’Ucraina attraverso la diplomazia, concordando con la Russia che gli Stati Uniti non avrebbero allargato la NATO in Ucraina se anche la Russia avrebbe tenuto i suoi militari fuori dall’Ucraina. Eppure l’inesorabile espansione della NATO è una delle cause preferite del MIC; i nuovi membri della NATO sono i principali clienti degli armamenti statunitensi.

Gli Stati Uniti hanno anche abbandonato unilateralmente accordi chiave sul controllo degli armamenti. Nel 2002, gli Stati Uniti sono usciti unilateralmente dal Trattato sui missili antibalistici. E piuttosto che promuovere il disarmo nucleare — come gli Stati Uniti e le altre potenze nucleari sono tenute a fare ai sensi dell’articolo VI del Trattato di non proliferazione nucleare — il Complesso militare-industriale ha venduto al Congresso i piani per spendere più di 600 miliardi di dollari entro il 2030 per ”modernizzare” l’arsenale nucleare statunitense.

Ora il MIC sta parlando della prospettiva di una guerra con la Cina per Taiwan. I tamburi della guerra con la Cina stanno alimentando il budget militare, ma la guerra con la Cina è facilmente evitabile se gli Stati Uniti aderiscono alla politica di una sola Cina che è alla base delle relazioni USA-Cina. Una simile guerra dovrebbe essere impensabile. Più che mandare in bancarotta gli Stati Uniti, potrebbe porre fine al mondo.

La spesa militare non è l’unica sfida di bilancio. L’invecchiamento e l’aumento dei costi sanitari si aggiungono ai problemi fiscali. Secondo il Congressional Budget Office, il debito raggiungerà il 185% del PIL entro il 2052 se le politiche attuali rimarranno invariate. I costi sanitari dovrebbero essere limitati mentre le tasse sui ricchi dovrebbero essere aumentate. Tuttavia, affrontare la lobby militare-industriale è il primo passo fondamentale per mettere in ordine il sistema fiscale americano, necessario per salvare gli Stati Uniti, e forse il mondo, dalla politica perversa guidata dalla lobby americana.

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Il particolare taciuto sugli F-16 e l’escalation (nucleare?) scelta dalla Nato – Giuseppe Masala

Durante il vertice del G7 il presidente americano Joe Biden ha dato il tanto agognato (dagli ucraini) nulla osta al trasferimento di cacciabombardieri americani General Dynamics F-16 Fighting Falcon. Una mossa che tutti capiscono sarà foriera di conseguenze e che gli analisti e i commentatori delle maggiori testate occidentali si sono affrettati a commentare.

Innanzitutto tutti capiscono l’importanza di questo nulla osta perché fa fare un ulteriore salto di qualità all’assistenza che la Nato, gli USA e l’Occidente Allargato stanno dando all’Ucraina nel conflitto con la Russia.

Siamo partiti con le armi leggere, con i missili anticarro portatili tipo Javelin e con i missili antiaerei spalleggiabili tipo Stinger, siamo arrivati ai cacciabombardieri F-16. E in mezzo siamo passati attraverso, carrarmati prima di produzione sovietica (T-70, T-80, ecc.) poi di produzione occidentale (dai Leopard tedeschi, ai Challenger britannici, fino agli Abrams americani), ai sistemi antiaerei costosissimi come i Patriot PAC-3 e i franco-italiani Samp-T, per non parlare poi dei missili da crociera micidiali di produzione britannica Storm Shadow.

Davvero ci vuole tutta la fantasia e creatività dei russi per credere che l’Occidente non sia in guerra con loro e continuare di buona lena a distruggere tutto quello che viene mandato in Ucraina. Così da sperare che nelle capitali occidentali, appena distrutto l’ennesimo stock di armamenti inviati, torni la razionalità – o anche il semplice buon senso – e che decidano di sedersi a discutere con Mosca dell’architettura di sicurezza europea. Questo ovviamente partendo come base, della famosa lettera inviata dai russi agli statunitensi sulla materia e che ha dato vita ad un paio di vertici in Svizzera che si sono dimostrati completamente sterili e improduttivi (1).

Purtroppo, visto il contesto, ormai tutto il mondo vede la situazione per quella che è: la Russia è in guerra con la Nato e con gli USA ormai manco per interposta persona. È vero sì, gli ucraini sono i maggiori fornitori di carne da macello e mettono a disposizione il loro territorio come campo di battaglia, ma ormai anche sotto l’aspetto delle risorse umane non viene più negata dai giornali britannici la presenza in prima linea delle forze speciali di Sua Maestà (2).

E’ davvero interessante come le maggiori testate mondiali hanno commentato l’arrivo in Ucraina dei cacciabombardieri F-16. Di particolare interesse tra le altre, la tesi del New York Times, peraltro da tempo ormai organo non ufficiale dei Dem americani che sono al potere a Washington e che stanno prendendo le decisioni in materia di guerra.

Il quotidiano newyorkese sostiene che la fornitura di F-16 nelle intenzioni di Biden non giocherà “un ruolo importante nel conflitto a breve termine, fornirli fa parte di una strategia volta a difendere l’Ucraina a lungo termine, dopo che l’attuale fase della guerra sarà finita” e poi ancora continua: “Ciò suggerisce che l’amministrazione e i suoi alleati adesso credono che anche se ci sarà una fine negoziata degli scontri – forse un armistizio simile a quello coreano – l’Ucraina avrà bisogno di una capacità militare a lungo termine” (3)

Dunque secondo il New York Times (ripeto, organo ufficioso dei Dem americani) gli F-16 sarebbero la premessa per un armistizio e dunque premessa per un congelamento del conflitto perché darebbero maggior sicurezza e capacità di difesa all’Ucraina. Ma la realtà è leggermente (sic) diversa, e quanto affermato dal New York Times sembra più corrispondere a ciò che gli americani vorrebbero far credere ai russi per farli fessi…

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Polonia, servizi Usa e Zelensky. Cosa si cela dietro le nuove rivelazioni di Seymour Hersh? – Fabrizio Poggi

Cominciamo col riportare le affermazioni di una persona che, a differenza di tanti “leccazampe” (il mio babbo usava questa parola per non essere volgare) di produzione nostrana, il giornalista lo fa davvero e da diversi decenni: come minimo, da quando scriveva delle stragi yankee nei villaggi vietnamiti. Basandosi su propri contatti tra i Servizi americani, il premio Pulitzer Seymour Hersh dice che alcuni paesi dell’Europa orientale – tra l’altro, tra i più sfacciati russofobi – cominciano ad averne abbastanza del conflitto in Ucraina e cercano tacitamente di convincere il nazigolpista-capo a trattative di pace.

RIA Novosti riferisce la frase completa di Hersh: «Ora si parla solo della possibile offensiva di ognuna delle parti per fine primavera o estate. Ma si sta preparando anche qualcos’altro, come hanno riferito in segreto funzionari dell’intelligence americana, sulla base di voci di rappresentanti a vario livello dei governi di Polonia, Ungheria, Estonia, Rep. Ceca, Lettonia e Slovacchia. Tutti paesi alleati dell’Ucraina e nemici dichiarati di Vladimir Putin».

Ora, come dimostrano gli ultimi passi di Viktor Orban, per quanto riguarda l’Ungheria una tale uscita è abbastanza plausibile. Ma, per gli altri? Trattandosi di “indiscrezioni” fornite dai Servizi, è davvero da escludere che si sia in presenza di “informazioni” confezionate appositamente per qualcosa di diverso rispetto a quanto affermato? È possibile che, almeno per una volta, Seymour Hersh sia stato tratto in inganno? Se quest’ultima possibilità, vista la professionalità della persona, sembra oltremodo remota, non sembra da escludere l’ipotesi che si tenti, in questo modo, di sondare per altra via gli “umori” di qualcuno ben più influente, per dire, dei “nani” baltici, o chi per loro.

Ragione immediata della sortita dei satelliti esteuropei non sarebbero affatto motivi umanitari, ma, secondo Hersh, sarebbe il peso economico e sociale degli oltre cinque milioni di profughi ucraini che stazionano nei loro paesi (secondo uno studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro, la popolazione ucraina in età lavorativa, uomini e donne, sarebbe diminuita di 5,5 milioni di persone; ma si deve considerare almeno un altro milione, dei due emigrati in Russia) e gli “alleati” arriverebbero al punto di chiedere a Kiev la pace, anche a costo delle dimissioni di Vladimir Zelenskij.

Possiamo aggiungere che, oltre a ciò, è pensabile che lo stato delle economie di almeno parte di quei paesi, induca le locali borghesie a dire qualcosa sulla forzata “astinenza” dai rapporti con la Russia ma, soprattutto, che si cominci a temere sul serio un possibile coinvolgimento diretto nella guerra.

Ma, in ogni caso – quantomeno per quel che riguarda la Polonia, che mira a scalzare la Germania e diventare il “fulcro” yankee d’Europa – le affermazioni di Hersh, pur se infondono cauto ottimismo, sembrano quantomeno premature. E infatti, lo stesso Hersh aggiunge che, stando alla CIA (probabilmente, anche alla National Security Agency), «Zelenskij è irremovibile» e fermamente deciso a continuare la guerra, pur se con la sua testardaggine «comincia a perdere l’appoggio dei vicini sul piano personale». Ingenuamente, potremmo anche chiederci: chi è che induce Zelenskij a essere così “irremovibile”?

Su Komsomol’skaja Pravda, il politologo Sergej Markov afferma che quanto detto da Hersh appare strano a una persona comune: «com’è che i principali russofobi chiedono a Zelenskij di fermare il conflitto? Dal mio punto di vista, la logica c’è ed è assolutamente precisa. Essi ritengono di aver ormai sconfitto la Russia e di non aver bisogno di andare oltre, bensì di consolidare la vittoria. E qual è la vittoria? È quella di aver reso l’Ucraina anti-russa, di aver distrutto ogni sentimento filo-russo in Ucraina. Dal loro punto di vista, è ora di finire la guerra. A quali condizioni, è tutto un altro discorso. Sono disponibili anche a una “variante coreana”, con le truppe attestate sulle attuali posizioni».

Effettivamente, una “persona comune” vede oggi tutt’altro di quel che afferma Hersh.

Vede la NATO che mette a punto il primo “piano di difesa” su larga scala dalla cosiddetta fine della guerra fredda, per l’eventualità (che qualcuno nell’Alleanza sembra proprio volere spasmodicamente) in caso di conflitto con la Russia, che «potrebbe scoppiare in qualunque momento», come ha dichiarato il capo del Comitato militare NATO, Rob Bauer. Secondo la Reuters, il piano dovrebbe essere approvato al vertice del prossimo luglio a Vilnius. Si tratterebbe, stando al El Pais, della maggiore riorganizzazione strategica della NATO sullo sfondo della “minaccia russa”.

E, per quanto riguarda specificamente la Polonia, la solita “persona comune” sente il presidente Andrzej Duda dichiarare che Varsavia, oltre a centinaia di carri armati (Leopard 1 e 2, PT-91, ecc.) ha fornito a Kiev «quasi tutti gli esemplari di MiG-29 in nostro possesso, come chiesto dall’Ucraina», aggiungendo che la fornitura degli esemplari rimasti potrebbe essere problematica, dato che sono stati modificati secondo gli standard NATO…

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Un poeta per cento soldati, Kiev rilascia Taksyur in uno scambio di prigionieri con Mosca – Clara Statello

Perseguitato per le sue poesie, scambiato come un prigioniero di guerra, Jan Taksyur è finalmente libero. Il famoso poeta ucraino dissidente, arrestato per la critica al governo e il sostegno alla Chiesa ortodossa ucraina (UOC), il 24 maggio è stato condannato dal tribunale distrettuale Shevchenkovsky di Kiev. Nonostante l’età e le condizioni critiche di salute, il giudice Marina Antonyuk ha disposto una pena a 12 anni di carcere con la confisca di metà dei suoi beni per “alto tradimento”, in base all’articolo 111 del codice penale dell’Ucraina. Lo riferisce il canale di Telegram Pershiy Kozatsky, con cui collaborava.

La sentenza è stata tempestiva. La SBU, infatti, lo ha immediatamente scambiato con soldati ucraini catturati dalla compagnia privata Wagner nella battaglia per Bachmut.

Il 25 maggio 2023 sono tornati in Ucraina 106 uomini delle forze armate, tra cui 8 ufficiali e 98 soldati, oltre ai corpi di due combattenti di nazionalità statunitense e turca. Le autorità di Kiev hanno consegnato alla Federazione Russa un numero attualmente sconosciuto di prigionieri russi ed un civile ucraino: Jan Taksyur.

Giovedì sera il canale Politnavigator ha diffuso il video del suo arrivo a Lugansk.

“La malattia è molto più facile della prigione”, è stato il suo primo commento, rilasciato a Ria Novosti. Taksyur, infatti, è malato di cancro.

Il crimine del poeta di 71 anni è stato quello di aver messo in ridicolo e criticato le autorità di Kiev nelle sue liriche e nella sua attività giornalistica. Inoltre denunciava la persecuzione religiosa della UOC. Le sue opere erano state pubblicate a partire dal 2016 con lo pseudonimo di Ivan Pechernikov. Il 10 marzo 2022, in seguito ad una delazione, l’SBU lo aveva arrestato. Per quasi sei mesi è stato nel centro di detenzione dei servizi di sicurezza, impossibilitato a ricevere assistenza legale e medica. La figlia di Taksyur, Mariko, si è rivolta a Zelensky chiedendo di liberare e salvare così suo padre. Tuttavia, allo scrittore malato era stato negato il trasferimento agli arresti domiciliari. Ad agosto è stato finalmente rilasciato dietro il pagamento di una cauzione di 1,2 milioni di grivne. Nel settembre 2022 è stato operato a causa di un cancro. Mariko ha detto che il caso di suo padre è stato “inventato frettolosamente, con molti errori” ed è stato “processato per dissenso”. Pershiy Kozatsky scrive che la scelta se accettare uno scambio non è stata facile:

“La giustizia nel suo caso è stata semplicemente esclusa in questo momento storico. Restava da seguire il principio e accettare la morte certa: le condizioni di reclusione per il malato di cancro Jan Taksyur, recentemente sottoposto a un’operazione difficile, significherebbero un aggravamento quasi garantito e morte o acconsentire a uno scambio. Incapace di ottenere giustizia, Yan ha scelto la vita e la libertà. Ci auguriamo che il nostro Paese trovi altri modi più nobili per restituire i nostri prigionieri rispetto allo scambio di ucraini con ucraini riconosciuti come «sbagliati»”.

In una delle opere per cui è stato condannato, dal titolo “Banderamon e Patrimon, nella terra dei Pokemon senza paura”, Taksyur sbeffeggiava la trovata ucraina di rappresentare il collaborazionista nazista Stepan Bandera ed il poeta Taras Schevchenko sotto forma di personaggi dei Pokemon.  La poesia si può leggere qui: https://mydozor.ru/archives/2016/08/14/bandermon-i-patrimon-v-krayu-nepuganyx-pokemonov/

La data della pubblicazione satirica risale all’agosto del 2016, diversi anni prima dall’escalation bellica in Ucraina. Sono state esattamente opere come questa a costargli la condanna per tradimento che arriva ad orologeria, poco prima di uno scambio di prigionieri di guerra. I dissidenti per le autorità di Kiev diventano così una specie di “fondo di riserva” per gli scambi di detenuti. Una cosa del genere era accaduta ad autunno con il rilascio di Viktor Medvedechuk, l’oligarca vicino a Putin e leader del secondo partito di Ucraina. Successivamente sono stati scambiati due sacerdoti ucraini con una cinquantina di soldati, secondo quanto affermato dal capo dei servizi di sicurezza Vasyl Malyuk. C’è da chiedersi in che modo un Paese democratico, in cui vigono le garanzie di  uno Stato di diritto, possa considerare un proprio cittadino alla stregua di un prigioniero di guerra straniero solo per le proprie convinzioni politiche, religiose o per la propria produzione intellettuale.

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“L’escalation militare potrebbe sfuggire al controllo”Marinella Correggia

 Si sta diffondendo un appello promosso dall’Eisenhower Media Network, un think tank formato da esperti, ex militari e funzionari civili della sicurezza nazionale. I firmatari, di diversi orientamenti politici, sono prestigiosi e hanno una lunga storia.

(Fonte: Il Manifesto)

 «Chiediamo al presidente e al Congresso di porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina con la diplomazia, soprattutto di fronte ai pericoli che l’escalation militare potrebbe sfuggire al controllo»: questa la sintesi dell’importante appello, intitolato «Gli Stati uniti dovrebbero essere una forza per la pace nel mondo», firmato da 15 esperti – analisti, docenti, ex diplomatici, ex consiglieri per la sicurezza nazionale e soprattutto ex militari di grado elevato. Pubblicato il 16 maggio dal New York Times, è stato promosso e finanziato, come si precisa dopo le firme, dall’Eisenhower Media Network, un think tank che si presenta così: «Siamo una organizzazione di esperti ex militari e funzionari civili della sicurezza nazionale. Cerchiamo di raggiungere in modo ampio e bi-partisan i lettori di diversi media e la popolazione statunitense – che sempre più si accorge che la politica estera Usa non rende il paese e il mondo più sicuri».

I firmatari denunciano «il disastro assoluto della guerra russo-ucraina», con «centinaia di migliaia di persone uccise o ferite, milioni di sfollati, incalcolabili distruzioni dell’ambiente e dell’economia» e il rischio di «devastazioni esponenzialmente più grandi dal momento che le potenze si avvicinano a una guerra aperta». Deplorano «la violenza, i crimini di guerra, l’uso indiscriminato delle armi e le atrocità parte di questa guerra», affermano che «la soluzione non si trova in più armi e più guerra, garanzia di ulteriore morte e distruzione». Di fronte a questi gravi rischi, chiedono dunque «in modo pressante a Biden e al Congresso di usare tutti i loro poteri per porre fine alla guerra russo-ucraina rapidamente con la diplomazia». Non dimenticano di condannare il business delle armi: «Gli Usa hanno già mandato armi per 30 miliardi di dollari in Ucraina, e l’aiuto totale è superiore a 100 miliardi. La guerra, lo si dice, è un business, molto vantaggioso per pochi».

Ricordano l’osservazione, cruciale tuttora, di John F. Kennedy 60 anni fa: «Le potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato e usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva».

Per l’appello, anche se «la causa immediata della disastrosa guerra in Ucraina è l’invasione russa», «i piani e le azioni per allargare la Nato fino ai confini russi hanno provocato i timori di Mosca. Come i leader russi affermarono 30 anni fa, il fallimento della diplomazia porta alla guerra. Ora la diplomazia è urgente prima che questa guerra distrugga l’Ucraina e metta in pericolo l’umanità».

Il potenziale per la pace c’è, dice l’appello. L’ansia geopolitica russa è anche frutto del ricordo delle invasioni di Carlo XII, Napoleone, il Kaiser e Hitler. Le truppe Usa intervennero nella guerra civile russa successiva alla prima guerra mondiale. «Nella diplomazia occorre un’empatica strategia, cercare di comprendere l’avversario. Non è debolezza: è saggezza. Rifiutiamo l’idea che i diplomatici, perseguendo la pace, debbano schierarsi, in questo caso con la Russia o l’Ucraina. Si scelga il lato della saggezza. Dell’umanità. Della pace».

Del resto, «non possiamo sostenere la strategia di lottare contro la Russia fino all’ultimo ucraino»; infatti «la promessa di Biden di sostenere l’Ucraina “per tutto il tempo necessario” è una licenza di perseguire obiettivi malsani e irraggiungibili. Sarebbe catastrofico quanto la decisione di Putin». L’impegno genuino deve essere quello a «un immediato cessate il fuoco e negoziati senza precondizioni squalificanti e proibitive. Provocazioni deliberate hanno portato alla guerra Russia-Ucraina. Allo stesso modo, una deliberata diplomazia può porvi fine».

Lezione di storia contemporanea, lo scritto ripercorre (anche con un’utilissima appendice ricca di rimandi a documenti ignoti ai più) gli errori e le promesse calpestate da parte degli Stati uniti e dei loro alleati occidentali (in particolare Regno unito, Francia e Germania) nei confronti della Russia, a patire dal collasso dell’Urss. La Nato non si espanderà a Est, giuravano. E dal 2007, la Russia ha ripetuto che le forze armate Nato alle frontiere erano intollerabili (come lo sarebbero quelle russe in Messico o Canada), o la crisi dei missili a Cuba nel 1962). E Mosca ha ripetutamente definito una provocazione l possibile inclusione dell’Ucraina nella Nato.

Gli esperti cercano dunque di vedere la guerra con gli occhi russi, «e questo non significa che appoggiamo l’invasione e l’occupazione, né implica che la Russia non avesse altre opzioni. Le aveva, come le avevano gli Usa e la Nato». Ma Mosca, proseguono, aveva messo in chiaro le sue linee rosse come dimostrato nel 2014 dall’annessione della Crimea e dal sostegno ai separatisti nel Donbass: «Perché i leader degli Usa e della Nato non abbiano capito, non è chiaro; incompetenza, arroganza, cinismo o un misto di tutto ciò». Si ripercorrono i molti casi nei quali diplomatici, generali e politici statunitensi avevano avvertito «circa i pericoli dell’espansione a Est della Nato e dell’interferenza nella sfera di influenza russa»; fondamentale e allarmata la lettera aperta di 50 esperti di politica estera al presidente Clinton, ignorata da quest’ultimo (che di lì a poco guidò la guerra contro la Serbia).

Gli esperti ritengono «molto importante nel comprendere la tracotanza e il calcolo machiavellico delle decisioni Usa intorno alla guerra russo-ucraina» il rifiuto opposto per esempio nel 2008 dalla segretaria di Stato di George W. Bush, Condoleeza Rice, all’allarme, circa l’allargamento della Nato e l’inclusione delle Ucraina, lanciatole da Williams Burns, attuale direttore della Cia e all’epoca ambasciatore in Russia: «La Russia non teme solo l’accerchiamento e gli sforzi per minare la sua influenza nella regione, ma teme anche conseguenze incontrollate e incalcolabili per la sua sicurezza. Gli esperti ci dicono che la Russia teme particolarmente le forti divisioni in Ucraina rispetto alla Nato; gran parte della comunità russofona si oppone e questo potrebbe portare a contrasti violenti, fino alla guerra civile nella peggiore delle ipotesi. E in questo caso la Russia dovrà decidere se intervenire. Una decisione alla quale Russia non vuole essere messa di fronte».

Malgrado tutti questi avvertimenti, conclude l’appello, «perché gli Usa hanno perseverato nell’espansione della Nato? Il profitto dalle vendite di armi è un attore di prima importanza»: fra il 1996 e il 1998 un gruppo di neo-con e di armieri ha speso enormi somme nella lobby e nelle campagne elettorali; così, «l’espansione della Nato è diventata un fatto, e il complesso militare Usa ha venduto armi per miliardi di dollari ai nuovi membri dell’alleanza».

Il dito dei quindici firmatari indica chiaramente la luna: «L’espansione della Nato è, alla fine, uno strumento della politica estera statunitense caratterizzata dall’unilateralismo, dal perseguire cambi di regime 3 guerre preventive. Guerre fallimentari, come quelle in Iraq e Afghanistan che hanno prodotto macelli e altri conflitti. Una realtà prodotta dagli Usa». La guerra russo-ucraina ha aperto una nuova arena di scontro e morte la quale «non è interamente colpa nostra, ma lo sarà se non ci dedichiamo a costruire un impianto diplomatico che la fermi e sciolga le tensioni».

Il movimento pacifista Codepink riassume così: «L’appello è tempestivo e utile. Fornisce un approccio sulla crisi più obiettivo, rispetto a quello presentato dall’amministrazione statunitense o lo stesso giornale newyorkese: compreso il disastroso ruolo di Washington, l’espansione della Nato, gli avvertimenti ignorati nei decenni dalle amministrazioni che si sono susseguite e l’escalation della tensione che infine ha portato alla guerra»…

(Note: Link all’articolo https://ilmanifesto.it/gli-stati-uniti-dovrebbero-essere-una-forza-per-la-pace-nel-mondo )

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‘L’impero americano è finito, ma l’America non lo accetta’

Tutta colpa del capitalismo afferma il massimo studioso di marxismo negli Stati Uniti, Richard D. Wolff, professore emerito di Economia alla University of Massachusetts, che ne parla con Limes. «Capitalismo, sistema economico storicamente e intrinsecamente espansionistico. Molto più dello schiavismo, del colonialismo o di altri sistemi economici precedenti l’industrializzazione e l’avvento del capitalistico». Grazie a Fabrizio Maronta, l’intervistatore: «I meccanismi di accumulazione e competizione del capitalismo implicano una spinta espansionistica».

Una nostra sintesi difficile e speriamo non troppo traditrice.

Globalizzazione figlia del capitalismo

Dalla nascita della prima forma di capitalismo, nell’Inghilterra del XVII secolo, quella dell’economia capitalistica è storia di crescita ed espansione costanti. Prima nel resto delle Isole Britanniche, poi nell’Europa continentale, poi in quelli che diverranno gli Stati Uniti d’America, infine -specie per mezzo di questi ultimi nel XX secolo- nel mondo intero. Nel Manifesto del Partito comunista, Marx ed Engels dicono chiaramente che gli imperativi della produzione capitalistica «spingono la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa si deve ficcare, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni».

La globalizzazione non è un semplice sottoprodotto del capitalismo, è il capitalismo in azione. A trarre in inganno è il fatto che, storicamente, a questa tendenza espansionistica siano stati dati nomi diversi, come colonialismo e imperialismo.

Il capitalismo coloniale

Nella prima globalizzazione i capitalisti europei e statunitensi erano in condizione di estrarre risorse nel Terzo Mondo da una posizione di superiorità economica, finanziaria, politica e militare incontrastata. Raramente dovevano scendere a patti, limitandosi a mascherare la spoliazione con una diplomazia di facciata, e spesso nemmeno quello. Ora invece il capitalismo occidentale, specie quello statunitense, deve fare concessioni vere, sempre maggiori. Una situazione imprevista e sconcertante. Perché le controparti sono sempre meno economie sottosviluppate, ma a loro volta capitalistiche, con mezzi e metodi sempre più simili al prototipo occidentale.

Asia e Cina

Quarant’anni fa Washington ha stretto un patto con il Partito comunista cinese: il capitalismo americano ha ottenuto accesso a un enorme bacino di manodopera economica e al più promettente mercato della Terra, ma in cambio ha dovuto condividere la gestione delle imprese attraverso innumerevoli joint ventures oggi accusate d’essere il mezzo di un colossale, metodico spionaggio industriale. Con il suo crescente peso di produttore e consumatore, la Cina sta modificando i termini del rapporto tra Occidente e resto del mondo. Lo fa da decenni, ma negli ultimi anni è diventato particolarmente evidente.

Non solo all’America, ma anche ad altre economie emergenti come India, Brasile, Turchia o i paesi del Sud-Est asiatico, che come Pechino accettano sempre meno il rapporto ineguale con gli Stati Uniti e le altre principali potenze capitalistiche.

Primato capitalistico e geopolitico finito

La globalizzazione è stata un gigantesco affare per il capitalismo americano e per gran parte delle economie europee. Ma ha un risvolto: la modernizzazione della Cina e la sua trasformazione in potenza economica, finanziaria, politica, militare e sempre più culturale. Oltre gli aspetti specifici, puntuali della battaglia senza quartiere ingaggiata da Washington con la Cina sotto il profilo tecnologico e commerciale, si staglia una realtà ineludibile:

l’impero americano, inteso come primato capitalistico e geopolitico, è finito. Ma l’America non vuole accettarlo

Il capitalismo versione cinese

A differenza dell’Urss, la Cina non ha interesse a superare il capitalismo, ma a padroneggiarlo per farne strumento di potenza al servizio dell’interesse nazionale. Senza però alterare la propria natura politica e dunque il ruolo del Partito comunista, circostanza che gli Stati Uniti hanno compreso appieno solo negli ultimi anni.

Colti alla sprovvista da questa tardiva epifania, ora reagiscono in modo muscolare e autolesionistico.

Lotta di potere ammantata di ideologie

Ora, a differenza della guerra fredda, a contrapporsi non sono più capitalismo ed economie «socialiste», cioè capitalismo privato e capitalismo di Stato. Il confronto è fra economie di mercato espressione di sistemi politici e culturali diversi, rivali, ma integrati in una rete di interdipendenze che rende la competizione per certi versi ancor più difficile

Conflitto di classe bandito, quello sociale esplode

L’ideologia neoliberista, che al primo vero ostacolo – la sfida cinese – è stata rimpiazzata da un nazionalismo isterico intriso di protezionismo. Siamo passati dalle delocalizzazioni forsennate che hanno ucciso la classe media al «riportiamo il lavoro in America!» a suon di sussidi, pagati ovviamente dal contribuente. Cioè dai lavoratori, che così scontano due volte il prezzo della globalizzazione.

Liberismo e protezionismo

La storia del capitalismo è un alternarsi di fasi liberiste e protezionistiche, normalmente associate alle esigenze della grande impresa. Nella fase competitiva prevale il libero commercio, in quella oligopolistica – frutto del consolidarsi di pochi «grandi campioni» a scapito di tutti gli altri – subentra il protezionismo, «complice l’influenza spropositata che il capitale è in grado di esercitare sul processo democratico».

Negli Stati Uniti, conflitto di classe latente

La disfunzionalità del capitalismo americano e le enormi sperequazioni che produce, con un establishment in confusione totale, che risponde con politiche reazionarie. Sussidi alle grandi corporations perché portino sul suolo americano la competizione al ribasso con le economie asiatiche: troppo tardi, perché c’è sempre qualcuno che produrrà in modo più economico, dall’India al Messico.

L’inflazione da ‘decoupling’, distanze dalla Cina

Altra mazzata alla classe media, destabilizzazione delle banche da salvare con i soldi… dei lavoratori, ovviamente. Il problema è che dopo oltre mezzo secolo di demonizzazione della sinistra e delle sue istanze sociali, la classe lavoratrice è troppo disarticolata e incosciente di sé stessa per fare massa critica. Il capitalismo americano ha vinto, ma ora la sua nemesi asiatica ne minaccia gli interessi fondamentali. La storia non perdona.

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Ucraina. I proiettili all’uranio impoverito: un pericolo per tutti – Davide Malacaria

L’Agenzia polacca per l’energia atomica ha smentito le voci su un innalzamento del livello di radiazioni sul proprio territorio. Tale allarme si è propagato in rete dopo le due potenti esplosioni registrate il 13 maggio a Khmelnytskyi, in Ucraina, che hanno distrutto altrettanti depositi di munizioni.

La paura era dilagata a motivo della forma delle esplosioni, il minaccioso fungo atomico, che ha creato la suggestione che a essere presi di mira dai russi fossero i proiettili all’uranio impoverito inviati dalla Gran Bretagna a Kiev, destinati a bucare i carri armati russi. Ma l’esplosione di tali proiettili non avrebbe prodotto funghi atomici.

 

Fake, ma pericolo reale

Inoltre, l’Agenzia atomica polacca ha spiegato che sì, “c’è stato davvero un aumento delle radiazioni elettromagnetiche in città [a Khmelnytskyi], due giorni prima dell’attacco. Ma, stiamo parlando di un piccolo incremento, del tipo che a volte si può osservare nei giorni di pioggia”. E ha concluso spiegando che non si registra nessuna anomalia radioattiva sul suolo polacco.

Qualche spiegazione in più si poteva certo spendere, perché la conferma che a Khmelnytskyi si è registrato un livello più alto di radiazioni prima dell’attacco potrebbe indurre a pensare che in città fossero arrivati i proiettili in questione.

Certo, il sospetto poteva essere fugato in fretta se si fosse esplicitato che le radiazioni emesse dall’uranio impoverito sono dello stesso tipo di quelle che si registrano in costanza di temporali, ma a un non addetto ai lavori tale equivalenza suona di non facile comprensione.

Né il fatto che non si registri radioattività in eccesso in territorio polacco fuga la possibilità che invece tale incremento possa essere avvenuto sul suolo ucraino, cosa che le autorità di Kiev eviterebbero di annunciare urbi et orbi per non essere linciate dalle folle inferocite.

Ma al di là del dato, e prendendo per buona la smentita, tale Fake news virale ha messo in luce un pericolo reale e ineludibile.

 

Uranio impoverito: enciclopedia britannica

Altre volte Usa e Nato hanno usato i proiettili all’uranio impoverito, in particolare in Iraq e nella ex Jugoslavia, causando patologie ai civili. Tale connessione è ormai evidente, anche se è sussurrata per non dar fastidio ai potenti.

Così citiamo, per puro caso, l’Enciclopedia Britannica: “Dopo la Guerra del Golfo Persico sono state sollevate domande circa l’impatto dell’uranio impoverito sulla salute umana e sull’ambiente. Alcuni scienziati, esperti medici e veterani della Guerra del Golfo ritengono che l’esposizione causi una varietà di problemi di salute, compreso il cancro“.

“I veterani europei della NATO del conflitto bosniaco hanno mosso accuse simili. In Iraq sono stati segnalati tassi elevati di cancro e difetti alla nascita tra i civili in aree che hanno visto pesanti combattimenti durante la Guerra del Golfo Persico e la Guerra in Iraq, sebbene alla conclusione di quest’ultima guerra, la connessione tra quei rapporti e l’uranio impoverito non sia stata indagata” [già nessuna indagine, per i motivi suddetti…].

Nell’ex Jugoslavia sono invece state fatte indagini. Sempre la Britannica: “L’Organizzazione mondiale della sanità ha identificato una serie di località in Bosnia e in Kosovo che richiedono decontaminazione”.

Ma tanto a soffrire e morire saranno civili, tra cui bambini e bambine, ucraini. Poco male per i cittadini europei, avranno pensato in Gran Bretagna, applicando all’Ucraina lo stesso metro dell’Iraq e dell’ex Jugoslavia.

Resta, però, che i russi hanno armi e intelligence leggermente diversi dai due Paesi suddetti e siano alquanto irritati per la fornitura di tali proiettili. E stanno cercando in tutti i modi di eliminarli prima che arrivino al fronte.

Se riescono, l’esplosione dei magazzini di stoccaggio farà disperdere la radioattività nell’aere e i venti la porteranno lontano. Forse molto lontano. Per tacer del grano ucraino, esportato in tutto il mondo… do you remember Chernobyl?

 

Rassicurazioni e smentite

Certo si può contare sulle rassicurazioni britanniche, le quali, nell’inviare i proiettili all’uranio a Kiev, hanno spiegato come la Royal Society ha assicurato che l’impatto sulla salute causato dall’uso di tali munizioni sarà “probabilmente basso” (Sky).

In effetti, la Royal Society ha fatto due studi su tale tema (primo e secondo), che sono stati usati dal Pentagono, al tempo della guerra irachena, per affermare che tali proiettili erano innocui.

Peccato che il Guardian, al tempo, pubblicò una secca smentita: “La [Royal] Society, la più importante istituzione scientifica britannica, è infuriata con il Pentagono che ha affermato di avere il suo sostegno nel ritenere che l’uranio impoverito non è pericoloso”.

In realtà, ha affermato la Society, sia i soldati che i civili sono in pericolo, sia a breve che a lungo termine. I bambini che giocano in siti contaminati sono particolarmente a rischio“.

A rivelare la boutade delle autorità britanniche è il sito Declassified Uk, il quale si è peritato di chiedere alla Royal Society se avesse fatto altri studi che, smentendo quelli passati, confermassero le attuali rassicurazioni sul tema delle autorità del loro Paese.

La risposta della Royal Society alla sollecitazione di Declassified Uk è stata un secco “no”: “Non abbiamo aggiornato o pubblicato su questo argomento dopo quegli studi”. Se queste sono le rassicurazioni…

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“La guerra e la civiltà dei consumi” – Alessandro Di Battista

Nel suo ultimo libro, L’imbroglio dello sviluppo sostenibileMaurizio Pallante ricorda che la riduzione dei consumi di risorse naturali si può ottenere “limitando gli sprechi; aumentando l’efficienza dei processi di trasformazione delle materie prime in beni; producendo oggetti che durano di più e sono recuperabili; recuperando e riutilizzando i materiali contenuti negli oggetti dismessi; ridimensionando il valore dell’innovazione perché induce ad accelerare i processi di sostituzione degli oggetti, anche quelli che svolgono ancora perfettamente la loro funzione; riducendo la mercificazione con lo sviluppo dell’autoproduzione e degli scambi fondati sul dono reciproco del tempo; valorizzando le relazioni umane fondate sulla solidarietà”. Se tutto questo non dovesse esser fatto in tempi brevissimi, il rischio estinzione per l’umanità aumenterebbe considerevolmente. Qual è il problema? Tali azioni cozzano con l’essenza stessa delle società che finalizzano l’economia all’aumento della produzione di merci. Le società dei consumi! Negli anni 70′, dalle dune di SabaudiaPier Paolo Pasolini parlava di fascismo e società dei consumi. “Ora invece succede il contrario, il regime è un regime democratico, però quella acculturazione, quell’omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il potere di oggi, il potere della civiltà dei consumi riesce invece ad ottenere perfettamente distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. E allora io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che non ce ne siamo resi conto”. In un momento in cui si è tornati a parlare, spesso a sproposito, di fascismo tout court, è bene rileggere queste parole. Parole che ci fanno comprendere perché Pasolini non venne avversato soltanto da destra.

La guerra e la civiltà dei consumi – Un conflitto anche contro l’ambiente

Veniamo alla guerra. La Meloni continua a ripetere che “scommette sulla vittoria dell’Ucraina”. Ebbene, tale scommessa (rischiosissima tra l’altro e che ha a che fare con decine di migliaia di morti) unita al massiccio invio di armi a Kiev, non solo pone il governo italiano in una ormai palese posizione di cobelligeranza ma mostra la chiarissima incostituzionalità delle azioni governative. L’Italia, è bene ricordare, ripudia la guerra non soltanto come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ma anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Armare un paese fino ai denti, rendendo, tra l’altro, il suo esercito uno dei più potenti dell’occidente e allo stesso tempo scommettere sulla vittoria finale di tale esercito significa, indubbiamente, tentare di risolvere una controversia internazionale con la guerra. Questo l’Italia oltre a non doverlo fare, non può farlo. Ma Mattarella tace. La settimana scorsa, dopo essersi opposto per mesi, Biden, bontà sua, ha dato l’ok agli alleati che ne dispongono, di dotare l’aviazione ucraina di caccia F-16. Questa notizia ha oscurato la presa di Bachmut da parte russa dopo la battaglia più sanguinosa dall’inizio della guerra. Gran parte dei giornali italiani hanno da un lato sostenuto che la vittoria di Mosca a Bachmut fosse una vittoria di Pirro (pare siano morti oltre 50.000 soldati ucraini ma raccontarlo cozza con la trionfalistica narrazione bellicista occidentale) dall’altro hanno insistito sull’ipotetica svolta che vi sarà grazie agli F-16 a Kiev. Le solite storielle che ci hanno raccontato negli ultimi 18 mesi insomma.

La solita ipotetica svolta ottenuta grazie all’ultimo pacchetto di armi inviato. Quel che ci dissero dopo l’invio dei razzi anticarro Javelin, dei lanciarazzi multipli Himars, dei Patriot, dei Leopard. Il tutto per convincerci della bontà della strategia occidentale in Ucraina. Adesso proviamo a pensare alla guerra come una delle innumerevoli modalità per rafforzare il fine ultimo della civiltà dei consumi, per dirla alla Pasolini. Ovvero evitare in ogni modo che la domanda di merci cresca meno dell’offerta. Quando questo è avvenuto gli esiti per la produzione industriale sono stati catastrofici. Ebbene qual è il solo modo, ancor di più in un momento in cui la maggior parte dei giovani, giustamente, pensa alle lotte ambientali e climatiche, per accrescere la produzione industriale di armamenti? Fare (o promuovere) guerre e convincerci, oltretutto, che queste siano scontri di civiltà da vincere ad ogni costo. Questa è la “scommessa” meloniana sulla vittoria ucraina. Non sappiamo chi vincerà sul campo. Sappiamo chi sta vincendo nei consigli di amministrazione…

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Biden mente all’America ma la vittima è l’Europa – Fabio Mini

…la guerra in Ucraina è una questione europea e una responsabilità degli europei. L’America ci sta facendo un favore; l’interesse nazionale statunitense è soltanto quello di tenere insieme gli alleati europei e spetta a loro combattere in Europa contro la Russia. Biden non ha spiegato agli americani che senza il loro intervento e gli accordi bilaterali antirussi con l’ucraina, siglati dal 2008 al 2021, l’invasione non sarebbe avvenuta e la guerra non sarebbe mai scoppiata. Senza il sostegno statunitense all’ucraina “finché sarà necessario” e “con qualsiasi mezzo” (il “whatever it takes” ripreso dai britannici e dai boiardi della Nato e dell’unione europea) la guerra sarebbe già finita da un pezzo e potrebbe finire anche oggi. Biden sta ancora negando che la manovra americana sia una guerra diretta contro la Russia e infatti finora è stata più contro l’Europa. Sta dicendo (con cognizione di causa o solo per scaramanzia elettorale) che il continente americano non è minacciato dalla guerra europea e che anche una escalation nucleare non coinvolgerebbe gli Stati Uniti. E infatti, come gli dicono da tempo gli analisti del Pentagono, in prima battuta sarebbe colpita l’Europa.

Si possono capire le mire, le narrazioni, le avventure e le negazioni degli americani che si considerano al sicuro dalla guerra in Europa perché separati e protetti da migliaia di chilometri e due oceani. Ma non si capiscono le stesse narrazioni, mire e avventure di noi europei coinvolti direttamente nella guerra in Ucraina e separati dai combattimenti da un centinaio di chilometri e un paio di fiumi e mari interni. O forse si capiscono e comunque è meglio non dirle ai nostri popoli.

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Gli sradicati – Giovanni Iozzoli

La sera accendi il telegiornale e senti parlare della terza guerra mondiale – così, come uno scenario plausibile, una notiziola tra le altre.

Alle volte, noi persone normali, abbiamo l’idea che le élite del mondo siano composte da pazzi criminali; e più o meno è vero: in mezzo alla gente che conta – presidenti, generali, amministratori delegati, intellettuali – la percentuale di sadici, psicopatici o cleptomani è evidentemente altissima. Altrimenti non si spiegherebbe l’andamento schizofrenico con cui conducono i loro affari, nell’epoca in cui l’irrazionalismo imperialista trionfa su ogni interesse o istanza dell’umanità reale.

Ma la cosa strabiliante non è che i lobbisti d’armi diventino ministri o che gli speculatori siedano ai vertici delle multiutility – in una coerente società capitalistica è normale sia così. No, la cosa che lascia basiti è la passivizzazione di massa a cui è giunta la nostra società davanti a questi moderni assetti di comando; la mancanza di reattività davanti ai nodi tremendi del presente – guerra, futuro dei figli, sopravvivenza, cioè le coordinate basiche, biopolitiche, dell’esistenza umana.

Perché in Italia non riesce a nascere un’opposizione di massa, anzi, aumentano i deragliamenti a destra?

Certo, in Inghilterra e in Francia si registra un’ondata di scioperi impressionante, in Germania si mobilitano grandi cortei antibellicisti. Anche nel nostro paese (finalmente) qualche segnale di piazza si intravede. Ma nel caso italiano stiamo parlando solo di segmenti irrisori di opinione pubblica consapevole, con un impatto politico, elettorale o egemonico inesistente.

Forse perché l’argomento Ucraina è scabroso e divisivo? Perbacco: anche Saddam Hussein, l’Afghanistan e Milošević erano divisivi. In Kuwait la retorica dell’aggredito e dell’aggressore era molto più spendibile. E per di più la guerra era collocata dentro una fase storica di espansione economica e trionfalismo unipolare. In quegli anni, come nel decennio successivo, larghe masse si ribellarono alla narrazione della “fine della storia” e all’idea degli Usa poliziotti globali.

Com’è che adesso – in condizioni pur così critiche, dentro lo sfrangiamento dei blocchi sociali, nella crisi dei ceti medi e l’impoverimento di quelli proletari, nello svuotamento finale della rappresentanza istituzionale – non si riesce a strutturare dentro la società un movimento di massa contro il coinvolgimento dell’Italia in guerra?

Probabilmente i tre anni che ci siamo lasciati alle spalle hanno assestato un colpo decisivo a ogni idea o prassi di movimentazione sociale, o anche solo di protagonismo della società civile…

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Aspettando Stranamore? – Enrico Tomaselli

Non è soltanto questione di mancanza di volontà. A rendere complicato l’avvio di un processo negoziale e di pace in Ucraina sono le condizioni oggettive. O meglio, la posizione soggettiva degli attori in campo (USA/NATO, Russia, Ucraina), i loro obiettivi. Che al momento sono ancora troppo lontani ed inconciliabili perché si dia un terreno di mediazione possibile. Ad essere in stallo, quindi, non è la guerra ma la diplomazia. Ed è in questo che risiede il rischio vero, più che nella volontà dell’una o dell’altra parte: perché qualcuno potrebbe convincersi che è meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine…

* * * *

Vittoria o negoziato

Sostanzialmente, le guerre possono finire solo in due modi: o con la vittoria di una parte, che impone agli sconfitti le sue condizioni (vedi alla voce WWI e WWII), o con un negoziato. Ovviamente, questa seconda ipotesi si dà solo quando il proseguimento del conflitto, e per entrambe le parti, risulta non essere più conveniente. Stiamo parlando di una convenienza complessiva, a 360°, non semplicemente, sul terreno. Deve insomma verificarsi quella particolare congiuntura in cui tutti i soggetti coinvolti, magari per motivi diversi, giungono alla conclusione che una trattativa offra maggiori vantaggi del proseguimento delle attività belliche.

A questo punto, si apre il negoziato, che può anche essere lungo e complesso e necessita non solo di una mediazione forte ed autorevole, ma anche di una effettiva e salda volontà di trovare un accordo. Poiché, è chiaro, tutti cercheranno di ottenere il massimo in cambio del minimo.

Va da sé che, affinché una guerra trovi una soluzione negoziata, deve anche sussistere un reale terreno di mediazione, reciprocamente accettabile, nell’ambito del quale la trattativa avrà un range più o meno ampio in cui muoversi.

Alla luce di questo assunto, è francamente difficile immaginare una fine del conflitto ucraino.

Innanzitutto, perché nessuno dei tre soggetti coinvolti (gli USA/NATO, l’Ucraina e la Russia) è effettivamente giunto a maturare un’autentica volontà di mediazione. Che – è necessario ribadirlo – significa innanzitutto stabilire cosa è trattabile e cosa non lo è.

Sicuramente, tutti gli attori coinvolti hanno, per ragioni diverse quanto ovvie, la volontà di porre fine alla guerra. Persino per il NATOstan, che apparentemente ne persegue ostinatamente il prosieguo, si tratta più di una reale difficoltà a trovare una exit strategy praticabile, che non della effettiva volontà di andare avanti.

Non solo, infatti, contro ogni previsione la Russia ha retto perfettamente sia sul piano economico che su quello politico-diplomatico (anzi, per certi versi esce addirittura rafforzata da questo primo anno di guerra), oltre che ovviamente sul piano militare (ma questo di certo, al Pentagono, già lo sapevano), ma ad accusare il logoramento è proprio la NATO, nelle sue diverse articolazioni.

Nell’ambito della propria guerra ibrida globale, finalizzata a ri-stabilire il dominio mondiale, gli Stati Uniti si trovano oggi nella condizione-necessità di fronteggiare due poderosi avversari (Russia e Cina), sfidandoli su quello che a Washington ritengono essere ancora l’unico terreno di superiorità, cioè quello militare. Con la costante espansione europea della NATO prima, con l’escalation ucraina poi (dal golpe del 2014 in avanti), gli USA hanno spinto verso il conflitto con la Federazione Russa, concretizzatosi nel 2022 con l’inizio della proxy war. Ugualmente, stanno spingendo sempre più affinché il format venga più o meno replicato con la Cina, con Taiwan al posto dell’Ucraina. E probabilmente, poiché la sproporzione tra l’isola e la massa continentale è troppo grande, con l’idea che questa nuova proxy war venga combattuta prevalentemente dal Giappone. Con questa prospettiva, gli States si stanno impegnando in un massiccio riarmo di Taipei, che però si va a sommare all’impegno per armare e sostenere Kyev – che a sua volta è un vero e proprio buco nero, che ingoia armamenti (e denaro) a velocità spaventosa. Tanto da superare le capacità produttive dell’industria bellica.

Giusto per fare un esempio, persino banale nella sua minimalità, nel 2019 il governo di Taiwan aveva stipulato un contratto per la fornitura di FGM-148 Javelin (1), un’arma anticarro portatile; a seguito dell’avvio del conflitto in Ucraina, e quindi dell’urgenza di fornire all’esercito ucraino questi mezzi, le consegne sono state ritardate, ed a tutt’oggi non è stato possibile effettuare la fornitura. Stessa cosa per gli F-16, che Taipei attende dal 2019.

Dal punto di vista di Washington, quindi, uno stop alla guerra guerreggiata in Ucraina presenterebbe molti vantaggi, a partire proprio dal guadagnare tempo per rimettere l’industria bellica al passo con le nuove esigenze di un conflitto su due fronti e ad alta intensità.

Ma per la NATO ciò che è intrattabile è, del resto logicamente, uscire dal conflitto con la Russia apparendone sconfitta. I contraccolpi politici, sia interni che internazionali, sarebbero devastanti. Il massimo che il deep state può accettare, per uscire dal pantano ucraino, è – per dirla con il linguaggio sportivo che sembrano amare i media statunitensi – un pareggio.

Un esito di questo genere presuppone che non si possa in alcun modo pensare che la Russia abbia vinto. Poiché in USA il dibattito sul se e sul come porre fine al conflitto ucraino esiste, e non da oggi. È ovvio che in esso abbiano parte non secondaria anche le ipotesi concrete, sul come tirarsi fuori dagli impicci. La più gettonata, e che ritorna periodicamente, è quella che va sotto il nome di soluzione coreana, recentemente rilanciata dal magazine Politico (2).

Secondo questa ipotesi, si tratterebbe di congelare di fatto il conflitto, senza alcun trattato che ne sancisca in qualche modo i termini, per poi dar vita a due entità, separate da una eventuale fascia smilitarizzata – la nuova Ucraina, privata dei territori conquistati dai russi, e questa espansione occidentale della Federazione Russa, comunque non riconosciuta a livello internazionale.

Nella visione statunitense delle cose, questa soluzione avrebbe sia il vantaggio di fermare i combattimenti (quindi, anche il dissanguamento dell’esercito ucraino e degli arsenali NATO), sia quello di non concedere alla Russia nulla che non abbia già preso.

 

L’occidente non vede oltre se stesso

Si tratta di quello che io definisco autismo occidentale (3), ovvero quell’atteggiamento delle élite anglo-americane, e più in generale occidentali, che sono a tal punto prigioniere della propria narrazione da non riuscire neanche a concepire una realtà difforme, rifiutandola sic et simpliciter. In pratica, prendono atto dell’impossibilità di piegare la Russia sul campo di battaglia (almeno per il momento), ma rifiutano di trarne sino in fondo tutte le conseguenze.

La soluzione coreana, infatti, non sarebbe altro che una sorta di Minsk III, solo su scala più ampia. Ovviamente, del tutto improponibile per Mosca.

Del resto, questa ipotesi è rigettata anche dalla dirigenza ucraina. Mikhail Podolyak, consigliere dell’Ufficio Presidenziale ucraino, sostiene che l’ipotesi di congelare il conflitto sarebbe addirittura dovuta agli “sforzi di lobbying da parte della diplomazia russa”! (4)

Il che appare anche abbastanza comprensibile, visto quanto è costato – e costerà… – all’Ucraina aver scelto deliberatamente lo scontro all’ultimo sangue con la Russia. È abbastanza evidente che qualsiasi ipotesi negoziale, tale da essere anche solo discutibile per la Russia, non potrebbe avvenire senza un completo avvicendamento della leadership a Kyev.

Ma questa ipotesi, appunto, rischia di rimanere del tutto accademica (e di una accademia esclusivamente statunitense), poiché ignora totalmente sia il dato oggettivo che quello soggettivo della Russia.

Per Mosca sarebbe infatti assolutamente impensabile avviare qualsiasi negoziato, senza che questo preveda di prendere in considerazione sia le proprie esigenze strategiche, sia il costo umano ed economico sostenuto per l’Operazione Speciale Militare, sia la situazione reale sul campo. L’idea del congelamento, di cui si starebbe discutendo all’interno di svariati ambiti politico-militari americani, nasce fondamentalmente da una duplice convinzione: da un lato, che l’Ucraina – per quanto supportata dalla NATO – non sarà mai in grado di ribaltare la situazione sul terreno, e dall’altro che “né Kiev né Mosca sembrano inclini ad ammettere mai la sconfitta” (5). Ma, appunto, ecco che torna l’autismo dei vertici NATO: totalmente prigionieri della propria narrazione propagandistica, questi si auto-convincono che l’obiettivo di Mosca fosse la conquista dell’intera Ucraina, obiettivo il cui conseguimento sarebbe stato impedito dalla resistenza delle sue forze armate. E quindi il non essere riusciti ad occupare l’intero paese sarebbe la sconfitta che la Russia non vorrebbe ammettere. In questo senso, l’ipotesi coreana offrirebbe una via d’uscita.

Questo colossale abbaglio pone due grossi bastoni tra le ruote di un possibile negoziato. Innanzitutto, conferma che a Washington sono davvero molto pochi – e contano ancora meno – coloro i quali comprendono le ragioni russe, e sanno guardare davvero obiettivamente alla situazione sul campo di battaglia. Mosca, infatti, non ha mai, neanche lontanamente, pensato di invadere ed occupare tutta l’Ucraina, un’operazione che avrebbe richiesto un approccio radicalmente diverso, e tanto per cominciare almeno un milione di uomini, non certo i 200.000 con cui è andata avanti per mesi l’OSM.

Per la Russia la questione fondamentale sono le garanzie di sicurezza. Che si concretizzano quantomeno nella certezza che in Ucraina non stazioneranno truppe NATO, che Kiev non stipuli alcun accordo militare bilaterale con paesi membri dell’Alleanza, che la Crimea venga riconosciuta come parte legittima della Federazione. Ma che, in buona sostanza, riguardano il nuovo ordine mondiale post-guerra.

Per quanto dolorosamente (e soltanto in presenza di garanzie ferree) potrebbe trattare su parte dei territori dei quattro oblast annessi. Ma tutto ciò che attiene alla propria percezione di sicurezza è chiaramente inderogabile.

Ma riconoscere alla Russia, sia pure non de jure, quelle che sono le sue richieste fondamentali – e che erano le stesse che poneva prima della guerra… – significherebbe non solo ammettere la vittoria di Mosca (e quindi la sconfitta della NATO), ma anche che la guerra si sarebbe potuta evitare riconoscendo quelle medesime cose prima del febbraio 2022. In pratica, una debacle totale per la NATO e gli USA, quindi assolutamente inaccettabile per la Casa Bianca.

Anche a prescindere dall’attore minore (Kiev), la posizione dei due protagonisti rimane tale da escludere una soluzione negoziale, pur in presenza di un interesse di entrambe a trovarla. Sia per Mosca che per Washington, infatti, ciò che è non negoziabile per la controparte, risulta inaccettabile.

Manca quindi del tutto il terreno per una mediazione, sia pure tacita e non ufficializzata, su cui possa aprirsi una negoziazione.

Stando così le cose, soltanto un mutamento del quadro generale può far sì che questo terreno si apra, aprendo a sua volta ad una soluzione diversa dalla vittoria manu militari

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Manifestiamo il nostro rifiuto alle SERVITÙ MILITARI e alla NATO

Parte in questi giorni una mobilitazione in tutta la Sardegna da parte del Comitato Sa Defenza, saranno organizzati banchetti e iniziative contro la Nato e per sensibilizzare la popolazione sarda contro questa guerra.

L’apice della mobilitazione sarà il 2 giugno, quando a Cagliari si svolgerà una manifestazione contro esercitazioni e alleanza atlantica, organizzato da AForas, cui SaDefenza ha aderito.

Per queste ragioni abbiamo sentito, Valter Erriu, portavoce del Comitato che ha raccontato il loro punto di vista…

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SA DEFENZA DICE NO A OLTRE IL 60% DI SERVITU’ MILITARI, DI TUTTO IL TERRITORIO ITALIANO, RICADONO SULLA SARDINYA

– 35 mila ettari di territorio sardo sotto vincolo di servitù militare  

– Oltre 20 chilometri quadrati di mare (pari quasi all’estensione dell’intera Sardegna), interdetta alla navigazione, alla pesca e alla sosta, in caso di esercitazione;

– Grave inquinamento ambientale per l’uso di armi all’uranio impoverito e al torio (17 tra le più belle spiagge al mondo potrebbero essere contaminate per sempre); – Pericoli per la salute di persone e animali: malformazioni genetiche e forme tumorali in età giovanile, come la leucemia;  

– Danni all’economia ed impoverimento sociale: gli insediamenti militari e le loro attività sono, per i Comuni interessati, limiti all’uso del territorio nei proprio programmi di sviluppo economico 

– Incidenza sulle risorse finanziare della Regione, a buona ragione, utilizzabili per ben altri fini (anche nel 2023 saranno ripartite dalla Giunta regionale 5.124.524 euro a favore dei Comuni maggiormente gravati dalle servitù militari).

Ma cosa dice di essere la NATO (1949)?

‹‹Alleanza politica e militare fra Paesi dell’Europa e dell’America del Nord. La Nato promuove i valori democratici e consente ai membri di consultarsi e collaborare in materia di difesa e sicurezza per i risolvere i problemi, creare fiducia e, nel lungo termine, prevenire i conflitti. La NATO si impegna a risolvere pacificamente le controversie.›› 

EPPURE qualcosa non torna

 

La NATO ha un Esercito permanente integrato, un Comando militare che lavora 24 su 24 con un Comandante supremo che è in realtà un Capo di stato maggiore (sempre americano), che fa quello che fanno tutti i capi di stato maggiore, cioè preparano la prossima guerra.

 

Pacifisti per la guerra, ovvero, PACIFINTI? 

Stati bombardati dagli USA dopo la Seconda Guerra Mondiale (Pubblic. Ambasciata cinese) Corea e Cina (1950-53), Guatemala (1954), Indonesia (1958), Cuba (1959/1961), Guatemala (1960), Congo (1964). Laos (1964/1973). Vietnam (1961/1973), Cambogia (1969/1970), Guatemala (1967/1969), Grenada (1983), Libano, Siria (1983,1984), Libia (1986), El Salvador (1980), Nicaragua (1980), Iran (1987), Panama(1989), Iraq (1991,Guerra del Golfo), Kuwait (1991), Somalia (1993), Bosnia (1994/1995), Sudan (1998), Afghanistan (1998), Jugoslavia (1999), Yemen (2002), Iraq (1991/2003, USA/UK), Iraq (2003/2015), Afghanistan (2001/2015), Pakistan (2007/2015), Somalia (2007/2008, 2011), Yemen (2009,2011) Libia (2011,2015), Siria (2014/2015).

 

BASTA Liberiamo il nostro territorio fermiamo le guerre 

A FORAS SA NATO DDE SA SARDINYA!

 

SARDEGNA LIBERA AL 100%

da qui

 

 

Azione pacifista per contestare i 100 anni dell’Aeronautica Militare

Redazione PeaceLink

Azione nonviolenta in occasione della celebrazione dei 100 anni dell’Aeronautica Militare Italiana.

A Gallarate, in provincia di Varese, alcuni attivisti nonviolenti hanno esposto degli striscioni con su scritto “non c’è niente da festeggiare”. Si legge su tali striscioni: “100 anni di bombardamenti e di stragi”, “no alla propaganda di guerra” e “no alla militarizzazione delle scuole”. Alla fanfara militare e alle celebrazioni dei 100 anni hanno infatti assitito sette scolaresche.

Riportiamo il video realizzato da PeaceLink con materiale ricevuto da Elio Pagani. Le immagini documentano quest’azione pacifica e nonviolenta di contestazione al senso della cerimonia.

Nel video viene anche menzionata una pagina nera della storia militare dell’aeronautica italiana, quando centoventi caccia e bombardieri tra il 3 e il 4 marzo 1936 riversarono in Etiopia 636 quintali di esplosivi, bombe all’iprite e incendiarie, provocando con il micidiale gas tra le 3.000 e le 5.000 vittime, e non solo fra i militari. Il gas colpì infatti anche la popolazione civile vittima dell’aggressione coloniale fascista.

 

 

Note: CONTRO LA PROPAGANDA DI GUERRA

Oggi pomeriggio, 24 maggio, a Gallarate un gruppo di antimilitaristi contesta la celebrazione dei 100 anni dell’Aeronautica Militare Italiana.
La polizia rapidamente strattona strappando gli striscioni dalle mani di chi ha osato esporli e porta via di peso uno degli attivisti.

Gli striscioni incriminati recitavano:

“No alla propaganda di guerra”

“No alla militarizzazione delle scuole”

“Aeronautica Militare Italiana
100 anni di bombardamenti, distruzioni e stragi. Proprio niente da festeggiare!!”

“Duemila anni di cultura umanistica per poi ridursi a vendere diabolici armamenti militari ed infami logiche di morte. ‘fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute et canoscenza’.”

SUI 100 ANNI DELL’AERONAUTICA MILITARE ITALIANA: NIENTE DA FESTEGGIARE!
Chissà se agli studenti delle 7 scuole della provincia di Varese coinvolte nella celebrazione dei 100 anni dell’Aeronautica Militare, sono stati illustrati gli eventi che hanno caratterizzato la nascita e lo sviluppo della nostra Aeronautica Militare.
Solo alcuni esempi:

“BOMBARDAMENTO AEREO COME TECNICA DI GUERRA.
Si va dai primi e ancora rudimentali sganci di bombe durante la campagna per la conquista della Libia e nel corso della Prima guerra mondiale, ai bombardamenti contro soldati e civili in Etiopia, a quelli sulle città spagnole durante la guerra civile, alla distruzione delle città europee nella Seconda guerra mondiale”

“GUERRA ITALO-TURCA 1911-12
La guerra aerea fece la sua comparsa in Libia nel corso del conflitto italo-turco.
La prima azione fu condotta il 1° novembre 1911: il tenente Giulio Gavotti, in volo su Ain Zara e sull’oasi di Tagiura, lanciò complessivamente quattro ordigni esplosivi.
Il bombardamento italiano nella Guerra Italo turca, in Libia, fu il primo bombardamento aereo della storia.
L’episodio ebbe una vasta eco e numerosi organismi internazionali chiesero la messa al bando dei bombardamenti aerei.
Nel corso di quella guerra si fecero anche le prime sperimentazioni di ricezione in volo delle trasmissioni radio, si eseguirono dall’aereo la prima ricognizione fotografica e i primi rilevamenti topografici, si effettuò il primo bombardamento notturno e si sperimentò la aerocooperazione con le truppe terrestri avanzanti.”

“PRIMA GUERRA MONDIALE.
Gli italiani bombardarono tra le altre le città Trieste e Pola (agosto 1917).”

“GUERRA D’ETIOPIA 1935-36.
Dal dicembre 1935 l’aviazione italiana iniziò a bombardare il territorio etiopico con munizionamento tradizionale e bombe all’iprite. Nonostante la denuncia pronunciata il 30 giugno 1936 dall’Imperatore Haile Selassie a Ginevra, l’Assemblea della Società delle Nazioni, che il 18 novembre 1935 aveva comminato sanzioni economiche all’Italia, non la condannò per aver usato gas tossici.
L’uso aereo dell’arma chimica, a lungo negato dai comandi italiani, fece capire che, in caso di guerra, ogni capitale europea avrebbe potuto essere colpita.”

“BOMBARDAMENTI CONTRO LA REPUBBLICA SPAGNOLA, 1938.
I bombardamenti aerei su Barcellona furono una serie di incursioni aeree compiute durante la guerra civile spagnola da parte dell’Aviazione Legionaria italiana con il supporto della Legione Condor tedesca nei giorni del 16, 17 e 18 marzo 1938.”

” SECONDA GUERRA MONDIALE 1939-1945.
Decine sono stati gli aerei militari italiani, della Regia Aeronautica Fascista coinvolti nella seconda guerra mondiale.
Principale coinvolgimento fu la Guerra nel Mediterraneo del sud paralallela alla guerra lampo tedesca nel nord Europa.
Malta, ad esempio, venne sottoposta a pesanti e continui bombardamenti da parte della Regia Aeronautica.
Bombardamenti italiani anche su Gibilterra e contro la flotta inglese o angloamerica al largo dell’Algeria con l’uso di siluri, ecc..”

Questo agli albori della nostra Aeronautica Militare, operazioni infami.

A questo si sono aggiunti più di recenti i bombardamenti e gli attacchi aerei in IRAQ, sulla EX JUGOSLAVIA, sulla LIBIA, sull’AFGHANISTAN…

Questa è stata ed è la nostra gloriosa Aeronautica Militare di cui si festeggiano i 100 anni.

Invitiamo insegnanti, presidi, dirigenti scolastici a trattare questi argomenti e a disertare dalla propaganda di guerra.

Per una scuola laboratorio di pace fuori i militari e la cultura della guerra dalle scuole e dalle università.

da qui

 

 

LA PREVALENZA DEL CRETINO

Anche a distanza di tanti anni, La prevalenza del cretino, l’immortale breviario che Fruttero e Lucentini pubblicarono nel 1985, resta una guida sicura per orientarsi nelle cose del mondo. Ancor più quando si tratta di libri e di intellettuali. La vicenda si svolge negli Usa. Masha Gessen, 56 anni, è un’intellettuale di passaporto russo e statunitense, nata a Mosca in una famiglia ebraica trasferitasi negli Usa all’inizio degli anni Sessanta. Lei ha lavorato a lungo in Russia come giornalista e, anche, come attivista dei diritti LGBT. Ha scritto libri sulla Russia, tutti ispirati a una critica radicale di Vladimir Putin e del putinismo. Siede anche nel consiglio direttivo del Pen America, notissima organizzazione per la difesa della cultura e della libertà di espressione, da cui però ieri si è dimessa.

È successo questo. A un dibattito erano stati invitati sia i russi Ilia Veniavkin (giornalista e storico) e Anna Nemzer (scrittrice) sia gli scrittori ucraini Artem Chapeye (pseudonimo di Anton Vasilyovich Vodyanyi) e Artem Chekh, che peraltro combattono al fronte. Gli ucraini hanno protestato, il Pen America ha cassato i russi, la Gessen si è dimessa. La cosa straordinaria  è che gli scrittori russi sono dissidenti, due che in segno di protesta hanno lasciato la Russia subito dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Si ripete, d’altra parte, il copione del Nobel per la Pace 2022, che fu assegnato al dissidente e prigioniero politico bielorusso Ales Bialatski, all’organizzazione russa Memorial (di recente bloccata in Russia) e al Centro per le libertà civili dell’Ucraina. Anche allo Mykhailo Podoljak, uno dei consiglieri di fiducia del presidente Zelens’kyj scrisse che “il Comitato per il Nobel ha una concezione interessante della parola pace se i rappresentanti di due Paesi che hanno attaccato un terzo ricevono il Premio Nobel insieme. Né le organizzazioni russe né quelle bielorusse sono state in grado di organizzare la resistenza alla guerra. Il Nobel di quest’anno è fantastico”. Un’idea demenziale, visto che il dissidente bielorusso e Memorial erano sicuramente contrari alla guerra di Putin. Ancor più se pensiamo ad altre guerre contemporanee: al bando tutti i tedeschi a causa di Hitler, tutti i vietnamiti negli Usa (o in Viet Nam o in Iraq tutti gli americani), tutti i francesi e gli inglesi in Libia, e così via?

Questo trionfo del cretino va avanti dal giorno dell’invasione. Prima abbiamo punito tutti gli oligarchi perché, si diceva, hanno fatto i soldi all’ombra di Putin. Ammesso che sia così (ed è una grossolana generalizzazione), nessuno che abbia provato a dire: al posto di sequestragli le banche e i conti, perché non proviamo a staccarli da Putin, a tirarli dalla nostra parte? Chissà quante cose potrebbero raccontarci… Nessuno che abbia pensato: se li bastoniamo a prescindere, non è che si schierano ancor più con il Cremlino? Poi abbiamo di fatto sospeso la concessione dei visti. E pazienza se rinunciamo ai quattrini dei turisti (anche se mostrar loro come si vive da noi, cosa che a loro piace molto, magari avrebbe avuto qualche effetto positivo). Il problema è che così teniamo alla larga anche migliaia di giovani (sono stati sospesi quasi tutti i visti per ragioni di studio), che sono i più critici rispetto al putinismo e ai quali avremmo potuto mostrare tutti i vantaggi della democrazia e del libero scambio delle idee e delle conoscenze. E con loro migliaia di tecnici (per esempio del settore informatico) e di ricercatori che non volevano proprio fare la guerra e sono usciti ugualmente dalla Russia, per andare soprattutto in Georgia, Kazakhstan e Israele. Non è un comportamento cretino?

Poi abbiamo cominciato a prendercela con gli artisti. Il pianista no, la ballerina nemmeno, e perché poi scegliere il Boris Godunov per la prima della Scala, anche se si tratta del capolavoro assoluto di Modest Musorgskij, compositore morto nel 1881?

Criminalizzare un intero popolo perché, dicono gli ucraini come Podoljak, non ha saputo fermare la guerra decisa al Cremlino, è una sublime idiozia: perché, allora, non criminalizzare tutti gli italiani che non seppero fermare le guerre di Mussolini? Anche le idiozie, però, necessitano di distinguo. Agli ucraini, invasi dalla Russia e impegnati in una guerra crudele e distruttiva, è concesso dire qualunque cosa. Possiamo criticare questa o quella delle cose che dicono, pensare che non abbiamo ragione su questo o quel punto, ma non possiamo negar loro il diritto di pensarla come vogliono in un momento atroce della loro storia.

È a noi che non sono concesse certe idiozie. A noi che ci ripetiamo un giorno sì e l’altro anche, perché ci piace crederlo, che non siamo in guerra, nemmeno contro la Russia. Che, diciamo, non ce l’abbiamo con il popolo russo ma solo con chi lo comanda. Che descriviamo la Russia come una ferrea dittatura ma chiediamo ai suoi cittadini di immolarsi, come se niente fosse. E che addirittura speriamo che prima o poi qualche sommovimento interno scuota le mura del Cremlino e cambi i suoi occupanti. Cioè, speriamo in una rivolta mentre picchiamo sui potenziali rivoltosi. La prevalenza del cretino.

da qui

 

 

John Mearsheimer: la guerra in Ucraina oggi.

Dove siamo oggi: ci sono 3 attori Ucraina-Occidente-Russia.

La Russia crede che questa guerra rappresenti una minaccia esistenziale per la sua sopravvivenza. In questo ci sono due livelli. Prima della guerra gli US hanno cercato di trasformare l’Ucraina in un baluardo dell’occidente ai confini della Russia. I Russi hanno fatto chiaro dal 2007 che questo non era accettabile e che avrebbero distrutto l’Ucraina. Il secondo livello è quello che avvenuto dopo lo scoppio della guerra e gli US hanno dichiarato di avere come scopo quello di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia, distruggere la sua economia, cambiare il regime, portare Putin in tribunale e anche dividere la Russia come fu divisa l’URSS. Questo è quello che i russi pensano ed anche quello che US-occidente hanno detto.

Gli obiettivi della Russia sono i seguenti. Non vogliono conquistare l’intera Ucraina (non vogliono ricostituire una Grande Russia) ma una parte sostanziale dell’Ucraina e rendere il resto dell’Ucraina uno stato disfunzionale. Le 4 regioni che hanno occupano più la Crimea sono già stati inglobati in Russia. Probabilmente vogliono conquistare altre 4 regioni comprese Odessa e Karchiv per un totale di quasi 50% dell’Ucraina attuale.

Il motivo è che i russi vogliono conquistare tutta la parte dell’Ucraina dove ci sono grandi percentuali di popolazione di etnia russa e di lingua russa per risolvere in maniera definitiva il problema della guerra civile nel Donbass. Non vogliono invece occupare territori ove ci sono grandi percentuali di popolazione di etnia ucraina perché genererebbe un problema interno enorme. Occupare Odessa e tutta la costa sul Mar Nero significa rendere l’Ucraina uno stato fallito.

US e occidente, che significa soprattutto US in quanto EU è marginale. Da quando è iniziata la guerra la percezione è che la Russia rappresenti una minaccia esistenziale per US e occidente. Per polacchi e i baltici è chiaro il motivo. Per gli altri EU la paura è che se l’Ucraina perde e la Russia vince la NATO viene sconfitta e potrebbe disgregarsi e la sicurezza dell’EU messa a repentaglio. Per gli US la paura è che la Russia vince questo potrebbe avere un effetto devastante per contenere la Cina. E per gli US la Cina è una minaccia esistenziale in quanto è un competitore dello stesso livello, mentre non lo è la Russia. Inoltre c’è la percezione diffusa che la Russia sia una minaccia per l’ordine liberale internazionale ed anche che questa è una guerra tra uno stato autoritario e gli stati democratici: i valori democratici sono in gioco.

Ucraina: vedono la Russia una minaccia esistenziale, ed è chiaro il motivo. Gli ucraini hanno gli stessi obiettivi di US-occidente, cioè distruggere la Russia.

Che succede nel campo di battaglia? Questa è una classica guerra di attrito come WWI. Gli ucraini hanno conquistato dei territori alla fine dell’estate del 2022 ma dopo che i russi hanno razionalizzato i militari e mobilizzato 300K soldati la situazione è diventata molto diversa. I russi hanno appena preso Bakhmut mostrano che ora l’iniziativa ce l’hanno i russi e gli ucraini sono in una situazione molto problematica.

Il bilancio delle forze in campo è questo:

Sia i russi che gli ucraini hanno una grande motivazione per vincere la guerra. La guerra è iniziata con 3.5:1 per quanto riguarda la popolazione Russia vs Ucraina. Ora il rapporto è 5:1 e questo è molto problematico per l’ucraina. Per quanto riguarda l’artiglieria il rapporto è tra 5:1 a 10:1 in favore della Russia che in una guerra di attrito significa che non c’è storia. Le stime delle perdite sono al minimo 2:1 in favore della Russia ma molti pensano che sia 3:1 o 4:1.

Perché non ci sarà un ragionevole trattato di pace e invece ci sarà un conflitto congelato

1) problema territoriale. Gli ucraini vogliono i territori occupati di russi e i russi non hanno intenzione di darli indietro.

2) problema della neutralità. I russi insistono sul fatto che se l’Ucraina non rimarrà neutrale verra distrutta. Gli ucraini vogliono invece entrare nella Nato. I russi non lo accetteranno.

Altri due problemi

– il problema del iper-nazionalismo

– il numero di leader che hanno ammesso di aver mentito a Putin sugli accordi di Minsk (Merkel, Hollande, Zelenski, ecc.) per comparare tempo. Non c’è più fiducia da parte dei russi.

La cosa peculiare è che in US c’è stata e c’è tanta gente che penava che l’espansione della Nato avrebbe causato problemi enormi. Avevano ragione.

da qui

 

 

Bakhmut, F-16 e G7: l’occidente mente per lucrare – Davide Malacaria

Il tempo appartiene all’essenziale della storia, il cui corso è scandito da eventi e date. Così non sfugge l’importanza simbolica di quanto si è consumato al termine della scorsa settimana: mentre si chiudeva il G-7 di Hiroshima – elettrizzato dalla presenza di Zelenky, -, con l’usuale comunicato di sostegno all’Ucraina e il varo di nuove e altrettanto inutili sanzioni anti-russe, Bakhmut cadeva in mano alle forze di Mosca.

Un evento che forse avrà un impatto limitato sulla guerra in corso, ma di grande rilevanza geopolitica, perché Zelensky, spinto dai neocon, l’ha voluta difendere a tutti i costi mandando al macello decine di migliaia di ragazzi ucraini e le sue truppe più esperte, nonostante fosse chiaro che non poteva tenerla. tanto che anche il Pentagono gli aveva suggerito di abbandonarla (Washington Post).

Tenerla a tutti costi, aveva detto, era di importanza capitale. Concedere ai russi anche una minima vittoria, aveva spiegato, avrebbe recato un grave nocumento alla causa ucraina.

Minimizzare per continuare (la guerra)

Accreditare tanta importanza alla difesa della città ha così dato alla sua perdita un grande significato simbolico, aumentato dal parallelo summit di Hiroshima, i cui vacui richiami alla difesa di Kiev sono apparsi così distaccati dalla realtà da far apparire i protagonisti del G-7 degli attori tristi, costretti a recitare un copione dal quale sono impossibilitati a uscire.

Tale distacco dalla realtà raggiunge vette parossistiche in Zelensky – il figurante speciale che il potere d’Occidente ha reso simbolo di questo momento storico – come denotano le sue ultime dichiarazioni, nelle quali ha affermato con pervicacia che Bakhmut non è caduta.

Dichiarazioni che i funzionari ucraini sono stati costretti a confermare, spiegando che nei pressi della città le loro forze controllano alture strategiche e altro, con il vice ministro della Difesa Hanna Malyar che è arrivato persino a dire che le truppe ucraine “hanno quasi accerchiato la città’” (CBS).

Un concetto, quest’ultimo, ribadito da un titolo del Washington Post: “L’Ucraina spinge per circondare Bakhmut con un nuovo obiettivo di ‘accerchiamento tattico”. Qualcosa del genere anche nel titolo del New York Times: “Mentre Bakhmut è devastata, l’Ucraina sposta l’attenzione sulla periferia della città”.

Mentire per lucrare

Tutto per non dover ammettere che hanno sbagliato/raccontato frottole esaltando per mesi l’eroica resistenza ucraina che, grazie alle armi Nato, avrebbe avuto di certo retto all’assalto del nemico. E per non dover ammettere che le forze ucraine sono state mandate al macello per niente, perché, come sapeva perfettamente il Pentagono, che lo aveva comunicato a Zelensky, la città sarebbe stata persa.

Certo, forse gli ucraini proveranno a riprenderla, ma questo sarà eventualmente un nuovo capitolo di questa tragica storia, che oggi registra la secca vittoria russa.

Non si tratta, con quanto scritto, di magnificare l’esercito russo, ma di mettere in luce la fallacia della narrativa di guerra occidentale.

Una fallacia più o meno ingenua da parte dei tanti cronisti che fanno eco alle informative dei centri di propaganda ufficiali, niente affatto ingenua in questi ultimi, i quali devono esaltare la Forza ucraina per giustificare la fornitura di armi (miliardi di dollari) e rigettare con sdegno gli appelli e le prospettive di pace; da respingere, appunto, perché la vittoria sulla Russia è un obiettivo possibile (mentre sanno perfettamente che non lo è).

Peraltro, anche l’annuncio della luce verde da parte della Casa Bianca al trasferimento degli F-16 europei in Ucraina aveva tale scopo, avendo in tal modo dato in pasto ai media una notizia eccezionalmente banale per sovrapporla a quella in arrivo dal campo di battaglia. Tutto, anche qui, secondo copione. Un copione tristo e banale come il male.

da qui

 

 

 

Il Nuovo Grande Gioco geoeconomico incentrato sull’INTSC – Pepe Escobar

(The Cradle)
Non commettere errori su cosa sia il Comunicato di Hiroshima del G7.

L’ambientazione: una città nella neo-colonia giapponese bombardata con bombe nucleari 78 anni fa dagli Stati Uniti, per la quale non ha portato scuse.

Il messaggio: il G7, in realtà il G9 (aumentato da due eurocrati non eletti) dichiara guerra – ibrida e non – ai BRICS+, che ha 25 nazioni in lista d’attesa e conteggiate.

L’obiettivo strategico chiave del G7 è la sconfitta della Russia, seguita dalla sottomissione della Cina. Per il G7/G9, questi – reali – poteri sono le principali “minacce globali” alla “libertà e democrazia”.

Il corollario è che il Sud del mondo deve mettersi in riga, altrimenti. Chiamalo un remix dei primi anni 2000 “o sei con noi o contro di noi”.

Nel frattempo, nel mondo reale – quello delle economie produttive – i cani da guerra abbaiano mentre le carovane della Nuova Via della Seta continuano a marciare.

Le principali Nuove Vie della Seta del multipolarismo emergente sono l’ambiziosa Belt and Road Initiative (BRI) della Cina e il Corridoio internazionale di trasporto nord-sud (INSTC) Russia-Iran-India. Si sono evoluti in parallelo e talvolta possono sovrapporsi. Ciò che è chiaro è che il G7/G9 andrà in capo al mondo per indebolirli.

Tutto su Chabahar

Il recente accordo da 1,6 miliardi di dollari tra Iran e Russia per costruire la ferrovia Rasht-Astara lunga 162 km è un punto di svolta per l’INSTC. Il ministro iraniano delle strade e dello sviluppo urbano Mehrdad Bazpash e il ministro dei trasporti russo Vialy Saveliev hanno firmato l’accordo a Teheran, davanti al presidente iraniano Ebrahim Raisi e alla presenza del presidente russo Vladimir Putin in videoconferenza.

Chiamatelo il matrimonio tra il “guardare a est” dell’Iran e il “perno a est” della Russia. Entrambe sono ora politiche ufficiali.

Rasht è vicino al Mar Caspio. Astara è al confine con l’Azerbaigian. Il loro collegamento farà parte di un accordo Russia-Iran-Azerbaigian sul trasporto ferroviario e merci, consolidando l’INSTC come corridoio di connettività chiave tra l’Asia meridionale e il Nord Europa.

L’INSTC multimodale avanza attraverso tre rotte principali: la rotta occidentale collega Russia-Azerbaigian-Iran-India; la via di mezzo o transcaspica collega Russia-Iran-India; e quello orientale collega Russia-Asia centrale-Iran-India.

La rotta orientale presenta il porto immensamente strategico di Chabahar nel sud-est dell’Iran, nella volatile provincia del Sistan-Balochistan. È l’unico porto iraniano con accesso diretto all’Oceano Indiano.

Nel 2016, l’Iran, l’India e un Afghanistan ancora sotto l’occupazione statunitense hanno firmato un accordo tripartito in cui Chabahar è miracolosamente sfuggito alle sanzioni unilaterali di “massima pressione” degli Stati Uniti. Quello era un trampolino di lancio che configurava Chabahar come la porta privilegiata per i prodotti indiani per entrare in Afghanistan, e poi più avanti lungo la strada, verso l’Asia centrale.

Russia, Iran e India hanno firmato un accordo formale INSTC nel maggio 2022, descrivendo in dettaglio una rete multimodale – per mare, ferrovia, strada – che procede attraverso i tre assi precedentemente menzionati: occidentale, medio o transcaspico e orientale. Il porto russo di Astrakhan, sul Mar Caspio, è cruciale per tutti e tre.

La rotta orientale collega la Russia orientale e centrale, attraverso il Kazakistan e il Turkmenistan, alla parte meridionale dell’Iran, nonché all’India e alle terre arabe sul bordo meridionale del Golfo Persico. Dozzine di treni stanno già percorrendo la rotta terrestre dalla Russia all’India attraverso il Turkmenistan e l’Iran.

Il problema è che negli ultimi anni Nuova Delhi, per diverse e complesse ragioni, sembrava addormentata al volante. E questo ha portato Teheran a interessarsi molto di più al coinvolgimento russo e cinese per sviluppare due porti strategici nella zona industriale di libero scambio di Chabahar: Shahid Beheshti e Shahid Zalantari…

continua qui

 

 

Quali sono le “linee rosse” dell’Europa? – Alistair Crooke

L’Ucraina non è una questione di politica estera a sé stante, ma piuttosto il perno attorno al quale ruoteranno le prospettive economiche dell’Europa.

di Alastair Crooke per Strategic Culture

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

L’Unione Europea, secondo ogni standard, è sovrainvestita nel progetto di guerra ucraino – e anche nella sua storia d’amore con Zelensky. Proprio all’inizio di quest’anno, la narrativa occidentale (e dell’UE) era che l’imminente offensiva post-invernale dell’Ucraina avrebbe “spezzato” la Russia e dato il “colpo di grazia” alla guerra. I titoli dei media hanno raccontato regolarmente la storia di una Russia allo stremo. Ora, però, la messaggistica dell’establishment ha fatto un salto di 180°. La Russia non è “allo stremo”…

Due media anglo-americani molto establishment nel Regno Unito (in cui spesso emergono messaggi dell’establishment statunitense) hanno finalmente – e amaramente – ammesso: “Le sanzioni alla Russia sono fallite“. Il Telegraph lamenta: Sono “una barzelletta”; “la Russia avrebbe dovuto essere già crollata“.

In ritardo, anche in Europa si sta capendo che le offensive dell’Ucraina non saranno decisive, come ci si aspettava solo poche settimane prima.

Foreign Affairs, in un articolo di Kofman e Lee, sostiene che, data l’inconcludenza dell’offensiva ucraina, l’unico modo per andare avanti – senza subire una sconfitta storicamente umiliante – è quello di “tirarla per le lunghe” e concentrarsi sulla costruzione di una coalizione a favore della guerra per il futuro, che possa sperare di eguagliare il potenziale di sostegno economico-militare a lungo termine della Russia.

“Kofman-Lee spiega lentamente perché non ci si deve aspettare alcun tipo di successo drammatico o decisivo, e perché invece la narrazione deve spostarsi verso la costruzione di un’infrastruttura di sostegno a lungo termine per l’Ucraina, in modo che sia in grado di combattere quello che ora probabilmente sarà un conflitto molto lungo e prolungato”, osserva il commentatore indipendente Simplicus.

In parole povere, i leader europei si sono cacciati in una buca profonda. Gli Stati europei, svuotando ciò che rimaneva nelle loro armerie di vecchie armi per Kiev, avevano cupamente sperato che l’imminente offensiva di primavera/estate avrebbe risolto tutto, e che non avrebbero più dovuto occuparsi del problema – la guerra in Ucraina. Sbagliato di nuovo: Sono stati invitati a “scavare più a fondo”.

Kofman-Lee non affrontano la questione se evitare l’umiliazione (della NATO e degli Stati Uniti) valga la pena di un “conflitto prolungato”. Gli Stati Uniti sono “sopravvissuti” al loro ritiro da Kabul.

Tuttavia, i leader europei non sembrano rendersi conto che i prossimi mesi in Ucraina rappresentano un punto di inflessione fondamentale; se l’UE non rifiuta con fermezza la “mission creep” [l’estensione della portata originale dell’obiettivo] ora, ne deriverà una serie di conseguenze economiche negative. L’Ucraina non è una questione di politica estera a sé stante, ma piuttosto il perno attorno al quale ruoteranno le prospettive economiche dell’Europa.

Il blitz F-16 di Zelensky attraverso l’Europa della scorsa settimana è indicativo del fatto che, mentre alcuni leader europei vogliono che Zelensky ponga fine alla guerra, lui – al contrario – vuole (letteralmente) portare la guerra in Russia (e probabilmente in tutta Europa).

“Finora”, ha riferito Seymour Hersh, “[secondo un funzionario statunitense:] ‘Zelensky ha rifiutato i consigli [di porre fine alla guerra] e ha ignorato le offerte di ingenti somme di denaro per facilitare la sua ritirata in una tenuta di sua proprietà in Italia. Nell’amministrazione Biden non c’è alcun sostegno per un accordo che preveda la partenza di Zelensky, e i vertici di Francia e Inghilterra “sono troppo legati” a Biden per contemplare un simile scenario.'”

“E Zelensky vuole ancora di più”, ha detto il funzionario. “Zelensky ci sta dicendo che se volete vincere la guerra dovete darmi più soldi e più roba: ‘Devo pagare i generali.’ Ci sta dicendo, dice il funzionario, che se sarà costretto a lasciare l’incarico, “andrà dal miglior offerente. Preferisce andare in Italia piuttosto che restare e magari farsi uccidere dal suo stesso popolo.”

Per coincidenza, i leader europei ricevono – secondo Kofman-Lee – un messaggio che fa eco a quello di Zelensky: L’Europa deve affrontare le esigenze di sostegno a lungo termine dell’Ucraina riconfigurando la propria industria per produrre le armi necessarie a sostenere lo sforzo bellico – ben oltre il 2023 (per eguagliare la formidabile capacità logistica di produzione di armi della Russia), ed evitare di riporre le proprie speranze in un singolo sforzo offensivo.

La guerra è ora, in questo modo, proiettata come una scelta binaria: “Porre fine alla guerra” contro “Vincere la guerra”. L’Europa sta tergiversando – si trova al bivio; inizia esitante a percorrere una strada, per poi tornare indietro e fare qualche cauto passo nell’altra. L’UE addestrerà gli ucraini a pilotare gli F-16, ma non si esprime sulla fornitura degli aerei. Sembra un gesto simbolico, ma il gesto simbolico è spesso il padre di un “mission creep“.

Dopo essersi schierata con l’amministrazione Biden, una leadership europea poco riflessiva ha abbracciato con entusiasmo la guerra finanziaria alla Russia. Ha anche abbracciato in modo irriflessivo una guerra della NATO contro la Russia. Ora i leader europei potrebbero trovarsi costretti ad abbracciare una corsa ai rifornimenti per abbinare la “logistica” alla Russia. In altre parole, Bruxelles viene sollecitata a impegnarsi nuovamente a “vincere la guerra”, piuttosto che a “terminarla” (come vogliono alcuni Stati).

Questi ultimi Stati dell’UE stanno cercando disperatamente una via d’uscita dalla fossa in cui si sono cacciati. E se gli Stati Uniti tagliassero i fondi all’Ucraina? E se il Team Biden si orientasse rapidamente verso la Cina? Politico ha pubblicato un titolo: “La fine degli aiuti all’Ucraina si avvicina rapidamente. Rimediare non sarà facile” L’UE potrebbe essere costretta a finanziare un “conflitto eterno” e l’incubo di un’ulteriore ondata di rifugiati – che prosciugherebbe le risorse dell’UE e aggraverebbe la crisi dell’immigrazione che già sta facendo vacillare gli elettori europei.

Gli Stati membri sembrano ancora pensare in modo velleitario, credendo a metà alle storie di divisioni a Mosca; credendo alle “omelette mentali” di Prigozhin; credendo che la cottura lenta di Bakhmut da parte dei russi sia un segno di esaurimento delle forze, piuttosto che una parte del paziente degrado incrementale russo delle capacità ucraine che è stato in corso, in tutto lo spettro.

Questi Stati scettici nei confronti della guerra, che fanno la loro parte di “filo-ucrainismo” per evitare di essere castigati dalla nomenclatura di Bruxelles, scommettono sull’improbabile idea che la Russia accetterà una soluzione negoziata – e soprattutto un accordo favorevole all’Ucraina. Perché dovrebbero crederci?

“Il problema dell’Europa”, dice la fonte di Seymour Hersh, per quanto riguarda una rapida soluzione della guerra, “è che la Casa Bianca vuole che Zelensky sopravviva”; e sì, anche Zelensky ha la sua schiera di fanatici di Bruxelles…

continua qui

 

 

 

24 maggio. Andrea Rocchelli: gli anni di ingiustizie e censure diventano nove – Antonio Di Siena

24 maggio 2014, il fotoreporter Andrea Rocchelli, in Donbass per documentare il conflitto, viene ammazzato a Sloviansk insieme al collega Andrej Mironov da una serie di colpi d’artiglieria sparati dall’esercito di Kiev.

A distanza di nove anni – e dopo un lungo e travagliato processo in cui non sono mancate indebite pressioni contro la magistratura italiana da parte di uno Stato straniero, quello ucraino, citato a giudizio come responsabile civile dell’attacco – nessun colpevole è stato ancora individuato, né tantomeno condannato.

Nessuna verità è stata fatta sull’omicidio di un giovane cittadino italiano.

Eppure, nonostante l’assoluzione dell’unico imputato per concorso in omicidio (il che vuol dire che le mani sporche del sangue di Andrea Rocchelli sono più di due), qualcosa di molto preciso la sappiamo.

Sappiamo – e lo racconta a RaiNews24 un disertore dell’esercito di Kiev presente sul luogo dell’assassinio – che un comandante ucraino avrebbe dato l’ordine di sparare colpi di mortaio contro il gruppo di civili tra i quali erano presenti Rocchelli e Mironov.

Sappiamo – e lo dicono chiaramente le sentenze di primo e secondo grado del processo a carico di Vitali Markiv (assolto per non aver commesso il fatto) – che l’esercito ucraino e la Guardia Nazionale di Kiev sono diretti responsabili del volontario e deliberato attacco con armi pesanti contro i giornalisti. Azione commessa in violazione “del diritto umanitario e della Convenzione di Ginevra” (pag 145-146 sentenza Corte d’Assise) attuata con “dolo e pervicacia […] senza colpi di avvertimento, alcuna possibilità offerta alle vittime di fuggire, furono crivellati di colpi con ogni arma in dotazione fino alle ultime battute” (pag 167).

Così come di altri deliberati bombardamenti attuati in altre occasioni contro giornalisti presenti per documentare il conflitto.

Allora perché questo indegno silenzio? Perché a poco meno di dieci anni dal vile omicidio di un nostro giovane connazionale non ci sono striscioni gialli appesi ai balconi dei comuni di mezza Italia per chiedere verità e giustizia come (giustamente) per Giulio Regeni?

La risposta è semplice, per quanto scomoda per più di qualcuno. Ammazzando Andrea Rocchelli e Andrej Mironov l’esercito ucraino ha commesso un crimine di guerra.

E mandare armi, sostenere militarmente un Paese colpevole di crimini di guerra ti rende complice di quello. Moralmente e sulla base del diritto internazionale.

Ecco perché la verità dev’essere insabbiata. Ecco perché la morte di Andrea Rocchelli deve restare senza colpevoli e senza giustizia.

Ammazzato due volte.

Perché non raccontasse la vera natura di un conflitto, quello del Donbass, provocato dall’Occidente e alla base dell’attuale sanguinosa guerra tra Russia e

Ucraina. E perché si possa serenamente continuare ad alimentare l’ennesima guerra imperialista americana combattuta, come al solito, spacciandosi come i buoni del mondo.

Diceva Eschilo che la prima vittima di una guerra è la verità. La seconda, aggiungo io, è Andrea Rocchelli.

da qui

 

 

 

 

Roger Waters risponde al fango mediatico con questo comunicato ufficiale

Con un comunicato ufficiale sui suoi social, Roger Waters risponde alle incredibili speculazioni e alla tonnellata di fango gettato contro di lui dopo l’esibizione a Berlino. Ad uno dei pochissimi artisti mondiali ad avere il coraggio di sfidare il sistema oppressivo e totalitario in cui viviamo; ad un Gigante in un mare di nani –  soprattutto se pensiamo al desolante panorama artistico italiano – va tutta la solidarietà e la vicinanza de l’AntiDiplomatico.

Di seguito il comunicato da noi tradotto:

Dichiarazione di Roger Waters sulla controversia sul suo Concerto di Berlino

La mia recente performance a Berlisno ha attratto attacchi in mala fede da coloro che vogliono intimidirmi e silenziarmi perché sono in disaccordo con le mie visioni politiche e i miei principi morali.

Gli elementi della mia performance che sono stati oggetto di critica sono molto chiaramente una affermazione in opposizione del fascismo, ingiustizia e bigottismo in tutte le sue forme. Tentativi di dipingere questi elementi come qualcosa di diverso sono falsi e politicamente motivati. La rappresentazione di un demagogo fascista squilibrato è una peculiarità dei miei spettacoli dai tempi di “The Wall” dei Pink Floyd del 1980.

Ho passato la mia intera vita a parlare contro l’autoritarismo e l’oppressione ovunque si manifesti. Quando ero piccolo dopo la guerra, il nome di Anne Frank ricorreva spesso nella nostra casa, come monito di quello che accade quando il fascismo è lasciato incontrollato. I miei genitori hanno combattuto il nazismo durante la seconda guerra mondiale, con mio padre che ha pagato il prezzo più alto.

Senza preoccuparmi delle conseguenze degli attacchi contro di me, continuerò a condannare l’ingiustizia e tutti coloro che la portano avanti.

da qui

 

ecco la conferenza stampa di Borrell

e giustamente scrive Pepe Escobar:

Belgo-what? The imbecilic Chief Gardener is predictably a top contender for the Liz Truss Trophy of Geographic Cluelessness.

 

 

Redazione
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