Storia recente del sovraffollamento carcerario

Il sovraffollamento carcerario in Italia non è un fenomeno recente né un’urgenza momentanea, ma un problema strutturale e annoso, che affonda le sue radici nel secolo scorso.
Il numero di persone detenute, dal dopoguerra a oggi, ha subito mutamenti e oscillazioni; come scrive Alessio Scandurra per Antigone, però, «questa irregolarità non impedisce di individuare due stagioni nettamente distinte: la prima, dalla fine della guerra fino all’amnistia del 1970, in cui si è registrato un calo netto e costante della popolazione detenuta; la seconda, dal 1970 ad oggi, che si caratterizza al contrario come una stagione di costante crescita».
In particolar modo, un aumento esponenziale della popolazione detenuta è avvenuto all’inizio degli anni Novanta: tra il 1991 e il 1993 il numero di persone recluse è passato da 35.000 a 50.000. Questa crescita di presenze è stata inoltre accompagnata dall’aumento di suicidi, ma anche da proteste e scioperi della fame. Tutto ciò ha contribuito a fare del carcere un tema inevitabile nel dibattito pubblico.

Francesca Vianello, in Sociologia del carcere, evidenzia come in quel periodo l’incremento fosse del tutto scollegato dal numero totale di reati denunciati, in diminuzione, e fosse dovuto piuttosto a una maggiore criminalizzazione di persone migranti e individui che utilizzano sostanze, oltre che a un più ampio ricorso alla custodia cautelare. In questo senso, tra le leggi più criminogene è possibile individuare la Bossi-Fini del 2002 e la Fini-Giovanardi del 2006, dichiarata incostituzionale il 12 febbraio 2014.
Il culmine è stato però raggiunto nel 2010, con 67.961 persone recluse a fronte di una capienza di circa 45.000 posti: il tasso di sovraffollamento è stato del 151%, il più alto mai registrato. Solo qualche anno più tardi è entrata in gioco la sentenza Torreggiani, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha sollecitato un cambiamento. Nel 2013, infatti, la Cedu ha giudicato l’Italia colpevole di violare l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, riconoscendo che il sovraffollamento e le condizioni degradanti delle carceri – celle anguste, spazio vitale insufficiente, carenze igienico-sanitarie – costituiscono un trattamento inumano. La sentenza Torreggiani ha imposto quindi allo Stato italiano di intervenire concretamente per ridurre la popolazione carceraria, migliorare le strutture e ampliare l’uso delle misure alternative alla detenzione.
Malgrado il numero di persone detenute sia calato negli anni immediatamente successivi alla sentenza, le statistiche odierne segnalano che il problema non è ancora stato risolto. Al contrario, al 30 agosto 2025, le carceri italiane contavano 63.167 persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di circa 51.274 posti, con un tasso di sovraffollamento del 135%, che raggiungeva il picco di 265% nella Casa Circondariale di Lucca.
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Fonte: Antigone.
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Soluzioni inadeguate

Nel corso dei decenni, i governi hanno cercato in vari modi di tamponare il sovraffollamento carcerario, con risultati sempre temporanei o limitati.
Per nulla considerate dall’attuale esecutivo, in passato misure come indulti e amnistie (*) hanno permesso la scarcerazione di ampi segmenti della popolazione detenuta in momenti di grave crisi. Nel 2006, ad esempio, l’indulto del governo Romano Prodi ha portato le persone recluse da 61.264 a 39.005. L’effetto è stato però solo momentaneo, anche a causa di norme penali più severe introdotte negli anni precedenti.
[* L’amnistia estingue il reato, mentre l’indulto estingue solo la pena inflitta al condannato, lasciando invece il reato intatto nel casellario giudiziario.]

Nel tempo sono inoltre stati promossi diversi piani di edilizia finalizzati ad ampliare i padiglioni delle carceri o a costruirne di nuove. Una strada lunga, costosa e insufficiente, tanto che molti interventi non sono mai stati completati. Uno tra tutti risale al 2009.
In quella occasione, l’allora Ministro della giustizia Angelino Alfano aveva annunciato l’apertura di lavori che avrebbero dovuto portare a 20mila nuovi posti entro il 2012: alla fine, però, la capienza è cresciuta di sole 1515 unità.

Un’altra azione di cui si discute già dal 2005 è il rimpatrio delle persone detenute straniere nei loro Paesi di provenienza. Ne parlano spesso anche il Ministro della giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove. Fortunatamente, fino ad ora, questo tipo di misure è stato implementato con scarsissimo successo.
Se il piano di rimpatriare le persone detenute straniere rimane solo nell’aria, il nuovo Piano Carceri presentato il 22 luglio 2025 mette nero su bianco gli impegni assunti dal Governo per fare fronte al sovraffollamento. Da una parte, Nordio ha proposto di introdurre la «detenzione domiciliare in comunità terapeutica per detenuti tossicodipendenti o alcoldipendenti con un residuo pena fino a otto anni». All’apparenza può sembrare una buona notizia: prima la soglia di residuo pena richiesta era sei anni.
L’associazione Antigone, però, ha fatto notare che «le carceri sono piene di detenuti tossicodipendenti con residui pena ben più bassi». Una delle motivazioni c’entra con l’esclusione della detenzione in comunità per le persone recidive che scontano pene superiori a due anni: la dipendenza da sostanze, infatti, è spesso combinata alla reiterazione del reato. Conclude Antigone: «La depenalizzazione del consumo di droga è la sola strada per risolvere il problema».
Dall’altra, il Ministro della giustizia ha annunciato la creazione di moduli prefabbricati per aumentare la capienza delle carceri già esistenti: del perché anche questa sia una soluzione senza capo né coda ne parliamo più nel dettaglio nei prossimi paragrafi.

All’atto pratico: la costruzione dei moduli detentivi prefabbricati

Il 21 marzo di quest’anno, la centrale di committenza Invitalia – agenzia nazionale di proprietà del Ministero dell’Economia – ha pubblicato un bando d’appalto per costruire i container previsti dal nuovo piano di edilizia penitenziaria.
In sintesi, si tratta di moduli prefabbricati, accorpati in blocchi detentivi per 24 persone alla volta, da installare all’interno delle cinte murarie, di modo da ampliarne la capienza. Ogni blocco sarà poi munito di cortili di passeggio, delimitati con pareti di cemento armato e recintati da cancellate metalliche zincate alte almeno 5 metri.

L’intento è semplice: incrementare i posti disponibili per ridurre il sovraffollamento. Secondo quanto affermato durante la conferenza stampa (dal minuto 22:40) dal commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, Marco Doglio, questa sarebbe un’operazione volta alla trasformazione e alla riqualificazione delle strutture esistenti, «anche attraverso il coinvolgimento – in una logica di partenariato – di operatori e investitori istituzionali, con l’obiettivo di utilizzare la leva della valorizzazione immobiliare per il recupero di ulteriori risorse finanziarie da destinare alla costruzione delle nuove strutture penitenziarie. L’intero modello è pensato per essere replicabile […] su strutture che presentano caratteristiche idonee a garantire una valorizzazione di mercato».

Nell’ottica del governo, quindi, la strutturazione di «fondi immobiliari» per le carceri sarebbe la soluzione al problema del sovraffollamento carcerario. A gara conclusa, però, per una serie di criticità sollevate dalla Corte dei Conti, è stato necessario svolgere approfondimenti integrativi negli Istituti Penitenziari interessati dall’installazione dei prefabbricati.
Quanto emerso ha implicato la revoca della procedura di gara per formularne una nuova, indetta da Invitalia nello scorso agosto, con alcune importanti modifiche: un investimento economico maggiore, per la precisione 45,6 milioni di euro contro i 32 iniziali (più di 118 mila euro per ognuno dei 384 posti previsti), e una dilatazione dei tempi di realizzazione, con una durata dei lavori stimata fino a 48 mesi.
Un piano che comincia ad apparire quindi tutt’altro che rapido ed efficiente. Le carceri interessate attualmente sono nove, situate ad Alba, Milano, Biella, L’Aquila, Reggio Emilia, Voghera, Frosinone, Palmi e Agrigento. Per maggiori approfondimenti sulla vicenda rimandiamo all’articolo di Luca Rondi.

Fonte: Altreconomia.
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Geografia europea delle risposte al sovraffollamento

Non è un problema solo italiano: sono 14 le amministrazioni penitenziarie degli Stati membri del Consiglio d’Europa con più di 500.000 abitanti che oltre all’Italia devono fare i conti con il sovraffollamento delle proprie carceri, secondo l’ultimo rapporto annuale SPACE I. Complessivamente, stima il CdE, il sovraffollamento è in crescita: il numero di persone detenute ogni 100 posti è passato da 93,5 a 94,9 nel giro di un anno, tra il 2023 e il 2024.

Anche il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt), che fa sempre parte del CdE, ha evidenziato nell’ultimo report l’aumento delle persone recluse con riferimento alla capienza delle strutture europee e ciò che questo dato comporta: «condizioni di vita peggiori», «maggiori tensioni e violenze», «meno attività significative e una minore preparazione per i detenuti che tornano in libertà».
Le iniziative emergenziali degli Stati per contrastare il medesimo fenomeno strutturale possono assomigliarsi o differire, ma ogni programma di lungo periodo sembra andare nella direzione di aumentare il numero di posti detentivi. Esaminiamo rapidamente alcuni casi.

L’Inghilterra non rientra nella lista del CdE, che però precisa: «Anche lievi variazioni nel numero di ingressi in carcere potevano far precipitare il sistema nel sovraffollamento».
La stessa Ministra della giustizia, Shabana Mahmood, ha dichiarato che la situazione è «sull’orlo del collasso». Mahmood ha deciso di implementare diverse misure emergenziali per alleggerire la pressione sugli istituti di pena, quanto basta appunto per evitare il “collasso”: la scarcerazione di persone che erano entrate in carcere per aver violato i termini della libertà vigilata, l’assegnazione straordinaria di pene alternative o, ancora, il trasferimento della detenzione nelle celle che si trovano all’interno delle stazioni di polizia. Il piano sul lungo termine rimane però un altro: costruire nuove carceri e allargare i perimetri penitenziari delle strutture già esistenti per un investimento totale di 4,7 miliardi di pound entro il 2031.

Nel 2017, anche la Francia ha intrapreso un programma simile, con l’obiettivo di creare 15.000 nuovi posti detentivi entro 10 anni: finora, però, la capienza è cresciuta di sole 4.521 unità e l’ex Ministro della giustizia Didier Migaud, in carica fino al 2024, ha ammesso che il piano ha incontrato ritardi che non consentiranno di conseguire gli obiettivi in tempo. L’attuale Ministro, Gérald Darmanin, ha allora pensato di proporre una ricetta che ricorda la costruzione dei “container” italiani: si tratta di 3.000 moduli prefabbricati, più economici e più veloci da completare, da inaugurare entro la fine del 2026.

Un’altra tendenza che apre nuovi scenari sulla detenzione a basso costo è stata fatta propria dai Paesi nordici, solitamente associati ad una particolare attenzione al percorso riabilitativo delle persone che hanno commesso reati. Nel 2015, la Norvegia aveva fatto da apripista, stipulando un accordo con i Paesi Bassi per trasferire 242 persone detenute nelle carceri olandesi. L’accordo era cessato nel 2018 e le autorità norvegesi non lo avevano rinnovato. Recentemente, però, l’idea di “delocalizzare” la detenzione è tornata a riscuotere successo. Nel 2026 la Svezia appalterà la reclusione di 600 persone detenute all’Estonia: se detenere una persona nel proprio Paese costa 11.500 euro al mese, nella prigione estone di Tartu la cifra scende a 8.500. Anche la Finlandia sta ora valutando un accordo analogo con l’Estonia. La Danimarca, invece, ha scelto come partner il Kosovo: 300 danesi saranno reclusi nelle carceri kosovare per un totale di 200 milioni di euro in 10 anni. La detenzione, dunque, diventa business: conviene agli Stati che prendono in affitto e agli Stati che danno in affitto. E a rimetterci sono le persone detenute.

Cosa c’è di problematico nella proposta di Nordio?

Gli altri Paesi europei mostrano come il sovraffollamento delle carceri sia un fenomeno diffuso e strutturale ai sistemi penali, anche quelli meno punitivi, come quelli nordici. Ora, però, torniamo al caso italiano, che ci riguarda un po’ più da vicino.
La volontà di risolvere il problema del sovraffollamento costruendo più carceri, introducendo celle modulari o rimpatriando le persone straniere, nasconde in sé una serie di problematicità.
Prima di tutto, queste proposte si inseriscono in una narrazione distorta, secondo cui l’aumento delle persone detenute sarebbe causato da un’impennata dei tassi di criminalità. In realtà, come evidenziato dall’associazione Antigone nel report pubblicato lo scorso giugno, la crescita delle incarcerazioni – 5000 in più solo negli ultimi 24 mesi – ha principalmente a che vedere con la costante introduzione di nuovi reati e inasprimenti delle pene (ad esempio, nei recenti Decreto Sicurezza e Decreto Caivano). Questo ci parla della tendenza del governo a gestire questioni sociali attraverso il controllo e la criminalizzazione: risposte rapide a problemi complessi, molto utili alla propaganda politica, ma meno a un’interrogazione radicale del problema.
Inoltre, l’ampliamento della capienza delle carceri potrebbe avere l’effetto di alimentare questo modus operandi, tipico di un paradigma securitario e repressivo: laddove ci sono più posti, c’è infatti la maggiore possibilità di riempirli, anche attraverso l’introduzione di nuove penalità.

Un altro tema, poi, è stato sollevato dal Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, che in un’intervista per Fanpage ha spiegato che l’idea di poter fare fronte al sovraffollamento delle carceri limitandosi ad allargarne la capienza si basa su un’associazione problematica: la cella – spiega Gonnella – viene fatta coincidere con il carcere, quando la prima dovrebbe però rappresentare solo il luogo di pernottamento. Ciò significa che si progettano nuove celle, ma non si interviene altrettanto sulle attività trattamentali e sugli altri spazi penitenziari: l’esperienza detentiva, così, finisce per essere ridotta a una superficie di appena tre metri quadri.
Oltre a non migliorare le condizioni di vita delle persone recluse, le decisioni del Governo stanno contribuendo a quello che l’associazione Antigone ha definito «privatizzazione dell’esecuzione penale». Infatti, come evidenziato nell’ultimo rapporto “Senza Respiro”, il Decreto Carceri (decreto-legge 4 luglio 2024, n.92) prevede l’istituzione di una serie di strutture residenziali a cui delegare l’accoglienza e il reinserimento sociale.
Se i dati sul sovraffollamento sono allarmanti, ci sono però delle misure che potrebbero alleviare la pressione sugli istituti. Basti pensare, ad esempio, al numero di persone che scontano una pena inferiore a 3 anni e potrebbero avere accesso alle misure alternative: al 30 giugno 2025, rappresentavano il 38,2% della popolazione detenuta.
Tuttavia, dal XXI report di Antigone emerge chiaramente come l’aumento delle misure alternative non incoraggi la diminuzione delle persone detenute, bensì accompagni un’estensione del raggio penale. Infatti, le persone in carico all’Uepe (Ufficio di esecuzione penale esterna) sono 141.539, un dato che è triplicato negli ultimi 10 anni, e nonostante ciò le carceri scoppiano. Di questo fenomeno (conosciuto anche come “net widening”), ne avevamo parlato con Perla Allegri nel numero #16 di Fratture, “Prigioni Elettroniche”.

È chiaro, quindi, che ci sia bisogno di intervenire in profondità su diversi problemi sociali, che per esempio, come Fratture, abbiamo sviscerato in alcuni nostri numeri: le politiche sulle droghe (in #2: “Grammi”), la marginalizzazione dei minori stranieri (in #10: “Etichette”), e altro ancora (il nostro archivio). È necessario, inoltre, lavorare affinché diminuisca il tasso di recidiva, stimato attorno al 70% e tra le cause del sovraffollamento, implementando attività trattamentali, offerte formative e lavorative.
Una seria presa in carico, allora, non dovrebbe guardare all’edilizia penitenziaria in ottica risolutiva, ma partirebbe da una messa in discussione del sistema punitivo e della cultura che lo sostiene.

Qualche consiglio

L’articolo di Elton Kalica sulla Rassegna Italiana di Criminologia, “Sovraffollamento: per favore, non parlate più di metri quadri”, in cui l’autore sottolinea la necessità di non ridurre il sovraffollamento carcerario a una sola questione di metri quadri, ma di ampliare lo sguardo per comprenderne a fondo le implicazioni e le conseguenze.

“Far finta di esserne fuori”, della punkastorie Filo Sottile: uno spettacolo fatto di monologhi renitenti e canzoncine di evasione, che riflette sul sistema carcerario e sul nostro presente securitario, guardando all’abolizione del carcere come a un progetto possibile e giusto.

L’articolo “Carcere come “casa-lavoro”. Il cambio di paradigma che affascina il Governo Meloni” di Luca Rondi per Altreconomia, in cui si discute la controversa proposta

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alexik

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