Strike – 16

«Fabbrika» di Giuliano Bugani:  dedicato a Luca Disarò, impiccatosi dopo essere stato licenziato dalla dirigenza della Chloride (*)

 

«Incidente a Massa nelle prove in Ungheria», «La foto sequenza e i soccorsi», «La Tac è positiva. Massa sta bene. Vince Hamilton, Raikkonen secondo».

Primo, Luca Disarò, suicidato impiccandosi il 22 luglio 2009. Per te non ci sono parole. «Manca l’aria. Manca un grido, manca un Dio»: da «Il ghetto» di Alberto Radius, 1977.

Fra questa merda che ci inonda la vita, dove le congiunzioni parademocratiche ci indicano la strada, ti abbiamo perduto di vista per un attimo. Noi, già dispersi ma ignari, credevamo di averti al nostro fianco. Manca l’aria di quegli anni. Manca un grido di lotta. Dio c’è. Invece. Dio c’è sempre. A rakkogliere i nostri morti, la nostra morte. Non chiedere cosa faremo per te. Noi non faremo niente. La Tac è positiva. Non chiedere cosa diremo a tuo padre. Vince Hamilton. Per te non ci sono parole. Non chiedere come sopravviverà tua madre. Le porteremo la foto sequenza e i soccorsi. La tua korsa è terminata. Non chiederci dove andremo domani a lavorare. Torneremo alla Chloride. Dove le Ronde chiedevano a te di andartene via. Dove le Ronde chiedevano a te quello che domani chiederanno a noi. Dove le Ronde pregano Dio. Dio non manca mai. Per te non ci sono parole. Questa è una situazione che non possiamo combattere. Dio è forte. Loro sono figli di Dio. Figli di puttana. Ma se un giorno troveremo barrikate davanti ai nostri kancelli, sapremo che Dio è morto. Allora combatteremo ad armi pari. Allora sì. Allora sì, che faremo qualcosa per te. E non sarai più il ragazzo che si è suicidato. Allora sì che faremo qualcosa per tutti quelli come te. Taglieremo forse in ritardo la corda che ti ha ucciso. Ma la taglieremo. Torneremo ancora alla Chloride. Ma sarà solo per combattere una battaglia. Faremo qualcosa per te. Io non andrò da tuo padre. Non andrò da tua madre. Ma andrò a combattere ciò che avrei dovuto fare prima della tua morte. Noi tutti dovremo andare nelle piazze a chiederti perdono. Io non andrò da tuo padre. Non potrei guardarlo. E non inseguirò la mia colpa cercando tua madre. Perché avrò vergogna. Voglio dirtelo. Queste cose devo dirtele. Ma tu dovrai dirmi che mi hai perdonato. E solo così potrò vincere il loro Dio. Non andrò nella tua casa. Io forse non arriverò mai primo. Forse non vincerò mai. Forse non avrò mai soccorsi e fotosequenze. Ma forse mi ricorderai, quando avrò tra le mani quella corsa che avresti dovuto correre insieme a me. Ma non potrò mai andare nella tua casa. In questo maledetto Paese, dove i padri seppelliscono i figli. (26 luglio 2009)

(*) Giuliano Bugani è operaio, giornalista e poeta. La miscellanea di oggi – cioè 24 post intorno a scioperi, fatica, diritti e alla lunga storia delle lotte per un mondo migliore nel quale lavorare non significhi rischiare la pelle o essere sfruttate/i – è curata dalla piccola redazione di questo blog. Qui e nelle piazze lo ripetiamo: «l’unico generale che ci piace si chiama sciopero».

 

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