Sui libri di Giuseppe Culicchia e sugli anni ’70

78 puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

E’ uscito da poco il libro di Giuseppe Culicchia dedicato a suo cugino Walter Alasia, ammazzato nel 1976: «Il tempo di vivere con te» (Mondadori). Lo sto leggiucchiando, preso in prestito da una mia vicina di casa. Culicchia è bravo a trascinare nel suo racconto il lettore e presto lo finirò. Di lui il primo e quasi ultimo (poi ho visto solo «Il paese delle meraviglie» ma nella traduzione francese) libro che avevo letto di Culicchia è «Tutti giù per terra»: mi capitò nella notte di “addio” alla casetta degli obiettori dove abitai nel 1998, a Milano (Quintosole). Allora la mia impressione era stata di inconsistenza. La stessa impressione l’ho avuta dopo la lettura de «Il paese delle meraviglie». Ancora oggi mentre leggo velocemente, quasi divoro, questo suo ultimo libro, ho la stessa impressione. Che vuol dire inconsistente? Che riceviamo soprattutto un contenuto emotivo: non lascia traccia, non approfondisce né invita all’approfondimento. C’è una vasta gamma di scrittori di questo tipo, venuti fuori negli ultimi trent’anni in Italia: spesso “scoperti” da Pier Vittorio Tondelli (Culicchia fa parte di questi, c’è una dedica nell’ultimo suo libro a Tondelli) spesso pompati e quasi sempre inconsistenti. Di molti di loro (da Baricco ad Aldo Nove, da De Carlo a… Culicchia?) un ventina d’anni fa scrisse Gordiano Lupi in «Nemici miei» e «Quasi quasi faccio anch’io un corso di scritture creativa» (Stampalternativa). Voglio fare una serie di osservazioni su Culicchia e sui meccanismi (calcoli) commerciali che potrebbero stare alla base di certe pubblicazioni e dei periodi storici in cui arrivano. Un po’ di anni fa è uscito «Tutti giù per terra» “remastered” che vuol dire lo stesso romanzo di trent’anni fa (la prima edizione era del 1994) ma con alcune “integrazioni”. Ho sfogliato il “remastered” scoprendo, per esempio, una scena in cui Walter (protagonista del romanzo) rubava nei negozi (libri o cd, non ricordo). Nell’edizione originale non ricordo questi episodi. Allora ho fatto alcune ipotesi, forse balzane o magari calzanti, giudicate voi. All’inizio degli anni ‘90 c’era ancora molta energia popolare e di strada: molti giovani rubacchiavano per sopravvivere, alla maniera in cui lo diceva Troisi a Robertino in una scena del film Ricomincio da tre: «Robertì, tu non tieni un complesso in testa, tu tieni n’orchesta, esci, vai a rubà, tocca i fimmene». Ovviamente molti non pagavano il biglietto del treno e dell’autobus in modo creativo e conviviale, in ogni caso tutto ciò non era ancora criminalizzato. Culicchia però nel suo romanzo – ottenne il Grinzane Cavour opera prima e ispirò l’omonimo film di Davide Ferrari – non scrisse (vado a memoria) che Walter rubava nei negozi, anche se era un personaggio controcorrente… Perché? Forse perché altrimenti non vinceva il Grinzane Cavour o perché la casa editrice Garzanti tolse (o sconsigliò?) certi passaggi “irregolari?”. Se la letteratura racconta la realtà fino in fondo per certe case editrici risulta meno digeribile e commerciale. Perché nel remastered certi particolari “irregolari” li ritroviamo? Forse la crisi iniziata nel 2008 consente che certe tensioni sociali, e anche il rubacchiare, siano “di moda”, più “accettabili” e dunque commerciali! Nel libro «Il paese delle meraviglie» Culicchia tratteggia l’amicizia fra due ragazzi, uno di destra e uno di sinistra, sullo sfondo, molto vagamente, dei cosiddetti anni di piombo. Nel finale si scopre che la sorella di uno dei due ragazzi fa parte di un gruppo armato e finisce male. All’epoca mi ero chiesto: perché Culicchia non racconta, anziché fiction, storie più verosimili: non gli mancherebbe il materiale, essendo nato a Torino negli anni ‘60… All’epoca Tonino Micciché e tanti altri ammazzati (dalle più varie polizie) durante lotte sociali non erano considerati terroristi. Poi vengo a scoprire che lui era il cugino di Walter Alasia e a maggior ragione torna un’impressione di inconsistenza e di superficialità. Magari ci ha messo tutti questi anni per elaborare il lutto… Massimo rispetto, però mi chiedo: quando ha scritto «Il paese delle meraviglie» non ha raccontato del cugino, però ha accennato a storie simili, come mai? Leggendo questo suo nuovo libro, mi dispiacerebbe non trovare anche questa volta accenni o tentativi di analisi, di approfondimento. Fino a pagina 40 l’impressione è sempre di superficialità.

Pochi giorni dopo l’ho finito. Confermo il giudizio di inconsistenza ma per onestà devo segnalare qualche passaggio interessante. Il merito sta nel far sentire persona viva – con tutti gli affetti e le implicazioni emotive – Walter Alasia, che muore a 20 anni assassinato dai poliziotti sotto casa sua, dopo una sparatoria durante la quale un poliziotto viene ammazzato da lui e un altro si scoprirà poi è ucciso per sbaglio dai colleghi. Al di là dell’aspetto affettivo, ci sono elementi che danno un po’ di consistenza alla narrazione: la citazione di alcuni passi di Pasolini la cui analisi politica è molto vicina, secondo Culicchia, a quella delle Brigate Rosse. Nel suo immaginario dialogo con il cugino Walter lui dice: «Pasolini è l’unico intellettuale italiano ad essere stato ammazzato». Poi c’è la figura della madre di Walter Alasia, l’unica a sapere della sua militanza nelle Brigate Rosse e che aveva partecipato anche con il figlio e Renato Curcio a un’operazione ma di tipo logistico (una borsa con armi dentro). Ci sono accenni a Franco Serantini e a prigionieri politici ammazzati o torturati in carcere. Il più importante è quello contenuto nella breve testimonianza di Chiara – la fidanzata di Walter Alasia – la quale spiega come Walter fosse parte di un fermento di rivolte popolari diffuse negli anni ‘70 e anche prima, con le occupazioni delle case e tutto il resto. Importante anche l’accenno alle condizioni di lavoro massacrante anche per le sostanze nocive agli occhi e per i rumori assordanti delle fabbriche dove lavoravano sia la madre di Culicchia che quella di Walter. Insomma: sarebbe bello non aspettare così tanti anni per ascoltare da uno scrittore italiano testimonianze di vita operaia e popolare, di lotte e di conflitti… che stanno alla base delle punte di iceberg le quali sembrano poche e sperdute senza un contesto. Non si vede cosa c’è sotto la parte emersa dell’iceberg se non viene raccontato per filo e per segno. Di buono per me c’è che ho ripreso in mano la traduzione che avevo fatto dal francese di un libricino trovato in Francia più di dieci anni fa: racconta le autoriduzioni italiane. Della serie: dobbiamo aspettare che gli stranieri ci raccontino di noi. Forse esagero: in realtà testi su quegli anni ce ne sono, uno per tutti è «L’orda d’oro» di Nanni Balestrini e Primo Moroni. Ma anche la biografia di Franco Serantini, di Corrado Stajano, che è citato da Culicchia e io avevo letto anni fa.

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Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]

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