«Tendere alla vita non alla morte» di Giancarlo Biffi

Anche questa settimana ospito un articolo di Giancarlo Biffi. E’ la terza volta. E spero non finisca qui ma diventi un appuntamento fisso tra il mercoledì e il giovedì di ogni settimana.

Il Paese ci crolla addosso e noi come allocchi rimaniamo a guardare stupiti che ciò accada, come se ciò non fosse la conseguenza dei nostri comportamenti, come se le crepe di una struttura sociale da sempre pericolante non le avessimo notate da tempo, come se il politico che amministra maldestramente non provenisse dalla stessa acqua dello stagno in cui quotidianamente sguazziamo con imbrogli e truffe. Noi non siamo che il prodotto delle nostre scelte e delle nostre azioni, affogati in un mondo che in molti modi si è concorso a trasformare, anche con il silenzio, in un melmoso acquitrino. Abbiamo fatto veramente poco per opporci a questa deriva, in cui essere prepotenti è la regola e disonesti la norma. “Non nel mio cortile” è il grido di battaglia di chi si oppone all’occupazione del proprio territorio da parte di ripetitori o ancor peggio d’impianti nucleari come se ciò che reca danno ad uno non nuoce anche ad altri ma l’egoismo, la concezione privatista della vita fa scuola, allora è più comodo recintare, tirare su steccati che condividere con altri il benessere conquistato. Ciò che nuoce gravemente alla salute non dovrebbe essere impiantato in nessun cortile, non c’è progresso che valga la pena essere promosso a scapito della salute delle persone, ogni sforzo deve tendere alla vita non alla morte. Il concetto di bene pubblico deve tornare ad essere la via maestra del nostro procedere, farsi carico anche di ciò che sta oltre la cinta del nostro cortile non solo è un dovere ma è anche una grande opportunità per il diritto; il diritto per le generazioni future ad avere un mondo migliore di come noi l’abbiamo trovato. Com’esseri della terra, tutto il mondo ci appartiene, nel bene e nel male, è questo l’unico egoismo tollerabile: “In un mondo senza servi e né padroni”, solo evitando che qualcosa di negativo possa capitare ad altri operiamo affinché ciò non accada a noi. Occorre riprendersi la pratica del far politica direttamente senza demandarla a consorterie di qualsivoglia foggia, ritornare a pensare che lo Stato siamo noi e che elevando la qualità del nostro fare apportiamo un naturale arricchimento a tutta la comunità, e rimpadronirci della convinzione che solo con l’attivazione di buone pratiche collettive è possibile estirpare la sciatteria egoista e criminale imperante.

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