Un nuovo sol dell’avvenire

di Franco Astengo

Siamo di fronte a un momento senza precedenti: la rivoluzione agricola richiese millenni, quella industriale secoli, la trasformazione tecnologica è già avvenuta in pochi decenni. Ora è tempo di farla evolvere. E’ oggi che plasmiamo le fondamenta della prossima società.

Così Luciano Floridi inquadra lo stato di cose in atto con un suo saggio “L’era digitale richiede responsabilità” pubblicato dalla “Lettura” del Corriere della Sera il 20 luglio.

Floridi prosegue: “In molti contesti si parla ancora di tecnologie emergenti come se il digitale fosse una novità. Ma la rivoluzione digitale è già avvenuta da decenni: è tempo di farla evolvere nella direzione che preferiamo. Siamo di fronte ad un momento senza precedenti, a differenza delle rivoluzioni agricola e industriale, che richiesero millenni la prima e secoli la seconda per dispiegarsi, la trasformazione digitale sta avvenendo in pochi decenni.

Lo stordimento è comprensibile, ma trattarla ancora come un’innovazione è un errore che rischia di diventare alibi per l’inazione. E’ oggi che plasmiamo le fondamenta ancora malleabili della società futura. Dalla crisi dei rapporti internazionali ai cambiamenti climatici, dalla non equità economica alle migrazioni, dalle guerre alle violenze sulle minoranze le soluzioni partono dalla politica e quindi anche dalla creazione di una società digitale migliore, trasformando il possibile in preferibile. Se non interveniamo ora, gli errori diventeranno sempre più difficili da correggere e le opportunità mancate sempre più irrecuperabili”.

L’autore aggiunge: C’è il rischio di una oligarchia digitale formata da alcuni Paesi con capacità avanzate, grandi aziende tecnologiche e pochi individui, il famoso 1 per cento. Unicamente con maggiori e migliori conoscenze, democrazia, politica si può governare la transizione senza subirla.

Sorprendentemente (ma non troppo almeno per chi ha sempre e comunque cercato di analizzare la strutturalità delle fratture sociali andando oltre lo schema di Lipset e Rokkan) arrivano risposte radicali a questo tipo di interrogativi.

Ne citiamo due:

1) quella della politologa albanese Lea Ypi autrice di un recente testo “Confini di Classe” pubblicato da Feltrinelli.  La Ypi risponde, tra le altre, ad una domanda sulla creazione della coscienza di classe richiamando la funzione di partiti e movimenti per la costruzione di una egemonia del discorso recuperando un modello di partito inteso gramscianamente come “Moderno Principe”. In sostanza una direzione “diffusa” con un concetto di relazione tra verticalità e orizzontalità nella direzione politica posto in grado  di esprimere tre elementi critici rispetto al modello passato: 1) la solidarietà nella massa, senza il vincolo stretto della dimensione puramente ideologica; 2) L’espressione di questa solidarietà come egemonia verso l’intera classe; 3) Una direzione “larga” composta non soltanto da rivoluzionari professionali ma da quadri diffusi sul territorio e nella società capaci di introdurre anche elementi di “parzialità” nel rapporto con il partito e di forte, ragionato, ricambio nella formazione dei gruppi. Una visione originale dunque della “via consiliare” sulla quale forse, pensando a una strutturazione politica della classe adeguata alla complessità dell’oggi, vale la pena di sviluppare qualche riflessione sul piano teorico.

2) quella di Alessandro Sahebi nel suo ” Questione di classe” (Mondadori) dove sostiene come Il pensiero dominante ci ha convinto che la felicità sia una conquista individuale, non collettiva. Ma è solo l’ennesimo inganno di un sistema ingiusto, che alimenta la competizione e l’egoismo per dividerci. Un’alternativa esiste ed è collaborare, condividere, immaginare una società in cui stare bene non sia un privilegio per pochi, ma un diritto di tutti. Realizzarla non è solo un desiderio, è un atto politico necessario. Per compiere questo atto politico l’autore indica molto semplicemente l’orizzonte del socialismo riscoprendo in pieno il tema marxiano dell’alienazione del lavoro.

Valeva la pena di riprendere gli interrogativi di Floridi e di accostarli alle risposte di Ypi e Sahebi (in questa sede pur riassunte molto schematicamente) perché ci richiamano a una necessità che, in questo frangente storico, ci appare imprescindibile: E’ urgente rinnovare un tentativo per affrontare questo tema partendo da un punto fermo: l’inevitabilità di ricostruire una coscienza e una volontà politica.

La coscienza della propria appartenenza e la volontà politica di determinare il cambiamento rimangono fattori insuperabili e necessari come motore di qualsivoglia iniziativa della trasformazione dello stato presente delle cose.

Attenzione però lo stato presente delle cose va cambiato sia nel senso della condizione oggettiva della nostra esistenza sia in quello dell’assunzione di una consapevolezza soggettiva del vivere con gli altri.

Da questa consapevolezza tra individuale e collettivo “si realizza la vita d’insieme che è solo la forza sociale, si crea il “blocco storico”” (Gramsci Quaderno 11).

Come auspicava Luckas “la coscienza di classe trova il suo superamento nell’universale riconoscimento della propria appartenenza al genere umano”.

E’ l’utopia del sol dell’avvenire: ben venga se elaborata guardando al futuro senza rimpianti.

L’IMMAGINE è stata scelta dalla redazione della “bottega”

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *