Un report da Gaza
di Giuditta Brattini (*)
Oggi sono partita presto per andare a visitare gli ospedali della zona centrale della striscia di Gaza,
Deir El Balah, El Burej. Doveva essere una giornata per monitorare gli ospedali colpiti dai bombardamenti israeliani e raccogliere informazioni sulle condizioni di vita dei palestinesi dopo 35 giorni di attacchi. Caldo e umido mi hanno accompagnato per l’intera giornata. Nel primo pomeriggio ricevo una telefonata da un fotografo presente a Gaza che mi chiede di contattare il consolato per comunicare che a Beit Lahiya è morto un videogiornalista italiano, Simone Camilli. Dal quel momento è stato un incrocio di telefonate con il consolato italiano a Gerusalemme, il direttore dell’ospedale El Karam di Beit Lahiya, il ministro della salute di Gaza e persone che lavorano nell’ambito sanitario. I colleghi che mi accompagnavano nella visita agli ospedali hanno espresso dolore per la morte di Simone e per il traduttore palestinese che lo accompagnava. Da una prima ricostruzione dei fatti risulta che Simone stava riprendendo il lavoro di tre ingegneri della difesa civile di Gaza, anch’essi deceduti, nell’attività’ di rendere inoffensivi materiali bellici inesplosi.
Le telefonate non hanno sortito un grande risultato e decido quindi di andare direttamente all’ospedale El karem di i Beit Lahiya e nella sala mortuaria vedo per la prima volta Simone. Il pensiero va alla famiglia e alle persone che Simone ama. Dal consolato mi dicono che i parenti di Simone stanno arrivando in Palestina e già domani vorrebbero riportarlo a casa; il tempo è poco ma deve essere fatto il possibile. Nell’ufficio del direttore dell’ospedale chiedo la documentazione da inviare al consolato per il coordinamento con la Croce Rossa Internazionale per il passaggio del border di Erez, mentre i medici stanno preparando Simone per lo spostamento allo Shifa Hospital. Alle 19.30 parto in ambulanza con Simone alla volta dello Shifa Hospital per ulteriori adempimenti. Domani mattina Simone partirà alla volta di Erez per Gerusalemme e poi per il suo ritorno a casa. E’ stata una giornata piena di tensione, di dolore con il pensiero alla sua famiglia.
Videogiornalisti e fotografi sono soggetti il cui stato civile troppo spesso non viene rispettato e non ci sono mai punizioni per i loro assassini.
Simone non ha trovato la morte a causa di un cecchino o di un bombardamento, è morto mentre raccoglieva una testimonianza: la pericolosità degli ordigni inesplosi, come la bomba lanciata da un F16 israeliano che era rimasta sul terreno. Si dice che più di un centinaio di bombe inesplose siano rimaste sul terreno della Striscia di Gaza dopo l’ultima aggressione. A Gaza non ci sono ne’ fondi, né equipaggiamenti, ne’ una aggiornata conoscenza sulle nuove tipologie di bombe e il loro disinnesco. Le bombe inesplose sono una minaccia per un’altra ondata di uccisioni e menomazioni nel territorio di Gaza già devastato. Fra l’altro la striscia di Gaza è tra le aree più densamente popolate al mondo – con 1.700.000 persone in un’area di appena 40 chilometri di lunghezza e 10 di ampiezza – e questo determina un rischio particolarmente alto che gli ordigni inesplosi continueranno a uccidere. E’ quanto accaduto oggi al nostro Simone. (13. 8. 2014)
(*) dell’associazione Gazzella onlus