Val Susa. Le fiamme e il silenzio

Il fuoco in Valle e i silenzi sul cantiere. L’insistenza sospetta dei media sulla ricerca di presunti piromani Il racconto di due volontari che rende giustizia ai valsusini.

di Fabrizio Salmoni

e il link a un articolo di Luigi Casel su “Comune Info” 

 

Di Tav non bisogna parlare, mai. C’è una specie di consegna del silenzio che i media locali, i giornaloni e i televisioni hanno acconsentito mutamente a seguire. Non è probabilmente un divieto esplicitato, è una consuetudine acquisita col servilismo maturato in anni di regime di partiti che rappresentano nelle istituzioni la lobby del Tav. Avevano deciso a un certo punto che di Tav non bisognava più parlare, bisognava farlo e basta: il confronto (?) c’era stato, la discussione nell’Osservatorio Tecnico (?) pure (che importa se 23 sindaci non c’erano), i riti della finta democrazia espletati (“Si discute…ma poi noi decidiamo) e quindi fine delle trasmissioni. Tutti nelle redazioni si sono adeguati.
Di Tav non bisogna parlare neanche quando bnrucia la Val Susa. Quel cantiere che ha devastato la Val Clarea è un’entità astratta, un dettaglio insignificante del paesaggio. Per farlo hanno tagliato 5000 castagni centenari, hanno distrutto un’area archeologica e ora si apprestano ad inquinare Valle e Torino con le decine di camion giornalieri che dovrebbero, secondo i progetti, trasportare lo scavato in sù e in giù nelle cave fino a Torrazza Piemonte, nei prossimi anni (se ci riusciranno).
Di Tav possono parlare solo gli sciacalli quando fiutano il sangue, cioè quando si annunciano manifestazioni che loro sperano violente, quando si tratta di diffamare o screditare i valsusini, o le sentinelle della lobby che non si lasciano scappare un refolo contrario. E’ cosi, quando capita che un’anima libera (probabilmente anche da vincoli editoriali) come Domenico Quirico, che ha imparato suo malgrado a valutare nel bene e nel male la componente umana in situazioni conflittuali, racconta su La Stampa della solidarietà costruita in anni di lotta collettiva contro il Tav, delle “battaglie contro l’Alta Velocità” ecco il solito senatore Esposito che manda anche a lui un velenoso messaggio “Qualcuno ricordi a Quirico che la Val Susa non è la Siria”. Non si deve parlare (bene) dei No Tav.
Non si parlava di loro ma c’erano segnali inquietanti: a leggere tra le righe certi articoli si stava diffondendo il sospetto che si premesse per attribuire ai No Tav le responsabilità degli inneschi. L’articolo di Quirico involontariamente rintuzzava la trama sottobanco e la reazione stizzita del senatore sembra dare corpo ai sospetti.
Tra i tanti deliri giornalistici, non possiamo fare a meno di registrare come degno di nota un articolo oltraggioso di tal Facci, cronista di quel capolavoro dell’informazione che è Libero, che si chiede: “Dove cazzo erano i No Tav…?” Glielo raccontiamo noi.
Abbiamo raccolto la testimonianza di due operatori forestali di Valle, Monica e Beppe, che hanno passato la giornata di lunedi 30 a fermare le fiamme che minacciavano la frazione San Giuseppe di Mompantero. Ascoltiamoli. Ci raccontano che erano in cinquanta tra volontari Aib e No Tav, con una squadra di pompieri e quattro (!) carabinieri forestali. Monica e Beppe ci dicono che non hanno visto nè alpini nè esercito, che c’era un solo Canadair operativo, che nel frattempo la polizia presente in Valle in forze si teneva occupata identificando i residenti e chi accorreva a portare aiuto.

Una testimonianza che mette le cose a posto, per chi vuole sentirle.

 

ECCO DOVE ERANO I NO TAV
Su un noto quotidiano un giornalista ha scritto “dove cazzo erano i NO TAV?” mentre la Valsusa bruciava. L’ottima risposta di un valsusino: “I NO TAV non sono un partito o una squadra di calcio, sono dei cittadini che vivono la loro quotidianità opponendosi a un’opera che ritengono antieconomica, dannosa e inutile. E allora i NO TAV in questi lunghi dieci giorni, insieme a tutti i cittadini della Valle, erano a cercare di fermare le fiamme. Chi sotto il casco della protezione civile, chi sotto quello dei vigili del fuoco, chi sotto i berretti di cittadini comuni che hanno lavorato rischiando la vita e respirando PM 10 oltre dieci volte le soglie di sicurezza…. sembrerà strano ma una collettività vera vive così. Ci si tira su le maniche e tutti insieme si cerc a di reagire alle intemperie della vita…”
LUIGI CASEL

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