Fantascienza oggi: intervista a “Leggere Distopico”

ripreso da lezionisuldomani.wordpress.com

Intervista a Leggere Distopico – Leggere fantascienza oggi

Venerdì scorso abbiamo pubblicato sul blog della nostra agenzia di servizi letterari Studio83 un’intervista che abbiamo realizzato con lo staff di Leggere distopico: un gruppo di lettori molto attivi e focalizzati sul (sotto?)genere fantascientifico della distopia.

Grazie alle loro risposte molto preparate e assolutamente non banali, abbiamo ricavato praticamente un pezzo sullo stato della distopia oggi: come è letta, come viene percepita e come è interpretata dai lettori e dalle lettrici attuali.

Sulla distopia si può ragionare con diverse chiavi di lettura.

Nel suo intervento durante la conferenza dedicata alla Sf cinese, che abbiamo raccontato nel post “Scritti dalla città mondo – la fantascienza cinese in Italia”, il critico Carlo Pagetti ha lodato la componente utopica della SF cinese, con un commento per noi assolutamente condivisibile:

La fantascienza occidentale se la cava buon mercato col catastrofismo… troppo facile, oggi, parlare della fine del mondo.

La scorsa settimana si è parlato ancora di distopia: in una intervista che titola “Giuseppe Lippi: La distopia è piagnisteo”.  

In una digressione prima di una domanda a tema,  l’intervistatrice Tea C. Blanc deplora il boom distopico e post apocalittico della fantascienza degli ultimi anni, lamentando che:

Tutto deve rispettare un canone post-apocalittico e pervenire a una soluzione negativa. Tant’è che la storia utopica viene percepita come ingenua, buona solo per idealisti pseudo-ottocenteschi o per chi non sa stare con i piedi per terra: per chi non ha il senso quasi religioso per le storture mentali, tecnologiche, psicologiche, scientifiche, ecologiche, politiche, economiche, non c’è posto. E deve averlo, beninteso, a senso unico, senza possibilità di ritorno. Il pubblico, che nel post-apocalittico dovrebbe trovare un motivo di denuncia o perlomeno l’invito a fare attenzione, invece si ritrova desensibilizzato da questa pioggia di negativo. Anestetizzato, pronto ad accettare come inevitabile uno stato negativo.

E a una domanda sul senso del (supposto) bisogno di post apocalittico, Giuseppe Lippi risponde:

Personalmente, non m’interesso troppo di apocalissi e neanche di distopie, tolte le più classiche di Huxley e Orwell. Quella di Bradbury, “Fahrenheit 451”, è solo in parte utopia negativa e per il resto un grido di allarme in difesa dell’immaginazione. Credo che la moda attuale consista nel gridare “al lupo, al lupo!” perché non si sa che altro fare, non ci sono autori o pensatori particolarmente costruttivi e i segnali d’allarme in effetti non mancano. Ma settanta e passa anni dopo l’esplosione della prima bomba atomica, la cultura del piagnisteo si crogiola ancora – e flagella noi – con i romanzi masochisti di chi vorrebbe sentirsi a posto con la coscienza… pfui!

Un giudizio piuttosto netto, quindi. Il direttore editoriale e ora consulente Urania ha le idee chiare sul suo modello prediletto di fantascienza:

Se la sf contemporanea e futura non osa penetrare nelle diecimila dimensioni assurde contigue alla nostra e nel milione di buchi neri più o meno affacciati su universi attigui a quello reale, io la boccio. Non dico che debba trascurare del tutto la vecchia terra, ma la sua missione è altrove.

E una conclusione, in coda all’intervista:

Lettori, non allontanatevi dalla fantascienza ma neppure isolatela protezionisticamente. Leggete di tutto e di più, e nel campo della letteratura fantastica tutti gli autori che vi interessano, perché la fantascienza non è che un ramo rigoglioso dell’immaginario scientifico/artistico.

Eppure, alcuni tratti di questi commenti indicano  una concezione e una pratica della fantascienza che sembrano a loro volta piuttosto lontane dai lettori. Non solo e non tanto dai loro gusti, ritenuti spesso (e spesso a torto) inadeguati e al ribasso. Ma ai loro bisogni, alle loro ricerche, alle domande che essi ed esse pongono ai libri. Alle loro scelte.

La distanza emerge chiaramente confrontando le idee espresse nell’intervista con le risposte di Leggere Distopico, dove la distopia e lo Young Adult sono presentati e raccontati con parole molto diverse da quelle che abbiamo appena letto, e alle quali anche noi siamo abituate.

Nell’ambito letterario, spesso si commette un errore di fondo: si associa la fantascienza ad opere ambientate nello spazio, che è un tema tipico della fantascienza anni ‘60 e ’70. Oggi invece, questo genere è più legato ad altri temi: vanno per la maggiore le invasioni zombie, il tema della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale, i mondi fantastici alla Harry Potter, le distopie.
Questo perché la fantascienza da sempre si lega alle paure e i grandi interrogativi del presente: oggi i temi più sentiti solo probabilmente l’alienazione virtuale, le migrazioni, i disastri ambientali.”
Alex Zaum di Leggere Distopico, dall’intervista

Oggi, diciamolo, la fantascienza italiana letteraria è in chiara crisi.

La distopia invece prospera.

Leggendo le parole del gruppo di lettori e lettrici da noi intervistat*, scopriamo anche che il filone che va per la maggiore è quello dedicato ai giovani, che sullo sfondo di un futuro negativo propone istanze di lotta, di liberazione, di speranza. Tutto il contrario di ciò che eravamo abituat* ad accostare alla distopia, che consideravamo fino a oggi una letteratura di angoscia e di memento mori.

A quanto pare non è più così. L’unione tra la fantascienza, la crisi epocale che stiamo attraversando e le istanze dei giovani lettori sta producendo un genere forse nuovo, evoluzione inquieta ma ottimista dello Young Adult.

Classici come “1984” e “il mondo nuovo” o autori come Golding (“Il signore delle mosche”) che sosteneva che “l’uomo produce il male come le api producono il miele” non davano molto spazio alla speranza, ma la distopia attuale (“Hunger games”, “Maze runner”, e così via) legata al genere YA , racconta soprattutto della rivolta giovanile contro un’ aberrante società futura.”
Riccardo Muzi di Leggere Distopico, dall’intervista

O forse, più semplicemente, sta donando nuova linfa a stilemi esistenti, che rinascono dalle loro righe per parlare alle nuove generazioni: con nuove modalità, ma con una forza della quale c’è bisogno.

Ci piace pensare che gli amanti del genere, leggendo questi libri dall’anima visionaria, allenino la loro anima rivoluzionaria.
Riccardo Muzi di Leggere Distopico, dall’intervista

Un’altro aspetto interessante è che i titoli dibattuti e recensiti dal gruppo Leggere distopico non sono solo le ultime uscite o le saghe YA: ci sono anche i grandi classici, Atwood, Vonnegut, libri e nomi che tutti noi consideriamo pilastri. Riletti, ripresi, messi a confronto con libri meno blasonati e con chiavi di lettura diverse.

Non è anche questa la cultura? Non è questo il lavoro migliore che un lettore e una lettrice possano fare?

E il lavoro di noi operatori e operatrici non dovrebbe essere pure quello di considerare queste nuove istanze, cercare di capirle, di apprezzarle e di impararle, anche?

I lettori e le lettrici hanno oggi più che mai una possibilità di scelta sconfinata tra titoli, media, contenuti e modalità di fruizione. E se noi ci rifiutiamo di entrare in relazione con loro, in una relazione vera che accolga e riconosca, che si faccia accogliere e riconoscere, poi accade questo:

“Perché scagliarsi contro la letteratura distopica, che con la fantascienza c’entra poco o niente?”

Leggiamo molti commenti di questo tipo, in svariati gruppi e forum. A volte rispondiamo, altre volte no, perché… se avessero ragione loro? Se stesse nascendo un nuovo genere?

La percezione comune relega la fantascienza in uno sfondo di marginalità e incomprensione: ha senso proporre la stessa fantascienza e pretendere che sia recepita in modo diverso?

Con queste domande, alle quali per il momento non abbiamo risposte, vi lasciamo all’intervista e ai racconti dello staff di Leggere Distopico, dopo una piccola intro.

Buona lettura, e viva la lettura!

——

Decine di libri segnalati a settimana, recensioni sempre nuove, rubriche interessanti e centinaia di membri e followers, in continuo aumento.

Perché proprio loro?

Il gruppo Leggere Distopico, nato da una passione personale della creatrice Liliana Marchesi e poi da un blog aperto per hobby intorno al quale si sono radunati gli altri membri dello staff, è secondo noi una dimostrazione interessante che i lettori ci sono… e possono anche lottare insieme a noi!

Bisogna però riconoscerli e trattarli in modo diverso da quello che invece si fa di solito.

I lettori non sono un popolo bue, tanto per cominciare: sono persone spesso molto preparate, consapevoli, con loro gusti e preferenze personali. E in ogni caso, chiunque essi siano, hanno tutto il diritto di premiare titoli che a noi “produttori” paiono titoli “di cassetta”, e penalizzare proposte più blasonate.

Allo stesso tempo, non sarebbe giusto considerarli come “superiori” ai chi li libri li fa: non serve bombardarli di richieste e segnalazioni, o sperare che siano loro e solo loro a decretare l’immediato successo di un testo.

Bisogna comunicare. Relazionarsi. E prima di questo, bisogna voler conoscere, capire, ascoltare.

Noi ci abbiamo provato. E quello che abbiamo ascoltato ci è piaciuto moltissimo.

Partiamo con le domande!

Un blog, una pagina, un gruppo di centinaia di persone con post, recensioni e segnalazioni quotidiane. Ci parlate della nascita e della storia di questo progetto?

[Risponde Liliana Marchesi:] Prima di tutto ci tengo a ringraziarvi a nome di tutto lo Staff per questa intervista, essere riusciti a suscitare interesse verso ciò che facciamo ci fa molto piacere.

Questo progetto sbocciato recentemente ha in realtà origini ben più vecchiotte. Un paio di anni fa infatti creai il gruppo Leggere Distopico per raccogliere i titoli più interessanti del genere. Da Lettrice, più cercavo online e più mi rendevo conto che questa sfumatura letteraria non era facile da ritrovare negli elenchi, e da autrice, ero dispiaciuta quando constatavo che alla parola Distopia la gente iniziasse a storcere il naso pensando che avessi pronunciato una parolaccia. Poi ovviamente bastava nominare titoli come “Divergent”, “Maze runnare” e “Hunger games” che subito tornava il sereno sui volti dei miei  interlocutori.

Insomma, per farla breve, iniziò a nascere dentro di me il desiderio di fare luce su questo genere sottovalutato perché lasciato nell’oscurità.

Poi, un giorno decisi di fare qualcosa di più che limitarmi a raccogliere titoli. Leggere Distopico doveva diventare un punto di riferimento per tutti quei Lettori innamorati del genere. E fu così che, dopo aver dato una bella lucidata alla grafica del gruppo, scovai quelli che oggi sono i miei preziosissimi collaboratori (persone fantastiche, piene di entusiasmo, sempre pronte a sopportare e supportare le folli idee della sottoscritta, con un bagaglio di creatività e professionalità che mai avrei sperato di trovare) e insieme a loro lanciammo LEGGERE DISTOPICO! Un gruppo, un Blog, una missione!

Noi ci crediamo profondamente, e l’apprezzamento di coloro che ci seguono è la conferma che non siamo i soli.

 

Perché proprio la distopia? Pensate sia una predilezione legata a un certo pessimismo? O c’è dell’altro?

[Risponde Riccardo Muzi:] Scegliere la distopia vuole dire guardare al futuro tenendo gli occhi ben piantati sul presente.

Mi spiego meglio: passeggeri della metropolitana con il capo chino immersi nei loro smartphone, interviste della D’Urso, persone giudicate con processi mediatici; sono tutte situazioni che hanno una forte connotazione distopica ma fanno parte del nostro presente. Allora , forse, il genere distopico, più che avere un’accezione pessimista potrebbe avere la capacità di esorcizzare gli elementi più negative della realtà contemporanea. Classici come “1984” e “il mondo nuovo” o autori come Golding (“Il signore delle mosche”) che sosteneva che “l’uomo produce il male come le api producono il miele” non davano molto spazio alla speranza, ma la distopia attuale (“Hunger games”, “Maze runner”, e così via) legata al genere YA , racconta soprattutto della rivolta giovanile contro un’ aberrante società futura.

Ci piace pensare che gli amanti del genere, leggendo questi libri dall’anima visionaria, allenino la loro anima rivoluzionaria.

 

Cosa non può mancare secondo voi in un buon libro distopico?

[Risponde Liliana Marchesi:] I romanzi Distopici hanno l’importante compito di far aprire gli occhi alla gente.

Le storie che troviamo all’interno di questi libri potranno anche sembrare fantascienza, ma non sono poi così lontane da una possibile realtà. Situazioni attuali estremizzate, futuri ipotetici ricamati con un po’ di Sci-Fi, Thriller, Romance. Ogni sfumatura della Letteratura è ben accetta nella Distopia, perché la Distopia è ciò che sta intorno.Un’ambientazione che vive dentro e fuori i personaggi.

Personalmente, in un romanzo Distopico cerco originalità, colpi di scena, adrenalina e… anche un po’ di amore. Ma ciò che conta di più è la speranza. Un messaggio che deve arrivare dritto nel cuore del lettore. Non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta!

 

E quali sono invece gli anche no e gli errori da evitare assolutamente in una scrittura distopica?

[Risponde Erika Zini:] Gli “anche no” del distopico sono gli “anche no” validi per qualsiasi scritto.

In particolare, consiglierei di avere una buona idea e concentrarsi su quella, senza voler strafare: che, in un romanzo distopico, potrebbe significare il Caos. Scrivere nella maniera più trasparente possibile e concentrarsi sull’aspetto sociale che è ciò che caratterizza il genere, anche se visto dal punto di vista di un personaggio. Infine, essere veri e onesti nella stesura, seppur si tratti di romanzi di fantasia.

 

La distopia è storicamente considerata un sottogenere della fantascienza. Siete d’accordo? Pensate che si possa leggere distopia, ignorando allo stesso tempo qualsiasi altra cosa della letteratura fantascientifica?

[Risponde Erika Zini:] Questa è una bella domanda.

È vero che il genere si riconduce spesso alla fantascienza, ma in realtà lo sviluppo del distopico prende strade che a volte si incrociano con questo genere e altre volte no. Ricordiamo che prima di parlare di “distopia” il genere veniva definito “fanta politica” dove la prima parola stava per “fantasia”.

È altresì vero che elementi di distopia sono presenti in numerosi ambiti e storie, tanto che a volte ci sono solo alcuni elementi o la struttura del mondo in cui si svolge la vicenda, che nulla ha a che vedere con il “politico” o il “sociale”.

Si potrebbe quindi dire che la distopia rientra nel genere del fantastico e, sempre di più, si sta costruenda una propria dignità come genere a sé stante.

 

Molta distopia oggi si trova nei romanzi cosiddetti Young Adult. Il mondo “adulto” della fantascienza italiana li conosce poco e a volte li considera come un “male necessario” quando permette di passare poi a letture più “serie”. Ci date una vostra lettura di questa interpretazione, e una vostra definizione/descrizione esaustiva del genere Young Adult e del perché leggerlo?

[Risponde Davide Borrielli:] Quello dei romanzi “Young Adult” è un tema piuttosto delicato che dovrebbe essere affrontato sotto più chiavi di lettura per poter essere trattato al meglio.

Spesso, col termine Young Adult viene definito un romanzo i cui protagonisti hanno un età che si aggira intorno ai dodici anni, che tratta le tipiche tematiche adolescenziali come i primi approcci con il sesso, con la droga, ecc ecc. Va da sé che tematiche del genere abbiano un campo di applicazione estremaente vasto e variegato: si passa dal fantasy al crime, dal genere romantico fino, per l’appunto, al distopico.

Questa sua caratteristica è un arma a doppio taglio, in quanto è molto semplice scadere nelle stereotipie ed è ancora più semplice scivolare in intrecci banali o che affrontano il tema dell’adolescenza con una certa superficialità. Questi adolescenti di cui si parla, spesso sono “troppo adult” e “poco young”: dalle descrizioni spesso emergono personalità già formate, già carismatiche che pensano, ragionano ed agiscono come un adulto e non come un ragazzino che “si affaccia” al mondo adulto.

Allora io mi chiedo, dove sono i VERI adolescenti? Dov’è quella goffaggine che caratterizza questa età? Dov’è la ricerca della propria identità? Dove sono le grandi questioni, i grandi quesiti, le paure e le credenze che caratterizzano il mondo degli adolescenti?

Stiamo parlando di una letteratura di “transizione” rivolta ad un pubblico adolescente, utile a proiettarlo verso la maturità che caratterizza il mondo adulto: ed essa, in quanto tale, deve essere in grado di dare i giusti messaggi, al fine di stimolare l’adolescente a porsi le giuste domande e a ricercare le giuste risposte. Se si presta attenzione a questi aspetti, daremo agli adolescenti la lettura di qualità che meritano. Altrimenti, sì: ci limiteremo a propinare solo il “male necessario”, banale, superficiale e stereotipato, da propinare come mero riempitivo tra l’infanzia e l’età adulta.

 

In una recente intervista alla rivista SF statunitense Samovar, la scrittrice Clelia Farris ha affermato:
“In Italia gli appassionati di SF sono pochi. C’è molta diffidenza verso il genere da parte dei lettori mainstream. I lettori di SF italiani sono per lo più adulti. I ragazzi e le ragazze hanno smarrito il senso del futuro, la voglia di sognare un mondo differente da quello in cui vivono. È molto triste.”
Voi cosa ne pensate di questo parere?

[Risponde Alex Zaum:] Prima di tutto, contestualizzerei la domanda. La fantascienza, come genere cinematografico, sta andando fortissimo, in Italia come nel resto del mondo: basti dire che l’anno scorso il film più visto è stato Episodio VIII di Guerre Stellari. E il grande successo della fantascienza vale, in maniera analoga, anche nel mondo dei fumetti, dei videogames e delle serie tv.

Nell’ambito della letteratura, in effetti, le cose sono diverse: in Italia i generi che vanno per la maggiore sono altri, e questo è probabilmente colpa della grande distribuzione che non ha ancora intuito il potenziale della fantascienza.

Va però aggiunto che, nell’ambito letterario, spesso si commette un errore di fondo: si associa la fantascienza ad opere ambientate nello spazio, che è un tema tipico della fantascienza anni ‘60 e ’70. Oggi invece, questo genere è più legato ad altri temi: vanno per la maggiore le invasioni zombie, il tema della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale, i mondi fantastici alla Harry Potter, le distopie.

Questo perché la fantascienza da sempre si lega alle paure e i grandi interrogativi del presente: oggi i temi più sentiti solo probabilmente l’alienazione virtuale, le migrazioni, i disastri ambientali.

 

Dateci tre consigli: un distopico da scoprire, un distopico da riscoprire e uno da evitare assolutamente.

[Risponde Riccardo Muzi:] Affinché il fuoco della distopia bruci ancora e probabilmente per sempre, sarebbe bene riscoprire il romanzo di Ray Bradbury “Fahrenheit 451”.

[Risponde Erika Zini:] Nel gruppo, solitamente, mi occupo della rubrica “imperdibili”, quindi non posso fare a meno di suggerirvi un titolo da scoprire: “Feed” di M.T. Anderson. Straziante, commovente, allarmante. Come nelle migliori distopie.

[Risponde Liliana Marchesi:] E figuriamoci se a me non restava l’amaro compito di dover scegliere un titolo da evitare. Ma sapete cosa vi dico? Credo sinceramente che non ci siano titoli da evitare, almeno non per tutti. Ogni giorno nel gruppo si parla di titoli Distopici, e ci sono sempre pareri contrastanti. Questo perché non a tutti piacciono le stesse cose. Quindi un libro che a me ha trasmesso moltissimo, ad altri può essere sembrato insignificante e viceversa. Perciò non vi darò alcun titolo da evitare 😉 Dovrete leggerli tutti per scoprire da voi cosa è nelle vostre corde e cosa non lo è.

E adesso permettetemi di ringraziarvi a nome di tutto lo Staff per questa bella intervista e per lo spazio che ci state dedicando.

Spero che le nostre risposte abbiano invogliato i vostri lettori a unirsi a noi per scoprire questa sfumatura letteraria davvero eccezionale!

A presto!

Liliana Marchesi

 

Cara Liliana, cara Erika, cari Alex, Davide e Riccardo: grazie a voi per il vostro tempo e per avere accettato di rispondere alle nostre domande non facili, dandoci molti spunti e contenuti da rielaborare. E grazie anche per “Leggere distopico”, un gruppo che invitiamo tutti i nostri lettori e le nostre lettrici a raggiungere!

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Redazione
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Un commento

  • La definizione che Muzi dà della distopia è la stessa che potrebbe essere data della fantascienza. Almeno quella che darei io. Guardare al futuro tenendo gli occhi puntati sul presente… Il che è lo stesso che dire fare del futuro uno specchio del presente. La distopia dunque sarebbe la versione attuale della fantascienza? Il genere destinato a prenderne il posto? Non si può che essere d’accordo.

    Lo stesso si può dire dell’affermazione di Marchesi, la quale assegna alla distopia il compito di far aprire gli occhi alla gente. Da sempre l’obiettivo dei più avvertiti scrittori di fantascienza. Il famoso grido d’allarme di cui parlava Aldani.

    Con questo non intendo negare autonomia di scopi e significati al genere distopico. La fantascienza è molto più di questo grido di allarme. È storia, senso dell’epos, curiosità verso il misterioso mondo della tecnologia, per i poteri occulti della mente, rottura con il mondo del sempre uguale, del sarà sempre così ecc. Immagino che la distopia goda della medesima ricchezza e varietà di spinte. E che pratichi le medesime aperture verso generi affini o comunque estranee alle tematiche del maistream come si erano configurate dopo i primi decenni del XX secolo. Quel che mi interessa sottolineare è la presenza di uguali motivazioni in periodi differenti della storia. Che il bisogno eterno di fantasticare, il milione e una notte della narrazione umana, torni a ripresentarsi decennio dopo decennio, nonostante i Moravia e le ire funesta dei detrattori della fantascienza (e della distopia? ).

    A nulla sono serviti i caterpillar del presente, economisti farisei falsi e bugiardi, massmediologi, esperti televisivi e predicatori in servizio permanente attivo presso il Dio Denaro. Il bisogno di sognare, di proiettare nei sogni i propri problemi e farne un primo passo verso l’azione atta a risolverli e più forte che pria.

    Benvenuti ultimi arrivati distopico. In quanto ultimi è possibile diventare i primi…

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