Morire

La rubrica settimanale (con brevi testi e fotomontaggi) di Chief Joseph: 45° appuntamento

 

Il 20 giugno, il tribunale di Padova ha condannato a due anni di reclusione per omicidio colposo Rita e Lino, i genitori di Eleonora Bottaro, una ragazza morta di leucemia il 20 agosto 2016. I giudici hanno ritenuto che la giovane avesse rifiutato le chemioterapie e seguito il metodo Hamer a causa delle pressioni del padre e della madre. Alcuni medici hanno testimoniato con sicumera che la ragazza poteva essere salvata, con quali prove scientifiche non si sa. La mamma, a cui è morto anche un figlio per aneurisma cerebrale, dopo la lettura della sentenza, ha dichiarato: «Rifarei tutto quello che ho fatto. Dio sa quanto ha sofferto e solo Dio sa che cosa è veramente successo».

 

Claudio de’ Manzano, 84enne di Trieste, è colpito da un ictus devastante e, per tenerlo in vita, viene idratato e alimentato con tubi e macchinari, La figlia Giovanna, quando si rende conto delle condizioni del padre chiede l’applicazione della legge sul fine vita, ma l’ospedale pubblico Clinica neurologica Stroke Unit di Cattinara si rifiuta di procedere con l’avallo del giudice tutelare dell’anziano, Allora, la figlia trasferisce il padre in una clinica privata che, previa sedazione, toglie, progressivamente, alimentazione e idratazione permettendo al signor Claudio di spirare. Dal quotidiano «La Stampa», 26 giugno 2019.


NELL’IMMAGINE d’apertura il Campo di battaglia di Bear Paw in cui si combatté l’ultimo scontro della guerra dei Nasi Forati e dove Capo Giuseppe tenne il suo famoso discorso. Questo è uno dei passaggi più conosciuti: «Sono stanco di combattere. I nostri capi sono morti. Specchio è morto. Toohoolhoolzoote è morto. Gli anziani sono tutti morti. Sono i giovani a dire “Sì” o “No”. Chi ha guidato i giovani [Ollokot] è morto. Fa freddo, e non abbiamo coperte. I bambini muoiono per il freddo. Il mio popolo, alcuni di loro, è fuggito sulle colline, e non ha coperte, niente cibo. Nessuno sa dove siano, forse morti congelati. Voglio avere il tempo di cercare i miei bambini, e vedere quanti di loro riesco a trovare. Può darsi che io li trovi fra i morti. Ascoltatemi, miei capi! Io sono stanco. Il mio cuore è malato e triste. Dal punto in cui si trova ora il sole non combatterò mai più»

L’AUTORE

Chief Joseph – o se preferite Capo Giuseppe – è stato una guida (militare e spirituale) dei Nasi Forati, un popolo nativo americano. Si chiamava in realtà Hinmaton Yalaktit, che in lingua niimiipuutímt significa Tuono che rotola dalla montagna. Da tempo riceviamo molti contributi alla “bottega” firmati Chief Joseph. Sono fotomontaggi per dialoghi immaginari (spesso volutamente anacronistici) a commentare una notizia o un breve testo. Ci piacciono per l’estrema sintesi e la contrapposizione fra mondi diversi. Così la “bottega” ha chiesto a Chief Joseph di prendersi uno spazio fisso (come hanno da tempo le vignette di Energu) e lui ha accettato: faremo il mercoledì mattina. [db]

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

6 commenti

  • Daniele Barbieri

    A proposito del «metodo Hamer» (citato da Chief Joseph nella prima delle due vignette-storie di oggi) mi sembra giusto dar conto di questo scambio di riflessioni fra me e “Capo Giuseppe”.
    Qualche giorno fa, quando lui mi ha inviato il testo, io gli ho scritto: «ti dico la verità sono molto dubbioso: la questione del “metodo Hamer” – che conosco poco, come ho scritto nel mio commento la settimana scorsa alla tua “scor-data” (*) – non mi pare da affrontare in poche battute. NON TI VOGLIO CENSURARE però cercherei con te n altro metodo per affrontare tutto questo groviglio. Che dici?».
    Ed ecco la risposta di Chief Joseph: «Scusa, questa volta, dissento decisamente perché io non voglio affrontare la questione in poche battute ma intendo mettere l’accento sul sacrosanto diritto di curarsi nel modo che si ritiene più opportuno senza che un giudice ti condanni a due anni di prigione (pena, fortunatamente, sospesa). Poi, ognuno creda a ciò che vuole, ma nel rispetto delle differenti scelte. Se uno vuole chemioterapizzarsi lo faccia, lo stesso per chi intende hameratizzarsi. MA NON CI SIA NESSUN GIUDICE CHE INDICHI LA VIA, PERCHÈ LA CERTEZZA NON L’HA IN MANO NESSUNO. Naturalmente sei tu l’editore e la scelta spetta a te».
    Non ho censurato la vignetta, come potete vedere. La questione della libertà – di curarsi e/o di morire – è gigantesca e certamente nessuna formula sarà buona per tutte-i e per sempre. Altro groviglio è quanto sia credibile una scienza sempre più asservita a dogmi e soprattutto a soldi; se la superstizione torna a dilagare non sarà una scienza fattasi Chiesa a porre rimedio, anzi. Però il metodo scientifico resta invece un nostro punto di forza oltre (e contro) qualsiasi nefandezza delle tecno-scienze. Nello specifico io resto assai perplesso sull’efficacia delle cure omeopatiche e/o sulla forza del pensiero che tutto può guarire. Sono d’accordo con quanto Santa Spanò ha scritto in “bottega” nel 2015 (**): «Ovviamente siamo liberi di pensare, come affermava Voltaire 300 anni fa, che “L’arte della medicina, consiste nel divertire il paziente mentre la natura cura la malattia”. Liberi di pensare che la poliomielite sia stata una malattia psicosomatica e che sia stata debellata, come il vaiolo o la difterite, da una “terapia verbale”, sconfitte con un semplice, ma convinto: Vade retro!!».
    La discussione ovviamente resta aperta anche in “bottega”.
    (*) vedi il mio commento a questo post: https://www.labottegadelbarbieri.org/il-quadro-malato-di-lorenzo-indrimi/
    (**) https://www.labottegadelbarbieri.org/gabriella-mereu-fa-ancora-parlare-di-se-lepilettico-un-esibizionista/

  • Gianluca Cicinelli

    Leggendo l’articolo riflettevo che il campo in cui ci è rimasta un minimo di autonomia è la morte. Sarebbe bello se potessimo decidere anche come vivere, ma questa riflessione ci porterebbe lontano. In realtà i casi elencati nell’articolo riguardano una questione diversa dalla mia o altrui possibilità di decidere cosa fare della mia vita. Qui si parla di chi deve decidere sulla mia vita quando io non sono in grado di farlo. Leggendo ho quindi deciso di vincere la mia pigrizia e accelerare il fastidioso momento in cui lasciare disposizioni molto molto precise su cosa fare di me in mia assenza. Testamento biologico, non c’è altra strada per poter almeno morire come vogliamo.

    Ps Una curiosità: Il dottor Hamer citato nell’articolo, quello delle cure alternative alla chemio nel cancro, era anche il padre di quel Dirk Hamer ucciso con un colpo di fucile da Vittorio Emanuele di Savoia. Noto per le sue opinioni antisemite è stato indagato più volte per incitamento all’odio razziale. Resto convinto, senza nessuna pretesa di convincere altri, che chi esclude una parte di società dalla sua idea dl mondo non sarà mai un buon medico.

  • Gianluca Ricciato

    Io capovolgerei la questione che è stata posta nel primo commento di DB: non è tanto credere che il pensiero tutto può guarire, quanto credere che anche il pensiero può contribuire ad ammalare.
    Che anche gli stati mentali in cui ci troviamo ogni giorno possono essere implicati con la malattia.
    Che la vita disumana a cui siamo sottoposti, l’essere-automa in cui ci ha trasformato un sistema logocentrico che ha fatto dei binarismi mente-corpo e natura-cultura la sua fede, che tutto questo insomma abbia a che fare con nevrosi, psicosi, deterioramenti psico-fisici e tutto il corollario di possibili conseguenze.

    Tutto questo il cosiddetto “metodo” spesso fa fatica a decifrarlo, perché è figlio di una cultura che non riesce a decifrare le connessioni. Ad esempio quelle tra sistema nervoso e sistema immunitario, per dirne una.

    Gli avanzamenti non sono possibili senza mettere in discussione questi paradigmi, e questo non vuol dire buttare tutto nel cesso, affidarsi agli oroscopi, eccetera. Queste banalizzazioni fanno parte della resistenza culturale.

    Anche io ho dubbi su Hamer, ma nel senso che mi solleva dubbi, e non credo a tutto quello che è stato detto su di lui: ho ascoltato/letto quello che ha scritto e detto lui, e mi solleverebbe dubbi il fatto che anche una sola persona potesse aver attivato un processo di guarigione attraverso il suo metodo, e questo per il semplice motivo che dovremmo falsificare quel processo, non averne un numero imprecisato (ripetibilità, fino a che punto?) per poterlo stabilire vero (Popper). Mi solleverebbe dubbi anche il solo fatto che lui sia guarito da un tumore ai testicoli conseguente alla morte del figlio, a causa cioè di un’ingiustizia subita per l’azione di un potere giudiziario che ha scagionato ingiustamente un miserabile sovrano decaduto dall’accusa di omicidio. Ammalarsi a causa di un evento traumatico, risalirne quella causa, cercare la risoluzione del trauma e documentare questi passaggi interessa la mia razionalità, non la ostacola. E vorrei che se ne potesse parlare liberamente, di questo e di ogni possibile avanzamento interessante rispetto alle malattie più gravi che abbiamo oggi.

    Se una cosa funziona anche se va oltre i paradigmi, o diciamo che non funziona smentendo la realtà, o modifichiamo i paradigmi.

    Ma questo discorso si potrà fare quando potremo svolgere un dialogo adulto e multidisciplinare che superi il fideismo scientista e la finta interdisciplinarietà, quando cioè anche le esperienze reali e i corpi entreranno nelle statistiche. Quando cioè finirà il patriarcato e “il pensiero si sporgerà sul reale”, come diceva qualcuna.

    E quando una canea di haters scientisti avvelenati, opposti e complementari ai sovranisti, smetterà di buttare veleno contro chiunque ragioni in modo euristico, dubitativo e libertario.

    E infine, a proposito di dati, casi e ripetibilità: io sono un esempio, come tanti milioni al mondo, di reazioni avverse non protocollate e di terapia alternativa che funziona non presa in considerazione. Prendo a prestito il racconto che ho fatto per un post che uscirà a breve, ma prima o poi la racconterò per lungo e per bene:

    “Curo dal 2005 una piastrinopenia (morìa di piastrine chiamata “porpora trombocitopenica idiopatica autoimmune”), causata da una somministrazione sconsiderata e senza analisi preventive di eparina e nimesulide, prescritta dall’ospedale Rizzoli di Bologna (quello pubblico dove andiamo noi pezzenti e finiamo in mano ai dottorini, non quello privato dei calciatori), dopo un incidente che avevo avuto nel 2000; curo, dicevo, questa piastrinopenia con una delle scoperte del medico e scienziato Luigi Di Bella, cioè la melatonina coniugata con adenosina che agisce in difesa delle delle piastrine (scoperta legata a malattie ben più gravi della mia, come la leucemia, che sono accompagnate da piastrinopenie che diventano critiche e portano alla morte). Melatonina che acquisto nelle Farmacie Ferrari di Bologna o Crimi di Roma, che la producono insieme ad altri prodotti galenici della terapia Di Bella: sono farmacie ufficiali, interne alla medicina cosiddetta “tradizionale”, ma i prodotti del metodo Di Bella sono trattati nel solito modo infamante e criminale da una serie di persone che non sa nulla di tutto questo ma si crede “scienziata”, oppure sa ma si comporta in modo ostativo al benessere e alla salute delle popolazioni, e sono costoro che a mio avviso hanno affondato la scienza e la medicina fino ad arrivare a questa situazione a dir poco allarmante (altro che “epidemie” di morbillo); scienza e medicina che sono cose bellissime quando non cadono in mano a gente che ragiona in modo fideista o opportunista”

    Grazie DB che apri i discorsi invece di chiuderli, in quest’era fottuta di psicosi generalizzata e disumanizzazione delle relazioni.

    Gianluca

  • sergio falcone

    Eutanasia. Credo che su quest’argomento si faccia troppa ideologia, su un versante e sull’altro. Quindi, non intendo partecipare alla discussione, favorevoli e contrari.

    Per quello che mi riguarda, come gesto di libertà e perché mi sembrava giusto farlo, ho già provveduto a depositare presso un notaio il mio testamento biologico e invito tutti e tutte a fare lo stesso.
    Mi auguro che, nel malaugurato caso, i superstiti rispettino il mio volere. Me lo auguro, perché non è cosa certa che facciano esattamente quello che desidero. Ma fa parte del gioco.
    L’ho depositato presso un notaio, sfidando le mie convinzioni personali e il senso del ridicolo perché così prevede la legge. Sopportiamo il cosiddetto diritto borghese e, a quanto pare, non ne esistono altri, proletari o universali che essi siano. Non avendo una discendenza per scelta, ho dovuto anche nominare un erede. Amen. E qui, perdonate, mi è venuto proprio da ridere.
    Ritengo che, su un fronte e sull’altro, si faccia troppa teoria.
    L’eutanasia è e rimane un dramma ed io mi auguro di non dover mai decidere della vita altrui. Posso decidere della mia, non di quella d’altri.
    Credo che ognuno debba essere lasciato libero di fare quello che vuole e, ognuno, di seguire le proprie convinzioni.
    Libertà!

    *

    Testamento biologico

    Il “Grand Jeu” è irrimediabile; si gioca una volta sola. Noi vogliamo giocarlo in ogni attimo della nostra vita. E per di più a “chi perde vince”. Perché si tratta di perdersi. Noi vogliamo vincere. Ora, il “Grand Jeu” è un gioco d’azzardo, cioè di destrezza, meglio, di “grazia”: la grazia di Dio, e la grazia dei gesti.
    Avere la grazia è un problema di atteggiamento e di talismano. Nostro scopo è ricercare l’atteggiamento favorevole e il segno che forza i mondi. Perché crediamo a tutti i miracoli. Atteggiamento: bisogna porsi in uno stato di intera ricettività, quindi essere puri, avere fatto il vuoto in se stessi. Per cui la nostra tendenza ideale a rimettere tutto in questione in ogni attimo. Una certa abitudine di questo vuoto plasma i nostri spiriti giorno per giorno. Una immensa spinta d’innocenza ha fatto cedere per noi tutti i quadri degli obblighi che un essere sociale è abituato ad accettare. Noi non accettiamo perché non capiamo più. Non i diritti né i doveri e le loro pretese necessità vitali. Di fronte a questi cadaveri, presagiamo a poco a poco una nuova etica che si costruirà in queste pagine. Sul piano della morale degli uomini i cambiamenti perpetui del nostro divenire non rivendicano che il diritto a ciò che loro chiamano viltà. E non soltanto per servircene. Questa viltà non è fatta che della nostra buona fede; siamo commedianti sinceri. Quando camminiamo, vi sono in noi uomini che si guardano, si seguono passo passo, sotto strisciano, sopra volano, si superano, si sfuggono, si acclamano, schiamazzano e si guardano impassibili. Ma allora noi non vogliamo essere che l’azione di camminare. E in questo siamo commedianti sinceri. I cattivi sono coloro che non si dedicano completamente alla loro scelta. Noi abbiamo semplicemente il senso dell’azione.
    Perché scriviamo? Non vogliamo scrivere, ci lasciamo scrivere. Ed è anche per riconoscerci noi stessi e gli uni gli altri: ogni mattina mi guardo in uno specchio per compormi una figura umana dotata di una identità nella durata. In mancanza di specchi avrei le facce delle bestie mutevoli dei miei desideri e, in certi giorni in cui mi sfiora il miracolo, non avrei più faccia. Perché, liberati, siamo e bruti che brandiscono gli amuleti dei loro istinti di sesso e di sangue, e dèi che con la loro confusione cercano di formare un totale infinito. Il compromesso “homo sapiens” tra i due si cancella. La conoscenza discorsiva, le scienze umane ci interessano solo in quanto servono ai nostri bisogni immediati. Tutti i grandi mistici di tutte le religioni sarebbero dei nostri se avessero spezzato le gogne delle loro religioni che noi non possiamo subire.
    Ci dedicheremo sempre con tutte le forze a ogni nuova rivoluzione. Ci importa poco dei cambiamenti di ministero o di regime. Noi attribuiamo all’atto stesso della rivolta una potenza capace di tanti miracoli.
    Pertanto non siamo individualisti: invece di ripiegarci sul nostro passato, camminiamo uniti, tutti insieme, ognuno portando con sé il proprio cadavere sulla schiena.
    Perché non formiamo un gruppo letterario, ma una unione d’uomini legati alla medesima ricerca.
    Questo è il nostro ultimo atto in comune; arte, letteratura non sono per noi che mezzi.
    La grazia unita all’atteggiamento ha bisogno, come abbiamo detto, di talismani che le comunichino la loro potenza, di alimenti che nutrano la sua vita. Uno di noi diceva recentemente che il suo spirito prima di tutto cercava di mangiare. Tra le sue sensazioni egli cerca ciò che può nutrirlo. Invano la sua fame si trascina dai musei alle biblioteche. Ma uno spettacolo, in apparenza insignificante, improvvisamente gli dà il cibo (uno steccato, un’ostrica viva). La sensazione sconvolgente di un attimo ha restituito in una volta forze incalcolabili alla sua vita inquieta.
    Sono questi attimi eterni che cerchiamo ovunque, che i nostri testi, i nostri disegni forse faranno nascere in qualcuno, dati spesso ai loro creatori nello choc delle loro scoperte e di cui i nostri tentativi cercano la ricetta.
    In simili attimi assorbiremo tutto, inghiottiremo Dio per diventare trasparenti fino a scomparire.

    Roger Gilbert-Lecomte

    In completo accordo: Hendrik Cramer – René Daumal – Artur Harfaux – Maurice Henry – Pierre Minet – André Rolland de Renéville – Joseph Sima – Roger Vailland.

    (“Le Grand Jeu”, rivista diretta da Roger Gilbert-Lecomte, numero 1, inverno 1928, Premessa)

    Le Grand Jeu est irrémédiable; il ne se joue qu’une fois. Nous voulons le jouer à tous les instants de notre vie. Mi chiamo sergio falcone, e sono nato a Nocera Inferiore Salerno il 13 di luglio del 1952. Ho sessantadue anni. Non posso sapere quando e come morirò. Non posso sapere in che condizioni sarò a quel punto, in questa epoca in cui si è in grado di dilatare enormemente stati di non-vita e di non-morte. Non posso neppure sapere se avrò gli anni e le forze sufficienti per portare a termine la mia opera, e realizzare gli obiettivi che forse immodestamente mi sono prefissato e, cioè, inseguire un’idea di libertà e di giustizia sociale, fare il bene e, per quanto possibile, ricercare la Verità. Ne parlo qui perché sono un visionario della Setta dei poeti estinti, un beautiful loser, uno spirito inquieto, tormentato e desiderante, ammalato di sogni e di freschi crepuscoli d’aprile e perché questo è indistinguibile dalla mia vita e dalla mia morte. Non posso sapere se, quando mi troverò nell’anticamera della morte, sarò ancora in grado di attuare di persona o perlomeno di comunicare agli altri le mie volontà. Per questo lo faccio ora.

    Nel caso mi venissi a trovare in una condizione di vita esclusivamente indotta dalle macchine e in una situazione irreversibile e senza speranze, chiedo che non venga attuato su quanto resterà di me alcun accanimento terapeutico. Non voglio morire crocefisso a una macchina, non voglio immolarmi sull’altare della tecnologia divenuta idolo. Io vorrei per me, da parte delle persone che amo e che mi saranno vicine in quei momenti, il gesto umano dei compagni legati tra di loro da uno stesso sentimento e da uno stesso destino che finiscono pietosamente coloro che sono mortalmente feriti. Ma se, per l’ipocrisia e il cinismo dominanti, questo non sarà possibile e per non esporre le persone amate a un prezzo troppo grande, chiedo di non venire più alimentato e curato.

    Figlio di madre natura, io non disconosco il valore misterioso e segreto del dolore, né ho una concezione utilitaristica della vita e della morte. Ma che questa decisione cruciale venga imposta alle singole vite da un’istituzione religiosa (secolare, per i non credenti) o dalla cieca e inarrestabile autosufficienza delle macchine – quando non dalle due cose strettamente abbracciate – mi sembra un inaccettabile spossessamento e uno scandalo, sia per i non credenti che per i credenti.

    Se qualcosa di me fosse ancora utile a qualcun altro vivente, do il mio consenso all’espianto. Desidero, infine, che i miei resti mortali vengano cremati e le ceneri affidate alla compassione del vento.

    Avrei preferito che questo scritto rimanesse privato. Ma la situazione di degrado morale e culturale e sociale è tale, e l’attacco alle libertà individuali e collettive, che ho sentito il bisogno di renderlo pubblico. Il resto delle mie volontà sono invece private e conosciute soltanto dalle persone a me care.

    Roma, 29 ottobre 2014
    (sergio falcone)

    [in allegato il modulo per l’adesione all’Aido,
    che ho inviato alla sede nazionale,
    Via Cola di Rienzo, 243
    00192 Roma]

    *

    “Andai nei boschi per vivere con saggezza, vivere con profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”, Henry David Thoreau, Walden, ovvero La vita nei boschi

    *

  • sergio falcone

    … Dimenticavo la cosa più importante: Chief Joseph è un genio. E i suoi post sono geniali.

  • Come nella vita, quando si parte per un viaggio sono necessarie delle soste, necessarie, volute o subite, ma inevitabili. Si può viaggiare a piedi, col treno, l’aereo… Caro DB, nel ringraziarti per la citazione, spero non debba pentirtene per questo intro che può apparire fuori luogo, ma credo fermamente che la medicina (ufficiale) sia un po’ come la democrazia, con tutti i suoi limiti e a volte incongruenze è quanto di più grande ci sia per l’uomo (ovviamente ci sono anche altri campi, ma cerco di restare sul pezzo). Se la libertà non ha prezzo, lo stesso vale per le conquiste mediche, ovviamente di “cura e guarigione” ne ho dato un cenno a suo tempo nel post che hai citato.
    Mereu (riferendomi al post), Hamer (che non conosco se non per una digressione mia personale nello scrivere della Mereu), pensiamo anche alle “le capacità autoterapeutiche” di Milton Erickson (forse un po’ il papà di tutta una deriva), insomma la questione è il mezzo per arrivare da qualche parte o come cantavano Cochi e Renato: “c’è sempre qualcuno che parte,
    ma dove arriva, se parte”.
    Ecco, dove si arriva mi sembra un buon punto di partenza.
    Per te, che un po’ mi conosci, non ti suonerà strano sentirmi dire che gli “agi” della vita moderna ci hanno rincitrulliti, non ti suonerà strano sentirmi dire che a pancia piena si può parlare meglio di fame. La medicina con tutti i suoi limiti ha abbassato il livello di mortalità, ha consentito a persone destinate a morte precoce di vivere, ha allungato anche le aspettative di vita in sinergia con altri fattori. Poi, come ogni altro sistema ha le sue falle (ne avevo accennato anche allora nel post), teniamo sempre a mente però che bisogna sempre fare una distinzione tra malattie, disturbi psicosomatici, disfunzioni ecc. ecc. non bisogna generalizzare, così come esiste l’automedicazione…
    Per farla breve, questo credo sia davvero miracoloso, la libertà ci consente di scegliere (finchè sarà possibile), l’importante è farlo con una sana e cosciente informazione (parola barcollante).
    Ad esempio adesso sto scrivendo questo commento usando un pc o meglio un protocollo standard Simple Mail Transfer Protocol, ma avrei potuto trovare un mulo ed un messaggero e fartelo pervenire tra qualche mese… Forse!

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