Balzac, Greene, Marzorati, Northoff, Seyman, Soncini e…

… il duo Bonnet-Bricault

7 recensioni di Valerio Calzolaio

 

 

Honoré de Balzac

«Pierrette» (originale 1840: prima come feuilleton, poi in due volumi)

traduzione di Francesco Monciatti; note, postfazione e cura di Pierluigi Pellini

Sellerio

390 pagine, 14 euro

Provins, Seine-et-Marne, una 70ina di km a sud-est di Parigi. Ottobre 1827. All’alba, Brigaut, un operaio giovinetto di circa sedici anni, estrae un fiore giallo dorato e intona un canto nuziale bretone sotto una bella alta casa ai lati della piazza, la mano bianca della giovanissima Pierrette Lorrain scosta la tenda della mansarda e lo saluta, ma sono subito bloccati. Lei è orfana, costretta a vivere con i cugini Rogron, la nubile Bette e il celibe Pons, avidi gretti cattivi: interessi, connivenze, gelosie, maldicenze, vendette soffocano ogni energia vitale. Finalmente arriva in libreria la prima traduzione italiana di “Pierrette”, bel roman-feuilleton (uscito a puntate sul Siècle) del grande Honoré de Balzac (1799-1850) dedicato alla signorina Anna De Hanska (1828-1919) figlia della Straniera, la sua amata lontana Ewelina (1801-1882) che sposò in extremis poco prima di morire. Lui descriveva la cruda realtà e considerava proprio la letteratura strumento di reale ascesa sociale.

 

Corinne Bonnet e Laurent Bricault

«Divinità in viaggio. Culti e miti in movimento nel Mediterraneo antico»

traduzione a cura di Alessandro Cocorullo, Alberto Gavini e Giovanni Ingarao

Il Mulino 2021 (orig. 2016)

280 pagine, 20 euro

Mediterraneo. Millenni fa. Presenti negli spazi assegnati loro dagli umani, gli dèi vengono invocati in base alle loro competenze, ma anche in funzione delle aspettative sociali, dei bisogni e desideri di uomini e donne. Visto che già da una decina di migliaia di anni ci siamo spostati molto migrando ovunque nel nostro piccolo grande mare, in tutte le direzioni, con innumerevoli creative rotte, considerare gli dèi in movimento nello spazio mediterraneo può contribuire alla riflessione generale sulla natura del divino nell’Antichità, fra unicità monoteista e pluralità politeista. Gli dèi, in effetti, sono al tempo stesso radicati in un territorio e legati a una comunità che istituisce e perpetua il loro culto; ma sono anche in perenne movimento, rapidi, ubiqui, persino inafferrabili, comunque più degli animali terreni. Eppure, gli dèi non escono indenni dai viaggi: cambiano e si adattano a nuovi contesti. Magari una volta vengono fatti prigionieri e inviati in esilio; un’altra sono portati in processione per tutta la città; un’altra “clonati” per favorire la fondazione di una colonia. Ogni insediamento umano, più o meno originario, acclude la stabilizzazione di un dio o più dèi e della religiosità che vi connette, cronache e miti del reciproco mettere radici. Poi i culti emigrano sulla scia di umani che trasferiscono la residenza individuale o collettiva, per molto tempo o per sempre: soldati, profeti, mercanti, ambasciatori, coloni, fedeli, viaggiatori, curiosi, deportati. Talvolta si attribuisce persino agli stessi dèi il desiderio di allargare il proprio spazio vitale, di conquistare nuovi territori. E, fra rispetto delle tradizioni religiose di partenza e adattamenti locali successivi, le migrazioni degli dèi contribuiscono a diversificare il loro volto, a rimodellare le funzioni, a far sorgere nuovi appellativi e immagini. Nella storia dei popoli antichi è sempre avvenuto: come, con chi, con quali intenzioni e conseguenze va approfondito.

Gli storici Corinne Bonnet (1959) e Laurent Bricault (1963), docenti di storia greca (lei) e romana (lui) all’Università Jean Jaures di Tolosa, diversi anni fa tennero un corso universitario per gli studenti della Laurea Magistrale che poi hanno trasformato in un volume molto interessante per tutti. Ci raccontano viaggi e traslazioni divine così come sono narrati nelle diverse tipologie di fonti: opere storiografiche o geografiche, biografie, inni, iscrizioni, monete e reliquie, oggetti sacri, in un percorso comparativo dal II millennio avanti Cristo ai primi secoli dell’era cristiana. Non seguono un ordine cronologico, sarebbe stato fittizio visto che tra i presunti fatti e i relativi miti esiste sempre un variabile problematico intervallo temporale. Non propongono alcuna lettura evoluzionistica o teleologica: gli dèi viaggiano in tutte le culture e in ogni tempo senza che una “provvidenza” intervenga per mettere loro “ordine”, più meticci di quel che crediamo. Numerose sono, comunque, le tematiche riguardanti la comprensione delle religioni antiche: monoteismo (che spesso elimina credenze precedenti) e politeismo (che spesso le aggiunge e moltiplica), i nomi e le immagini del dio singolare e plurale, l’impronta del potere, le strategie rituali, il dialogo interculturale, l’immaginario legato ai luoghi, l’attitudine nei riguardi della morte, la tensione fra locale e globale, talune cancellazioni e distruzioni inappellabili. In ogni capitolo scopriamo diverse mobilità ed effetti della mobilità, libera o imposta: da Tiro alle Colonne d’Ercole, da Emesa a Roma, da Efeso a Marsiglia, da Atene a Cartagine, dall’Egitto a Delo alle tante isole; poi in Gallia e in Sicilia, in Mesopotamia e in Fenicia, e altrove; Melqart, Artemide, Cibele, Serapide, Ishtar, Iside, Apollo, Dioniso e tanti altri; e poi i tanti personalità storiche individuali che in vario modo riuscirono a tramandare luoghi e miti. Fra i dodici capitoli (ognuno con qualche foto di scavi, statue, oggetti) segnalo il settimo (ove più ricorre l’incredibile capacità di navigazione nel nostro mare) e l’undicesimo (ove più ricorrono i viaggi del popolo ebraico, esili diaspore deportazioni, con i rotoli della Torah). In fondo una punteggiata carta del Mediterraneo e gli indici: nomi, luoghi, argomenti.

Georg Northoff

«Il codice del tempo. Cervello, mente e coscienza»

traduzione di Maurizio Riccucci

Il Mulino

198 pagine, 19 euro

Il cervello di ciascuno e il pianeta Terra. Da quando? Gli antichi greci conoscevano due divinità del Tempo, Chronos e Kairos; il tempo cronologico, quantitativo, lineare; il tempo contingente, qualitativo, permanente. Non avevano grandi torti: la loro relazione è stata riesaminata dalla fisica sia classica (la concezione del contenitore e del contenuto) sia contemporanea (la concezione costruttivistica, ondulatoria e relazionale) ed è il “nostro” tempo a renderci unicamente umani. Comunque, risulta sempre il cervello a costruire il tempo (e lo spazio), in modo dinamico, la struttura temporo-spaziale cambia di continuo. È poi la sua attività neuronale (onda su onda) che dà origine alle caratteristiche “mentali”, anche se la trasformazione neuromentale sfugge ancora alla nostra piena comprensione. Del resto, nessuno sa bene nemmeno quando è comparso il fenomeno della coscienza per noi sapiens. Piuttosto che solo il cervello in sé, dobbiamo forse allora considerare la relazione del cervello con il mondo “esterno”, la sincronizzazione delle sue onde con quelle del corpo e del pianeta. La coscienza si basa sull’esperienza di noi stessi come parte di una realtà più ampia, si fonda sull’allineamento e sull’integrazione e si struttura in base alla durata e alla velocità. Le alterazioni nel modo in cui il cervello costruisce velocità e durata si associano a disturbi psichiatrici come l’autismo, la mania e la depressione. Studiando bene il tutto, sembra proprio che la mente diventi un’ipotesi di cui possiamo fare a meno. Gli (altri) animali sono caratterizzati da una specifica relazione reciproca mondo-cervello, hanno coscienza e senso di sé. Le nuove macchine guidate dall’intelligenza artificiale padroneggiano la relazione cervello (artificiale)-mondo ma mancano, invece, della relazione mondo-cervello (artificiale) e non hanno, quindi, caratteristiche mentali.

Il neuroscienziato, filosofo e psichiatra Georg Northoff (Amburgo, 1963) è cresciuto scientificamente in Germania e insegna ora in Canada, girando spesso il mondo per conferenze e ricerche. Da decenni padroneggia e fonde insieme (appunto) neuroscienze, filosofia e psicologia. Il volume è un’edizione di un testo originale tradotto in italiano, innumerevoli figure corredano tutti i sei capitoli, pieni di esempi e metafore, le più frequenti quelle del tango e del surf. Su un nodo insiste: il tempo del mondo è cruciale per la coscienza, che di per sé è atemporale; ovvero la coscienza è intrinsecamente neuroecologica e relazionale, non semplicemente neurocorporea; le funzioni motorie in sé (e quindi la relazione cervello-mondo) non sono necessarie per la coscienza (a differenza della relazione mondo-cervello); senza tempo non vi sarebbero né coscienza né Sé, che ci collegano agli altri e al mondo esterno. Noi sviluppiamo il nostro Sé dalla più tenera età e ce lo portiamo dietro, in buona sostanza, fino alla tomba. Il corpo e l’ambiente esterno cambiano, così la relativa realtà materiale; i nostri pensieri e le nostre cognizioni cambiano continuamente nel corso della nostra vita. Dati empirici dimostrano che la continuità temporale, l’integrazione e l’annidamento dell’attività spontanea codificano direttamente la coscienza di sé, collante mentale fra l’identità e la differenza, fra le prospettive interna ed esterna, fra il cambiamento e la persistenza. Le caratteristiche mentali come il Sé e la coscienza sono frutto della trasformazione delle onde del mondo nelle neuroonde del cervello, mentre il vero e proprio “concetto” di mente è altro, non serve: non è conseguente ma superfluo. Non accuratamente indagato è il fenomeno della separazione della storia sapiens delle emozioni e degli altri stati di coscienza dalla storia profonda dei circuiti animali di sopravvivenza: il cammino alla scoperta di noi stessi è ancora lungo, facciamolo con coscienza! I riferimenti bibliografici riguardano soprattutto studi collettivi di laboratorio, ai quali l’autore molto ha contribuito.

 

Guia Soncini

«L’era della suscettibilità»

Marsilio

192 pagine, 17 euro

Il suscettibile ecosistema umano terrestre. Da un po’. Chiedere la testa di chi non ci piace è diventato uno sport di massa, soprattutto dopo che sono arrivati i social, soprattutto attraverso gli stessi social. Poi, a quel punto, quando qualcuno chiede la testa di qualcun altro, il qualcun altro è spesso ritenuto colpevole d’aver leso la generale suscettibilità collettiva e spesso in America la testa viene ottenuta prontamente; in Italia e in Europa un poco meno, ma sempre con gran mugugni dei suscettibili locali. Appare difficile sostenere semplicemente una propria opinione o sfottere altri, relativizzare azioni e reazioni, offese e accuse. Vengono di continuo dogmaticamente enunciate linee guida della suscettibilità su quella materia o in quell’organo d’informazione, su cosa non si può fare battute, per esempio, pena il licenziamento. Forse appare allora utile cercare di capire come siamo arrivati non all’azzeramento delle carriere degli impresentabili, ma a desiderarlo, quell’azzeramento. Perché l’esistenza di chi la vede diversamente da noi ci offenda. Cosa ci abbia resi così fragili e lamentosi da sentirci in pericolo per l’esistenza stessa del dissenso. Perché la sinistra abbia scippato alla destra il primato del piglio censorio, e talora si compiaccia di far passare leggi per cui dire a qualcuno qualcosa di offensivo è un reato invece che, al massimo, maleducazione. Quando siamo diventati così bisognosi di tutele, così incapaci di mandare a quel paese chi ci dica qualcosa di spiacevole, e di dimenticarcene dopo due secondi. Quando abbiamo deciso di preferire la tutela della suscettibilità alla libertà di parola. E, purtroppo, perché abbiamo scelto di dimenticare che le classi sociali esistono, che ricchi e potenti fanno valere la propria integra suscettibilità aumentando sfruttamento e diseguaglianze, non finte bensì vere.

La giornalista e scrittrice Guia Soncini (Bologna, 1972) esamina le parole inglesi e italiane di un possibile glossario della neolingua della nostra epoca: identity politics, trigger warning, cancel culture, safe space, me too, virtue signaling, misgendering, body shaming, tutto sembra ruotare intorno all’aggettivo woke, assegnato ai sempre suscettibili, che vogliono stare dalla parte dei buoni, considerare sacre le proprie sensazioni, essere considerati giusti e coerenti, “giustiziare” gli altri. In una ventina di agili godibili capitoli, zeppi di casi e citazioni, mostra quanto sia esagerata e dannosa la diffusa suscettibilità contemporanea. Ecco alcuni titoli delle narrazioni, rendono l’idea: la morte del contesto; il feticismo della fragilità; niente basta mai; la pigrizia dell’indignazione; la ricerca spasmodica del cretino; l’indignazione deperibile; non c’è niente da ridere; angoli di nicchie di frazioni di minoranze; chi si offende è perduto; com’è cominciata: Diana, la dea della vulnerabilità. Ci sta: sembra proprio giustificato l’allarme per avere sempre e solo sé stessi e le proprie personali appartenenze come specchio indignato di valori assoluti e diritti collettivi. Con coraggio e acume, stile fresco e televisivo, spunti autobiografici, e opportuni rischi d’impopolarità, scoperchia il velo che copre un neomaccartismo incipiente nelle democrazie liberali. Ha questo unico obiettivo e ovviamente esagera un poco pure lei: talvolta ribadisce di continuo e si ripete; usa continue iperboli individuali (il più grande attore vivente, la matrice di tutti i disastri d’incomprensione, il più geniale gruppo comico del Novecento, tanti libri “decisivi”); isola troppe novità rispetto a storia e biologia; finisce per escludere ogni possibile azione, anche verso comportamenti non di mera maleducazione; pur segnalando che qualche tentazione woke le è capitata, rischia spocchie di suscettibilità, forse inevitabilmente. Resta la godibilità della scrittura (e della lettura) e il merito di aver posto una grande questione democratica e sociale (della quale essere tutti noi più consapevoli, con parole e fatti).

Ingrid Seyman

«La piccola conformista»

traduzione di Marina Di Leo

Sellerio

190 pagine, 15 euro

Marsiglia. 1975-1985. Esther Dahan è una bimba nata “da una pecorina” in una località sciistica, da genitori sessantottini che non nascondevano la preferenza per quella posizione: madre Elizabeth Babeth, atea, aria da figlia dei fiori, capelli biondi e occhi nocciola, padre Patrick, ebreo, bancario di professione, responsabile-grossi-clienti, bruno con sopracciglia bionde, occhi azzurri. Quando Esther ha tre anni (1975) decidono di separarsi, poi cambiano idea e le danno un fratellino, l’iperattivo Jeremy, da circoncidere (il che suscita la sua invidia). Lei diventa presto un’incorreggibile conservatrice reazionaria, inizia a definirsi esplicitamente “di destra”. Tanto più che li mandano alla scuola cattolica nel quartiere più borghese di tutta Marsiglia. Non può che accadere di tutto, fino al fatidico 7 gennaio 1985. Ironica divertita resoluta narrazione in prima “infantile” per il bell’esordio letterario, “La piccola conformista”, della giornalista e regista francese Ingrid Seyman.

 

Richard Greene

«Roulette russa. La vita e il tempo di Graham Greene»

traduzione di Chiara Rizzuto

Sellerio

872 pagine, 24 euro

Regno Unito e mondo. 1994-1991. Esistono già biografie di Graham Greene. Negli ultimi venti anni sono state rintracciate altre sue pubblicazioni, si sono aggiunte nuove fonti storiche e informative, amici e compagne hanno integrato eventi, studiosi hanno arricchito la conoscenza dei luoghi che aveva visitato da giornalista e scrittore. Era imperativo raccontare meglio la sua vita all’interno dei contesti di dozzine di paesi. Vi riesce un omonimo non parente, il professore di letteratura e poeta canadese Richard Greene (1961), che in “Roulette russa” racconta nel dettaglio eventi chiave e vicende private di un immenso romanziere inglese affetto da disturbo bipolare (tentò il suicidio più volte), sposta l’attenzione dagli oscuri particolari della sua vita sessuale al suo impegno nelle correnti politiche, letterarie, intellettuali e religiose del tempo, con una ricchissima produzione di romanzi, racconti, opere teatrali, saggi, lettere, memorie, sceneggiature, libri di viaggio, articoli.

 

Gerald Marzorati

«Tardi sulla palla»

traduzione di Paolo Falcone (originale 2016)

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284 pagine, 16 euro

Un campo rettangolare di 23,77 metri per 8,23 (per due persone). Invecchiandovi bene. Il campo da tennis può essere di terra rossa, in erba o in cemento, differenze notevoli nel rimbalzo della palla e nel movimento dello sportivo, pur se il gioco ha sempre le stesse regole. Gerald Marzorati (Paterson, New Jersey, 1953) ha visto il primo match professionistico dal vivo a Wimbledon a 29 anni e ha iniziato a giocare a circa 54. Ha preso la racchetta in mano e si è istruito con Kirill Azovtsev (1987) a New York, dove aveva maturato una splendida carriera di editor di periodici e poi di caporedattore del “New York Times Magazine”. Con applicazione e neuroscienza, alta perseveranza e aspettative basse, è divenuto un ottimo giocatore. In “Tardi sulla palla” spiega come si può invecchiare bene (meglio) con il tennis, dà consigli tecnici, offre aneddoti e notizie sullo sport, praticabile con successo fin oltre gli ottanta, se ci si innamora del migliorarsi e del competere con saggezza e umiltà.

 

Redazione
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