Cambogia, cominciare da noi

di Meghan Battle
tratto da «Starting with Ourselves: Chum Lou’s work in Battambang, Cambodia»  per «HelpAge – International» 2011; la traduzione e  l’adattamento sono di Maria G. Di Rienzo.

Il mio nome è Chum Lou, ho settant’anni. Vivo qui (nel villaggio di Battambang in Cambogia, ndr.) con mio marito e due dei miei figli. Il maschio ha 33 anni ed è disabile. Ha avuto la poliomielite e non riesce a camminare o a stare in piedi da solo. La femmina ne ha 28 ed è insegnante all’asilo.
Io sono nata proprio qui. L’unico periodo in cui non ho vissuto al villaggio è stato quando ci hanno sgomberati di forza nel 1978. Tuttavia, nel 1979 sono tornata. Durante quel periodo, il mio secondo figlio è morto e nello stesso anno l’altro si è ammalato di poliomielite. Gli altri figli non vivono più qui: due sono sposati e stanno con le loro famiglie a Kompong Cham, e uno vive a Svai Sisophon.
Mia figlia sta ancora con noi. Ha un amico che vorrebbe sposare il prossimo anno, ma per quel che riguarda me non c’è fretta. Suo padre ed io vorremmo che il suo compagno fosse un uomo che la rispetta e sappia sostenerla. Io non ho problemi se aspetta di aver trent’anni per sposarsi.
Anche mio marito è disabile, perché è stato malato per molto tempo. Può camminare da solo, e mi aiuta in casa, ma è molto difficile per lui lavorare. Sa che io sono molto indaffarata fra gli incontri e l’imparare cose che possono aiutare la nostra comunità, così mi dà una mano. Io sono spesso via per conto dell’Associazione della Gente Anziana (Aga) perché sono responsabile del programma acqua e impianti sanitari per il nostro villaggio. Mio marito è migliore di me, come cuoco. E quando io ho da fare lui pulisce la casa e si prende cura di nostro figlio.
Le donne in Cambogia hanno già dei diritti: il diritto di imparare, di ricevere un’istruzione, di partecipare, di essere eguali… ma quando vedo i casi di violenza domestica mi ricordo che la nostra società non rispetta completamente i diritti delle donne. La violenza continua attraverso le generazioni. Quando i genitori bevono e agiscono con violenza non possono istruire i loro figli a fare diversamente. Per cui dobbiamo cominciare da noi stessi e dare un buon esempio ai nostri bambini ed alla nostra comunità. Ci sono ancora cose che la nostra società non capisce. Dicono che le donne sono più deboli. I loro corpi, le loro menti, i loro cuori: dicono che tutto di noi è più debole. Ma se studiamo e impariamo di avere dei diritti, allora la gente ci vede e ci rispetta. Non dobbiamo imitare gli uomini, bere, giocare d’azzardo, e dobbiamo smettere di discriminare chi è diverso. Allora gli uomini vedono che siamo forti e quando diamo loro dei consigli li seguono.
Le donne sono uguali agli uomini, ma è che gli uomini hanno paura di noi. Hanno paura perché per tanto tempo sono stati i soli leader e ora devono condividere il potere con noi. Per cui a volte vogliono spaventarci, con la violenza o le minacce. E’ molto importante che Aga abbia leader donne e che siano leader donne nel nostro villaggio. La gente vede che siamo capaci e ci rispetta, e ci pensa due volte prima di dire che le donne sono più deboli degli uomini. Io sono felice di essere una guida nella mia comunità: tutti mi rispettano, mi ascoltano, seguono i miei consigli.
Ci sono alcuni casi di violenza domestica nel villaggio per cui Aga fornisce aiuto e consulenza. Invitiamo le leader della comunità nel nostro centro, a insegnare cosa dice la legge e a rispettare le donne. Anche mia figlia si è impegnata molto sui diritti delle donne. Ha imparato come intervenire nei casi di violenza: perché spesso noi ci accorgiamo che sta accadendo ma non facciamo nulla per fermarla. Adesso io e mia figlia interveniamo sempre: «Non puoi picchiarla a questo modo. Abbiamo leggi contro di questo. E’ sbagliato».
Prima che il mio figlio maggiore si sposasse gli ho parlato della violenza domestica. Gli ho detto che il rispetto è per sempre. Abbiamo parlato a lungo e io gli ho detto di avere un cuore gentile e di ricordare gli esempi che noi genitori gli avevamo dato. «Non puoi cambiar moglie come cambi un vestito» gli dissi: «la nostra vita è difficile e siamo poveri, ma dobbiamo rispettarci l’un l’altro ed essere d’accordo su come vogliamo vivere. Non è che puoi rispettare tua moglie per i primi cinque anni e poi quando ne hai 40 puoi uscire a divertirti e dormire con chi ti pare». Ho voluto dire tutto questo a mio figlio perché desidero che sia un uomo buono e un buon marito.
Il futuro sarà diverso per le donne qui. Tutte studieranno e tutte sapranno moltissime cose, non solo a livello di informazioni: sapranno come essere giuste e compassionevoli. Conosceranno lingue diverse, conosceranno i propri diritti e come smantellare la violenza domestica. Spero che saranno anche in grado di guadagnare abbastanza per sostenere le proprie famiglie, di modo che non dipenderanno dai loro mariti. Le loro esistenze saranno migliori, più solide. Abbiamo ancora così tanto da fare affinché le donne abbiano eguali diritti in Cambogia.

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