Considerazioni in pillole su James Cameron

di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia

Recentemente ho parlato, in una scordata, dell’impresa del regista e sceneggiatore americano James Cameron, sceso in batiscafo nelle profondità “aliene” della Fossa delle Marianne.
Personalità decisamente sfaccettata, quella del regista canadese, nato il 16 agosto 1954 a Kapuskasing, in Canada. Grande appassionato di fantascienza e cinema cosiddetto Bem (acronimo che sta per “Bug Eyed Monster”, filone di fantascienza filmica con mostri insettoidi) si specializzò all’inizio in effetti speciali, distinguendosi per l’acume di certe soluzioni, ottenute con mezzi esigui.
L’occasione per farsi notare arrivò presto, per una coincidenza fortuita, dovendo dirigere per Roger Corman un sequel che qui da noi passò più o meno sotto silenzio, per poi essere rivalutato come film di serie Z di culto, «Piranha paura» (1981).
Ormai lanciato, Cameron si prese un periodo per dedicarsi alle sceneggiature dei suoi fumetti e per un film di cui stava tracciando le linee essenziali, una mescolanza fra il classico paradosso dei viaggi nel tempo e del futuro post apocalittico.
Nel 1984, con un budget ridotto all’osso, dirige con mano sicura «Terminator», lanciando l’attore Arnold Swarzenegger nell’olimpo hollywoodiano, con un film che fece centro al botteghino e fece definitivamente entrare il vocabolo cyborg nel lessico comune, essendo il protagonista della storia un organismo cibernetico dalle sembianze umane che dal futuro arriva nella Los Angeles dei giorni nostri con una missione da compiere: impedire la nascita del bambino che diventerà il capo della ribellione contro il dominio della macchine (convinte che l’essere umano sia un’entità pericolosa, da sterminare chirurgicamente).
Il bersaglio è per l’appunto la madre del nascituro, tale Sarah Connors, cameriera in un fast food alle prese con i problemi di tutti i giorni, ben lontana quindi dal poter sopravvivere all’attacco del potente e letale cyborg. Per fortuna John Connor, il futuro figlio di Sarah, dal futuro, ha pensato a tutto, mandando dietro al Terminator (come viene denominato il cyborg) un soldato ben addestrato, tale Kyle Reese, con il compito di proteggerla a costo della vita, per permettere la salvezza dell’umanità.
Fra un agguato e una fuga ad alto tasso adrenalinico, la dapprima scettica e sospettosa Sarah Connor finirà con lo sciogliersi fra le braccia del premuroso Kyle, tanto che i due faranno l’amore e grazie a lui Sarah potrà dare alla luce John. Il Terminator non demorde nemmeno quando, a bordo di un autotreno, finisce bruciato grazie a una bomba fabbricata da Kyle, risorgendo dalla fiamme con il solo scheletro in lega; prosegue la sua missione, bloccando la coppia in una fabbrica, ma l’ultima bomba di Kyle riesce a farlo esplodere, purtroppo con conseguenze letali per il valoroso soldato.
Ridotto a un torso di ferro ambulante, Terminator ancora obbedisce alla sua programmazione e insegue Sarah, ferita gravemente e sanguinante, per i nastri di trasporto della fabbrica. Dimostrando un coraggio non comune, Sarah lo attira in una pressa idraulica e facendolo schiacciare come una lattina, accompagna l’azione con la celebre frase: «Sei tu terminato, bastardo».
Afferma Cameron a proposito del suo film più celebre: «L’idea di “Terminator” l’ho avuta a Roma, in una camera d’albergo, stavo male, avevo la febbre alta. Mentre ero a letto mi apparivano strane immagini. Inoltre ero solo, in una città straniera e mi sentivo totalmente estraniato dall’umanità. Quindi fu molto facile immedesimarmi in due personaggi del futuro, che sono fuori tempo e fuori posto».
Poco dopo Cameron sviluppò l’idea di Ridley Scott in «Alien» (1979), sceneggiando e dirigendo il sequel «Aliens – Scontro finale» (1986), film che qualcuno ha definito “femminista”: di certo fuori dall’ordinario, tanto claustrofobico e oscuro il primo, quanto iperbolico e adrenalinico il secondo.
Sopravvissuta per miracolo al precedente incontro con il primo Alien, la coraggiosa Ellen Ripley si sta ancora curando le ferite fisiche e psicologiche, quando le viene chiesto di unirsi a una seconda spedizione in difesa del pianeta Acheron minacciato dai pericolosi alieni. Giunta sul posto assieme a una pattuglia di coraggiosi e indomiti marines dello spazio, la situazione che le si presenta è ben peggiore del previsto: quando Ripley ne parla ai suoi superiori viene considerata una povera pazza. Infatti tutti gli abitanti della colonia spaziale sono stati tutti risucchiati dalle migliaia di “insettoni” che hanno preso possesso dell’insediamento. Gli alieni si nascondono negli anfratti, nelle tubature e nei cunicoli del laboratorio sotterraneo, pronti a saltare addosso agli incauti passanti e a insediarsi dentro ai loro corpi, per poi uscirne dal torace con effetti devastanti.
La coraggiosa Ripley, oltre a far da guida ai suoi compagni, si deve prendere cura anche di una bambina trovata rannicchiata e terrorizzata dentro a un pertugio,mentre in ogni luogo vi sono centinaia di uova aliene pronte a schiudersi. A complicare le cose c’è la presenza dell’androide Bishop, il quale è incaricato di portare sulla Terra viva una delle letali creature, anche arrivando a sacrificare tutti i compagni. A eliminare l’androide ci penserà la terribile regina madre, della quale è stato scoperto il nido: nella scena più memorabile del film Ripley dovrà affrontare la tremenda creatura, usando una incredibile armatura semovente e riuscendo a scaraventarla nello spazio.
Una vera resa dei conti fra due madri d’eccezione, un film dunque “al femminile” dove il simbolo della gravidanza e della maternità, sia umana che aliena, viene rappresentato egregiamente.
«The abyss» (1989) chiude idealmente il periodo d’oro della fantascienza di Cameron, con un film che a molti è parso”ecologista” e aprendo una nuova era degli effetti speciali digitali. Anche qui sono presenti creature aliene ma in questo caso abitano le profondità degli oceani e sono di una sensibilità notevole, non è tanto un caso dunque che Cameron si sia avventurato nelle profondità della Fossa delle Marianne: stava tornando a far visita ai vecchi amici.
La storia inizia con la squadra di un laboratorio sottomarino incaricata di recuperare le testate atomiche da un sommergibile sprofondato al largo del Mar dei Caraibi.Nel corso di un’immersione, una dei componenti della squadra, la risoluta Lindsey (ricorre qui il personaggio della donna forte e coraggiosa) viene avvicinata da una misteriosa creatura che ha la forma di un serpentone liquido e trasparente, dall’aspetto amichevole. «Scivolava… era la cosa più bella che avessi mai visto… era come una danza di luce» avrebbe riferito Lindsey all’ex marito Virgil. La donna resta incantata da questa creatura, ma nel raccontarlo deve far fronte al pesante scetticismo e all’ironia dei suoi compagni, fra i quali per l’appunto Virgil, comandante del gruppo.
Intanto una tremenda tempesta in superficie danneggia gravemente la nave appoggio e il laboratorio collegato, mentre gli avvistamenti della strana creatura liquida si fanno più frequenti, tanto che il tenente Coffey interpreta gli eventi come conseguenze degli attacchi di potenze stranieri da bloccare subito con il ricorso alle armi nucleari. L’intenzione del folle tenente viene bloccata da Virgil il quale, dopo una lotta accanita, deve raggiungere il fondale per disattivare una testata colata a picco. Lo fa a rischio della vita ma saranno le pacifiche presenze aliene a salvarlo, riportando alla superficie con l’ausilio della loro enorme astronave sia Virgil che il laboratorio affondato.
Fu considerato l’equivalente sottomarino di «Incontri ravvicinati del terzo tipo» per la grandiosità della realizzazione e per la positività con cui sono rappresentati gli alieni.
Nel film viene utilizzata per la prima volta la tecnica del “morphing”, grazie alla quale è stato possibile animare le fluttuanti forme delle creature subacquee disegnate da Moebius e realizzate da John Bruno e da Steve Johnson il cui lavoro, assieme all’apporto delle grandiose scenografie di Leslie Dilley, fece guadagnare al film un meritato Oscar per gli effetti speciali.
Due momenti memorabili e di grande tenerezza: quando Lindsey guarda faccia a faccia il volto della creatura marina e in questa vede riflesso il proprio viso sorridente e poi quando, sempre Lindesy, accompagna il marito nella delicata fase di rianimazione cullandolo via microfono con la sua voce materna.
«Se continuerete su questa strada, la vostra distruzione sarà un viaggio di sola andata. Noi sopravviveremo e ci saremo ancora, voi no» affermano gli alieni acquatici, un chiaro riferimento alle parole pronunciate al momento della partenza dell’alieno nel vecchio film «Ultimatum alla Terra».
Motivi ricorrenti nelle opere fantascientifiche di Cameron sono anche i richiami alla madre primordiale, alla figura della donna e alla follia tutta maschile e distruttiva che anima le sue trame.
«Penso di essere un filmmaker. Non mi sono mai sentito un regista» affermò Cameron in un’intervista.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *