Cosa ha celebrato il Nicaragua il 19 luglio
Il il 46° anniversario della Rivoluzione Popolare Sandinista si è ormai trasformato nell’autocelebrazione di Daniel Ortega e Rosario Murillo: un mero esercizio di propaganda che nulla ha a che fare con la lotta rivoluzionaria contro la dittatura somozista
di Bái Qiú’ēn
Hay un clamor que viene de la montaña, / hay un clamor que se oye al amanecer. / Que dice así: revolución, revolución, ay, revolución. (Luis Enrique Mejía Godoy, Pancasán)
«Todos somos Daniel». Con queste tre parole ripetute alcune volte con voce stanca, il copresidente Daniel ha iniziato il suo discorso per il 46° anniversario della Rivoluzione Popolare Sandinista. Prima di queste tre parole, il “popolo” seduto ben composto e quasi immobile nella Plaza la Fe (come tanti plotoni militari) aveva inneggiato a Daniel che sembrava non avesse il fiato per iniziare il discorso. Che abbia problemi di salute è noto: nei giorni precedenti era annunciata la sua presenza ad alcune importanti inaugurazioni, ma all’ultimo momento sono state annullate e rinviate a data da destinarsi.
Sempre con un filo di voce: «Qui tutti siamo Daniel, tutti, dal più piccolo o dalla più piccola, al più grande, per non parlare del popolo! Siamo tutti Daniel!».
Negli ultimi sette anni il fervore spontaneo e allegro della celebrazione dell’anniversario del trionfo della Rivoluzione Popolare Sandinista è stato sostituito con eventi iper-controllati e partecipazione selezionata su invito. Nei primi anni Plaza de la Revolución era talmente stipata che bisognava sedersi sui pericolanti cornicioni della vecchia cattedrale terremotata: dai barrios più periferici di Managua le persone si muovevano di buon’ora, a piedi, per festeggiare la liberazione del Paese da una tirannia durata oltre quaranta anni, sventolando con orgoglio le bandiere rossonere e cantando qualche canzone rivoluzionaria.
Dopo la sconfitta elettorale del 1990, la sera e la notte tra il 18 e il 19 luglio, spontaneamente le persone si radunavano negli incroci delle strade, dando fuoco a vecchi copertoni di camion, ballando e gridando slogan contro il neoliberismo. Donne, uomini, anziani e bambini sfogavano con allegria la loro rabbia contro un sistema iniquo che speravano di poter superare, presto o tardi.
Nel 2007, finalmente, quella speranza sembrava essersi realizzata, ma le belle parole di Daniel servivano soltanto a coprire un neoliberismo sempre più sfrenato. Così, nel 2018 una buona parte della popolazione e della militanza sandinista scese nelle piazze per dire che era stanca di belle parole che non corrispondevano ai fatti.
Da allora a oggi, Daniel e i suoi allegados hanno sempre più ristretto gli spazi di partecipazione, instaurando un sistema che è possibile definire “Stato di polizia”. La nuova forma ristretta per celebrare il 19 luglio lo attesta senza ombra di dubbio: la gente, il popolo che spontaneamente riempiva la piazza è stato sostituito da poche centinaia di fedelissimi attentamente sorvegliati da poliziotti in divisa e in borghese perché non si sa mai: in troppi hanno già abbandonato un sistema politico-sociale distante anni luce da quello che nacque nel 1979.
«Todos somos Daniel» non è la stessa cosa che affermare «Todos somos Revolución».
Nella neolingua orteguista “Stato di polizia” si traduce con “paz”, pace, pace sociale. «Abbiamo la pace, ma questo non significa che il nemico si riposi, il nemico cospira sempre, cerca sempre di provocare spargimenti di sangue, cerca sempre di causare dolore nelle famiglie nicaraguensi, perché pensa di poter rovesciare la Rivoluzione, perché ha l’appoggio degli imperialisti della terra».
Più che una festa di popolo che balla e canta in piazza per esprimere la propria felicità, il 19 luglio è ormai l’autocelebrazione di Daniel (e Rosario): un mero esercizio di propaganda che nulla ha a che fare con la lotta rivoluzionaria contro la dittatura somozista. È sufficiente confrontare le immagini degli anni Ottanta con le attuali per notare la differenza. È però un rito che si deve compiere per mantenere nella sempre più ristretta base orteguista l’illusione che il percorso dal 1979 a oggi è rimasto immutato.
Parecchia acqua è però passata sotto i ponti. Forse qualche lettore ricorda che il 17 settembre 1980 nella capitale del Paraguay l’ormai esiliato Anastasio Somoza Debayle fu giustiziato da un commando di sette argentini appartenenti al cosiddetto Ejército Revolucionario del Pueblo. Che il FSLN fosse l’organizzatore non è certo, ma assai probabile (Claribel Alegría e Darwin J. Flakoll, Somoza. Expediente cerrado. La historia de un ajusticiamiento, Latino Editores, 1993).
L’attuale potere orteguista, più che rifarsi a questo esempio di giustizia rivoluzionaria, si ispira al Cile di Pinochet: il 2 settembre 1976 a Washington alcuni sicari assassinarono Orlando Letelier, ex ministro degli Esteri del governo di Unidad Popular (lo confermano alcuni documenti declassificati della CIA).
Il 19 giugno di questo 2025 a San José, capitale del Costa Rica, un commando ha assassinato l’ex maggiore Roberto Samcam, sandinista e dal 2007 feroce critico di Daniel. Dal 2018 si era autoesiliato nel paese confinante ed era almeno il sesto tentativo di assassinarlo. Prima di lui, sempre a San José il 10 gennaio 2024 vi fu un secondo tentativo di assassinare un altro oppositore esiliato, con ben tredici spari contro di lui dopo un primo tentativo nel settembre 2021: Joao Maldonado, pure lui sandinista critico. Numerosi altri casi sono stati denunciati negli ultimi anni: pare addirittura che il corpo di un oppositore assassinato in Costa Rica sia stato rinvenuto in Honduras il 25 giugno 2022 (Rodolfo Rojas Cordero altro ex militare e militante sandinista antiorteguista).
Le parole di una canzone orteguista affermano: «Afuera, afuera pueden decir lo que quieran, pero si están en tierra nica, respetá mi bandera». Fuori (in altri Paesi) possono dire ciò che vogliono, ma se sono in Nicaragua, rispettino la mia bandiera. Non solo si afferma che la libertà di espressione è a senso unico ma, a quanto pare dai recenti fatti, si rischia parecchio anche a criticare dall’estero: «non ci sarà spazio per terroristi, i cospiratori, i traditori, perché sapranno che quando verranno scoperti, verranno catturati e processati». O eliminati fisicamente.
Questo è ciò che si è festeggiato il 19 luglio 2025: il mantenimento del potere nelle mani di Daniel e della famiglia (con relativi allegados). È oggi una celebrazione divisiva, che non celebra l’evento storico che 46 anni fa cambiò il Nicaragua: è l’annuale consacrazione di Daniel.