Curarsi non è facile (un po’ come amare)

86esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

Ho imparato a curarmi… quando ho smesso di curarmi troppo!

Un mio zio antico diceva: «Io ho imparato a curarmi quando ho smesso di curarmi troppo». Ho preso da lui. Tutto agisce nella psiche, insisteva mia madre. Seneca diceva che per stare bene bisogna fare movimento fisico, remare, passeggiare… Io mi sono curato camminando e continuo a farlo. Siamo fatti di un insieme organico: se curo troppo la psiche non va bene, così se curo troppo il corpo. Neanche curarsi troppo nell’insieme va bene.

Una signora mi ha chiesto consigli per stare bene, “come vivere” ha detto lei. Ma io non sono un curandero, forse un po’ naturopata… ma naturale! Non ho studiato più di tanto però ho letto «La medicina naturale alla portata di tutti» di Lazaeta Acharan. Direi alla signora (e a chi vuole ascoltare) per andare nel concreto: «Va, dai tutti i tuoi beni a poveri e seguimi» ma questo non sarebbe originale; e neanche la signora mi seguirebbe (o sì?). Meglio che mi segua senza lasciare i beni (tutti) ai poveri, perché se no poi cosa mi dà a me? Spero si capisca che sto scherzando.

A parte questi capitomboli, il modello da seguire è quello dei nostri nonni, con qualche ritocco. Nonni e nonne non avevano giubbotti di pelle, piumini, parca ma solo scialli, mantelli, cappotti i più facoltosi (mio nonno paterno sì perché era sarto aristocratico; sarto pure l’altro nonno, benché socialista militante e quindi “vestito di povertà” un cappotto, almeno in una foto d’epoca, lo aveva). Dal 2000 ho iniziato a chiedermi cosa mi servisse davvero per stare bene. Quasi trent’anni, avevo vissuto mediamente bene, laureandomi ecc. Nel giro di qualche tempo rimasi in mutande metaforicamente; in realtà neanche le mutande a volte avevo (per scelta) pur se uscivo fuori di casa ma ero in una casa di campagna persa nel nulla… paradiso ritrovato!

A un certo punto mi curavo troppo: in modo radicale e integralista, l’alimentazione e lo stare bene (sempre nudo o comunque quasi sempre a piedi nudi). Ho capito che era una deriva narcisista, quindi tornai a vivere in comunità, sempre mantenendo spazi di solitudine. Ora dico alla signora: provi a usare i sandali anche d’inverno così il piede respira, non suda, il sangue circola e non è vero che fa freddo. Molti che usano scarpe chiuse dicono che hanno freddo ai piedi così, figuriamoci coi sandali! E io replico: “cara signora mia, è il contrario”; con le scarpe chiuse l’aria entra comunque e fa una bolla d’aria fredda (isolamento termico, aria ristagnante) da qui il freddo ai piedi. Se vogliamo essere meno radicali, come mi disse una volta Agostino: «Io uso scarpe chiuse ma un filino più grandi della mia taglia, così l’aria circola meglio all’interno». Il fatto di spostarmi spesso, dopo il 2005, mi ha fatto abbandonare del tutto le scarpe chiuse, anche grazie a Sara, un’amica antropologa che usava sandali anche d’inverno (ma si portava dietro scarponcini da alternare all’occorrenza). Spostandomi da Siena verso la Val di Susa, a inizio 2006, in treno, autobus e autostop (a volte in bicicletta), senza una dimora privata, pensai bene di alleggerirmi lasciandomi alle spalle quelle che in una strofa della canzone Poesia di neve: raccontai così: «Le scarpe chiuse non danno respiro / solo coi sandali mi sento vivo». Lì credo c’è tutto un programma di leggerezza che diventa anche terapia costante, prevenzione, ma soprattutto cura di una leggerezza che viene dalla povertà volontaria. La prima volta che le chiesi come mai usasse i sandali d’inverno, Sara mi rispose consigliandomi di studiare la seconda legge della termodinamica!

L’acqua fredda…

Acqua fredda come agente naturale: i nostri nonni la usavano molto, anche come terapia. Mi raccontavano che per la febbre compulsiva, immergevano i bambini piccoli dentro l’acqua fredda. Amici più grandi ricordavano che un prete del mio paese, quando i ragazzi della parrocchia avevano il raffreddore con febbre li portava in zone di campagna (allora cioè negli anni ’70/80 vicine al centro) dove c’era lu fumiri – cioè il letame – e faceva respirare quell’aria, un toccasana per le vie respiratorie. Un curandero nel mio paese si chiamava veramente magàru. Ricordo bene Ninu Fumu, papà di due miei compagni di infanzia. Una volta uno dei suoi figli colpì per sbaglio, con un sasso, un ragazzo alla tempia, allora lo portò a casa da suo padre. Andammo tutti e aspettammo che u zi Ninu Fumu lo curasse, Dopo una mezz’oretta il ragazzo tornò fuori con un puntino sulla tempia: non aveva messo punti di sutura. Un impacco misterioso? Una tintura di erbe da lui elaborata? Chissà, venivano da tante parti a farsi curare con le erbe di Ninu Fumu. L’acqua fredda come agente naturale l’ho riscoperta nel libro di Lazaeta Acharan, ma già mio fratello ai tempi dell’Università, finiva di farsi la doccia con un gettito di acqua fredda. Poi scoprii che l’acqua fredda riattiva i centri nevralgici, rilassa, tonifica, insomma, un toccasana. Però anche lì ci vuole cura, non bisogna farlo in modo troppo scombinato: proponevo e mi proponevo (nel mio periodo radicale) la doccia fredda, adesso faccio solo i gettiti finali. Una volta facevo i bagni “di asciugatoio” cioè strofinare sul corpo un asciugamano imbevuto di acqua fredda (vedi libro di Acharan prima citato): in quel caso però bisogna poi coprirsi o fare attività fisica. Un allenatore di calcio – molto prima che scoprissi La medicina naturale alla portata di tutti – siccome io avevo un po’ di febbre e non volevo allenarmi, mi disse che era meglio sudare, così espellevo le tossine e mi propose una doccia terapeutica a scalare: la prima molto calda, la seconda tiepida e la terza fredda. L’esperimento riuscì. Lazaeta Acharan consiglia anche i bagni ai genitali con acqua fredda passata sotto i genitali: lì ci sono centri nervosi che con l’acqua fredda si riattivano e hanno un effetto benefico sull’insieme.

Altri agenti naturali: aria, fuoco e terra

Ricordo che per un periodo facevo i bagni di sole, cioè mi mettevo nudo sopra la terra sabbiosa e pietrosa davanti la casa di campagna (poi Teatro dell’Anima). I piedi li avevo sempre nudi, mia nipote di 4 o 5 anni che abitava a Milano, mi chiedeva, “Zio ma perché hai i piedi grigi?”. Tutto ciò è una buona base, poi ovviamente è da contestualizzare. Quando mi mettevo a camminare a piedi nudi nell’asfalto di Milano con Daniela, la fidanzata di quel periodo, o quando nella spiaggia di Noto con Sara non mettevo il costume per evitare gli elastici e usavo un pareo … ecco, quelle erano altrettante derive narcisiste! Ora uso i sandali, quando riesco mi tolgo le scarpe e cammino a piedi nudi: l’importante è non perdere il contatto con gli elementi. Tempo fa sono stato in un posto di campagna dove abita un amico, lui sempre a piedi nudi. C’era un ospite che si atteggiava a maestro spirituale d’accatto e diceva che aveva perso quel piacere. Non è questione di “pericolo”. Nel mio racconto Acqua cavalli e noci l’ho illustrato: mentre mi dicevano che potevo infilzarmi una spina camminando a piedi nudi in campagna, io sentivo la vita entrarmi dentro e pervadermi con la frescura e l’energia dell’erba, delle piante, delle pietre, della terra madre e maestra. Usare i piedi come mezzo di spostamento prioritario e non guidare un’automobile privata sono cambiamenti di civiltà, che portano, oltre a un benessere sociale e interiore, anche uno star bene fisico, un equilibrio olistico, cioè dell’insieme. Mio zio Roberto Mendola, cardiologo di Palermo, consigliava a mia madre come terapia di base di camminare a piedi. Mia madre non l’ha potuta molto praticare fino ai 60 anni, ma dopo si è “vendicata” al punto che a 75 anni andava sempre a piedi (ha smesso di guidare a 65 anni) e per andare alla Posta o dal medico si spostava in autostop! Mi ricordo che quando ho deciso di far scadere la patente mi riappropriai delle strade: andavo dal mio paese alla casa di campagna dei nonni, anche in paesi e città vicine; decine, a volte centinaia di km a piedi o in autostop. Ti riappropri di un mondo sepolto, di una quotidianità calpestata! In nome di cosa? Di un’alienazione assicurata e di una frustrazione esponenziale. Un ragazzo che mi diede un passaggio mi chiese come mai andassi a piedi (in un mondo capovolto chi va a piedi è considerato pazzo, ha scritto un poeta veneto anni fa) e io gli feci notare che mio nonno e suo nonno non avevano l’automobile. Riscoprire la memoria storica può restituirci un orizzonte di senso… perduto! Non sono velleità o vezzi “anarcoidi” se vissuti fino in fondo, costantemente: alla lunga tutto ciò paga. Per aspera ad astra.

Una volta da una casa di campagna andai in paese, lo dissi all’amica che mi ospitava, e lei chiese «Ma quanto tempo ci metterai?». Erano 5 Km. Andai e tornai in un tempo così breve che lei esclamò: «Non ci posso credere! Ci hai messo meno di quanto avresti impiegato con una macchina, perché in quel caso avresti pure perso tempo a trovare un parcheggio».

L’alimentazione

Nutrirsi è importante, sì. Ma come? In un periodo mangiavo “da Dio”: mi cucinavo tutte cose naturali, integrali, non mangiavo carne e derivati. Però … torniamo a mia madre: tutto agisce nella psiche. Ho letto in un’intervista a un maestro indiano che se non hai un equilibrio psicofisico anche se mangi gli alimenti più sani di questo mondo rimani “squilibrato”. Cominciai a dare retta a Fabrizio Lunetta (è un amico poi tragicamente morto per mano sua) che ripeteva a me e a Calogero “siete troppo concentrati sul nesso stomaco e cervello” perché facevamo gli schizzinosi su alimenti, orari, quantità ecc. Fabrizio aveva ragione: in quel periodo ho rischiato di deperire. Ho dovuto fare una cura ricostituente. Perchè, fondamentalmente, mi stavo facendo carico di un peso psicologico enorme, cioè la colica nervosa di mio padre! Adesso in modo comico la riassumo così: mio padre diceva che gli gonfiava la pancia per colpa mia, in realtà lui mi “proiettava” la sua colica nervosa, solo che l’ho capito… a fatto compiuto. Adesso, se qualcuno mi dice che ho la pancia gonfia e butta giù un affrettato quanto insensato «Devi mangiare meno» o «Bevi meno birra» rispondo così: «Questa è la colica nervosa di mio padre!». Volete sapere come la curo? Cantando! Il detto “canta che ti passa” è vero. Per me con due canzoni in particolare: «Il rospo di mio padre» e «Inno al rutto con stile».

Se dovessi consigliare una terapia e una cura naturale preventiva vi direi sicuramente di mettervi a cantare, magari imparare a suonare uno strumento, così, alla buona, senza tanti fronzoli. Cantare è pregare due volte, ma anche curarsi due volte! Cantando si butta fuori tutto mentre tenendo dentro le emozioni si rischia di ammalarsi seriamente.

Consigli utili: nutritevi con il miele, quello buono comprato da produttori locali di fiducia. Il miele ha molte proprietà curative e cura particolari disturbi: quello d’acacia è ideale per il mal di testa, quello di tiglio per il mal di gola ecc. Abituatevi a nutrirvi e curarvi con l’aglio. Incontrai un calabrese a Perugia che diceva di mangiarne due ogni mattina appena sveglio: sì fa bene anche in questo modo, però basterebbe mangiarne uno al giorno, e neanche regolarmente, ma metterlo per esempio nella minestra, anche a freddo, insaporisce e non invade. Non friggerlo spesso: meglio a freddo o bollito. I cibi cotti in generale non sono da consigliare. Sarebbe meglio cuocere a vapore, le verdure per esempio. Un altro elemento della dieta quotidiana che consiglio è l’insalata, che è anche un potente calmante e sedativo. Mia nonna usava il brodo di lattuga per i dolori dei denti.

Sintomi di salute e sintomi di intoppi

Fare la cacca almeno due volte al giorno è segnale di buona salute. Credo che per molti di noi sia raro avere un ritmo simile. Parlandone sento dire “spesso capita di non farla per uno o più giorni”. Io cammino molto a piedi, e mi rendo conto che questo è un elemento che facilita la defecazione. Aiuta anche mangiare lattuga, yogurt, bevande calde, miele. Senza dimenticare che il benessere è olistico: tutto è collegato. Il sonno regolare è fondamentale Se vi svegliate di notte con pensieri assillanti ma vi riaddormentate dopo… è tutto sparito. Riuscire a dormire almeno 6 ore a notte, possibilmente non addormentandosi dopo mezzanotte, è una buona base di benessere. Danilo Dolci aveva fatto una scelta radicale, che ai suoi tempi non era così radicale come potrebbe sembrare post anni ‘90: andava a dormire alle otto di sera e rifiutava ogni tipo di impegno politico e sociale dopo le cinque del pomeriggio, però al mattino si svegliava alle 4 per cominciare a scrivere, incontrare persone, fare il lavoro sociale. Il sonno compreso tra le nove di sera e le sei del mattino è più pieno e rinvigorente di quello di chi dorme dopo queste fasce orarie. Forse in alcuni passaggi di questo trattatello che sto scrivendo si evince che c’è un’impostazione di arte terapia o di cura di sé profonda. Effettivamente non mi viene spontaneo dare “ricette”, bensì indicazioni perla cura dell’anima in senso olistico. Mi sono “sforzato” di indicare alimenti salutari che credo siano importanti ma prima occorre una revisione e un ravvedimento, o comunque parallelamente occorre smantellare i “blocchi” autodistruttivi, di tipo consumistico e spasmodico: non si può mettere vino nuovi in otri vecchie.

Ci si deve avviare verso un profondo cambiamento di civiltà, di paradigma: da antropocentrico a ecocentrico. Curarsi “dal basso” è un po’ come amare: cioè anche in amore si deve imparare a sopportare a volte una sensazione di perdita di sé ma è un sé superficiale. L’acqua fredda sulla pelle sembra un fastidio, eppure fa tanto bene. Così i sandali. Molti considerano il miele “troppo dolce”: invece non solo dobbiamo imparare a utilizzarlo sul pane o nelle bevande ma anche mangiarlo puro. Stessa cosa con l’aglio: in un mondo che comincia a dare di matto con i cibi “aglio free” rivendichiamo il piacere di mangiare aglio crudo magari con un pezzo di pane e olio o messo in un’insalata.

Per finire: vedo in un numero di Mind (agosto 2021) che il servizio di copertina è «L’arte di essere sé stessi: per essere davvero autentici non basta seguire i propri desideri e dare voce alle proprie emozioni ma occorre anche integrarli con gli stimoli dell’ambiente». Potrebbe essere un buon inizio.

Le immagini – scelte dalla “bottega” – sono di Jacek Yerka.

QUESTO APPUNTAMENTO

Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *