a Cutro
articoli di Iuri Maria Prado, Umanità Nova, Fulvio Vassallo Paleologo, Matteo Saudino, Salvatore Palidda, Luca Casarini, Enrico Euli, bortocal, disegno di Luc Garcon
La strage di Cutro non solo di Stato ma anche razzista – Iuri Maria Prado
Ieri un telegiornale nazionale ha aperto sul bilancio “in progress” della strage di migranti dell’altro giorno: persone che, spiegava la conduttrice, salendo su quel barcone hanno deciso «di mettere a repentaglio la propria vita come quella dei propri figli». Si tratta, come sappiamo, della posizione che ha ritenuto di assumere il governo, una giudiziosa combinazione dei protocolli da compagnia di assicurazioni con i più moderni insegnamenti della scienza metereologica e con le più avanzate acquisizioni in campo di responsabilità genitoriale, il tutto riassunto in questo schema:
1) quando scappi dalla fame, dalla guerra e dall’oppressione, tieni conto del disclaimer ministeriale per essere sicuro se, come e quando hai diritto di essere salvato; 2) in ogni caso, altrimenti scatta la clausola di esonero, guarda il bollettino del mare; 3) soprattutto, sii “etico”, cioè non contravvenire all’obbligo di educare i tuoi figli secondo il principio dello Stato cui pretendi di accostarti, vale a dire “prima gli italiani”, e ricorda che soltanto poi e soltanto forse, meteo permettendo e condizioni contrattuali ammettendo, vengono i tuoi figli, che giusto per combinazione non sono battezzati e non hanno la pelle bianca.
Visto che almeno un paio di ministri, quello dell’Interno, il Commendator Carico Residuo, e quell’altro, Capitan Ruspa, minacciano querele nei confronti di chi osa affermare che sarebbe stato possibile salvare quei migranti, vediamo di intenderci. È verosimilmente improprio, o comunque è discutibile, reclamare le dimissioni di un ministro che dice uno sproposito, e probabilmente non dovrebbe dimettersi neppure se pretende di presidiare le enormità cui si abbandona con l’annuncio dell’azione legale contro chi lo critica.
Ma dire, come ha fatto questo giornale, che quella che si è consumata davanti alla Calabria è una strage di Stato costituisce l’esercizio di un diritto pieno: un diritto che nessuno, tanto meno un esponente del governo, può anche solo sognarsi di contestare, figurarsi tentare di conculcare a suon di querele. E siccome l’andazzo è questo, vediamola anche meglio. Non solo è una strage di Stato, dicitura che rimanda solitamente a una neutra prepotenza o negligenza omicida che viene dai lombi del potere pubblico: è pure di stampo etnico-razziale, perché questa gente è lasciata morire in mare non perché sta in mare, ma perché è fatta di migranti, gente di pelle e di religione diverse, e che in forza di questa diversità vede dimidiato, anzi annullato, il diritto di essere salvata.
E a mettere in forse, anzi a revocare, il dovere di salvare quella gente non è l’impossibilità di salvarla perché c’è il maltempo, non è l’avventatezza del clandestino insubordinato all’etica parentale del profugo comme il faut, non è il viaggio in violazione degli standard di sicurezza che il ministero-broker pretende dal contraente-migrante: a far accantonare il dovere di salvarli è che sono poveri e neri. Su quella strage, come sulle tante pregresse, non c’è dunque il semplice sigillo di una politica dello Stato: c’è il marchio di una politica razzista.
La Geo Barents bloccata ad Augusta. A Cutro nessuno salva i naufraghi.
La nave di Medici senza Frontiere, la Geo Barents, è in fermo amministrativo nel porto di Augusta, accusata di aver violato le norme imposte dalla legge sulle ONG, che obbliga a salvare solo un gruppo di naufraghi per volta, pretendendo che siano trasportati in porti lontanissimi. La Geo Barents è accusata anche della mancata consegna della scatola nera della nave, sebbene normalmente venga richiesta solo in caso di incidente occorso all’imbarcazione. L’ultima di una lunga serie di trappole per impedire i salvataggi in mare.
La Geo Barents e le altre navi delle ONG operano in un settore del Mediterraneo dove non c’è nessuno che si occupi di soccorrere i naufraghi.
Le guardie costiere italiana e maltese non escono dalle acque territoriali, la guardia costiera libica opera solo respingimenti, per ricacciare nell’inferno dei suoi campi di concentramento chi aveva provato a fuggirne. I mercantili ed i pescherecci vengono intimiditi e ricattati da anni: così capita che, nonostante l’obbligo di soccorso in mare, spesso voltino lo sguardo e filino via veloci, temendo sequestri, multe, controlli ossessivi.
Impedire alle navi delle ONG di prestare soccorso in acque internazionali significa condannare a morte altre migliaia di persone. Chi fugge dalla guerra, dalle persecuzioni, da una vita al limite della sopravvivenza non ha altra alternativa che le incognite di un viaggio, che solo le leggi degli stati rendono pericoloso. Non ci sarebbero passeur, trafficanti, prigioni per migranti, violenze, stupri e torture se le frontiere fossero aperte per tutt* quelli che desiderano attraversarle. Non ci sarebbero lager e respingimenti in Libia se l’Italia non pagasse il governo di Tripoli per fare il lavoro sporco, per spostare sempre più a sud il confine, per rendere ancora più invisibili i corpi, le vite, le storie individuali e irripetibili di ogni essere umano tenti di prendersi un pezzo di vita, un frammento di libertà.
A ricordarci la violenza delle frontiere e di chi le custodisce sono i morti che a volte finiscono sul bagnasciuga del nostro paese. I corpi dei bambini e delle bambine, degli uomini e delle donne.
É successo a Cutro, sulla costa calabrese.
Per giorni il mare ha continuato a restituire i cadaveri di persone annegate perché nessuno le ha soccorse quando la loro nave stracarica si è spezzata in due.
A centro metri dalla costa, in un mare in tempesta, nessuna imbarcazione della guardia costiera italiana li ha raggiunti. Oggi si rimbalzano le responsabilità tra Frontex, Guardia di Finanza, Guardia costiera e potere politico.
Resta il fatto che il primo cadavere lo ha avvistato un pescatore.
“Quei migranti potevano essere salvati. Non è vero che le condizioni del mare rendevano impossibile avvicinare la barca dei migranti” Queste affermazioni, per le quali è stato minacciato di querela dal Viminale, sono di Orlando Amodeo, per lunghi anni dirigente medico della polizia di Stato e da anni soccorritore a Crotone.” “Noi abbiamo imbarcazioni in grado di affrontare il mare anche a forza 6 o forza 7 – ha detto ancora Amodeo – Io sono salito a bordo di quelle imbarcazioni, qui in questi anni, e abbiamo compiuto salvataggi in condizioni simili”
Smentito persino da uno dei suoi, Piantedosi ha tirato dritto ed ha contrattaccato negando tutto.
Implacabile, il ministro dell’interno ha puntato il dito sulle vittime, “perché la disperazione non giustifica viaggi a rischio” per i propri figli. Chi scappa dalla guerra, dalla desertificazione, dalle dittature non ha altra scelta che portare con se bambini e bambine, anziani, malati, fragili.
Riccardo Gatti, responsabile per Medici senza Frontiere della GeoBarents, già capitano della Open Arms, ha detto chiaro che “Nessuno prende il mare con i propri figli se pensa che la terra sia più sicura”.
Per capire il meccanismo che ha portato alla strage di Cutro occorre tuttavia fare un passo indietro al 2019. Fino all’inizio di quell’anno la Guardia costiera italiana pubblicava un bollettino mensile su quelle che all’epoca erano le uniche operazioni che venivano attivate in caso di imbarcazioni in distress, ovvero quelle SAR (search and rescue – ricerca e salvataggio). Dal 2019 questi bollettini sono diventati trimestrali e hanno iniziato a dar conto di altre operazioni che venivano affiancate a quelle SAR, ovvero quelle di Law enforcement, ovvero quelle di polizia di frontiera nei confronti dei migranti, che, sebbene in pericolo, erano etichettati come persone “intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza”.
Se una nave viene segnalata da Frontex come nave di clandestini, interviene, in funzione di polizia e non di soccorso, la Guardia di Finanza. La stessa Guardia di Finanza che per anni ha addestrato i colleghi libici sulle motovedette regalate dal governo italiano di turno.
A Cutro sono partite forze di polizia senza mezzi adatti al soccorso, perché il loro compito non è salvare vite ma arrestare chi viola la legge. Per questo motivo la Guardia Costiera che avrebbe mezzi e competenze per intervenire è rimasta in porto, finché non è stato troppo tardi.
Nulla di casuale. Tutto pianificato da anni nelle stanze del governo e dei propri funzionari sul territorio.
Piantedosi e la sua gang stragista vorrebbero aiutare la gente in viaggio a morire a casa propria. Non sempre gli riesce. Nel frattempo li trattano da delinquenti da fermare ed arrestare, anche se il mare sta prendendosi le loro vite.
In fondo ormai non capita spesso che qualcuno finisca su una spiaggia italiana a smuovere la coscienza inquieta di un paese, che pare avere smarrito la memoria dei propri migranti, delle loro vite grame, dei pericoli, delle persecuzioni e delle umiliazioni che le hanno segnate.
Non lasciamoci peraltro distrarre dallo spettacolo della commozione e del cordoglio messi in scena da Mattarella e dal Partito Democratico. Per anni hanno legiferato ed agito, sia pure con maggiore accortezza e prudenza, allo stesso modo del governo di destra. Hanno misurato le parole ma hanno arato gran parte del terreno sul quale oggi bivaccano le squadracce di Meloni.
Un mondo senza stati né frontiere è l’unica alternativa possibile.
A ciascuno di noi l’impegno a rendere sempre più forti le lotte, le reti di solidarietà sulle frontiere, il sostegno alle navi, che nonostante le leggi contro di loro, tenacemente provano a sottrarre alla ferocia delle frontiere chi naufraga nel Mare di mezzo.
m.m.
Per un approfondimento, ascolta la diretta dell’info di Blackout con Riccardo Gatti Geo Barents
Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti – Fulvio Vassallo Paleologo
Questa volta le vittime di naufragio non le potranno nascondere, e neppure giustificare. Troppo facile dare la colpa di tutto a qualche presunto scafista o alle organizzazioni criminali che fanno partire i barconi che attraversano il Mediterraneo con il loro carico di persone costrette alla fuga in mare per la situazione tremenda che hanno vissuto nei paesi di origine, Iran, Pakistan e Afghanistan, questa volta, ed in quelli di transito come la Libia, o la Turchia, e per la mancanza di canali legali di ingresso ( come visti umanitari o visti per ricongiungimento familiare). Contro di loro la cancellazione del diritto di asilo, con l’avallo dell’Unione Europea, voluta da chi si propone di bloccare le partenze in collaborazione con i paesi di transito. Soccorsi mancati, se è vero che il barcone era stato avvistato da un assetto aereo di Frontex a 40 miglia dalla costa, molte ore prima del naufragio, ma i primi mezzi di soccorso della Guardia di finanza, secondo quanto riferiscono le versioni ufficiali dei media, sono stati costretti a tornare indietro per le condizioni del mare. Ed evidentemente non erano disponibili, o non sono state inviate, motovedette della Guardia costiera, che sono più idonee ad operare soccorsi in ogni condizione di tempo. Perchè in mare la vita umana è un valore assoluto, che non può dipendere dalle condizioni meteo, o dalle esigenze di dimostrare fermezza nella difesa delle frontiere marittime (law enforcement) o nella “lotta ai trafficanti”.
Centinaia di corpi dispersi in mare, decine di cadaveri che affiorano nelle acque davanti la costa crotonese, punto di sbarco ben noto, da anni, per i barconi che provengono dall’Egitto e dalla Libia orientale (Cirenaica). Se non addirittura dalla Turchia, dopo il rinnovo degli accordi dell’Unione Europea e della Grecia con Erdogan. Le vie di fuga terrestri verso l’Europa, infati, sono sempre più disseminate di muri. Rotte dal’Egeo allo Ionio, sulle quali non operano le ONG, ormai allontanate anche dal Mediteraneo centrale, ma che attraversano una zona SAR, quella maltese, in cui le autorità di La Valletta non intervengono se non all’interno delle loro acque territoriali (12 miglia dalla costa). In questa zona di mare, in tante occasioni, i mezzi della Guardia costiera italiana hanno soccorso migliaia di persone, prima che i barconi si avvicinassero alla costa, dove i frangenti e gli scogli possono causare naufragi dalle conseguenze mortali, come e’ successo oggi. Questa volta nessuno è arrivato in tempo, o forse si pensava che il barcone potesse raggiungere la costa, malgrado i frangenti sollevati dalla burrasca, sempre più violenti in prossimità della spiaggia. Di certo non risultano atività di coordinamento dei soccorsi dalle 20 di sabato scorso, ora del primo avvistamento del barcone da parte di un aereo di frontex, a 40 miglia dalla costa, In un tratto di mare in cui certo non mancavano imbarcazioni in transito, come emerge quotidianamente dai tracciati delle rotte navali commerciali.
Secondo il Regolamento UE n.656 del 2014, (al Considerando 8)“durante operazioni di sorveglianza di frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e del suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo”. Tutte queste Convenzioni contengono disposizioni relative alla tutela dei diritti fondamentali delle persone in situazione di ericolo in mare, che avrebbero dovuto impedire l’assimilazione dell’attività di ricerca e salvataggio ad una attività di immigrazione irregolare, ad un mero “evento migratorio”.
Forse, non si può dire che queste vittime siano conseguenza diretta del Decreto legge Piantedosi, approvato a colpi di fiducia dal Parlamento, ma non basta neppure attribuire tutte le responsabilità alle organizzazioni criminali, spesso in combutta con gli stessi governi dei paesi terzi con i quali non si esita a concludere accordi di respingimento. Anche se tutti sanno che fine faranno i naufraghi riportati a terra. In mano a milizie senza scrupoli che li sequestreranno, abusandone, e li rivenderanno ancora una volta, oppure li rimetteranno su un barcone lanciato verso le coste italiane. Oppure potrebbero scattare altri respingimenti a catena, fino a riportarli nel paese di origine dal quale sono stati costretti a fuggire per salvare la vita. Basti pensare a quello che succede oggi in Iran ed in Afghanistan, paesi di origine di molte delle vittime del naufragio sulla spiaggia crotonese, o in molti paesi dell’Africa subsahariana. Ma anche in Turchia i profughi siriani e afghani vivono in condizioni terribili e sono a rischio di respingimento. Per questo cercano la fuga attraverso il Mediterraneo. Ma non si poteva intervenire con mezzi adeguati per soccorrerle in tempo prima che le onde le inghiottissero?
I tempi di intervento dei mezzi di soccorso statali sono da tempo dettati dall’agenda politica, piuttosto che dall’esigenza di salvare prima possibile vite umane. E per le autorità marittime italiane i barconi che continuano a navigare verso coste insidiose come quelle pugliesi e calabresi, caratterizzate da bassi fondali, possono anche non essere in situazione di distress, di pericolo grave ed attuale per le persone a bordo. Anche se in base al Regolamento europeo n.656 del 2014 dovrebbero tutte essere dichiarate in tale situazione e dunque essere soccorse immediatamente. Spesso si preferisce monitorare il loro percorso come se si trattasse di un comune “evento di immigrazione irregolare” e non di una situazione SAR. Pagine e pagine di procedimenti penali intentati a vuoto contro le ONG, ed oggi archiviati, documentano queste prassi operative di abbandono in mare imposte dai vertici politici.
Non si può attendere che i barconi carichi di migranti provenienti dall’Egitto e dalla Cirenaica arrivino “in autonomia” sulle coste della Calabria, come si attende che arrivino allo stesso modo i barconi che raggiungono Lampedusa. Le dotazioni tecniche dei sistemi di controllo delle frontiere marittime, e i mezzi aerei impegnati dall’agenzia Frontex, consentono di tracciare già in acque internazionali queste imbarcazioni, soprattutto quelle più grandi che, dopo essere partite dalla zona di Tobruk o di Bengasi, se non dalla Turchia, hanno attraversato mezzo Mediterraneo. Le Convenzioni internazionali di diritto del mare, il Piano Sar nazionale del 2020, in conformità con il manuale internazionale IAMSAR, impongono interventi in acque internazionali, anche al di fuori della zona di ricerca e salvataggio (SAR) riconosciuta da ciascuno Stato costiero. Se la vita umana e’ in pericolo non ci si può trincerare dietro questioni di competenza, come avviene troppe volte con Malta e con la Tunisia. E non basta invocare la collaborazione dei paesi terzi nella lotta contro i trafficanti, un rituale al quale si assiste da anni, che non ha risparmiato una sola vittima in mare.
Se si verificano tragedie come il naufragio di oggi, davanti alla costa crotonese, occorre verificare quali assetti di soccorso sono stati impegnati a partire dal momento delle prime notizie sull’avvistamento del barcone che poi è naufragato. Certo le ONG non sono mai state stabilmente presenti in quella zona, ed il loro allontanamento, frutto del Decreto legge Piante,dosi, potrà avere conseguenze mortali prevalentemente sulla rotta del Mediterraneo centrale. Ma da anni sappiamo che l’impegno delle unità di soccorso italiane in acque internazionali, al di fuori della zona SAR italiana, è soggetto a forti limitazioni per ragioni politiche indotte dai mancati accordi di coordinamento con Malta e dalle linee di intervento stabilite dal governo e dal ministro dell’interno. Non si può dimenticare che, dopo i casi Diciotti e Gregoretti, le unità militari della Guardia costiera più grosse sono state ritirate nelle acque territoriali, e tenute adirittura ferme per settimane nel porto di Catania. Come se anche per loro scattasse la possibilità di una accusa, di essere un fattore di attrazione (pull factor), se concorrevano a salvare troppe vite umane in acque internazionali. Troppe vite umane sono andate perdute in alto mare, proprio per queste accuse.
Adesso queste stragi non si devono più ripetere. Se non basta limitarsi a chiedere che l’Italia rispetti i suoi doveri di coordinamento con Malta, e che le autorità maltesi ratifichino tutti gli emendamenti alle Convenzioni internazionali SAR che non hanno ancora sottoscritto, è altresì fondamentale che la magistratura accerti, oltre alla presenza di qualche presunto scafista, la dinamica degli interventi di soccorso ed il rispetto degli obblighi di ricerca e salvataggio imposti agli Stati costieri. Perchè queste tragedie sono state anche frutto, nel corso del tempo, della mancanza di coordinamento e di interventi da parte degli Stati costieri, come è documentato nel caso della strage dei bambini dell’11 ottobre 2013 ( caso Libra). Allora tanti bambini tra i naufraghi, che avevano almeno commosso l’opinione pubblica, ed avevano quasi costretto la magistratura ad avviare indagini, dopo le denunce dei genitori sopravvissuti ai loro figli, oggi altri bambini dispersi in mare, ed altri genitori disperati in lacrime, che potrebbero presto scomparire dall’attenzione generale, nell’indifferenza che dilaga nel corpo sociale per effetto del consenso prestato alle politiche di “difesa dei confini” e di ” lotta all’immigrazione clandestina ed ai trafficanti”. Che non sono certo gli unici colpevoli di queste stragi.
il milite noto – Enrico Euli
In Europa: Francia, Gran Bretagna, Italia, Moldavia, Georgia, Kosovo
In America: Stati Uniti, Argentina, Brasile
In Asia: Israele, Iran, Turchia, Birmania, Afghanistan, Siria
In Africa: Somalia, Etiopia, Tunisia, Egitto, Sud Sudan, Mali
In Oceania: non se ne sa molto.
Questi sono i paesi, per quel che so e sento, più a rischio interno: che presentano cioè divisioni laceranti tra i loro cittadini, polarizzazione tra schieramenti e/o guerre civili in atto o in progress, più o meno palesi o soffocate.
Non esistono più i margini (e i leader) per una risposta politica.
Le istituzioni che dovrebbero risponderne sono mute, impotenti, corrotte, colluse.
Come si sa rispondere, come si sta rispondendo a tutto questo? Con la militarizzazione dei conflitti in atto.
Lo stesso sta avvenendo sempre più nella gestione dell’emigrazione.
L’obbligo di soccorso viene sostituito con il controllo di polizia.
L’accoglienza viene malvolentieri e malamente offerta solo a coloro che non si riesce a fermare, che non affoga tra le onde o stramazza a riva.
Dopo averci assuefatto alle morti invisibili in fondo al mare, ora stiamo per abituarci anche a centinaia di persone asfissiate, spiaggiate come delfini, non più abbastanza umani.
Guerra agli umani, quindi.
Non più soltanto al nemico bellicoso, che ci invade o ci ammazza a sua volta.
Ma allo straniero inerme, ai poveri del pianeta, a famiglie intere di nostri simili, resi infelici e disperati dai loro e dai nostri governi.
Paradossalmente,davanti a tutto questo, la guerra in Ucraina potrebbe iniziare ad apparirci piccola, marginale, anacronistica, vecchia.
Se non fosse che essa rappresenta il nocciolo di una guerra mondiale già in corso, tra le potenze militari del mondo, che si svolge su quella terra martoriata solo per fare le prove e per saggiare le forze in vista di ben altro che -inesorabilmente ed inerzialmente- si avvicina a grandi passi.
Le parole che non si pronunciano – Fulvio Vassallo Paleologo
Ringrazio Mauro Seminara, amico e giornalista, per avermi posto tre domande, alle quali sarebbe difficile, se non impossibile, rispondere considerando soltanto gli ultimi tragici sviluppi delle politiche di morte in frontiera condivise dall’Italia e dall’Unione Europea
Cosa non si è voluto dire
Ancora una volta un naufragio annunciato, a 110 miglia a nord-ovest di Bengasi, nel mare in burrasca, senza un tempestivo intervento degli Stati costieri, corresponsabili delle zone di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mediterraneo centrale. Siamo davanti al ripetersi di naufragi per abbandono, naufragi che sulle rotte migratorie del Mediterraneo ci sono sempre stati, certo, non solo quando aumentavano le partenze di chi non aveva altre vie di fuga per la vita, ma che nelle ultime settimane si sono ripetuti con una frequenza e con modalità senza precedenti, Si minaccia di perseguire gli “scafisti” per l’intero “globo terracqueo”, ma non si vuole dire che si tratta di barconi sovraccarichi, in perenne situazione di distress (pericolo grave per le persone), secondo quelli che sono gli indici imposti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei. Si ribaltano ed affondano barconi gestiti da organizzazioni criminali, libere di operare sul territorio per la connivenza di governi, che poi fingono di trattare con l’Unione Europea e con l’Italia, per ricevere sostegno in vista di inziative comuni, finalizzate esclusivamente al contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement). Si nascondono perfino obblighi di soccorso affermati dal Piano SAR nazionale del 2020 in conformità con il manuale IAMSAR che richiama tutte le Convenzioni internazionali e il Regolamento europeo n.656 del 2014. Le zone SAR non sono da confondere con le acque territoriali, sono zone di responsabilità per le attività di ricerca e salvataggio, da condividere quando i mezzi non bastano con i paesi titolari delle zone SAR limitrofe. Non possono diventare zone di interdizione dei soccorsi che possono salvare vite. Quando un paese responsabile non interviene, devono intervenire gli altri Stati costieri, con la massima rapidità, se ricorre un caso di distress. Tutti sanno che le autorità maltesi non garantiscono soccorsi all’interno della loro zona SAR, e tutti dovrebbero sapere quali sono i limiti operativi della sedicente Guardia costiera libica, soprattutto se non è coordinata da assetti Frontex o italiani. La Corte di Cassazione ha riconosciuto che la Libia non può essere qualificata come “paese terzo sicuro”, nel caso Vos Thalassa, ed il Tribunale di Napoli ha condannato un comandante di un rimorchaitore italiano (Asso 28) che aveva sbarcato in Libia naufraghi soccorsi in acque internazionali. Per questo l’inattività in attesa dell’intervento delle motovedette libiche non è ignoranza o fatalità, ma costituisce una scelta che comporta precise responsabilità. Una scelta che appare strettamente collegata con l’intensa attività diplomatica condotta dall’Italia con i ministri del governo provvisorio libico guidato a Tripoli da Dbeibah, un governo che non ha ancora “riunificato” la Libia e le diverse unità militari e di guardia costiera che sono ancora espressione delle milizie locali.
Si sono distinti gli interventi di ricerca e soccorso (SAR) dagli eventi di immigrazione irregolare, prima per criminalizzare le ONG ed allontanare le navi del soccorso civile, poi per limitare la resposabilità delle autorità italiane ed europee, rispetto alle responsabilità delle guardie costiere e dei governi dei paesi di transito. Ma l’invenzione, nel 2018, di una zona di ricerca e salvataggio (SAR)” riservata” alle autorità libiche, che sono ancora prive di un unico coordinamento nazionale (MRCC), e che non controllano per intero le coste del loro paese, conseguenza del Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017, appare oggi in tutti i suoi tragici effetti. Anche in conseguenza dei Decreti sicurezza di Salvini e di direttive politiche più recenti, che paralizzano o rallentano le capacità di intervento della Guardia costiera italiana in acque internazionali. Si vuole evitare di creare precedenti che possano indurre a ritenere, a sud del Mediterraneo, che esista una maggiore probabilità di essere soccorsi in acque internazionali. Altro che spot televisivi nei paesi di origine o di transito per informare sui rischi della traversata. La politica di dissuasione delle partenze passa attraverso lo svuotanento del mare da mezzi di soccorso, sia civili che militari. Le stragi lontane dall’attenzione dei media, in alto mare, sono più facili da nascondere, i cadaveri dei naufraghi non finiranno sulle spiagge italiane, come sta avvenendo, giorno dopo giorno, a Cutro.
L’allontanamento delle ONG dalle acque del Mediteraneo centrale, frutto delle direttive politiche del ministero dell’interno a partire dal 2017, fino al recente Decreto legge n.1 del 2023, ha contribuito a ridurre le capacità di ricerca e salvataggio in acque internazionali, e non si è riusciti neppure a garantire quel coordinamento nei soccorsi tra Stati costieri che sarebbe imposto dalle Convenzioni internazionali. Come si è visto in questa ultima tragica occasione, nella quale non sono bastate più di 24 ore per inviare mezzi di soccorso nella zona SAR “libica”, dopo che le autorità di Tripoli avevano comunicato che non sarebbero intervenute. Ma della inefficienza della Guardia costiera libica, per non parlare dei livelli di corruzione che sono noti da anni, non si deve parlare, e deve passare soltanto il messaggio che tutte le responsabilità vanno addossate sugli scafisti, se non sulle stesse vittime che sono state costrette a mettersi in mare su mezzi tanto insicuri, per la mancanza di vie legali di ingresso. Vie legali di ingresso che il governo italiano continua a ridurre, con lo svuotamento della protezione umanitaria, perno dell’ennesimo decreto legge, n, 20 del 2023. Che Salvini vuole ancora modificare in senso restrittivo, persino contro le indicazioni del Quirinale.
- Perché non lo si è voluto dire
La Meloni ha chiarito bene la politica comunicativa del governo nella conferenza stampa disastro tenuta a Cutro. Lo ha detto con la solita arroganza e con un tono minaccioso verso chi metteva in dubbio la versione ufficiale propinata dal governo. Non vogliono far sapere in Europa che ci possono essere responsabilità ai livelli più alti della catena di comando burocratico-politica, bene insediata nei ministeri, che sovrappone le scelte di sicurezza e di difesa delle frontiere, o di contrasto dell’immigrazione irregolare, al diritto al soccorso immediato. Un diritto alla vita sancito dalle Convenzioni internazionali che impongono agli Stati costieri, comunque informati di un evento di soccorso, nel quale si trovi un barcone in situazione di distress, di intervenire anche al di fuori delle proprie acque territoriali, anche al di fuori della zona SAR di propria competenza, come non è accaduto per quasi un giorno, in occasione di questo ultino naufragio che si è verificato a oltre 100 miglia ( 180 chilometri) dalle coste di Bengasi dalle quali era partito il barcone. Quando ormai erano vicini alla zona SAR maltese, dove però le autorità di La Valletta non intervengono mai. Per non essere poi costrette a garantire un porto di sbarco sicuro. E anche questo lo sanno tutto da anni, era scritto persino nei Report annuali della Guardia costiera fino al 2018, anno in cui ne è stata sospesa la pubblicazione. Eppure si dovrebbe fare proprio un paragone tra la situazione odierna e quella che si riscontrava nel Mediterraneo centrale cinque anni fa.
Le disposizioni vincolanti imposte non solo a Frontex, ma anche agli Stati ed alle autorità statali, dal Regolamento europeo n. 656 del 2014, redatto dopo la strage di Lampedusa del 2013, imponevano in quest’ultima occasione di intervenire immediatamente, con mezzi adeguati e non con navi commerciali, ma anche con le navi militari della Marina della operazione “Mediterraneo sicuro” e della misione europea IRINI-Eunavfor Med, presenti in quelle acque. Quanti sono gli interventi di soccorso operati da queste navi che operano sulle rotte più battute dai barconi dei migranti in fuga dala Libia ? Praticamente nesssuno. Non si vuole riconoscere che queste prassi di non intervento possono lasciare morire persone abbandonate in alto mare. Che questi strumenti di soccorso, come le disposizioni che le prevedono, vengono disattivati per una precisa scelta politica, perchè si ritiene che una presenza stabile di navi dello Stato, o di navi europee, come aveniva sino al 2016, che operino in funzione di ricerca e salvataggio anche nelle zone SAR di competenza non esclusiva di altri paesi (come si verificò soltanto con l’operazione Mare Nostrum nel 2014), potrebbe costituire un fattore di attrazione per le partenze (pull factor) che si vogliono dissuadere a qualsiasi costo, anche a costo della vita di migliaia di persone.
Se si dovesse ammettere anche in un solo caso una responsabilità politica, prima che personale, per le stragi per abbandono in acque internazionali, magari avvenute mentre si attende l’intervento delle motovedette libiche per riportare i migranti nei lager dai quali sono fuggiti, verebbe meno qualunque legittimazione degli accordi con i paesi terzi che non rispettano i diritti umani e non garantiscono attività di soccorso neppure all’interno delle acque che rientrerebbero nella loro competenza. E verrebbero meno anche le basi della difesa di chi ha giustificato con un “fine politico” i divieti di sbarco adottati nei confronti dei migranti soccorsi dalle ONG, con la criminalizzazione degli operatori delle navi umanitarie che avrebbero effettuato soccorsi “in autonomia”, magari in una zona SAR fittiziamente attribuita a paesi, come la Libia, che non ne garantiscono il controllo, o non hanno sottoscritto le Convenzioni internazionali che ha sottoscritto l’Italia.
3. Chi trae vantaggio dal non detto
Le reazioni di indifferenza rispetto alle vittime dei naufragi, o di aperta condivisione delle scelte del governo sulla politica di contrasto delle attività di soccorso operate dalle ONG, si estende adesso alla giustificazione dei ritardi negli interventi di ricerca e salvataggio sulla base che questi si verificherebbero al di fuori della zona SAR (Search and Rescue) riconosciuta all’Italia dall’IMO ( Organizzazione internazionale del mare). Ma, come ricorda il Contrammiraglio Vittorio Alessandro, già portavoce della Guardia costiera italiana, secondo la Risoluzione MSC 167-78, adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza dell’IMO, “i Centri nazionali di Coordinamento e Soccorso assumono il coordinamento delle operazioni di salvataggio non soltanto quando le stesse avvengano nella propria Search and Rescue Region (SRR), ma anche fuori di tale area allorquando abbiano per primi ricevuto notizia di persone in pericolo in mare”, e ciò “fino a quando il Rescue Coordination Centre (RCC) competente per l’area non abbia assunto tale responsabilità”. Quali vantaggi pensa di garantirsi chi impone prassi in violazione delle norme internazionali ed europee che regolano le attività di ricerca e salvataggio in mare ?
Si vogliono eliminare tutti i possibili testimoni sui respingimenti collettivi delegati ai libici, allontanando dalle acque internazionali le navi del soccorso civile ed intimidendo gli operatori dell’informazione che richiamano alla verità dei fatti. Le ultime elezioni politiche, e non solo queste, e non solo in Italia, sono state pesantemente influenzate dalle campagne mediatico-giudiziarie scagliate contro le ONG, ed il consenso elettorale verso i partiti che continuano a prosperare sulle retoriche della sicurezza e della difesa dei confini, continua ad aumentare. La lettura dei messaggi che girano sui social dà la misura di un paese allo sbando, privo del rispetto dei principi basilari di umanità. Un paese disumano al quale corrispondono politiche disumane. Malgrado i numerosi procedimenti penali intentati contro i rappresentanti delle ONG non siano arrivati ad una sola sentenza di condanna, si continua a colpevolizzare le Organizzazioni non governative, anche se le navi umanitarie sono tenute lontane. Nonostante sia sempre più evidente il costo in termini di vite umane che queste politiche di morte comportano.
Stiamo vivendo un tempo di perdita di senso della vita e del valore della dignità che non può mai disgiungersi dal principio di solidarietà umana. Il diritto al soccorso in mare, oltre a corrispondere a doveri di intervento immediato che incombono primariamente sugli Stati, rispetto ai quali il soccorso civile può avere solo funzione complementare, rientra tra i doveri di solidarietà su cui si basa lo Stato democratico, secondo il disegno costituzionale.
Per questo occorre moltiplicare non solo le voci di dissenso, ma tutte quelle inizative di contrasto e di aggregazione sociale, come le manifestazioni di Riace e Cutro,e in tante altre città, che possono riaffermare il principio di realtà ed il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, a partire dal diritto alla vita. Non solo per le persone che rischiano di fare naufragio, o di essere respinte verso paesi nei quali rischiano trattamenti inumani o degradanti, ma nell’interesse dell’intera popolazione italiana. Il diritto alla vita non è un valore frazionabile, non riconoscerlo a chi rischia la vita in mare corrsiponde a non riconoscerlo nell’intero corpo sociale, a chi si trova su una strada, in un ospedale o in un luogo di lavoro a rischio. Chi lo nega in mare, magari per la convenienza di rapporti politici o economici, e volta la testa da un’altra parte, è un pericolo per tutti. La vita, anche di una sola persona, vale di più di una manciata di voti.
Le accuse contro le ong sono copia incolla degli 007 – Luca Casarini
Io non ho mai capito a cosa diavolo servano veramente queste “relazioni” dei servizi segreti. Capiamoci, mica intendo che l’attività degli apparati di sicurezza interna ed estera non abbiano un ruolo nel nostro e negli altri paesi. C’è una storia lunga che parla. Dalla mafia alle stragi, dai depistaggi alle schedature di massa, alle operazioni coperte di relazioni con i peggiori criminali. Ma la narrazione vuole che questi siano quelli “deviati”. Invece le “relazioni” le fanno quelli “politically correct”, i buoni.
Mi sono letto anche questa appena presentata in pompa magna dal sottosegretario Mantovano. Le leggo ogni anno queste mappazze, sfogliandole come si fa con i quotidiani alla ricerca della pagina con gli annunci mortuari. Per vedere se ci sono anche io, non si sa mai, oppure se c’è qualcuno che conosco. Avrei potuto farne a meno: i titoli che servivano al governo c’erano tutti, e ci avrei giurato. Ong e anarchici. A pag. 37, 6 righe dico 6, assolvono il primo compito. Quello di dire che “la presenza di naviglio – questo deve essere un copia incolla di un verbale di polizia, visto il termine – delle Ong” che fanno soccorso in mare “incentiva” le partenze perché i trafficanti, sapendo che ci sono, pubblicizzano la vendita del “viaggio” per i migranti, come “più sicuro”.
Poi, seguendo le più accorte regole di impresa, questi trafficanti “sapendo che ci sono le Ong” spendono di meno in barche, e dunque usano quelle più scarse e meno adatte ad affrontare il mare, tanto “ci sono le Ong”. Il viaggio è sicuro, anche se la barca è di merda, perché c’è Mediterranea lì fuori. Venghino signori, che i biglietti stanno per finire. Mi viene il dubbio davvero che chi ha scritto queste puttanate, non sappia nemmeno di cosa stia parlando. Non abbia mai nemmeno sentito un racconto di come gli esseri umani vengano, a volte mitra alla testa, caricati sui gommoni di notte, senza nemmeno l’acqua che altrimenti toglie spazio. Questo che ha scritto deve essere uno stagista, pagato spero bene almeno, per assemblare un po’ di verbali di polizia insieme a dati Onu, rintracciabili da chiunque, e dati statistici sulle rotte e partenze, che noi facciamo – devo dire – molto, molto meglio. Quelle 6 righe però, ci dovevano stare. “Servivano”, per questo il nome “servizi”.
Ora, queste relazioni, sono sempre riferite ai dati dell’anno prima, così generiche da non essere nemmeno aggiornate sul fatto che senza le navi delle Ong gli sbarchi sono raddoppiati. Che sulla rotta della strage di Cutro, e l’assenza delle navi del soccorso civile è stata usata addirittura come una clava dal governo in questi giorni –“perché lì voi non andate mai”- solo l’anno scorso sono arrivate 18.000 persone. Come si affanna a dire sconsolato l’Ispi, un istituto di ricerca serio, non c’è mai stato nessun “pull–factor” rappresentato dalla presenza delle navi di soccorso, ma invece esistono eccome i “push–factor”, cioè ciò che spinge le persone, donne, uomini e bambini, a scappare da qualche posto, anche a costo di mettersi nelle mani di trafficanti senza scrupoli.
Avessero scritto nella relazione, qual è la condizione di profughi e rifugiati in Libia. Avessero scritto quali sono le milizie che “gestiscono” nelle varie zone libiche il business, chi siano i capi, che tipo di rapporti intrattengano con le “autorità” governative – sempre di “famiglie” stiamo parlando – se siano le stesse che ci chiedono il pizzo per non far saltare i pozzi di petrolio o gas in concessione ad Eni. Cose che sanno tutti, ma che meriterebbero, queste sì, di essere conosciute dal Parlamento e dal Paese. Addirittura nel compitino dei servizi, c’è “apprezzamento per gli sforzi profusi dall’autorità libica, nel contrastare il fenomeno (dei profughi che tentano di scappare da quell’inferno) attraverso l’attività in mare”.
Ma lo sa, lo stagista, che c’è un fascicolo aperto presso il Tribunale penale Internazionale, per la violazione sistematica della Convenzione di Ginevra ex art.33, per respingimenti illegali e disumani operati anche con l’ausilio di mezzi italiani? Che l’anno scorso 32.000 donne, uomini e bambini sono stati catturati e deportati di nuovo in un paese dove ci sono i lager, non gli asili nido, per i bambini? Lo sa che uno di quegli “ufficiali” della cosiddetta “guardia costiera libica”, quello che controlla con la sua milizia anche il porto di Zawija, è ricercato per crimini contro l’umanità? Macché. Nemmeno l’ombra di una informazione di “intelligence”. Servivano due titoli utili al governo da far sparare sui giornali? Ecco fatta la “relazione”.
Mi chiedo se questo tipo di informative, di grandi analisi strategiche, siano alla base del convincimento poi, dei vari governi, dei vari ministri, sulla bontà delle loro ricette politiche. Quelle che ci hanno condotto al disastro di oltre 100 morti innocenti a 100 metri dalla costa calabra. O se queste relazioni vengano fatte, tra copia e incolla e aggiunte varie, per compiacere i committenti. Sarà tutte e due, in un perverso circolo vizioso che può fare molti danni. Ma perché, invece di perdere tempo, non viene istituita una commissione di inchiesta parlamentare su ciò che accade nel Mediterraneo da almeno dieci anni, Ong comprese, ma anche accordi con la Libia?
Ho chiesto al Copasir, al suo presidente Guerini, di poter essere ascoltato. Ho un bel po’ di documentazione da condividere, per incentivare la lotta agli scafisti, e a chi li finanzia. C’è il rischio, mi rendo conto, che i titoli dopo possano non piacere a qualcuno. Ma secondo me potrebbe essere utile per la costruzione di una verità non addomesticata.
i profughi e il perseverare diabolico del premier Meloni – bortocal
non sono intervenuto finora sulla terribile tragedia di Cutro, non perché mancasse la commozione, ma perché era in crisi la ragione: troppo clamore, troppe versioni discordi; e allora a che serve esibire le lacrime, che pure sono spuntate?
a me manca la straordinaria capacità di scrittura di altri, per dirle in un modo che chi legge non abbia l’impressione di sentire cose tristemente ritrite.
ho impiegato, invece, qualche tempo a cercare, tra le testimonianze dissonanti ed ora mi pare di essere arrivato ad una conclusione abbastanza fondata, che però dirò alla fine.
perché stamane, invece, la ragione non ha bisogno di particolari approfondimenti investigativi per dire la sua: le cose sono tutte chiare e alla luce del sole.
e suscitano un altro sentimento, che è l’indignazione, che non ha bisogno di stile per essere detta e viene anche più facilmente condivisa.
sto parlando delle dichiarazioni di Meloni a Cutro e dei provvedimenti del governo, naturalmente.
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lascio da parte il non potevamo fare di più, perché voglio commentarlo appunto alla fine, e vengo invece al di più che effettivamente il governo del presidente Meloni ha deciso di fare adesso.
giusto per smentirsi subito nei fatti, evidentemente.
perché, se non si poteva fare di più, prima, perché c’è un di più da fare adesso?
e che di più! lo avete già sentito: si alzano le pene per gli scafisti: 30 anni, addirittura, e si promette che si darà loro la caccia per tutto il pianeta.
ma come? con azioni mirate omicide dei servizi segreti?
perché non mi risulta che il governo italiano abbia una giurisdizione planetaria e possa mandare i propri agenti a catturare chi vuole in casa altrui, per usare la terminologia grottesca di questa destra patetica.
o forse dichiareremo guerra agli stati da cui gli scafisti partono, per conquistarci il diritto di catturarli anche in terra straniera?
la cosa è talmente ridicola che si stenta a crederla, razionalmente.
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ma certamente in questo governo difetta la lettura dei Promessi Sposi, altrimenti avrebbe chiaro che l’inasprimento progressivo delle pene, non sapendo fare di meglio, è il tratto distintivo, almeno dal Seicento in poi, di ogni governo inefficiente che non sa come affrontare le situazioni.
e allora fa qualche grida terribile, qualche nuovo decreto, per minacciare sfracelli; come te piglio, te fulmino, verrebbe da dire nel romanesco del nostro presidente del consiglio; già, ma prima occorre prenderli.
è proprio nel primo capitolo, in apertura di romanzo, che Manzoni ridacchia con i suoi lettori su queste grida, che a ricopiarle, porrebbero ricordare qualcosa di attuale:
Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi… i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno… […] A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a’ renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà, per l’esecuzione dell’ordine. 8 aprile 1583.
ma poi, solo un anno dopo…:
Questa Città è tuttavia piena di detti bravi… tornati a vivere come prima vivevano, non punto mutato il costume loro, né scemato il numero.
e dunque Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimonj consterà esser tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non si verifichi aver fatto delitto alcuno… per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizj, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo… et ancorché non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come di sopra. 12 aprile 1584
in attesa di un più completo adeguamento del nostro sistema penale alle gloriose e decise fermezze del passato, che condannava a tre anni di lavori forzati in una nave da guerra per la sola opinione di essere delinquenti (un nuovo originale tipo di reato di opinione), ridiamo anche noi di un governi che dai rave party ad oggi sta solo inasprendo le pene, ma poi lascia saccheggiare Torino da un paio di centinaio di anarchici di tutta Europa.
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e tuttavia non sta qui il centro del problema, e per capirlo basta partire dalla Costituzione.
e non parlo dell’art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
dice: dell’uomo, non del cittadino, il che significa che quei diritti deve garantirli anche a chi non è cittadino.
ma parlo dell’art. 10 c. 3:
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
siamo tranquillamente d’accordo che questo diritto non può essere illimitato, altrimenti rischieremmo di avere di colpo centinaia di milioni di abitanti, considerando quanti e quali sono nel mondo gli stati che non garantiscono libertà democratiche ai loro cittadini, e dunque poniamo dunque un limite annuale al numero dei profughi che possiamo accogliere.
ma poi questo diritto lo DOBBIAMO garantire.
chi dice; gli immigrati a casa loro, e non distingue tra loro i rifugiati, sta negando un diritto costituzionale, è fuori dalla Costituzione antifascista, come del resto è logico, vista la provenienza politica.
ed è inutile dire, per maquillage, che il fascismo è il male assoluto, se poi ci si comporta appunto da anti-democratici ed anti-costituzionali.
e chi dice che chi fugge da un paese dove rischia la vita è un irresponsabile, è semplicemente un poveretto, a cui manca la logica più elementare, oltre che la sensibilità che dovrebbe distinguerci dalle bestie.
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ma se la Costituzione garantisce il diritto d’asilo ai fuggiaschi dalle dittature, come è possibile dare attuazione concreta a questo diritto?
qualcuno ha mai pensato che questo articolo costituzionale aveva bisogno di leggi attuative?
è abbastanza facile capire che chi fugge da una dittatura non può farlo legalmente, vero?
il profugo vero è per sua natura clandestino, perché il paese da cui fugge non gli darà il diritto di espatriare legalmente.
ed è su questa difficoltà che fa leva l’attività economica degli scafisti, che raccolgono gli emigrati clandestini e li trasportano nei paesi di accoglienza come il nostro.
solo che, per realizzare il loro enorme profitto economico, gli scafisti accolgono alla stessa maniera profughi con diritto d’asilo ed aspiranti immigrati irregolari che non hanno invece il diritto di essere accolti.
ma qui serve un punto fermo, e lo dico con chiarezza:
il diritto di emigrare è un diritto umano fondamentale, che ciascuno stato libero deve garantire ai propri cittadini, e già il mancato riconoscimento di questo diritto sarebbe condizione sufficiente a determinare lo stato di profugo di chi se ne deve andare clandestinamente.
ma questo diritto di andare via non comporta affatto il diritto per l’emigrato di entrare ovunque; ciascuno stato ha il diritto, e a volte perfino il dovere, di definire dei limiti all’immigrazione ordinaria e perfino di vietarla del tutto, in situazioni particolari.
ma oggi, proprio per la mancanza di leggi attuative dell’art. 10 sui profughi, che la Costituzione prevedeva, si è creata una assurda sovrapposizione fra il diritto di emigrare, che è soltanto verso un paese che accetta, e un presunto dovere dell’accoglienza indiscriminata.
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come risolvere questi nodi?
sembra l’uovo di Colombo, e in effetti lo è, che la via migliore per regolare il fenomeno, per quanto possibile, è creare dei canali pubblici di immigrazione regolare, sia di chi non è profugo, in base alle quote di accettazione definita, sia di chi è profugo e potrebbe essere accolto a partire dal primo paese di transito.
per fare un esempio, i naufraghi di Cutro provenivano dalla Turchia (paese nel quale potrebbe essere dubbio il rispetto dei diritti umani per la minoranza curda), ma non erano turchi né curdi, mi pare.
erano partiti da Cesme, il porto sulla piccola penisola che si protende nel mare Egeo per un centinaio di chilometri da Izmir (ci sono stato due volte e l’ho ben presente), sulla costa orientale.
che cosa impedisce che l’Italia, in accordo con la Turchia, paese non troppo libero, ma pur sempre alleato, istituisca a Cesme un punto di accoglienza e selezione dei profughi, ma anche degli immigrati, gestito a livello consolare?
i profughi li si trasporti in Italia gratuitamente, visto che la Costituzione riconosce questo diritto, assieme alla quota prevista di immigrati regolari, anche turchi, che invece sarebbero a pagamento…
insomma, minacciare di alzare le pene per i trafficanti irregolari serve ad una cosa sola: ad aumentare i prezzi del trasporto clandestino, e dunque favorisce gli scafisti: è eteronomia dei fini!
ma se si vuole davvero combattere lo scafismo speculativo, c’è un modo solo razionale per farlo, ed è di trasportare i profughi noi, come stato, in collaborazione magari con le associazioni umanitarie, anziché combattere anche loro, forse per dare più spazio ancora agli scafisti.
perché questa è l’abominevole normativa che questo governo è riuscito a mettere in piedi, suscitando lo sdegno del m0ndo civile.
ma capisco da me che la mia proposta è astratta, avendo a che fare con gente (stavo per dire gentaglia, che mi si perdoni, ma non l’ho detto, l’ho solo pensato) come il Salvini e il Meloni.
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ma c’è di peggio e qui vengo al punto principale, se qualcuno ha avuto la pazienza di seguirmi fino a qui.
perché quello che ha promesso di fare il Meloni a Cutro (e che cosa è andato a fare a Cutro, se è mancato perfino un gesto di pietà per i morti?) è nient’altro che la conferma delle vere cause di quel naufragio.
che non nasce dalla malvagia esplicita intenzione di qualcuno di lasciar annegare i naufraghi a pochi metri dalla salvezza.
il Meloni continua a dire che la si accusa di questo, ma non è questa l’accusa vera.
l’accusa è che il sistema attuale deciso dallo stato per rapportarsi con gli sbarchi clandestini dà la precedenza all’intervento per contrastare lo sbarco piuttosto che a quello per mettere in sicurezza i naviganti che sono in condizioni precarie.
anzi, le nuove recenti disposizioni abominevoli cercano addirittura di fare in modo che il salvataggio ad opera delle organizzazioni umanitarie sia reso più raro e difficile.
per questo ha protestato l’Europa civile e scuotono la testa, sconvolti, i cittadini pensanti che ancora restano in questo paese stravolto.
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il naufragio di Cutro, però, non può essere ricondotto a questa nuova legge maledetta.
sarà per il prossimo, perché prima o poi succederà inevitabilmente.
ma l’opposizione si è buttata egualmente sul caso, per usarlo a fini politici, ma senza fare una analisi onesta dell’accaduto, visto che è praticamente impossibile in questo paese.
perché a farla, si scopre subito che, sotto le disposizioni che hanno visto uscire la Guardia di Finanza, per prima, per fermare gli scafisti, e non la Guardia Costiera, per assistere comunque i fuggiaschi, ci sta la firma di Conte.
e dunque il clamore, da quelle parti, deve levarsi ben forte, per confondere le tracce.
certo, Conte controfirmava, ma prendendosene la responsabilità, oggi negata.
controfirmava Salvini, che è il vero autore di quella legge indegna, così come delle nuove disposizioni che la rendono ancora più indegna e ancora più sbagliata.
Far morire, lasciar morire: la scelta tanatopolitica del governo Meloni e dei suoi ministri – Salvatore Palidda
67 morti annegati. Tra le vittime registrate fino a questo momento 15 minori, fra i quali bambini e neonati. Come scrive SOS Mediterranee, probabilmente non si tratta del numero definitivo anche se non tutti i corpi potranno essere ripescati[1]. È l’ennesima strage di migranti in un Mediterraneo, da anni diventato cimitero di migliaia di persone che rischiano la vita perché restare nel paese di partenza è diventato impossibile o significa aspettare una morte cruenta.
In una trasmissione tv il medico soccorritore Orlando Amodeo ha detto che è stato un “dramma voluto ed evitabile… Faccio soccorsi da 30 anni… abbiamo imbarcazioni che tranquillamente riescono ad affrontare mare forza sei e forza sette, in passato lo abbiamo fatto. Anzi, siamo andati a 40-50 miglia a sud di Crotone e li abbiamo soccorsi. Qualche anno fa abbiamo salvato 147 persone”.
In altre trasmissioni, è emersa anche la chiara denuncia del non intervento della Guardia Costiera sebbene dal giorno prima si sapeva di un’imbarcazione a rischio naufragio.
Ancora Amodeo ha aggiunto: “A prescindere da questo, che i flussi continuino, che gli sbarchi ci siano e continueranno, ormai lo sanno anche le pietre… basta con porti chiusi, porti aperti, basta con blocco navale, sblocco navale, queste persone bisogna aiutarle a venire qua con delle navi, con degli aerei. Gli scafisti li inventiamo noi. Se l’Italia e l’Europa diventassero un pochettino più umane, non ci sarebbero più scafisti e queste tragedie non esisterebbero proprio”. [2]
Le parole di Amodeo, che è anche un ex dirigente medico della Polizia di Stato – forse anche per questo – hanno suscitato l’anatema del ministro dell’Interno Piantedosi (ex vice capo della PS) che ha detto che “queste tragedie sono colpa di genitori irresponsabili che portano i figli a morire”.[3]
A questo Amodeo ha replicato: “Basta con questa storia che i genitori sono pazzi, che portano i figli in mare e li fanno morire. Chi vi parla ha visitato ragazzi curdi che si erano venduti un rene per arrivare in Germania. Smettiamola con questa ipocrisia”.
Il ministro ha poi ordinato al Viminale di comunicare che “sottoporrà all’Avvocatura dello Stato le gravissime false affermazioni diffuse da alcuni ospiti in occasione della trasmissione di La7 al fine di promuovere in tutte le sedi la difesa dell’onorabilità del Governo, del ministro Piantedosi, di tutte le influenze ministeriali e di tutte le istituzioni che sono da sempre impegnate nel sistema dei soccorsi in mare”.
Replicando al comunicato del Viminale il direttore della trasmissione ha detto: “Queste parole (del ministro) mi sembrano minacce. Sottoscriviamo le parole degli ospiti. Alla televisione gratuita, gli ospiti dicono quello che pensano. Ricordiamoci che cos’è la libertà”.
Come ha ricordato Maurizio Guerri: «La disperazione non giustifica i viaggi» è una frase che sprofonda colui che l’ha pronunciata – e il governo di cui è una lugubre sfumatura – nell’abisso della banalità del male. Proprio nei disperati – e nella disperazione – Walter Benjamin riconosceva l’unica possibilità di redenzione dell’uomo contemporaneo, anche dei non (apparentemente?) disperati: «Nur um den Hoffnungslosen willen ist uns die Hoffnung gegeben». «È solo in nome dei disperati che ci è data ancora una speranza» (Goethes Wahlverwandtschaften, Gesammelte Schriften I.1, Frankfurt am Main 1991, S. 201).
Ricordiamo che la scelta di “far morire o lasciar morire” si è materializzata sempre più in particolare con l’istituzione di Frontex che da anni è non solo al centro di fatti di corruzione e collusione con la lobby militare, ma anche oggetto di precise denunce per il suo sostegno militare e finanziario alle bande criminali libiche in nome del contrasto delle migrazioni[4]. Di fatto quest’istituzione europea è co-responsabile di crimini umanitari[5].
In quest’opera l’allora ministro PD Minniti é stato molto attivo sino a imbastire un’operazione a modo suo assai brillante (ma persino scoperta e filmata): lo sporco baratto italo-libico (segnalo l’ampio articolo pubblicato da Effimera su questa vicenda e tutti i suoi contorni). Un baratto per certi versi emblematico anche per l’encomio che ebbe da parte delle autorità europee sino a farne un “ottimo esempio da seguire” (secondo Macron, Juncker e altri). L’operazione non poteva che essere diretta dal ministro Minniti perché da lungo tempo era diventato il principale referente politico di servizi segreti, militari e forze di polizia. Come fu svelato da diversi reportage, a nome del governo italiano Minniti pagò una milizia di criminali libici, di cui a capo c’era Ahmed Dabbashi[6] e il fratello, oltre 10 milioni di dollari in cambio della conversione di tale banda in brigata 48 integrata nei ranghi dello stato libico come forza armata addetta a controllare la costa per impedire partenze di migranti. Ma quello che il ministro non disse, e quasi tutti fecero finta di ignorare, è che il vero scopo del baratto era la salvaguardia degli interessi e delle attività dell’ENI-AGIP in Libia, minacciati dai contrabbandieri e bande come quella dei Dabbashi che spesso sequestrano tecnici o minacciano di dare alle fiamme pozzi e raffinerie o organizzavano il contrabbando di petrolio (sino a farlo arrivare in Italia[7]).
Così la brigata 48 garantì il blocco delle partenze, rastrellando i migranti e rinchiudendoli in centri di detenzione che come si vede in alcuni video e come raccontarono la presidente di Medici senza Frontiere, la commissaria Malmström e altri, sono lager. «Migranti e rifugiati sono ammassati in saloni bui e sporchi, senza ventilazione. Vivono gli uni sugli altri e sono costretti a fare i loro bisogni fisiologici per terra. A piccoli gruppi, sono costretti a correre nudi nel cortile sino a cadere per terra sfiniti o svenuti. Gli aguzzini violentano le donne prima di costringerle a contattare le loro famiglie, implorando invii di soldi per poter sottarsi a tale schiavitù e a tale inferno”.
Il ministro Minniti è stato molto prodigo di interventi pubblici per vantare il successo della sua opera giustificandola innanzitutto come un’azione di “sicurezza di sinistra” e per “salvare i rischi per la nostra democrazia” minacciata dall’ascesa della paura e del razzismo (nella sua caricatura molto efficace e puntuale, Crozza fa dire a Minniti: «Non possiamo lasciare il fascismo ai fascisti»[8]; da parte sua Gino Strada definì Minniti uno sbirro).
La storia dell’approdo dell’ex-sinistra alle scelte reazionarie ha continuato a rinnovarsi in Italia come nel resto d’Europa.
Non stupisce, quindi, che oggi il governo delle destre e il suo ministro dell’interno Piantedosi si sentano assolutamente legittimati a perseguire la scelta di “far morire o lasciar morire” i migranti, insieme alla criminalizzazione di chi vuole soccorrerli.
In altri termini siamo davanti alla stessa logica che governa la riproduzione delle guerre permanenti, dei disastri sanitari, ambientali ed economici, delle neo-schiavitù e lo sprezzo totale dei migranti disperati, siano essi scampati alle guerre, alla fame, alle epidemie, al disastro economico e a ogni sorta di violenza e dominio.
Da notare che l’atteggiamento del ministro Piantedosi è di fatto lo stesso di quello del suo collega ministro della Pubblica Istruzione che ha incolpato e minacciato sanzioni contro la professoressa del liceo di Firenze che in una lettera aperta aveva difeso la Carta costituzionale antifascista contro la brutale aggressione di picchiatori fascisti contro gli studenti del suo liceo.
Così i ministri del governo del “fascismo democratico” pretendono stabilire il divieto di dire in pubblico verità contrarie a quanto loro affermano e quindi minacciano procedimenti giudiziari, visto che il loro collega ministro della giustizia e anche la Corte di Cassazione mostrano di essere ben solerti nell’esaudire questo divieto e la scelta di “lasciar morire” (la negazione a Cospito di uscire dal 41bis).
Questa scelta di tanatopolitica è di fatto coerente con ciò che sembra più opportuno chiamare “fascismo democratico” di un governo legittimato da solo 27% di aventi diritto al voto, una minoranza che passa per maggioranza. È quanto da decenni auspicano i partito delle destre e dell’ex-sinistra perché così ci sono meno elettori da controllare o coltivare come clientela. È l’esito del processo di eterogenesi della pseudo-democrazia che s’è compiuta attraverso l’anamorfosi dello stato di diritto[9] (il passaggio continuo dalla pseudo-democrazia all’autoritarismo e anche a pratiche fasciste e notoriamente razziste e sessiste e dal legale all’illegale)[10]. Il processo innescato dalla controrivoluzione del capitalismo liberista[11], che si è nutrita dell’anomia liberista (astensionismo) e della post-politica a prescindere da ogni ideologia, tutto grazie al contributo decisivo dell’ex-sinistra[12].
Addendum
L’allarme è arrivato 23 ore prima della tragedia. Ma la Guardia di Finanza di Crotone ha trattato il caso come un’operazione di polizia e non di soccorso (cioè come un’azione anticriminalità che avrebbe dovuto mirare tutt’al più all’arresto degli scafisti). Invece dovevano partite le motovedette della Guardia Costiera che sono adatte ad affrontare il mare anche forza 7-8. Ma sono uscite solo a naufragio avvenuto.
Persino Frontex aveva fatto sapere di aver dato l’allerta e che spettava all’Italia l’intervento di soccorso. Le autorità italiane hanno inviato le vedette della Guardia di Finanza per ragioni di law enforcement, cioè di azione repressiva di polizia e non di soccorso.
L’ordine è stato dato sicuramente dal Viminale, cioè dal ministro Piantedosi che si vanta di venire dai ranghi della polizia. Dopo il “colpo di stato” al Viminale di De Gennaro c’è stato un boom di prefetti provenienti dalla PS mentre si sa che al ministero degli Interni occorre un politico. Ma non a caso qui Madame Meloni ha scelto Piantedosi che, parlando alla Commissione Affari costituzionali della Camera, ha dichiarato che «l’aereo di Frontex non aveva segnalato una situazione di pericolo o di stress a bordo». Difficilmente sarà costretto alle dimissioni.
NOTE
[1] https://www.ansa.it/calabria/notizie/2023/02/28/migranti-naufragio-steccato-di-cutro-64-le-vittime-accertate_39c0810c-88ab-4a82-ac9f-19bebb7da952.html
[2] https://www.corrieredellacalabria.it/2023/02/27/il-soccorritore-in-diretta-tv-tragedia-voluta-era-evitabile-viminale-affermazioni-gravi-le-sottoporremo-allavvocatura-dello-stato/
[3] https://www.repubblica.it/cronaca/2023/02/27/news/naufragio_cutro_piantedosi-389781106/
[4] https://sea-watch.org/frontex_crimes/ ; https://www.statewatch.org/news/2021/february/eu-legal-actions-pile-up-against-frontex-for-involvement-in-rights-violations/ ; https://www.hrw.org/news/2021/06/23/frontex-failing-protect-people-eu-borders ; https://altreconomia.it/dalla-corte-dei-conti-alla-corte-di-giustizia-europea-lagenzia-frontex-sotto-accusa/; https://www.a-dif.org/2022/12/01/dopo-le-falsita-di-frontex-e-del-governo-nei-tribunali-per-ristabilire-il-principio-di-realta/ .
[5] https://comune-info.net/memorandum-e-vergogna/
[6] Ahmad Dabbashi, prima boss del traffico di migranti in Libia e ora super capo poliziotto: https://formiche.net/2017/09/ahmad-dabbashi-libia/
[7] https://www.raiplay.it/video/2018/11/Stasera-2115-su-Rai3-Report-Petrolio-nero—Anticipazione-a2544baa-33a4-4c5f-9195-59dea94f9c55.html ; https://www.repubblica.it/cronaca/2017/07/31/news/il_petrolio_dell_isis_finisce_in_italia_la_guardia_di_finanza_indaga_sulle_navi_fantasma_-172011799/ ; https://ilmanifesto.it/dalliraq-alla-sardegna-il-traffico-sospetto-delloro-nero-dellisis ;
[8] https://www.youtube.com/watch?v=Mly7SNrmVfY
[9] https://www.researchgate.net/publication/318642065_L%27anamorphose_de_l%27Etat-Nation_le_cas_italien; Vedi libro https://www.meltemieditore.it/catalogo/polizie-sicurezza-e-insicurezze/
[10] Razzismo democratico: la persecuzione dei rom e degli immigrati in Europa, Milan: AgenziaX, 2009. http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/razzismo-democratico.pdf; “Il cambiamento radicale delle politiche migratorie: dal lasciar vivere al lasciare morire (dalla biopolitica a sempre più tanatopolitica)”: https://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S1980-85852021000100033&lng=en&nrm=iso&tlng=it; “Il furore di sfruttare e di accumulare”: http://effimera.org/il-furore-di-sfruttare-e-di-accumulare; “Continuità e mutamenti nelle migrazioni in particolare alla frontiera di Ventimiglia, in Altreitalie 56, 2018: https://www.altreitalie.it/pubblicazioni/rivista/n–56/acquista-versione-digitale/continuita-e-mutamenti-delle-migrazioni-nel-confine-tra-litalia-e-la-francia.kl.
[11] In diverse pubblicazioni ho proposto la descrizione di questo processo che si manifesta in maniera eloquente già nelle pratiche di gestione dell’immigrazione sin dall’inizio degli anni ’90: vedi in particolare Verso il fascismo democratico? in “aut aut”, 275,1996, pp.143-168; Polizia postmoderna, Feltrinelli, 2000.
[12] https://www.pressenza.com/it/2022/09/il-trionfo-della-post-politica-e-dellanomia-liberista-dallastensionismo-alla-deriva-di-destra-in-italia/; http://effimera.org/un-po-di-storia-della-sinistra-in-italia-per-capire-lattuale-deriva-a-destra-di-salvatore-palidda/
Naufragio Cutro
“Al Palamilone tre piccole BARE BIANCHE ancora senza nome e cognome.”
.https://www.crotonenews.com/cronaca/naufragio-cutro-al-palamilone-tre-piccole-bare-bianche-ancora-senza-nome-e-cognome/
…..anonimi silenti dentro il legno chiuso, i corpicino piccoli e..freddi. Eppure, nel silenzio glaciale, lontano dai vocianti che urlano con incomprensibile disordine la propria innocenza, si sente, leggero, il rumore delle umane e infanti lacrime che scorrono. Vorrebbero uscire dal freddo legno.
Cercando e non trovando il pertugio necessario.
Disperate, ritornano indietro.
Si nascondono, affrante, negli angoli recessi dela scatola chiusa che mai piu’ sara’ riaperta.
Eppure il grido lancinante della richiesta d’ aiuto scuote e sommerge la penisola.
Forte e straziante permane , lacerando le nostre coscienze civili e democratiche.