«Dialoghi di una vagina e delle sue lenzuola»

recensione di Michela Sacco Messineo al libro di Lucia Triolo. A seguire l’intervento (impossibile) di Horty Bluett

A lungo docente di Filosofia del Diritto, da qualche tempo Lucia Triolo ha spostato i suoi interessi culturali verso la scrittura inventiva, con una passione che è diventata preponderante, anzi esclusiva.

In anni di recente ma intensa attività di poeta, si è proposta come autrice di parecchie raccolte in versi, suscitando interesse nei lettori e un positivo riscontro nella critica, testimoniato dai numerosi premi ricevuti. L’ultima raccolta di liriche, Dedica, anch’essa premiata, mostra una compattezza dell’insieme, oltre che interna alle singole composizioni, e una fresca coscienza letteraria: «Sono ladra di figure, / inseguita / da immagini e parole… / Rubo infine i momenti alle parole / lì dove il tempo / acquista suono / ed è poesia» (Ladra, p.23). Con questo fascinoso sguardo d’artista prelude alla fisionomia dei versi inseriti nei «Dialoghi di una vagina e delle sue lenzuola».

Questo originale lavoro, prevalentemente in prosa, è scritto in forma di racconto dialogico, accompagnato da composizioni in versi, e riscritto e riproposto anche nelle vesti di teatro da camera secondo una doppia operazione, che sottolinea la ricerca di nuove forme espressive – non più soltanto liriche, proprie di questo momento creativo. Il tema su cui si esercita la duplice scrittura consiste in una vicenda d’amore, esile per la breve durata e per la mancanza di avvenimenti, fatta com’è di confessioni sentimentali, di espressioni passionali, che la protagonista, Vania, rivolge – ricambiata – all’amato Nicola conosciuto via web. E’ un dialogo nutrito di parole e di immagini senza alcun incontro di persona, tutto vissuto in un crescendo di immaginazione erotica, di incontenibile trasporto amoroso fino al contatto diretto della coppia, contatto che segna la fine della relazione, non perché cessi l’amore ma perché, alla verifica del quotidiano, inevitabilmente diverrebbe qualcosa d’altro.

Questa brevissima sintesi non basta a esaurire l’argomento, che lungi dall’essere una banale vicenda di adulterio, si innesta in un retroterra concettuale preciso, la riflessione della nostra autrice sul coinvolgimento della donna in tema di desiderio amoroso, desiderio che già, nelle raccolte di poesie, si è rivelato completo, generoso di sé, e vissuto in tutti gli aspetti della personalità femminile, fisici, spirituali, intellettuali.

Sul piano figurativo e concettuale, questi Dialoghi continuano dunque a raccontare e approfondire il mondo di desideri e di sogni, che i lettori delle sillogi in versi hanno già potuto cogliere nella ricorrente interrogazione della autrice sul proprio essere. E la scrittura, nutrita di immagini materiche, esuberanti, sensuali, quasi tattili comportava la concentrazione di suggestioni insieme del corpo e della mente con una spregiudicatezza compiaciuta nel suscitare – per potervisi relazionare – il desiderio dell’altro, pur in un preminente guardarsi e ascoltarsi.

Questo preludio a un intrigante gioco intellettuale tutto rivolto ai vari aspetti dell’essere donna (cfr “Rosso bordeaux”, “Avida diva” nella raccolta di liriche «Dietro le spalle gli occhi»), approda al «vivere per desiderar» – alla Jack Kerouac – in cui il desiderio è sfida, è motore di vita. Di qui l’abbandonarsi all’amore come alla energia femminile più grande, più stupefacente, più esclusiva, quella che ci fa muovere – con una durata emotiva che si estende, in alcuni versi dei Dialoghi ,oltre il segno della sua entità semantica: «Se potessi un inizio, / con bisogno di volo / adotterei l’indole del condor / in picchiata sulla preda / Sollecita carezza, fende / e artiglia a sangue / il vento» (pagina 33) . Il gioco passionale, gestito al femminile, fatto di esplicitazioni di pulsioni e di allusioni tentatrici, si ripete ora in alcune delle liriche che chiudono ogni capitolo quasi a costruire un prosimetro, da non intendere proprio in senso tradizionale, come componimento che commenta la poesia, ma semmai viceversa, poesia che riprende la prosa rafforzandone i concetti con figure della immaginazione letteraria. Complessivamente pochi i versi ma significativi nella loro ispirazione unitaria rispetto al dialogo di riferimento: «Ho disegnato a matita la felicità / aveva la forma di un abbraccio» (pag 49), «Su su per le mie gambe / saliva il filo del suo desiderio» (pag 57), «Sono io che mi avvicino? / Sei come la forma del desiderio / se il desiderio ha una forma» (pag 67), «Il mio desiderio, il tuo, si conoscono, si amano / si cercano /. Non possono più incontrarsi ora. Ma non si ignorano / si raccontano» (pag 83).

La complessa struttura di Dialoghi, fatta – come s’è detto – dal racconto chiuso da versi oltre che dalla sua rielaborazione teatrale, è preceduta da un ulteriore operazione di scrittura meditata e profonda: una iniziale lettera inviata dalla protagonista all’amato Nicola, in cui essa spiega le ragioni che la inducono a pubblicare la storia d’amore che li accomuna e vi anticipa il significato dei personaggi che ne animano la scena, entrando così all’interno del racconto. Questo momento introduttivo è dunque già volutamente dentro la storia anche perché firmato dalla stessa protagonista, “Vania”, che risulta narratrice esterna – in quanto mette in scena la vicenda – e, contemporaneamente, personaggio perché si dichiara «controfigura» delle due figure astratte, Vagina e Anima, protagoniste dell’opera. Cito: «Vania diventa Vagina. E Vagina è anche Anima» e, ancora, «Anima può valere nella nostra storia come l’organo dell’amore umano. E’ il nome del desiderio».

In questa dichiarazione è sintetizzato il tema profondo dell’opera, in cui le raffigurazioni tipologiche, Anima e Vagina, vivono di un gioco allegorico di reciproca identificazione nella nozione di “desiderio”, in cui la corporeità si fa relazionale. Lo sottolinea il richiamo al lemma «Anima-le», che – scritto con un trattino dopo Anima – segnala la comunanza nell‘essere umano fra animale e anima, fra corpo e spirito che, insieme, rappresentano Vania, la protagonista. Accanto a loro, un terzo personaggio, Lenzuola che, per dichiarazione semischerzosa dell’autrice, avrebbe le funzioni del coro nella tragedia classica; farebbe da sostegno alle ragioni della protagonista; ne sarebbe dunque anche la coscienza e spesso – con toni da commedia leggera – figura da controparte.

Il dialogo è scandito in otto capitoli, che raccontano quella storia d’amore di cui s’è detto, di durata brevissima e apparentemente di lieve consistenza, che la protagonista riesce a controllare in autonomia rispetto al partner, guardando ad essa come ad una esperienza assoluta, in cui non conta la durata: «tutto fu inizio», dice Vania, usando il lemma «inizio» come il momento che contiene il tutto e lo conserva integro per sempre, aldilà di una vicenda vissuta come un amore a distanza, un conoscere «per desiderio». Al suo concludersi, la protagonista decide di raccontarcelo come cosa che parlerà solo di lei, in cui essa continua a vivere; e ce lo offre con un suggestivo iter di innamoramento, in cui l’ardore istintuale si trasforma presto in desiderio, scoperta della bellezza dell’altro, sentimento, emozione, passione, eros, fino a «quel soave fin d’amor» – per usare il verso di Ariosto – che ne è il superamento e insieme l’acquisizione interiore. Come arricchimento conoscitivo – quale «dono di sé» completo, integrale, non solo nel senso di trasporto fisico ma egualmente come «trasporto dell’anima» – aldilà dei limiti temporali e spaziali, è per lei un sogno che accompagna la vita, una esperienza d’eccezione rispetto alla vita comune, al «vivacchiare», di solito fatto «di certezze e riscontri fisici». Solo nel sentimento d’amore consisterebbe il vivere pienamente l’esistenza in termini reali, anche se non sempre fisici, ma nella interiorizzazione del contatto sessuale: «Ci toccavamo con l’anima» dice la protagonista. Questa relazione resta per la donna un sentimento vivo dentro e per sempre, e così potente da riuscire a cancellare ogni maschera sociale e a far cadere ogni pregiudizio. In questo senso la pulsione, che nasce dal desiderio di conoscere, è guardata come elemento fondante dell’esistere come donna, dell’ambire a soddisfare con tutte le forze qualcosa che dia completezza alla realtà del vivere. Nell’accrescimento di senso con cui è vissuto l’innamoramento, matura nella protagonista l’affermazione di sé, vissuta già dalla Lilith biblica. Non a caso, in apertura di volume una lirica è dedicata a quella che l’antica tradizione ebraica considera la prima moglie di Abramo, simbolo dell’orgoglio di genere, indipendente dall’uomo, come è ormai la protagonista, «finalmente donna! Nuda e vera», una acquisizione che la illumina per sempre in un segno di vittoria, come nei racconti di Eva Ensler, «I monologhi della vagina», con cui la drammaturga americana ha sdoganato il lemma vagina, l’organo riproduttore della vita.

Su questa suggestione femminista, citata dall’autrice assieme a Catherine Blacklidge, con la sua «Storia di V. Biografia del sesso femminile», che ci riporta al dibattito sulla rivoluzione sessuale degli anni 60/70 – basti pensare a Wilhelm Reich o a Lidia Ravera – si innesta la riflessione di Vania, che perviene a una dimensione liberatoria del ruolo della donna, del suo essere desiderante.

Col pieno affermarsi del punto di vista femminile in rapporto a un oggetto, il partner maschile, si supera quel gioco fatto di contraddizioni e di chiaroscuri dell’esperienza di coppia, nell’approdo a una sessualità liberata, a un osare di rendere dicibile, nella costruzione del discorso amoroso, quell’esito vittorioso. Vissuta e sentita come il bisogno intimo di potersi aprire a qualcosa di molto personale e profondo, essa diventa esaltazione non solo di sé ma più in generale della dimensione femminile in tutte le componenti del proprio essere, fisiche e spirituali.

In tale direzione, la continuazione e l’approfondimento teorico rispetto alla rappresentazione in versi della fisiologia femminile non poteva che trasformarsi ora in dialogo, reale e surreale insieme, fra le componenti astratte, materiali e spirituali, in cui consiste l’essere donna, nella insistente compenetrazione fra spiritualità e corporalità sempre meno distinguibili l’una dall’altra e, proprio perché tali, capaci di fissare per sempre emozioni ed esperienze in un perenne consistere. E queste componenti vivono di vita propria nel dialogo: elementi fisici fatti di senso, di sensazioni e fattori intellettuali fatti di riflessione su quanto accade, unitamente a elementi spirituali – sede dell’emozione e del sentire – contribuiscono, insieme, a dar vita a una passione, che (sulla linea dei «Frammenti del discorso amoroso» di Barthes) non pretende di definire la verità sull’amore ma di comunicarne la spasimante presenza e la pervasiva e naturale sensualità propria del «Cantico dei Cantici»: «Forte come la morte è l’amore». Convinta della peculiarità conoscitiva intrinseca all’esperienza vissuta, la protagonista non si stupisce della fuga dell’uomo, della sua rinuncia; anzi l’accetta convinta dell’inevitabilità della fine ma insieme sicura che si tratti di una fine che non finisce, nel senso che la ricchezza che questa esperienza ha portato nel mondo della protagonista rimane intatta; e questa consapevolezza trasferisce nella scrittura.

Il racconto non si chiude col dialogo misto di prosa e di versi, ma si ripropone ulteriormente in una nuova versione, quella del teatro da camera, in cui la sintesi di immaginario e simbolico, che aveva connotato il primo testo, trova nella particolare dimensione del kammerspiel un esito drammaturgico suggestivo e originale. La sollecitazione sperimentatrice, cui s’è accennato, porta infatti l’autrice a cimentarsi anche con questa forma di ambientazione scenica, fatta di particolari espedienti di luce, di atmosfere in ombra, di accompagnamenti musicali, con una rarefazione mimica nelle lievi sfumature di gesti e di espressioni dovuta, oltre che all’uso delle maschere indossate alle spalle dalle tre figure femminili, al primo piano in cui esse sono costantemente poste, mentre un uomo attraversa lo spazio scenico, talora nelle vesti di Dio, talora di Adamo, talora di Nicola. Col forte accento sul primo piano. con le sfumature puntate sulle emozioni che i visi dei personaggi trasmettono, si rafforza il ruolo assoluto delle protagoniste femminili e insieme si sottolinea con maggiore icasticità la chiave di volta più profonda di questo lavoro, lo scavo nella psiche della donna, che, nel desiderio dell’amante incontra e desidera bensì il proprio stesso desiderio ma proprio per questo, amando, sa per prima e fino in fondo farsi carico del desiderio dell’altro. Lo confermano il ribaltamento del racconto biblico sulla creazione di Adamo ed Eva posto in apertura dell’atto e la polemica antifreudiana, che ne deriva.

Nello spazio chiuso di questo teatro, le maschere vive dell’universo femminile mettono in scena, nella loro sottolineatura simbolica, l’itinerarium mentis di conoscenza di sé che la protagonista percorre acquisendo la capacità – pur dentro l’ambito della reciprocità del desiderio – di controllarne la storia e di farsi assoluta regista, sui binari del proprio essere, di una esistenza conforme ai bisogni più autentici.

E, a sua volta, la struttura teatralistica, come strumento rituale di partitura a più voci, contribuisce – nella sua scomponibilità di ruoli e di tipizzazioni – a sottolineare questi presupposti concettuali, che rinascono nella forza della parola drammaturgica, capace di trasporre il segno in senso.

LUCIA TRIOLO

«DIALOGHI DI UNA VAGINA E DELLE SUE LENZUOLA» (racconto e testo teatrale)

postfazione di Armando Saveriano

In copertina «Totes Mädchen» (del 1910) di Egon Schiele

130 pagine, 10 euro

LA RUOTA EDIZIONI (www@laruotaedizioni.it)

UNA SINTESI DELL’INTERVENTO IMPOSSIBILE DI HORTY BLUETT (alla presentazione del libro: Palermo, novembre 2019)

All’inizio di «Dialoghi di una vagina» l’autrice ringrazia «un caro amico – si fa chiamare Horty Bluett come il protagonista di “Cristalli sognanti” di Theodore Sturgeon – alla cui competenza di uomo di teatro sono debitrice».

C’è un mezzo equivoco: il «caro amico» è davvero Horty Bluett ma essendo effettivamente un’invenzione letteraria – qui sopra potete vedere la copertina di una recente edizione del romanzo «Cristalli sognanti» – esiste solo in una dimensione parallela; qui in “bottega” accade solo il Marte-dì (come sa chi passa spesso da codesto blog).

Nell’impossibilità dunque di essere presente a Palermo – oltretutto non era neanche un martedì o Marte/dì – Hb cioè Horty Bluett ha affidato il suo messaggio a un mediatore, cioè al db (Daniele Barbieri) più spesso presente in “bottega”. Il quale qui lo sintetizza, scusandosi per eventuali incomprensioni: il msg di Hb infatti era assai “disturbato” sulla linea che per semplicità definiremo telepatica.

1 – Hb ha aiutato «teatralmente» l’autrice perchè l’idea di Lucia gli piaceva assai

2 – Alcuni passaggi amorosi/sensuali dei «Dialoghi di una vagina» erano intensi, non banali e desideranti come in poche pagine (pochissime poi scritte da uomini: forse solo in «La danza immobile» di Manuel Scorza) si può leggere.

3 – Amore e sessualità hanno due antichi nemici e uno “nuovo”. Il primo nemico è quel fanatismo religioso (pseudoreligioso?) che vede nel corpo ogni putredine e tutti i crimini. Il secondo nemico è quel trasformare i corpi (delle donne soprattutto) in merci. Terzo nemico, il più recente, è che amore e sessualità nell’epoca del virtuale e della velocità si sono trasformati in un presente senza passato e futuro. [Se questo terzo passaggio vi è oscuro chiedete a Hb perchè db non è sicuro di aver capito bene]

4- Grazie a Lucia perchè, fra l’altro, si/ci ricorda Lilith.

5- Rigrazie a Lucia perchè ci rammenta cosa succede nel vuoto d’amore quando (sempre?) c’è bisogno d’amore.

6 – Ri/rigrazie a Lucia perchè prova a dare il nome giusto alle cose senza ipocrisie, senza le espressioni consumate; scrivere in modo delicato e creativo anche quando altri/altre scivolerebbero nell’inutile volgarità pensandola obbligatoria mentre invece è solo stupida.

7 – Contraddizioni? Quante ne volete. Per esempio «anche i cialtroni sognano» ci ricorda il libro.

8 – Il pieno amore e la sessualità completa sono irraggiungibili. Ma bisogna correre ogni rischio per provare egualmente ad avvicinarli (e il quintetto Lucia. Vania, Vagina, Anima, Lenzuola ha tentato). Parafrasando quel che scrisse Eduardo Galeano a proposito dell’utopia: «Mi avvicino di due passi, lui si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non lo raggiungerò mai. A cosa serve l’amore? Serve proprio a questo: a camminare».

9 – Questo non è un decalogo, dunque mi fermo.

Redazione
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