«Top 200»: la crescita del potere delle multinazionali
presentazione di Francesco Gesualdi. Con articoli e link.
Segnalo l’uscita dell’edizione 2025 di Top 200, il dossier dedicato alle prime 200 multinazionali mondiali. Nel dossier sono compresi anche approfondimenti sulla presenza dei privati nella scuola, il riarmo EU, la crescita delle plutocrazie e altro.
Il dossier può essere scaricato al seguente link: https://www.cnms.it/attachments/article/213/top200_2025.pdf
Sono disponibili anche tabelle in formato singolo, utilizzabili nelle scuole o incontri pubblici.
Link: https://www.cnms.it/categoria-argomenti/17-imprese-e-consumo-critico/213-top-200-2025
Di seguito riportiamo due degli articoli interni.
IL NO DEL FONDO NORVEGESE AI COMPLICI DI GENOCIDIO
Nel luglio 2025, Francesca Albanese, relatrice all’ONU sulla condizione del popolo palestinese, ha pubblicato un rapporto in cui elenca le imprese israeliane ed estere implicate nella violazione dei diritti del popolo palestinese.
L’elenco comprende un migliaio di imprese, fra cui quelle che fanno affari nei territori palestinesi occupati illegalmente da Israele (es. Airbnb), quelle che forniscono alla macchina militare israeliana armi e tecnologie per la repressione dei palestinesi, quelle che forniscono assistenza finanziaria alle operazioni nefaste. Oltre all’americana Lockheed e all’italiana Leonardo, il rapporto include fra le imprese fornitrici di armi e strumentazione repressiva, tutte le grandi società informatiche occidentali: IBM, Hewlett Packard, Microsoft, Alphabet (Google), Amazon e varie altre. In particolare Microsoft, Alphabet e Amazon sono accusate di mettere a disposizione del governo israeliano servizi di data centers e di intelligenza artificiale finalizzati ad attività di sorveglianza, segregazione e repressione dei palestinesi.
Il rapporto, tuttavia, chiama in causa anche un’altra impresa che pur essendo orientata a scopi civili, è ampiamente coinvolta con le attività militari israeliane nei territori occupati.
Si tratta di Caterpillar, impresa USA produttrice di ruspe, trattori e altri mezzi pesanti che l’esercito israeliano impiega in maniera massiccia per la demolizione di case, palazzi pubblici, strade, terreni agricoli e altre infrastrutture, nei territori palestinesi. Operazioni di distruzione che avvengono non solo a Gaza, ma anche negli innumerevoli altri territori occupati illegalmente in Cisgiordania.
Di fronte alla denuncia di Albanese e al dramma che sta vivendo il popolo palestinese, in particolar modo a Gaza, il Fondo sovrano norvegese ha deciso di agire.
Denominato Norges Bank Investment Management, il fondo dispone di 2.000 miliardi di dollari provenienti dai proventi generati dallo sfruttamento di gas e petrolio norvegese. Il fondo investe nelle più varie attività finanziarie di tutto il mondo per ottenere rendite da mettere a disposizione del governo norvegese per il finanziamento di pensioni, sanità e altre spese ritenute strategiche ai fini sociali e ambientali. Benché animato dalla ricerca del massimo rendimento, il fondo si è comunque dotato di regole etiche per escludere dai propri investimenti imprese con comportamenti contrari ai principi umani, sociali e ambientali universalmente riconosciuti. Fra le regole assunte, c’è anche quella di escludere dal proprio portafoglio imprese che producono armi a favore di nazioni che le usano per scopi e con modalità contrarie alle leggi internazionali.
In questo contesto, il 25 agosto 2025 il Fondo norvegese ha annunciato di voler eliminare Caterpillar dal proprio portafoglio, a causa del suo coinvolgimento con le attività illegali svolte dallo stato israeliano nella striscia di Gaza e in Cisgiordania.
2 Un disinvestimento di 2,4 Oltre a Caterpillar, il Fondo ha escluso dal proprio portafoglio anche cinque banche israeliane: First International Bank of Israel, FIBI Holdings, Bank Leumi Le-Israel BM, Mizrahi Tefahot Bank e Bank Hapoalim BM.
L’accusa contro di loro è di finanziare progetti edilizi finalizzati all’insediamento dei coloni israeliani nei territori occupati illegalmente in Cisgiordania [ Tavola 3].
Iniziative come quella del Fondo Norvegese sono estremamente importanti, perché il disinvestimento è una delle strategie più efficaci di pressione sulle imprese, e di conseguenza sugli stati. Giova ricordare che nel 1994 fu proprio il disinvestimento messo in atto a livello mondiale a dare la spallata finale al regime dell’apartheid in Sudafrica. Se oggi venisse usata la stessa determinazione verso Israele, potremmo mettere la parola fine a un’altra vergogna che pesa sull’intera umanità.
Tavola 3 Se questo è uno Stato Mappa della Cisgiordania (giugno 2025) Jenin Cisgiordania (PALESTINA) Tulkarem Nablus Linea verde ISRAELE Ramallah Gerusalemme Striscia di Gaza miliardi di dollari, pari all’1,2% dell’intero capitale sociale della società americana. Hebron Gerico Mar Morto 10 km
Area A so to il controlo palestinese
Area B so to il controlo civile palestinese e militare israeliano
Area C sotto il totale controlo israeliano Colonie israeliane e terre coltivate dai coloni Avamposti illegali, anche in base alla legge israeliana, dal 1996 2
IL PIANO DI RIARMO EUROPEO
Il primo a ufficializzare il processo di riarmo dell’Unione Europea è stato Mario Draghi che nel settembre 2024 se ne uscì con un rapporto in cui affermava che fra le iniziative da prendere per ridare slancio all’economia europea, deve esserci il rafforzamento dell’industria bellica.
1 Detto fatto il 27 maggio 2025, il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato un regolamento per mettere a disposizione degli stati membri prestiti agevolati, per complessivi 150 miliardi di euro, da utilizzarsi per progetti presentati nel 2025 che contribuiscono al rafforzamento dell’industria bellica del proprio paese.
2 Draghi sostiene che il rilancio dell’industria bellica fa bene a tutta l’economia perché produce ricerche di cui beneficiano tutti e perché fa crescere l’occupazione. Ma vari studi mettono in discussione ambedue le affermazioni. Rispetto all’occupazione Greenpeace ha dimostrato che altri settori creano molti più posti dell’industria militare.
In Italia ad esempio, l’iniezione di un miliardo di euro nell’industria bellica genera 3.000 nuovi posti di lavoro. La stessa cifra impegnata nella difesa dell’ambiente produce 10.000 nuovi posti di lavoro. Se impegnata nel settore dell’educazione ne genera addirittura 14.000 [ Grafico 9]. Un argomento forte utilizzato da Draghi per sostenere la crescita dell’industria bellica è la minaccia espansionistica della Russia. Ma dal crollo dell’Unione Sovietica ad oggi, ad essersi espansa è stata piuttosto la Nato, l’organizzazione militare dei paesi occidentali, che è passata da 16 membri nel 1990 a 32 di oggi. In realtà, leggendo il Rapporto Draghi si capisce che il vero intento della politica di riarmo è rendere l’Unione Europea indipendente dall’industria statunitense ed anzi renderla capace di strapparle quote di mercato a livello mondiale. Insomma si tratta di una guerra tutta interna al blocco occidentale ed è di tipo economico. Secondo Draghi, troppa tecnologia bellica, troppi semilavorati, troppe armi, troppi veicoli militari, continuano ad essere comprati all’estero, in particolare dagli Usa, quindi l’industria europea va rafforzata. E non importa se le risorse impiegate per rafforzare gli eserciti e l’industria bellica europea (totale aggiuntivo auspicato 800 miliardi di euro in cinque anni) sono sottratte alla soluzione degli innumerevoli altri problemi sociali e ambientali presenti nel Grafico 10
Le ragioni militari e industriali passano avanti a quelle sociali e ambientali. Nel 2023 il valore complessivo della produzione bellica nell’Unione Europea è stato pari a 159 miliardi di euro, per il 41% nell’aereospaziale, il 35% nel terrestre e il 24% nel navale.
3 Complessivamente la produzione bellica dell’UE rappresenta il 25% dell’intera produzione mondiale stimata in 650 miliardi di dollari. L’Unione Europea occupa un posto di rilievo anche come esportatore: all’incirca il 26% su un totale mondiale di 111 miliardi di dollari, con la Francia che si colloca al terzo posto e l’Italia al quinto posto [ Grafico 10].4
Complessivamente nell’Unione Europea il numero di imprese presenti nel settore bellico si aggira attorno a 2mila, ma le prime 10 si aggiudicano da sole metà del fatturato [ Tabella 13].
Da un punto di vista della proprietà, le prime 10 imprese di armi dell’Unione Europea, vedono una forte presenza di governi, in particolare quello francese contemporaneamente presente in Airbus, Thales, Naval e KNDS.
Molto forte anche la presenza di alcune famiglie fra cui spiccano la francese Dassault, la tedesca Wagmann e la svedese Wallenberg.
Anche il mondo della finanza, in particolare quella americana, guarda al settore delle armi con interesse, come mostra la presenza di fondi quali BlackRock, Vanguard, Capital Group e banche del calibro di Goldman Sachs Morgan Stanley, Bank of America [ Tavola 1].
In Europa le imprese di armi sono organizzate in un’associazione denominata ASD (Aerospace, security, defence) la cui funzione principale è fare lobby sulle istituzioni dell’Unione Europea per ottenere scelte a favore delle industrie del settore. Ad esempio non è un mistero che l’associazione abbia fornito assistenza a Draghi per la stesura del suo rapporto sulla competitività dell’Unione Europea. Secondo l’organizzazione Corporate Europe Observatory, nel 2023 ASD ha speso oltre 300mila euro per attività di lobby per il tramite di 9 persone. Ma oltre alla pressione esercitata da ASD, c’è quella attuata da parte delle imprese singole. Quella che investe di più in attività di lobby è Airbus che nel 2023 ha speso 1,8 milioni di euro per fare pressione sull’Unione Europea.
E la chiamano democrazia [ Grafico 11].