Expo Milano 2015: debiti, precarietà, cemento.

di Andrea Fumagalli (*)

Il 20 dicembre scorso è stato presentato dalla Camera di commercio di Milano e da Expo Spa uno studio svolto dallo Sda Bocconi (Scuola di direzione aziendale) e dal gruppo Clas, di cui è responsabile scientifico il professor Lanfranco Senn, docente sempre dell’Università Bocconi, nonché presidente di Metropolitana Milanese Spa, relativo all’impatto che l’evento Expo 2015 avrà sul sistema economico nazionale, lombardo e milanese.

Sulla base dei committenti è facile desumere che i risultati siano stati in buona parte inficiati dalla necessità di mostrare il più possibile gli effetti positivi di questo grande evento, ovviamente senza tener conto dell’evidente conflitto di interessi che si è maturato.

Ricordiamo che ai tempi dell’allargamento dell’aeroporto di Malpensa e della costruzione della seconda pista (progetto Malpensa 2000) lo stesso gruppo Clas aveva svolto uno studio relativo all’impatto economico della creazione del nuovo hub aereoportuale sull’economia lombarda e italiana. I risultati dello studio, sulla base di simulazioni che prevedevano una crescita dell’economia italiana che si sono rilevati fallimentari, stimavano un aumento del transito passeggeri e delle merci quasi doppia rispetto a quella che in realtà, complice la crisi economica e l’abbandono di alcune compagnie aeree (Alitalia e Lufthansa, in primo luogo), si è invece realizzata. Inoltre lo studio prevedeva un impatto sull’economia lombarda che si è rivelato assai sovrastimato, sia in termini occupazionali che di crescita. Infine, lo studio si era “dimenticato” di fornire un’analisi dell’impatto ambientale.

I risultati dello studio, oggi diventati bibbia, sono i seguenti.

In termine di Valore aggiunto, l’impatto diretto di breve termine è stimato in 1,4 miliardi di euro, a cui aggiungere 14,2 miliardi grazie all’afflusso dei visitatori (attualmente il sindaco di Milano millanta vendite per 2 miliardi e spese di soggiorno). L’impatto invece di lungo periodo prevede un effetto sul valore aggiunto di 5,2 miliardi, fra investimenti diretti dall’estero, promozione turistica e creazione di nuove imprese. In conclusione, Expo2015 dovrebbe portare un incremento del valore aggiunto di quasi 21 miliardi di euro!

In termini di occupazione, la stima presentata per la fase di preparazione dell’evento è di circa 30.000 nuovi posti di lavoro. A ciò bisogna aggiungere che, sempre secondo lo studio del Gruppo Class, l’impatto “indiretto” e dell’ “indotto” favorirebbe la creazione di 114.000 posti di lavoro, connessi allo svolgimento dell’evento e di ulteriori 47.400 posti di lavori sino al 2020. Più nello specifico, disaggregando per fasce temporali, si prevedono 67.400 posti di lavorio nel periodo dell’evento (anno 2015) e 88.900 nel quinquennio 2016-2010. In totale, si raggiunge la fatidica quota di 200.000 nuovi posti di lavoro tanto propagandata dai media.

E’ dunque tutto oro ciò che luccica? Le stesse rosee previsioni, lo abbiamo ricordato, erano state fatte a proposito delle magnifiche sorti espansive della costruzione di Malpensa 2000. Abbiamo visto come sono andate verramente le cose. Ma se l’investimento su Malpensa, tanto caro ai lumbard, riguardava comunque un’infrastruttura che doveva durare nel tempo, qui si fa riferimento a un evento che ha una sua data di scadenza. E’ d’obbligo quindi sfruttare la situazione immediatamente, prima ancora che si realizzi compiutamente, quindi durante i tempi della sua realizzazione, perché dopo rimarranno solo le briciole e le colate di inutile cemento. Lo scandalo delle tangenti e degli arresti e le infiltrazioni mafiose non sono il frutto di “mele marce” ma ne rappresentano la struttura necessaria per un profitto immediato.

In realtà (e i milanesi più avveduti, nonostante la propaganda, se ne stanno rendendo conto) l’affaire Expo ha tutte altre finalità. L’impatto sull’economia sarà modesto, poiché non si tiene conto dell’effetto sostituzione. Solo un esempio: per tutto il periodo dal 1 maggio al 31 ottobre, l’area Fiera di Rho rimarrà inutilizzata e l’attuale occupazione fra dipendenti e indotto di circa 5-6000 persone, per lo più assunte con contratti precari o addetti di cooperative, può solo sperare di lavorare per Expo con un saldo occupazionale che sarà molto più limitato di quello millantato. Gli attuali 30.000 addetti delle costruzioni, una volta terminata la fase di realizzazione, ritorneranno nell’anonimato e nel limbo del lavoro precario e irregolare.

Il settore del turismo e della ristorazione prevede un incremento di quasi 35.000 unità nel periodo dell’Expo. Ma, una volta terminato l’evento, che fine faranno queste persone, ammesso che la stima sia corretta?

Questi ragionevoli dubbi sono confermati dai dati Excelsior sulla domanda di lavoro delle imprese nel periodo 2013-2017 (http://excelsior.unioncamere.net/ modello-previsivo: AnalisiModello Previsivo2013-2017.pdf). A livello nazionale, si stima un calo di quasi il 2% nell’occupazione totale. A livello disaggregato, l’industria vede un declino di occupati del 6,2%, le costruzioni addirittura dell’8,1%. I servizi nel complesso vedono un calo dello 0,1%, mentre i servizi alle imprese dello 0,9%. Solo il settore della ristorazione e del turismo vede un incremento del 5%. Qui si può osservare un effetto Expo, anche solo parzialmente (sappiamo che l’Italia è meta turistica e Milano non è proprio una delle località più ambite dal turismo internazionale, se non in occasioni particolari e temporanee). L’aumento in termine assoluto del comparto è di quasi 65.000 unità. Di queste circa un terzo (pari a 22.000) potrebbe essere l’effetto Expo (non i 35.000 stimati).

Se guardiamo l’evento Expo, da un altro punto di vista, magari ci potremmo accorgere che le imprese quotate in borsa che hanno avuto le commesse Expo, che hanno trattato la vendita dei terreni (nonostante le regole di Expo prevedano l’utilizzo di terreni pubblici e non privati!), le società di trasporto (come Trenord) nel 2013 hanno realizzato plusvalenze – leggi rendita finanziaria – intorno al 40%, di gran lunga superiori a quelle medie. In altre parole, le imprese interessate hanno già incassato. A noi, probabilmente, rimarranno i debiti….

E se analizziamo ciò che è stato siglato in materia di relazione del mercato del lavoro, con la scusa all’eccezionalità di Expo, vengono testati nuovi provvedimenti sul lavoro che poi, grazie al Jobs Act, di Renzi e Poletti, verranno estesi a livello nazionale.

Pochi si ricordano infatti che il 23 luglio 2013 è stato siglato un accordo fra Cgil-Cisl-Uil, il Comune di Milano ed Expo 2015 Spa sulle modalità di assunzione per Expo2015. I numeri parlano chiaro: si tratta dell’assunzione a termine di 800 lavoratori e dell’utilizzo di 18.500 volontari!

Eppure, Expo 2015 – come abbiamo visto – ci è stato presentato come una grande opportunità occupazionale nella crisi, un volano per favorire la crescita economica e l’occupazione: 800 contratti precari, una goccia nel mare della disoccupazione giovanile, a costo ridotto e con deroga rispetto alla normativa allora vigente (quella sancita dalla riforma Fornero), a fronte di 18.500 prestazioni lavorative di fatto gratuite.

In quell’accordo, non a caso, vengono introdotti due provvedimenti a livello locale, che oggi vengono estesi a livello nazionale, grazie al Jobs Act di Renzi.

Il primo riguarda i contratti di apprendistato. Viene proposta una deroga – che guarda caso termina il 31 dicembre 2015, giorno di chiusura di Expo – per consentire l’utilizzo dei contratti di apprendistato per i giovani sino a 29 anni togliendo l’obbligo per le imprese di stendere una relazione sull’attività di formazione svolta. Ricordiamo che nel contratto di apprendistato, il 90% dei contributi sociali è a carico dello Stato e il lavoratore viene assunto (con possibilità di rescissione a fine periodo per l’80% dei casi) con una qualifica di due livelli inferiore rispetto a quella cui sarebbe destinato. Si tratta di condizioni molto convenienti per l’impresa. Eppure il contratto di apprendistato oggi incide solo per poco meno del 3% fra i contratti precari, proprio perché obbliga le imprese a dimostrare l’avvenuto periodo di formazione.

Con questa deroga si liberalizza di fatto l’uso di tale contratto: rimane solo il limite dei 29 anni. Diventa contratto di inserimento al lavoro a basso costo.

Il secondo provvedimento riguarda il contratto a tempo determinato, che diviene del tutto a-casuale, eliminando l’intervallo di tempo fra la scadenza del contratto a termine e il suo (eventuale) rinnovo.

Il contratto siglato a Milano per l’Expo anticipa ciò che diventerà legge con la conversione del decreto legge 34 dell’attuale ministro Poletti.

Ricapitolando: degli 800 lavoratori assunti per i 6 mesi di Expo 2015, 340 saranno apprendisti e dovranno avere meno di 29 anni. Altri 300 saranno contratti a tempo determinato e una parte degli impieghi sarà riservata a disoccupati e persone in mobilità.

Sul fronte degli stage, invece, saranno 195 le posizioni da coprire, con rimborsi da 516 euro al mese. A questi si aggiungeranno circa 18.500 volontari, destinati principalmente all’accoglienza dei visitatori: potranno alternarsi su turni di cinque ore al giorno, con un impiego massimo di due settimane ciascuno, per un fabbisogno giornaliero di 475 persone. Con questi “si chiude il fabbisogno per la società” – ha spiegato Sala, l’AD di Expo2015, con il plauso del Comune di Milano e di Cgil, Cisl e Uil.

Con Expo 2015, una volta precarizzato il precarizzabile, si vuole andare verso un nuovo dualismo del mercato del lavoro, stavolta non fra garantiti e non garantiti, ma tutto interno alla precarietà, di tipo generazionale: da una parte il giovane, senza elevati titoli di studio, che va a fare l’apprendista con salario ridotto e basso costo per le imprese; e poi il precario adulto, che vive di contratti a termine.

Difficile che ciò possa creare occupazione. In realtà Expo2015 ci impone debito, precarietà e cemento.

(*) dall’ultimo numero della rivista «Come solidarietà» che si può acquistare da domani nelle strade di Milano oppure in abbonamento.

 

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