Francesco Recami, Giancarlo De Cataldo, Jean-Paul Demoule…

… con Sandrone Dazieri, Amandine Rancoule, Cristina Cassar Scalia, Stefano Radaelli – 7 recensioni di Valerio Calzolaio

Colpo grosso ai Frigoriferi Milanesi – Francesco Recami

Sellerio Palermo – 2023

Pag. 325, euro 15

 

Calvairate e Casoretto, differenti lontani quartieri di Milano. Novembre 2012. Nel deposito-magazzino-retrobottega dell’anonimo dignitoso periferico bar Colpo grosso (in onore della trasmissione televisiva condotta da Smaila, con ragazze scollacciate e generose) si trovano molti dei ben noti coinquilini della casa di ringhiera della più centrale via Accademia 14, hanno nomi in codice e progettano un grosso colpo: Il Solista del mitra dirige la riunioine, illustrando come e cosa dovranno fare i vari Piero, Faccia d’Angelo, la Miciona, signorina Piccirella, René, Mantide del Bormida. A due passi da Porta Vittoria c’è un complesso di archeologia industriale, i Frigoriferi Milanesi. Il grande stabilimento (dove si produceva appunto ghiaccio) è stato ristrutturato: insieme agli edifici vicini il Palazzetto del Ghiaccio è divenuto sede di attività culturali, case editrici, un centro di restauro, un ristorante, sale mostre, spazi congressi, esposizioni di moda; sotto, sono stati costruiti o adeguati dei caveaux freddi e blindati, con pellicce, tappeti, opere d’arte e preziosi. Occorre entrare e recuperare delle preziose casse, è vitale per molti di loro e, in vario modo, sono coinvolti Amedeo Consonni (inquilino dell’appartamento 8), Luis De Angelis (appartamento 5), Mattei-Ferri (12), Angela Mattioli (2 e non solo), il manovale Antonio (9), pure qualcuno che aveva abitato proprio lì e si è trasferito altrove, come pure altri che, più o meno casualmente, s’impicciano, ovvero la nuova famiglia salutista ecosostenibile Scemaghi (15), le nuove alte bionde ridanciane romagnole (appartamento senza numero), i nuovi amanti di differente età (6-7). Sembra sia coinvolta la stessa magnifica irreperibile Yutta. Il fatto è che nessuno è davvero convinto di dover tornare sulla scena e di poter svolgere il ruolo che qualcuno ha discutibilmente deciso da fuori, un Lui, un deus ex machina, un autore che dir si voglia.

L’irriverente divertente scrittore satirico toscano Francesco Recami (Firenze, 1956), ha sempre alternato romanzi e racconti “gialli” dedicati agli ormai famosi (loro malgrado) condomini qui presenti con altri romanzi e altre serie (toscana la seconda) di favole (incubi) o drammaturgia (noir). Dopo l’anno raccontato nei sei programmati romanzi (pubblicati fra il 2011 e il 2016), l’autore era già tornato (nel 2018 e nel 2019) sulle vicende della casa di ringhiera, cercando con ironia e precisione di risolvere vari equivoci e sospetti sui personaggi della sua principale fortunata serie. Varie sollecitazioni lo inducono ora a una nuova pirandelliana avventura, nella quale ci presenta la ribellione dei suoi personaggi in avvincente azione. Dichiara che ci ha lavorato ben quattro anni, lasciando e riprendendo più volte, “in conflitto con la trama”, consapevole di pensarla diversamente da “loro” su scelte narrative e relazioni personali. Per fortuna, c’è il Nonmondo, il posto dove vanno a finire i sapiens finzionali quando non sono più attivi e non sono più funzionali. Le parti del colpo tentato (da cui il titolo) sono quattro: esposizione, complicazione, peripezie, climax e catastrofe. La narrazione si mantiene opportunamente in terza varia al passato, con frequenti brevissime frasi di autocoscienza letteraria in prima. Protagonista continua a risultare quel curioso godibile microcosmo milanese, la ventina di inquilini di un modesto edificio del primo Novecento, con una corte rettangolare e ringhiere di ferro battuto, misfatti crimini emozioni sentimenti che vi si svolgono, storie di tutti i generi e sottogeneri. I romanzi di Recami sono sempre una garbata compagnia, tutti sono e siamo un poco portati in giro, il gioco letterario funziona abbastanza, nella buona e nella cattiva sorte. Vino popolare: Trebbiano e Sangiovese. Giulia, la bella figlia di Angela, si traveste da Lisbeth Salander quando deve andare a Cologno a sentire gli Immortal, gruppo black metal norvegese.

 

 

 

Colpo di ritorno. Un caso per Manrico Spinori – Giancarlo De Cataldo

Einaudi Torino – 2023

Pag. 240 euro 18

 

Roma. Febbraio 2019. Il melomane romano sostituto procuratore della Repubblica Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Rick Contino Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda ha appena dormito l’intera notte con una donna, è una novità. Lei è Maria Giulia Lodi, alta e mora, informatica, con due figlie; il rapporto si va consolidando, a loro modo. Quella domenica poco prima delle nove lo chiama Gaspare Volpe Argentata Melchiorre, procuratore capo, gli ingiunge di raggiungerlo a casa in fretta. Non senza essersi amorevolmente accomiatato, il contino avvisa il fido maggiordomo Camillo (badante pure dell’anziana madre, furba spendacciona ludopatica) di servire la colazione a letto alla signora e di mantenere massima discrezione. Prende la Hybrid, si sintonizza su Radio 3 e raggiunge l’elegante attico vicino al Palazzaccio. Brutta storia: deve sostituire il più giovane e ambizioso collega Enzo Micotti (appena destinato a dirigere un ufficio ministeriale) e seguire lo spinoso caso dell’omicidio del mago di Trastevere. Melchiorre spiega che si faceva chiamare Narouz e solo Manrico capisce che il nome proviene dal Quartetto di Alessandria di Durrell, il fratello di Nessim. Fra i clienti assidui che lo frequentavano tanti ricchi e potenti, fra loro la senatora amica di Melchiorre: Bianca Maria Olivieri, bella cinquantenne dai capelli vaporosi e dal vistoso abbigliamento, colonna portante di una delle formazioni minori che sostengono il governo populista in carica (do you remember?), ospite fissa di innumerevoli talk-show, a consulto dall’ucciso poche ore prima del colpo fatale. Va assolutamente coniugata l’esigenza di legalità e il minor danno mediatico e istituzionale. Manrico pone le solite condizioni (esenzione da tutte le udienze, macchina di servizio) e si mette al lavoro alla cittadella giudiziaria di piazzale Clodio, con la sua squadra di donne efficienti e diverse. Dovrà fare capriole magiche e approfondimenti satanici per venirne a capo.

Il bravo magistrato e grande scrittore Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956) non è un melomane di gioventù, a un certo punto ha riscoperto l’impatto emozionante dell’opera lirica che gli ha scombussolato la vita e, per l’ennesima volta con successo, anche l’identità letteraria. Siamo già alla quarta avventura della nuova gustosa serie di noir, già quattro casi clamorosi in cinque mesi per Manrico (novembre 2018 – marzo 2019), il quinto arriverà presto. Il bel signorile melomane è un gran personaggio, perfetto per mescolare l’esperienza professionale e la passione musicale di De Cataldo con due differenti generi narrativi. Il credo è rigoroso: “non esiste esperienza umana – delitto incluso – che non sia già stata raccontata da un’opera lirica. Bisogna individuarla. E rimettere al centro della scena il melodramma della realtà”. Si comincia con il morto, come da copione giallo, qui una vicenda complessa da collocare artisticamente. Seguono tutti i riti dell’investigazione, sia letterari che istituzionali. La narrazione è in terza (quasi) fissa al passato. Manrico va alle prime, cita opere, ascolta lirica e classica, raccoglie informazioni sugli specifici riferimenti culturali del caso, è caparbio. Però, a lungo non riesce ad associare alcuna narrazione lirica all’intreccio criminale, questa volta più sostanza che parodia. Qualche spunto lentamente lo trova, grazie anche al lavoro delle investigatrici collaboratrici, soprattutto dalla “fascista” romanaccia Deborah Cianchetti, un metro e ottanta di tatuaggi e muscolatura da karateka, ormai davvero incerta su matrimonio e maternità; un poco pure dalla gentile meticolosa coordinatrice 40enne Sandra Vitale, dubbiosa sulla rottura definitiva col marito fedifrago, dalla bassa giovane sarda Gavina Orru, che non riesce a restare incinta, sempre concentrata e corrucciata (col caschetto), imbattibile al computer, e dall’efficiente spiritosa sospirosa segretaria Brunella, nel caso in oggetto acuta e interessata. Il mondo del protagonista è popolato di donne vitali e di colta musica, pur se restano utili fondente e buon alcol (rhum, cognac, whisky, vino di qualità). Impariamo qualcosa su riti esoterici e politici, come al solito molto sulla giusta giustizia garantista e sul pessimo scandalismo morboso.

 

 

 

Homo migrans. De la sortie d’Afrique au grand confinement – Jean-Paul Demoule

Payot & Rivages Parigi – 2022

Pag. 430 euro 23

 

Pianeta (tutto raggiunto e abitato a partire dal continente africano). Da milioni di anni. L’uomo è l’unica scimmia migratrice, nessun’altra migra, né quelle della savana, né quelle delle foreste: siamo dunque una specie di scimmie migratoria o addirittura invasiva (fra le almeno 182 identificate)? Le specie umane iniziarono almeno due milioni di anni fa, al tempo dei più antichi Erectus che riuscirono a lasciare l’Africa (attestati prima in Georgia, poi in Cina e India, forse nello stesso periodo o certamente da 800.000 anni fa, in Spagna e Francia circa 1,2 milioni di anni fa). Le scoperte archeologiche non sono ancora abbastanza numerose né i sistemi di datazione abbastanza precisi per permetterci di ripercorrere nel dettaglio modi e tempi di questi spostamenti. Le migrazioni dei sapiens ci hanno via via condotto ancor più lontano degli antenati umani, con una svolta stanziale legata al Neolitico e al relativo boom demografico (con l’avvento dei “popoli”, mai delle “razze”). Esistono molte categorie di classificazione delle migrazioni umane, rimaste più o meno le stesse nella lunga durata: di popolamento o di conquista, economiche o politiche, dovute a forze esterne o a curiosità interiori, individuali e di gruppo. Se si tenta una storia globale delle migrazioni umane si deve riflettere su alcune premesse: probabilmente non vi è mai un’esclusiva causa scatenante; partire e arrivare, veder partire o veder arrivare è sempre una questione di punti di vista; assumono pure ovvi significati diversi qualcuno che vuole espatriare rispetto a qualcuno che è costretto a rifugiarsi all’estero, pur entrambi migranti; la vita nomade era assolutamente prevalente fino al Neolitico ed è rimasta praticata da minoranze anche dopo, anche ora; interrogativamente, il “Grande Confinamento” conseguente alla pandemia di Covid-19 potrebbe forse anticipare una tendenza alla fine delle migrazioni? Forse se o quando gli uomini smetteranno di migrare ci sarà da preoccuparsi.

L’esperto archeologo e storico della tarda preistoria Jean-Paul Demoule (Neuilly-sur Seine, 1947), dopo innumerevoli volumi e saggi sulle teorie e sulle pratiche del Neolitico, ha deciso di prendere di petto la questione delle migrazioni umane con un corposo documentato studio tematico. Il migrare umano esiste da prima, ma da diecimila anni ci ha proprio radicalmente trasformato: sapiens eravamo poche centinaia di migliaia sparsi in tutti i continenti ma non stanziali, isolati in gruppi erranti. Ora siamo circa otto miliardi, sedentari, perlopiù con residenza unica o prevalente nelle fasi dell’esistenza (pur talora migrante). L’introduzione progressiva dell’agricoltura e dell’allevamento ci ha reso “residenti”, diffondendo anche “pratiche” che esistono ancor oggi: lavoro, guerra, religione. L’autore ha predisposto nove meditati capitoli secondo uno schema cronologico: quando Homo erectus e sapiens si avventurarono fuori dall’Africa; quando le rivoluzioni neolitiche e le colonizzazioni agricole «rovesciarono» il pianeta; quando gli «indo-Europei» popolarono il mondo; quando nacquero gli Stati, gli imperi e i «barbari»; quando i barbari «invasero» l’Impero romano; quando uomini, merci e idee circolarono liberamente nel Medioevo; quando l’Europa partì alla conquista del resto del mondo; quando le grandi potenze costruirono gli imperi coloniali, accelerando i movimenti delle popolazioni; quando gli imperi caddero a pezzi nella violenza. Le conclusioni ragionano su chi ha inutilmente (e un poco scioccamente) paura delle migrazioni, fenomeno indissociabile dalla storia umana per cinque principali costanti: la demografia, la volontà di potenza, il meticciato costante che «agita» popoli e culture, il bisogno di capri espiatori (boucs émissaires) esterni (barbari e immigrati) per definire sé stessi, la solidarietà sociale. In fondo non mancano ricchi apparati: le brevi note, l’ampia bibliografia, grafici e carte, fonti, articolato indice di nomi di persone e popoli, indice dei tanti luoghi citati, sommario.

 

 

 

Il figlio del mago – Sandrone Dazieri

Rizzoli Milano – 2023

Pag. 156 euro 14

 

Toscana, estate 1993. Antonio è del 1976 e ormai ha quindici anni. Ha dovuto ripetere la terza media e ora, finita la scuola, deve decidere se trovare lavoro da manovale o altro più o meno precario oppure proseguire i non amati studi. Il padre Enzo era nato giostraio figlio di giostrai e, dopo una obbligata parentesi da meccanico in officina, quando aveva conosciuto la madre (rimasta presto incinta), erano ripartiti tutti in carovana, sulla strada tra la Campania e la Calabria. Antonio aveva vissuto in un campino fino ai sei anni, i sei anni migliori della sua vita (finora) e i peggiori per la madre, che aveva chiesto la separazione al momento dell’inizio della sua scuola elementare, trovando occupazione come callista nel retro di un negozio di scarpe ortopediche e lavorando anche d’agosto in un ospizio per tenere in ordine le vecchie. Una calda sera di quel luglio rivede il padre, prendono una pizza insieme, la stessa notte il camper dove viveva prende fuoco, muore nel rogo. Antonio capisce che non è stato un incidente, che c’è almeno un assassino in giro, forse una setta, comincia a indagare. Pian piano scopre che il padre gli aveva mentito in più occasioni, su uno dei primi pesanti cellulari che usava, sulla passione per la magia nera e su alcuni affari criminali in cui era invischiato. Del resto, forse non solo sciacalli erano tornati sulla scena del crimine (il camper bruciato), lasciando rose rosse a testa in giù; altri avevano inspiegabilmente perquisito o rubato in casa loro; gli stessi carabinieri mostrano di sospettare qualcosa e risultano molto sospettosi (c’erano stati altri delitti in zona, non sempre risolti bene); infine, tanti amici o conoscenti sembrano voler rintracciare una scatola preziosa, disposti a uccidere per ritrovarla. Si rischia la vita.

L’affermato sostanzioso scrittore di genere Sandrone Dazieri (Cremona, 1964) afferma di essersi ispirato per il suo bel romanzo breve ad alcune “morti collaterali” del Mostro di Firenze, quell’ecosistema collinare naturale e umano tra Prato e il capoluogo regionale, quel tipo di personaggi con precedenti penali e ai margini della vita sociale, quel periodo storico a cavallo fra Ottanta e Novanta, quelle notizie di cronaca vera connesse alle molte vittime della catena di delitti rimasti senza colpevoli (soprattutto proprio nel biennio 1992-1993, come spiega la nota finale). Non si tratta, comunque, di un’invenzione letteraria relativa all’intera eclatante vicenda dei Mostri (almeno sedici persone uccise dal 1968 al 1985), piuttosto di una possibile (per coincidenze e connessioni) intima vicenda collaterale concentrata sull’ingresso traumatico di un 15enne nella vita adulta. La narrazione è in prima persona al passato, il ragazzo racconta alcuni mesi della sua transizione: il bisogno di capire meglio ruoli e caratteri dei genitori separati, l’introspezione rispetto a modelli di vita non tradizionali (pochi operai o contadini), i primi incontri sessuali con l’esperta acuta ragazza che gli piace ma è fidanzata, la curiosità crescente accanto a un senso di giustizia privata. Segnalo i trucchi di magia basati sulla semplicità, a pagina 120, richiamano la lettera nascosta di Poe. Quasi tutti hanno motorini, la madre e altri la classica Vespa, Antonio un veloce Ciao molto ben ritoccato. Si suona Vasco, si ascolta Jovanotti, ma l’amico Benny preferisce Neil Young o altro “vecchiume”. Vino non manca (mai da quelle parti).

 

 

 

Marsiglia e le Calanques. Lonely Planet – Amandine Rancoule

Traduzione di Andrea Robino Rizzet

Edt Torino – Luglio 2023 (orig. aprile 2023)

Pag. 176 euro 13,90 (formato pocket)

 

Provenza. Per quando ci andate. La Provenza è la splendida regione francese che va dal fiume Rodano a ovest praticamente fino all’Italia a est, connessa amministrativamente ad Alpi e Costa Azzurra, scendendo dai monti e dalle colline (della lavanda, degli ulivi, di gran vini) al Mediterraneo. La storica capitale è Marsiglia, crocevia di migrazioni e commercio sin dalla sua fondazione a opera dei Greci nel 600 a.C.; da sempre primo porto di Francia (quarto a livello europeo); seconda municipalità per abitanti, oggi poco meno di un milione. Luoghi da frequentare, prima o poi. Con il recente pocket della Lonely Planet accanto, se possibile. Le guide cartacee sono state per decenni indispensabili a chi viaggiava anche o solo per piacere (turismo, svago, cultura, amicizie). La casa editrice originariamente australiana rivoluzionò il settore a partire da circa cinquant’anni fa: dettagliate informazioni su tutti i molteplici aspetti dell’incontro con gli altri ecosistemi umani; una struttura interna colorata molto articolata per compartimenti, foto, titoletti, riassunti, inserti, schede, itinerari stradali, indici, caratteri; uno stile fresco e colloquiale, volutamente rivolto alla scelta individuale di non lasciare più “solo” il luogo del pianeta che si visita. Da quasi un quarto di secolo la guida cartacea ha dovuto adattarsi ai cellulari, alla immediata dimensione a 360 gradi della indispensabile comunicazione anche web. Non ci si rinuncia se si usa pure un quadro unitario e meditato di dati scritti, un oggetto pratico da tenere in tasca in ogni momento, un vademecum globale e coordinato, allo scopo di trovare connessioni fuori da mappe puntiformi che ti chiedono il tuo contingente punto di partenza e di eventuale arrivo (un’ampia bella mappa cartacea estraibile è comunque allegata in fondo, con i simboli connessi al testo). Funziona tutto meglio, anzi. Provare per credere!

La giovane giornalista e scrittrice provenzale Amandine Rancoule aiuta ottimamente a impostare e gestire un soggiorno fertile a Marsiglia. L’ottava edizione è datata aprile 2023, la prima traduzione italiana luglio 2023. La cura per gli aggiornamenti la si riscontra per esempio nel richiamo alla replica (bellissima ma costosa, 16 euro) della grotta Cosquer, aperta a metà 2022 e autorevolmente inaugurata a metà 2023, presso la Ville Méditerranée (accanto al MuCEM). Riprendendo l’impostazione generale della serie, i preziosi capitoli sono tre, il primo riguarda la pianificazione del viaggio per obiettivi, compatibilità e costi: le bellezze da non perdere, il mangiare, i bambini, lo shopping, il famoso sapone, i locali e la vita notturna, la pétanque (gioco molto simile alle bocce), le spiagge, le immersioni, le tradizioni, il (tentare di) vivere alla marsigliese, i grandi appuntamenti periodici per mese, i quattro giorni “perfetti”, i quartieri. Proprio dalle zone principali si riparte alla “scoperta” della città, con continue specifiche segnalazioni degli edifici e musei più rilevanti, di cose da non perdere, dei locali per pasti e divertimenti, degli hotel di vari prezzi, di negozi e curiosità: Vieux Port; Panier e Joliette; Noailles, La Plaine e cours Julien; Préfecture, Castellane e Prado; Canebière, Belsunce, Longchamp e Belle de Mai; La Corniche, Endoume e Notre-Dame-de-la-Garde; Calanques. Al loro interno, l’autrice individua e suggerisce di concentrare l’attenzione in particolare su sette architetture storiche “in evidenza” e su quattro logistiche già trattate, ognuna da sola varrebbe il viaggio: Le Îles du Frioul (fra cui If, con il mitico castello, simbolo delle isole carcere); alle porte delle Calanques; nelle terre di Pignol; l’Estaque e la Côte Bleue. Il terzo e ultimo breve capitolo contiene la solita guida pratica per pernottamento, arrivo, trasporti, informazioni, aspetti linguistici e un essenziale indice dei luoghi e degli indirizzi citati (non dei nomi, ovviamente, ma Izzo è spesso richiamato nel testo).

 

 

La banda dei carusi – Cristina Cassar Scalia

Einaudi Torino – 2023

Pag. 291 euro 18,50

 

Catania (con la solita veloce puntata nel capoluogo siciliano). Aprile 2017. Dopo tre anni a Milano e una promozione sul campo, da circa un paio d’anni la tenace, attraente e decisa 39enne poliziotta palermitana Giovanna Vanina Guarrasi è tornata sull’isola, a Catania, vicequestore aggiunto, dura temuta dirigente della sezione Reati contro la persona, e molti la vorrebbero alla sezione Criminalità organizzata. Lei è soddisfatta del lavoro e della squadra formale e informale che guida. Questa volta, però, l’omicidio di un ragazzo non la lascia indifferente e concentrata: lo aveva conosciuto alla parrocchia di don Rosario Limoli, il prete di frontiera che a San Cristoforo ha impiantato un centro di recupero per quei tossicodipendenti che vogliono uscirne e per coloro che cercano di affrancarsi da giri criminali. Gli era proprio piaciuto, si era affezionata: si tratta di Thomas Ruscica, un ragazzo dal passato difficile, proveniente da una famiglia malavitosa da cui aveva preso le distanze, impegnato a salvare altri nelle stesse condizioni. Lo ammazzano in un capanno del lido in cui lavorava, al confine tra la sabbiosa Playa e l’oasi del Simeto. Viene trovato dalla sua carusa Emanuela Greco, brava figlia di un noto avvocato, la quale tuttavia presto diventa la principale sospettata, in base a indizi forse lasciati ad arte. Vanina ne è convinta e presto scopre che Thomas continuava a cercare altri da salvare dai guai e stava anche collaborando con la Questura per un’operazione antidroga a San Cristoforo. Eppure, il delitto non sembra opera di professionisti, si tratta di farsi aiutare da colleghi e volenterosi, poi di scavare a fondo nelle relazioni sociali.

 

La brava medica oftalmologa Cristina Cassar Scalia (Noto, 1977) continua a scrivere bei gialli, la divertente serie di Vanina va a gonfie vele e nel 2023 ne sono usciti due: il settimo era un breve prequel (ambientato nel 2015), questo è l’ottavo, sequel delle precedenti avventure, che si svolgono tutte a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, fra il 2016 e il 2017 (molto prima della pandemia). La narrazione è in terza al passato, fissa (quasi) su Vanina, che ormai conosce meglio sia colleghi che città, pur continuando ad appuntare le “catanesate”, i carusi sarebbero picciotti a Palermo. Lei gira sempre con la pistola, preserva fondente nei cassetti, fuma Gauloises, ama vecchi film, ingozza dolci e altre specialità. Ormai si è definitivamente sistemata in una casetta alle pendici dell’Etna, a Santo Stefano, un’oasi di pace all’interno di una proprietà più grande, circondata da giardino e agrumeto, con l’edificio principale abitato dalla padrona di casa, la materna amabilissima 76enne vedova Bettina, originaria di Ragusa e brava solidale cuoca, alla quale questa volta capita un incendio a casa, forse casuale forse sospetto. Quelli che amiamo, colleghi, parenti, magistrati e magistrate, amici e amiche, ci sono tutti: come ben sanno gli editori (almeno dai tempi di Holmes e Conan Doyle), ogni nuova avventura di personaggi seriali è per il lettore una sorta di ritorno in famiglia, bimestre (o anno) dopo bimestre (anno), passione dopo passione, tribolazione dopo tribolazione. Inevitabile ripetersi, basta solo aggiornare le linee esistenziali: con Paolo le cose a distanza vanno bene e reclamano maggiore amorevole presenza, Maria Giulia De Rosa ha fatto le sue scelte, Tito e Marta sono un poco ammalati, l’83enne Biagio contribuisce molto come sempre all’indagine e accetta (o subisce) di coinvolgere in vario modo Angelina, pure Carmelo riallaccia qualcosa con la (ex) moglie, gli agenti maturano, Chanel s’impone sulla scena insieme all’intera banda dei carusi (da cui il titolo). Segnalo Romanzo criminale, a pagina 140. E la Timpa, a pagina 214. Speciale il vino dell’Etna che procura Gregorio. Vanina s’arrangia con una vecchia raccolta di Vasco o con musica techno.

 

 

 

Identità preistoriche. Potere, disuguaglianza e rito nelle società neolitiche del Vicino Oriente – Stefano Radaelli

Oltre Sestri Levante – 2023

Pag. 270 euro 24,50

 

Ultimi diecimila anni. Eurasia in proiezione mediterranea. L’idea secondo cui la disuguaglianza sarebbe un aspetto inevitabile e universale della socialità umana è stata messa in discussione in modo sistematico solo in tempi relativamente recenti, con l’avvento dell’era moderna. Da una parte, la vita sociale e politica delle popolazioni indigene del Nuovo Mondo incarnava una sfida senza precedenti per le categorie occidentali perché sembrava dimostrare che molte cose che venivano date per scontate, come la monarchia o la proprietà privata o l’organizzazione patriarcale della società, erano in realtà assai meno universali e “naturali” di quanto si fosse creduto fino a quel momento. Dall’altra parte, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, con la diffusione delle teorie evoluzioniste di Darwin e con la nascita dell’archeologia, è divenuto evidente che la nostra specie, alla pari di tutte le altre, non è sempre esistita, ma è un “prodotto” almeno di decine di milioni di anni di evoluzione. Da una parte, la storia umana non ha un andamento di progresso lineare, dall’altra va sempre letta come parte di una più ampia storia naturale. Definire “semplici” le società del passato ha poco senso: l’organizzazione collettiva umana richiede sempre lo sviluppo di strategie di convivenza e formule “sapienti” in grado di far funzionare la vita sociale. Lo sviluppo socio-culturale, al pari dell’evoluzione naturale, non ha affatto un andamento teleologico e non avanza per stadi successivi ben distinti. Pertanto, l’organizzazione sociale umana non è originariamente gerarchica tanto quanto non è originariamente egalitaria. Proviamo a verificarlo attraverso tante esistenti testimonianze archeologiche.

Il filosofo veneto specializzato in semiotica Stefano Radaelli (1983) lavora nel campo della scuola ed è un ricercatore indipendente di antropologia e archeologia. Dopo anni di studi e approfondimenti, ha ora realizzato un bel saggio, a dimostrazione che nella conoscenza interdisciplinare non ci si può limitare al mondo accademico, talora condizionato da gelose logiche compartimentali e autoreferenziali. L’autore tratta e riassume diversi aspetti del periodo finale del Paleolitico, da circa cinquanta mila anni fa e si concentra poi sia su tempi più recenti, dall’inizio del Neolitico verso di noi, che su spazi più definiti, ovvero il cruciale Oriente più vicino all’Europa (da cui il titolo). Sembrerebbe confermato che i nostri antenati neolitici, nonostante le sfide generate dalla lenta conflittuale rivoluzionaria opzione stanziale e le allettanti opportunità offerte dalle prime economie di autoproduzione “in loco”, siano riusciti a prevenire con successo per diversi millenni lo sviluppo di società stratificate e di istituzioni politiche centralizzate e oppressive. La peculiarità delle forme di organizzazione di alcune società neolitiche, forse dipesa da un’originale sinergia tra tendenze individualistiche e tendenze egalitarie (analizzata nel primo capitolo), trovò espressione in un’ampia varietà di fenomeni culturali e sociali: la concezione del corpo, rivelata in particolare dalle pratiche funerarie, dai temi figurativi e dall’arte plastica; il rapporto dinamico e spesso ambiguo con il nascente ambiente edificato e, più in generale, con la materialità (oggetti, elementi naturali, sostanze ecc.); la visione cosmologica che, attraverso la mediazione del rito, ispirava formule di vita collettiva flessibili e acefale. A creare un contesto favorevole sarebbero stati vari fattori sia esterni che interni (per esempio, maggiori mitezza e stagionalità climatiche, diversificazione delle strategie di sussistenza, tendenze demografiche), mentre a garantire la sua incredibile sopravvivenza nel tempo (si parla di diversi millenni) sarebbero state formule culturali e politiche delle quali non sappiamo nulla per certo, ma sulle quali è possibile avanzare delle congetture a partire dalle testimonianze archeologiche. Probabilmente quei sapiens neolitici pensavano sé stessi in modo parzialmente differente da come noi ci pensiamo oggi, tanto come persone quanto come collettività. Seguono sei densi capitoli su: la nascita dei primi villaggi; le origini dell’agricoltura; identità, rito e vita collettiva nei villaggi neolitici; le origini della civiltà; violenza, rito, potere; il mondo dei vivi, il mondo dei morti. Utili la ricca bibliografia e gli indici (dei nomi e dei siti archeologici).

Redazione
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