Giancarlo Biffi: far fuori il pensiero

Ogni anno in tanti si danno da fare per realizzare una nuova estate della cultura. Un’estate che si allunghi nel tempo e scaldi cuori raffreddati da tanta demagogia e inettitudine; credere in un progetto culturale, curarlo, rafforzarlo in modo che si radichi nel territorio, nel suo corpo sociale, continuare a scommettere su di esso, a maggior ragione di fronte ad un domani che si presenta molto più povero e più insicuro. Essere sballottati da un’onda schizofrenica che nell’oscillazione di un notevole fermento artistico e pur sempre sospesa sopra una palude d’incertezza e di stupidità.

All’oggi sembra perfino utopico pensare di realizzare anche una minima parte di quel che si era preventivato. Pare proprio che per la cultura le campane suonino a morte, l’asfalto sta ricoprendo ogni fiore artistico e chi sopravviverà all’ecatombe sembrerà un miracolato. Annaspiamo in una crisi economica molto differente da quelle precedenti, in cui modelli diversi si contendono la posta in gioco senza esclusione di colpi. La forza artistica unita alla debolezza economica di chi fa cultura, contro il dispotismo arrogante di chi pur innalzandola a parole poi in ogni sua azione l’affossa. “Tutto quel che dona riflessione, che mette in moto il pensiero deve essere fatto fuori!”.

Quale occasione migliore da cogliere se non questa: con la scusa del deficit di bilancio è possibile sradicare totalmente ciò che crea scintille al cervello. Il gioco è fatto! Non penso proprio che togliendo fondi al settore culturale i risparmi siano sostanziosi, è come non comperare un libro al proprio figlio perché in casa entrano meno soldi. “Un violino in più per un fucile in meno” questo dovrebbe essere il grido di riscossa dell’arte nei confronti della fanfara mortifera. Un suono invece di una pallottola.

A questo punto la scelta pare naturale, ogni madre sceglierebbe per il proprio figlio la nota musicale invece del buco nel petto. Allora, perché questo non avviene? Perché gli investimenti sulle armi sono così poderosi? Di cosa dovremmo avere paura, dopo che siamo stati devastati negli animi, nei desideri, nelle prospettive di futuro? Da quale nemico dovremmo difenderci, quando lo stesso si trova in mezzo a noi e giorno dopo giorno mina i pilastri su cui una società che ambisce a essere civiltà dovrebbe reggersi?

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