I canali di Marte

Se passate da Brera a Milano, ma occorre una visita guidata, posate i vostri occhietti belli sul restaurato telescopio Marz da 22 centimetri col quale Giovanni Schiaparelli il 23 agosto 1877 osservò Marte. In un altro agosto, esattamente il 27 del 1911, per un clamoroso equivoco venne attribuita a lui l’idea dei canali artificiali su Marte. Dunque il «pianeta rosso» era abitato, i marziani erano evoluti e da lì scattò la consueta altalena di paura e speranza: sarà guerra o il primo abbraccio ai fratelli lontani?

La storia è piena di bufale, falsi voluti, illusioni di massa ma i «canali» di Schiaparelli sono un banale errore di traduzione le cui conseguenze però si protraggono per anni e nell’immaginario collettivo sin quasi a oggi. Non c’è nulla di paragonabile nella storia recente tranne forse un’inverosimile storia che riguarda Agatha Christie. Quando il suo romanzo che noi conosciamo come «Dieci piccoli indiani» fu tradotto in Francia nel 1947, nell’ultima pagina il traduttore (o il tipografo?) saltò 3 righe, cruciali per la spiegazione: nessuno se ne accorse e ben più di 10 piccoli francesi lessero il libro mutilato sino al 1981 quando l’errore fu corretto.

Per capire la portata dell’errore sui “10 piccoli canali” bisogna velocemente riassumere i nostri rapporti con Marte. Non facili dato che quel colore rossastro preoccupa i primi astronomi-astrologi: così i babilonesi lo chiamano Nergal, dio di morte e pestilenza, i Greci gli danno nome Ares (dio della guerra) e i Romani seguono a ruota: Marte come il dio delle battaglie.

Nello studio di Marte ci sono molti astronomi italiani, da Galilei a Francesco Fontana a Giandomenico Cassini. Nel 1877 Schiaparelli (direttore dell’osservatorio di Brera) inizia le osservazioni. Vede alcune strisce, gli sembrano dritte. Ipotizza siano canali. Fra i lettori appassionati dell’italiano vi sono i maggiori astronomi da Camille Flammarion al ricchissimo Percival Lowell che, a sue spese, fa costruire nel 1896 un osservatorio negli Usa.

La parola italiana «canale» non ha corrispettivo inglese: «canal» sta per artificiale mentre «channel» può essere naturale. Su una frettolosa traduzione si costruiscono equivoci a catena che arrivano al grande pubblico quando, il 27 agosto 1911, The New York Times pubblica in prima pagina un articolo (ispirato da Lowell) sull’esistenza dei canali, intesi come artificiali, sul pianeta rosso.

Fu un altro italiano, l’auto-didatta Vincenzo Cerulli, a ipotizzare che i canali fossero un’illusione ottica. Oggi sappiamo che non sono naturali né artificiali, semplicemente non esistono. Ne siamo certi dal 1965, grazie alle foto della sonda Mariner 4.

Marte non ci può minacciare perchè è freddo, arido, desertico. Morto. Gli ottimisti sperano di trovare ai poli o in qualche profondità un po’ di vegetazione o di vita biologica ma pochi ci scommetterebbero. Eppure i fiumi c’erano, dicono le analisi del terreno. Perchè sia finita l’acqua e se qualche forma di vita abbia attecchito per poi morire sono due misteri da risolvere.

Nel frattempo i marziani ci hanno invaso. Con infinita ferocia (da Wells in poi) con ironia (Ennio Flaiano, «Un marziano a Roma»), persino attraverso un profeta hippie («Straniero in terra straniera» di Heinlein vendette milioni di copie).

Qui accanto (*) Andrea Mameli spiega come e perchè andremo sul pianeta rosso: non nel 1985 come previde nel 1949 Werner Von Braun, papà dei voli spaziali. Se vorremo abitarci bisognerà dar vita a una impresa ancor più difficile e costosa dei viaggi interplanetari: la terraformazione. Con questo termine si intendono le mille operazioni necessarie a rendere abitabile un pianeta non adatto a noi. Fantascienza? Per ora sì ma uno scienziato-scrittore, Arthur Clarke, non scherzava quando (nel 1952) ipotizzò – in «Le sabbie di Marte» che in Italia aprì la collana Urania – di riscaldare Marte con un’esplosione nucleare sul satellite Phobos. Vuoi vedere che l’atomo, minaccioso sulla Terra, ci ridarà il cugino perduto? Se andrà così consiglio (i nipoti?) di leggere «Seconda stella a destra», la «guida turistica del sistema solare» scritta da due uomini di scienza, Andrea Bernagozzi e Davide Cenadelli che ipotizzano attività sportive su Marte: scalare il Monte Olimpo (24 km, altro che Messner) o calarsi in Valles Marineris, un gemello del Grand Canyon ma 10 volte più grande. Buon viaggio.

(*) Nella scheda accanto a questo articolo, che è uscito oggi sul quotidiano «L’unione sarda». Qui http://linguaggio-macchina.blogspot.com/2011/08/la-storia-dun-viaggio-mancato-cultura.html  potete leggerlo a sbafo. (db)

Redazione
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  • Ho ricevuto – a proposito di Von Braun – un msg privato che però… mi chiede di rispondere in pubblico (e di non essere citato).
    Francamente non capisco queste reticenze a esporsi quando si chiede ad altri di farlo: mah.
    A ogni modo la faccenda Von Braun è interessante. E complessa.
    Dovessi riassumere il msg ricevuto il senso sarebbe questo: “proprio tu, antifascista convinto, butti lì un disinvolto PAPA’ DEI VOLI SPAZIALI a proposito di quel nazista sfegatato che fu Von Braun?”.
    Capisco l’obiezione ed è giusta. Però non si può sempre parlare di tutto: era un breve articolo (su Marte potrei scrivere davvero per giorni anche senza ricorrere alla fantascienza) non un libro; degli scienziati nazisti riciclati nei due blocchi so poco (si sa poco) ma, se mi capita, ne parlo senza reticenze. Mi pare di averlo fatto capire nel mio articolo su Gagarin…
    Chi vuole capire di cosa è colpevole Von Braun (e cosa su di lui è stato nascosto) provi a cercare in rete o in biblioteca qualche notizia sul campo di concentramento di Dora, o di Mittelbau-Dora. Le notizie reperibili sono poche perchè, checchè si dica, la coppia rimozione-censura funziona bene ma alcune cose sono chiare: lì i detenuti lavoravano, in condizioni di schiavitù sulle V2; lì morirono a migliaia; lì comandava Von Braun; impossibile che Von Braun non sapesse che quei “suoi operai” (tedeschi, slavi ecc) erano trattati peggio delle bestie o degli schiavi.
    Sapevo che nel film “Intrigo a Berlino” di Steven Sodebergh se ne parlava, così qualche sera l’ho visto con molte (forse troppe) aspettative. Non un brutto film ma assai reticente su Von Braun. Magari ne parlerò in un’altra occasione (db).

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