Il calcio che si crede eterosessuale 100%

«Ci manca(va) un Venerdì»: nella puntata 97 Fabrizio Melodia butta uno sguardo sull’omofobia – che in Italia trova ben poca opposizione – nello sport “più bello del mondo”  

   «I miei genitori mi hanno insegnato il rispetto. Ognuno di noi deve fare qualcosa per migliorare la società, non solo per combattere l’omofobia ma anche per sconfiggere il razzismo e tutte le altre discriminazioni» afferma in un’intervista il calciatore cagliaritano Daniele Dessena, in riferimento alla sua adesione alla giornata mondiale contro l’omofobia.

E aggiunge: «Per me è un giorno importante perché ho potuto dare un contributo reale a una causa importante e in cui credo. […] Non mi è mai capitato nella mia carriera di incontrare giocatori omosessuali, anche se credo possano essercene. Il fatto che un calciatore come qualsiasi altra persona possa manifestare pubblicamente un orientamento sessuale differente dal mio non rappresenta alcun problema né fastidio. Dovremmo cominciare a cambiare radicalmente la nostra mentalità, realmente, non solo a parole». Dessena dimostra una notevole integrità e una non comune chiarezza di idee e di azioni in un Paese dove una – forse ipotetica – maggioranza sia della “società civile” (cioè chi mai si mescola con le nefandezze dei politici) che della “casta” (partitica e non) oscilla verso pulsioni razziste e populiste o almeno non si impegna sul serio a combatterle.

Ben pochi nel mondo del calcio italiano hanno le idee chiare come Dessena. Sul tema dell’omosessualità a esempio Claudio Marchisio, della Juventus, adotta una linea più morbida seppur critica: «Il nostro ambiente, in effetti, sull’argomento è un po’ ingessato. Se uno esce dal posto di lavoro per mano al proprio compagno per fortuna non fa più scalpore; all’uscita da un campo di allenamento invece la scena non si può immaginare. E non è giusto».

Più pessimista il calciatore Antonio Di Natale: «Infrangere il tabù dell’omosessualità nel mondo del calcio è un’impresa difficile, direi quasi impossibile. Mi chiedo: come potrebbero reagire i tifosi? Mica possiamo prevedere le reazioni di tutti. Mi dispiace, ma non condivido la scelta di rendere pubblica, almeno nel mondo del calcio, una situazione privata così importante. Il nostro mondo, sotto certi punti di vista, è molto complesso».

Cacciare la testa sotto la sabbia per paura di vedersi negati i favori della folla è una prassi rigettata dall’allenatore Cesare Prandelli: «L’omofobia è razzismo, è indispensabile fare un passo ulteriore per tutelare tutti gli aspetti nella autodeterminazione degli individui, sportivi compresi».

L’ipocrisia dei molti scatena l’ira della Tigre di Cremona, al secolo Mina: «Oggi, l’accozzaglia casuale del “gruppo”, spesso virtuale e telecomandato, fa sfogare la appartenenza nell’irrealtà dei social network. Sociale? Non si cerca uno schieramento, lo si trova. Non c’è più l’incognita del rossore delle guance e l’omofobia è facile come il maoismo, il nazismo, l’horror, il terrorismo, la destra e la sinistra. La responsabilità della scelta è talmente diluita da risultare alibi. La cattiveria moltiplicata per un numero ics di cattiverie senza faccia diventa miele. Gli effetti, anche quando sono raccapriccianti, vengono sminuiti facilmente. Non so cosa fare più che maledire i bulli, le sette dell’ignoranza, i pavidi, quelli che si spacciano per uomini veri, gli amanti dell’omologazione».

L’ossessione per l’altrui sessualità – omo o comunque non conforme – è anche un comodo diversivo per non affrontare, nella pubblica discussione, problemi ben più drammatici, in testa il potere economico/politico in mano a un ristrettissimo gruppo di persone.

La questione è ovviamente antica. Lo scrittore Robert Musil la metteva così: «l’avversione basata su motivi nazionalistici di solito non è altro che avversione nei confronti di se stessi, tratta dagli oscuri recessi delle proprie contraddizioni e fissata su una vittima opportuna; un procedimento collaudato fin dai primordi, quando lo stregone, usando un bastoncino che dichiarava sede del demonio, estraeva la malattia dal corpo dell’infermo».

Il rapper Fabri Fibra sembra saperla lunga: «In Italia l’omosessualità è accettata solo su un palco, nella realtà i gay vengono bastonati in piazza. Vorrei che questi artisti invece di mettersi il lucidalabbra facessero uscire il messaggio che si può vivere l’omosessualità, tabù in Italia, in maniera naturale».

Concludo con il poeta Paul Verlaine che irride la pubblica ipocrisia con sapienza ed eleganza: «In quel caffè pieno d’imbecilli, noi due, | Soli, rappresentiamo il cosiddetto schifoso | vizio d’essere «per soli uomini» e, senza dubbi | Da parte loro, smerdavamo quei coglioni dall’aria bonaria, | I loro amori normali e la loro falsa morale».

Due parole sull’immagine: è «Die Freundinnenx» del pittore Gustav Klimt, andato perduto in seguito a un incendio appiccato dal governo tedesco nel 1945. L’artista amava le donne e le dipingeva da ogni angolazione. Quest’opera è solo un altro dei tanti modi per rappresentare la donna. Il tema dell’omosessualità Klimt lo affronta soprattutto nei suoi disegni “tardivi” che spesso rimangono abbozzi.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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