Il Landini testa calda – di Mark Adin

Appartiene alla leggenda del lavoro agricolo in Italia: era un trattore che necessitava, per avviarsi, di riscaldare la “testa” con la vicinanza della fiamma. Ci si alzava presto e si accendeva il fuoco proprio sotto al motore e, quando era caldo, si dava la prima spinta al volano manualmente. Solo allora partiva, e non si spegneva finchè il lavoro non era terminato. Chi non ci crede può guardare nel Tubo.

Non è di questo Landini che voglio parlare, ma di quell’altra “testa calda” dirigente sindacale, che ha presenziato sabato scorso a Bologna, alla Festa dei 110 anni della FIOM.

Guardando casualmente il Tiggì che trasmetteva Pontida, io e il mio amico-fratellino, appartenente alla stessa federazione metalmeccanica, buttavamo lì parole, fra una fetta di salame e un bicchiere di vino, a mezzogiorno della domenica. Davanti allo sciorinare televisivo di barbe al verde, magliette dalle scritte bellicose, guardie padane in libera uscita e nostra perplessità per la mancanza di necessari sottotitoli durante il comizio del Boss – la “i” è rimasta prigioniera di una punta di malizia – si parlava di cose vere: la soddisfazione per una trattativa andata, per così dire, a buon fine (qualche mese di cassa integrazione contro la canna del gas, ed è qualcosa).

Mi piace l’amico FIOM. Ogni tanto gli viene voglia di mandarmi a stendere, e a me di mandarci lui,

ma non lo facciamo. Ci si rispetta e ci si vuole bene, all’antica. E si cerca di ascoltare l’altro.

Mi racconta, tenendo lo sguardo a Pontida, di un picchetto davanti alla tale azienda. Per chi non sa, il picchetto è il presidio fisico allo stabilimento, volto a scoraggiare chi vorrebbe interrompere l’agitazione. Duro, compatto, necessario, fatto di gente che non vuole tornare a casa con un problema in più, che vuole poter guardare in faccia i figli e la moglie senza sentirsi uno stronzo, che ha bisogno che lo sforzo si concluda con una piccola vittoria. Piccola, sì, perché il destino della fabbrica potrebbe essere segnato, ma concretamente importante. Fuma, cerca di trattenersi ma fuma come un turco, il fratellino sindacalista dalle dita paglierine. Aggiunge che il picchetto è fatto di gente di ogni tipo: ci sono anche un fascista eretico e un leghista. Però gente seria. Mi guarda.

Se si conosce il film “Chi ha incastrato Roger Rabbit”  ci si ricorda di una canzoncina che non può lasciare indifferente il cartoon protagonista: “Ammazza la vecchia…”. Il coniglio non può, non ce la fa proprio a trattenersi, e sbotta: “…col fleeeet!”. E’ più forte di lui.

Così mi aspetta al varco, con un sorrisino, e io non posso che reagire d’istinto: “Un fasciooo? Un leghistaaa?” Lui sbuffa il fumo e ridacchia.

– Proprio così!  Sono solo persone che difendono il loro posto di lavoro –

– Eh, ma “i nostri”? –

– Certo, anche qualcuno loro –

– Come sarebbe a dire: qualcuno? –

– E’ dura, Mark. Si fa ciò che si può con chi ci sta. Non è frequente, ma può capitare anche questo –

Sbigottisco e rientro nei ranghi. Provo a spostare il mio punto di vista: in fondo, perché no? E’ l’etichetta di appartenenza che importa, o le azioni che si fanno? Forse è una domanda retorica.

Proviamo a chiederci se questa vittoria ai referendum, questa schiacciante vittoria, sia stata soltanto opera della sinistra o se al voto abbia partecipato anche una parte di elettori che si colloca a destra e non si riconosce più in una politica che non risolve i problemi. I numeri direbbero di sì, il quinto sì.  Di fronte a quesiti che toccano interessi primari come acqua e nucleare, come la giustizia giusta, il fronte pare sia stato composito, ovvero che non abbia votato “sì” sotanto la sinistra. Anche il fascismo è stato battuto così, con l’unione di forze fra loro molto diverse: dagli anarchici ai monarchici, piaccia o no ai cultori della Resistenza  a senso unico.

Maurizio Landini, nel suo caloroso intervento alla kermesse bolognese, ha parlato con lingua diritta, raccontando di cose semplici, di cose vere: “Il sindacato deve essere autonomo, deve rappresentare le persone che lavorano con te”. Semplice semplice. Lo ha detto con voce velata dall’emozione, lanciando bordate di passione civile, di orgoglio, di esortazione ai giovani a partecipare. Ha raccontato del suo esordio di saldatore, a quindici anni, della sua prima rivendicazione fatta curiosamente a una cooperativa rossa. In nome di un diritto, fregandosene della appartenenza allo stesso partito.

Testa calda? No, è che i diritti vengono prima: la salute, l’equa retribuzione, la sicurezza, la previdenza, la rappresentanza. Meglio non dimenticarlo.

Per i diritti deve combattere prima di tutti l’interessato, chi è direttamente minacciato dalla loro lesione, fregandosene della casacca. E’ così che deve essere un sindacato. Poi venga il resto.

Lo capirà questa sinistra che sembra sorda e cieca, che il giorno dopo una vittoria epocale ricomincia subito a litigare? Perderà l’ennesima occasione per schierarsi dalla parte giusta, senza dividersi, difendendo il Sindacato, ripartendo da lì? C’è bisogno di tornare alle cose concrete, alle cose vere. C’è bisogno di stare con i lavoratori perché lì c’è la parte sana del Paese.

Alla bella manifestazione di Bologna i giovani hanno partecipato massicciamente, e bene ha fatto Landini a invitarli ad entrare nella vita politica in prima persona, riprendendo il magico incoraggiamento di Benigni a essere orgogliosi del proprio lavoro, anche se parcellizzato, anche se snaturato, in fabbrica e nei cantieri, perché il lavoro è fatto, sempre, di impegno, intelligenza, dignità; anche quando si tira un bullone centinaia di volte in un giorno.

 

Mark adin

 

 

Redazione
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Un commento

  • Esiste una distanza siderale tra politica e mondo del lavoro. Distanza cercata dagli stessi partiti di “sinistra”, che avevano subito l’autonomia della Cgil e il ruolo di supplenza come veri oppositori al regime. La Fiom ha una storia diversa e molto più complessa. Dopo aver per decenni dominato le Camere del Lavoro, snobbando i lavoratori di altre categorie, fino all’ostracismo, credendo di dominare il mercato del lavoro e teorizzando le sorti progressive dei diritti, partendo non dai più deboli e ricattabili, ma dalle presunte aristocrazie operaie, si ritrovano nello scomodo ruolo di “esecutori testamentari”. Landini è sicuramente il più capace dei tanti dirigenti Fiom, che si sono alternati negli ultimi decenni, parla con lingua dritta (al contrario di Cremaschi), ma non basterà, se non si riannoda un filo ora spezzato, tra i mondi dei lavori, precari, addetti di più o meno strumentali cooperative, finte partite Iva contro tutti coloro che su questa divisione hanno costruito le proprie fortune.
    p.s. Tutti in piedi, se il lavoro c’è, senza le furbate alla Marchionne.

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