Il nostro viaggio in Kurdistan

di Nelly e Marco della «Rete Kurdistan Parma»

Nelly-KurdCinque

«Non possiamo rimanere in silenzio e non urlare contro la distruzione della vita che è dentro e di fronte a noi» (Apo Ocalan )

19 marzo, Silvan

«Sono contenta che siate venuti da molto lontano, in questa terra piena di violenza. Con la vostra presenza ci date un grande aiuto per continuare a resistere». Sono le parole con cui ci accoglie Zuhal Takiner ,co-sindaca di Silvan.

In effetti qui la situazione si fa più’ complicata: lo scorso 5 settembre i due co-sindaci di Silvan sono stati destituiti e messi in carcere, dal governo, con l’accusa di aver appoggiato il processo di autonomia democratica: in realtà si erano rifiutati di emanare l’ordinanza di coprifuoco, imposta dai militari. Uno dei due e’ riuscito a scappare e l’altra e’ stata liberata proprio il giorno del Newroz.

La poltrona del sindaco quindi e’ sempre vuota e Zuhal è stata eletta dal consiglio municipale come sostituta. Zuhal e’ una ragazza di 35 anni, è stata giornalista dell’agenzia indipendente Diha ad Istanbul. Per avere scritto un articolo sulla manifestazione dei lavoratori per il primo Maggio, ha scontato due anni di carcere per “incitamento alla rivolta”.

Ci racconta degli sforzi che l’amministrazione sta facendo nei confronti delle donne. Esiste un tavolo di donne che si occupano di salute, istruzione ed economia per le donne stesse. L’approccio non e’ individuale, nel senso di dare soltanto un aiuto a ciascuna persona, ma collettivo al fine di rafforzare i legami e l’aiuto reciproco tra le donne di Silvan. Questo approccio “collettivo” è la chiave per abbattere i muri e le catene di una società’ ancora in parte “feudale” come quella di Silvan, dove spose bambine e violenza domestica, sono ancora problemi da superare.

Prima di andare a visitare i quartieri della città’ sottoposti al coprifuoco, consegniamo a Zuhal il patto di amicizia che il nostro comune di Fidenza, ha stipulato con Silvan e Kobane. Si tratta di una dichiarazione di solidarietà’ e di condivisione dei valori di giustizia, pace e democrazia. La co-sindaca e’ molto grata e felice di questo sostegno e si impegna a fare un consiglio comunale in cui contraccambiare questo gesto. Insieme poi ci impegniamo a tentare di approfondire questo legame di amicizia e solidarietà.

A questo punto ci spostiamo nella città vecchia. Il coprifuoco qui e’ stato dichiarato 6 volte: 5 di queste per un periodo tra i 2 e i 4 giorni, la sesta volta per 13 giorni consecutivi. In questo periodo 700 uomini dei reparti speciali dell’esercito hanno invaso la città: 18 persone sono state uccise, tra loro anche donne e bambini. Quasi tutte queste morti sono avvenute mentre le persone cercavano di spostarsi da una casa ad un’altra per recuperare cibo o prestare soccorso. Non era possibile per i familiari recuperare i corpi dei morti, e quando tentavano di farlo venivano sistematicamente attaccati dalla polizia.

La ragione ufficiale addotta per indire il coprifuoco è “eliminazione di attività ed organizzazioni terroristiche”.

Zuhal pensa invece che il vero obiettivo sia quello di intimorire le persone ed impedire cosi la partecipazione ad un processo volto all’autogoverno democratico in tutte le municipalità kurde, processo pensato nel carcere fortezza di Imrali ma presente anche nel programma elettorale dell’HDP.

Camminando per le vie di Silvan si vedono case distrutte, pareti crivellate da centinaia di colpi di proiettile, case abbandonate, macerie in giro. Non so quanti proiettili siano stati sparati, migliaia e migliaia, un numero impressionante, nel bel mezzo di quartieri densamente abitati.

Ma per fortuna si vedono anche muri stuccati di fresco, finestre riparate con lo stesso nastro adesivo, porte nuove all’ingresso di tante case.

Siamo stati anche intervistati da un giornalista di Diha e poi abbiamo pranzato ospiti della co-sindaca. L’abbiamo infine salutata con la speranza di poter ricambiare e accoglierla nella nostra città.

20 marzo, incontro con l’Associazione Rojava (Amed, nome curdo di Diyarbakir)

«Da una parte c’è la guerra, dall’altra una nuova concezione della vita e del mondo comincia». Così ci accoglie Mustafa Ocaklik, co-presidente dell’associazione Rojava.

Nata nel 2014 dopo i fatti di Sengal, per dare un aiuto concreto a 30.000 Ezidi e a più di 10.000 sfollati del Rojava, l’associazione si occupa di fornire aiuti economici, che il governo turco nega, e soprattutto supporto medico e psicologico alle donne, ai bambini e a chiunque ne abbia bisogno. I loro non sono campi profughi ma “common living”: i rifugiati non sono abbandonati a se stessi ma seguiti nelle loro necessità quotidiane. Come dice Mustafa, sono fratelli e sorelle, non profughi.

Da quando il governo centrale ha imposto il coprifuoco in moltissime città del Bakur, il loro lavoro è notevolmente aumentato, tanto che non riescono ad aiutare tutti: per questo stanno facendo campagne di solidarietà sia in Turchia che in Europa, proprio per cercare di riuscire a portare aiuto e sostegno a più persone possibile. Più di 1.500.000 persone sono state costrette a sfollare: hanno le case distrutte e, fuggendo, non sono riuscite a portare con sé nulla. Ora poi c’è il decreto di Ankara di sequestro e demolizione delle case colpite da coprifuoco, soprattutto a Sur e Silopi, con l’intento di fiaccare la forza e la resistenza della lotta dei Kurdi e di disperderli nelle bidonville delle grandi città.

Dall’inizio dei coprifuoco nelle varie città l’associazione cerca di garantire assistenza sanitaria a chi ha bisogno perché gli ospedali non sono autorizzati a prestare l’adeguato soccorso, sia per gli interventi più semplici che per le operazioni più difficili. In più, e questa è la cosa più difficile, devono aiutare le persone a mantenere la speranza.

Campo Profughi degli Ezidi

A venti minuti da Amed andiamo al campo profughi degli Ezidi fuggiti nell’agosto del 2014 dopo la dura repressione di Daesh. Arrivati in circa 7000, oggi sono 1200 senza prospettiva. Sono assistiti dalla municipalità di Amed per quanto possibile con il sostegno di medici, infermieri e insegnanti volontari. Il governo sostiene che sono arrivati illegalmente da Qandil attraversando il confine ad Uludere ed in quanto clandestini non hanno diritto a nulla. In realtà ci ricordiamo tutti quell’agosto 2014 quando gli Ezidi, rifugiatisi sui monti Sengal, furono brutalmente uccisi o schiavizzati da Daesh: solo l’intervento del PKK riuscì a porne in salvo a centinaia, una parte si rifugiò in Rojava, l’altra in Turchia. Qui non hanno futuro e ne sono tutte e tutti ben consapevoli. Per dissuaderli a restare perfino l’UNHCR turca è “complice” del governo nel negare a queste persone il diritto universale ed inalienabile dell’asilo: infatti ci mostrano, come lo fecero lo scorso anno, le convocazioni a quelle che noi chiameremmo “commissioni territoriali” nel 2023.

Chi può cerca di fuggire in Europa, forse non immaginano quello che li attende. Dallo scorso anno, vedendo questa situazione così pesante, avevamo chiesto chiarimenti all’UNHCR italiana e poi a quella turca: li stiamo ancora aspettando!

KJA – Congresso delle Donne Libere

Ritornati ad Amed incontriamo Ayse Gokkan, responsabile dei rapporti diplomatici per il Congresso delle donne libere (KJA) ed ex co-sindaca di Nusaybin. Ci spiega che l’autonomia democratica passa innanzitutto per il riconoscimento della parità di genere, su tre livelli: famiglia, società e Stato.

«Tutto è partito dalla lotta delle donne guerrigliere – spiega Ayse – il nostro simbolo è Sakine Canzis». Tutte le organizzazioni femminili fanno capo alla KJA. Le parole d’ordine sono autonomia e autodifesa (armata e non armata), a tutti i livelli da quello fisico a quello psicologico, e la più grande risorsa è la solidarietà tra le donne stesse perché non rimangano sole all’interno della famiglia, della società e della nazione. KJA ha stipulato un protocollo d’intesa con tutte le istituzioni e organizzazioni politiche e con moltissime associazioni al fine di tutelare i diritti delle donne stabilendo, in ognuna di esse, una co-leadership uomo/donna. Nelle municipalità curde per esempio ci sono i co-sindaci che, seppure non riconosciuti dalla legge turca, sono fortemente voluti e riconosciuti dalle donne e dal popolo curdo. Dal 2003 ad oggi, la presenza femminile nelle varie organizzazioni è salita dal 23% ad oltre il 50%. Il KJA, inoltre, effettua una vigilanza costante in modo che i diritti delle donne siano sempre rispettati in tutte le organizzazioni che aderiscono al protocollo: si può arrivare addirittura alla destituzione delle figure maschili che ricoprono ruoli di responsabilità, quando le decisioni vengono assunte senza ascoltare il parere vincolante delle donne con pari responsabilità.

Sur, centro storico di Amed

In serata entriamo nel distretto di Sur che per oltre 110 giorni ha subìto un pesante assedio che il governo Turco fa passare per coprifuoco per ragioni di sicurezza. Attualmente circa la metà dei quartieri sono liberi, ma strettamente sorvegliati, ogni accesso è presidiato dalle forze di polizia. Impossibile scattare foto o riprendere con la telecamera i militari e i check-point che sono dislocati ogni 10 metri sulla strada principale, Gazi Caddesi, e negli angoli più disparati dei vicoli. Sacchi di sabbia e teli di plastica nascondono i militari in divisa e in borghese che si muovono per le strade del distretto armati e muniti di ricetrasmittente, bloccando e perquisendo chiunque provi ad entrare a Sur. Tank e blindati ovunque, nel cuore della più grande città a maggioranza curda del sud est turco. Sur è patrimonio dell’Unesco. Il danno non è solo alle persone, ma anche ai monumenti storici, architettonici, ai luoghi di culto. Sur, che era il cuore pulsante di Amed, così viva, così affollata nelle strade e nelle piazze, è ora una città fantasma: vi si può accedere solo dopo essere stati perquisiti molto attentamente. Se disgraziatamente ci si dimentica di togliere dalle tasche o dalla borsa anche solo il biglietto da visita dell’IHD o di KJA non si può passare, perché si è “collaboratori dei terroristi”. Il coprifuoco, che qui è stato sospeso, nonostante sembri il contrario, sta ancora mietendo vittime in moltissimi luoghi: dal 16 agosto 2015 al 18 marzo 2016, 22 distretti e città di 7 province sono state oggetto di questa orrenda violazione: per 63 volte è stato dichiarato il coprifuoco, 1642 persone sono state ferite, più di 310 civili inermi sono stati uccisi, di cui 72 bambini, 30 anziani, 62 donne. Nelle ultime 2 settimane più di 1000 persone sono state arrestate e 2000 persone avranno la propria casa confiscata e distrutta per un decreto del 21 marzo, giorno di festa per i Kurdi, il Newroz. Sappiamo che anche gli organizzatori del Newroz rischiano l’arresto, nel quadro più meschino di repressione e, immaginiamo, eliminazione dell’HDP. Ma sia il coprifuoco che gli arresti continuano.

Nelly-KurdDUE

20 marzo, Newroz a Batman

Partiamo per Batman, 90 km da Amed, per partecipare a un Newroz non autorizzato dal governo, ma atteso dall’intera popolazione della città.

Ci dividiamo in due gruppi: uno si avvia verso la piazza del Newroz, l’altro, in cui siamo noi, ad attendere l’arrivo di Demirtas, co-presidente dell’Hdp.

Nella piazza è stato impedito alla gente di radunarsi: appena le persone hanno provato ad avvicinarsi la polizia le ha allontanate con cariche, idranti, lacrimogeni e proiettili (veri) sparati per fortuna in aria. La gente ha provato a ritrovarsi in altri luoghi vicino alla piazza ma anche in questi casi è stata caricata dalla polizia.

Nel frattempo noi attendiamo l’arrivo di Demirtas appena fuori città. Davanti a noi, in un prato, alcuni ragazzi hanno acceso il fuoco (simbolo del Newroz) ma anche in questo caso è intervenuta la polizia con gli idranti. I ragazzi kurdi però non hanno desistito, hanno acceso di nuovo il fuoco e si sono messi a ballare e cantare per festeggiare il Newroz. Fino a quando la polizia non è intervenuta di nuovo. Così per altre 3 volte.

Poi è arrivato Demirtas e si è formato un enorme e festante convoglio di auto per scortarlo nel centro di Batman. La polizia ha bloccato più volte la strada per ritardarne l’arrivo, ma alla fine siamo riusciti a raggiungere il centro. Però non siamo arrivati alla piazza del Newroz, bloccata dai blindati: il pullman di Demirtas si è fermato nel mezzo di un viale a qualche centinaia di metri dalla piazza, con i blindati ed i tank della polizia da una parte e dall’altra.

Demirtas è salito sul tetto del pullman e ha pronunciato un breve discorso. Nel frattempo un ragazzo ci ha salutato dicendoci: “Welcome to Kurdistan”. Appena terminato il discorso la polizia si è avvicinata e ha cominciato ad usare gli idranti, e noi siamo scappati correndo. Bagnati dagli idranti e dalla pioggia incessante abbiamo cercato di ritrovarci per ritornare tutti insieme ad Amed.

Ancora una volta il governo turco ha mostrato tutta la sua violenza e repressione nei confronti non solo di persone, le kurde ed i kurdi, che volevano pacificamente celebrare il loro Newroz, ma anche verso le delegazioni internazionali, che rappresentavano quasi tutta Europa.

Si fatica a capire come il governo turco possa dire che il Newroz è l’unica festa consentita ai kurdi.

Welcome to Kurdistan

21 marzo, Newroz ad Amed

Finalmente il Newroz! Una festa di pace, di gioia, danze e musica ma anche di rivendicazioni dei propri diritti, come dice il titolo di quest’anno: “vinceremo resistendo”.

Il Newroz di Amed, infatti, è stata una grande festa di popolo che, per fortuna, non è stata rovinata dall’intervento della polizia. Un numero enorme di persone si è ritrovato nel parco dedicato proprio al Newroz. Sul palco si sono alternati musicisti e politici dell’HDP.

La gente sventolava migliaia di bandiere, ballava, cantava, intonava slogan per Apo, Rojava, YPG, YPJ e per i martiri. Ai lati dello spiazzo centrale, le famiglie facevano picnic sull’erba e i bambini giocavano. Ovunque i colori del kurdistan, giallo rosso e verde, e dagli altoparlanti le canzoni tradizionali e di lotta del popolo kurdo.

Si respirava allegria e felicità! Ma anche rabbia e tristezza quando sono state ricordate le vittime di Sur e di tutti i coprifuoco. Dal palco è stato proiettato un documentario molto toccante, che denunciava i vari coprifuoco e ricordava i morti, mentre la folla scandiva ” i martiri non muoiono mai”.

NEWROZ PEROZ BE (buon newroz)

È un augurio prima di tutto per i nostri compagni kurdi, ma anche per tutti noi!!!

Proprio mentre si celebrava questa festa di pace il governo emanava il decreto di sequestro e demolizione delle case colpite dal coprifuoco.

22 marzo, verso Cizre

Oggi saremmo dovuti andare a Cizre a festeggiare il Newroz. Accorreva gente da tutto il Kurdistan.

Ma non è stato possibile.

La polizia turca ha bloccato tutte le strade di accesso a molti km di distanza, 40 circa. In questo modo non è stato possibile raggiungere Cizre neanche a piedi.

Al posto di blocco c’era un cordone di militari armati, tank, mezzi blindati e soldati coi mitra appostati sulle colline. I militari che ci impedivano di proseguire verso Cizre, in assetto antisommossa, cercavano di spaventarci accendendo e spegnendo il blindato dell’idrante, ugualmente continuavano a mettersi e togliersi le maschere antigas e a far finta di togliere la sicura dai mitra. Abbiamo cercato di fronteggiarli per circa due ore, protestando per questa violazione imposta arbitrariamente, mentre alle nostre spalle si era formata una fila chilometrica di auto e camion nelle due direzioni di marcia. Dietro di noi le kurde ed i kurdi scandivano slogan. Si era radunato anche un discreto numero di giornalisti e fotoreporter che , insieme a noi, fronteggiavano i militari dei corpi speciali. La nostra delegazione rappresentava tutta Europa e non solo, dalla Norvegia, alla Spagna, dalla Svezia all’Italia, passando per la Francia, Germania compresi Ukraina e Messico. Ovviamente i militari ci hanno ripreso con telecamere, macchine fotografiche, probabilmente hanno anche registrato ciò che dicevamo sia tra noi, che nelle interviste. Questo comunque era il nostro compito: essere osservatori delle violazioni che si consumano quotidianamente in Kurdistan. La nostra presenza, probabilmente, ha impedito l’uso sproporzionato della forza da parte dei militari e, forse, ha salvato qualche vita.

Con noi c’erano anche Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, i due co-presidenti dell’Hdp. I vertici dell’HDP hanno provato a trattare ma senza successo. Lo Stato turco è questo: uno Stato ben lontano dall’essere democratico,che ha militarizzato l’intera regione del Kurdistan.

A Cizre, negli ultimi mesi, sono morte centinaia di persone, tra le quali molte donne e bambini, uccise dalle forze speciali dell’esercito turco.

Ci sono arrivate anche le notizie degli attentati di Bruxelles. Siamo in Turchia, che sappiamo bene essere responsabile di avere supportato e armato Daesh: visti da qui tutti questi avvenimenti sembrano tragicamente legati.

«Da una parte c’è la guerra, dall’altra una nuova concezione della vita e del mondo comincia»: con queste parole con cui abbiamo iniziato i nostri report dal Kurdistan, concludiamo.

Siamo tornati portando nel cuore e negli occhi tante immagini, ricordi, sensazioni contrastanti: da una parte la grande forza e resistenza dei kurdi e delle kurde, il popolo più bello del mondo, senza una patria, dall’altra la violenza e la repressione di uno Stato che di democratico non ha proprio nulla.

La guerra, perché di guerra si tratta: nella città vecchia di Amed, Sur, ad ogni 20/30 metri c’è un check-point con sacchi di sabbia, teli blu di plastica per impedire la vista della “bonifica” da parte dei militari nelle zone dove più si è consumata la violenza, in modo che nulla di ciò che è successo possa essere usato contro di loro. Di sera poi, anche se il coprifuoco è virtualmente terminato a Sur, patrimonio dell’umanità, ci sono solo militari armati di tutto punto, blindati, carrarmati, come nel Cile di Pinochet o nell’Argentina di Videla. Per non parlare di Cizre, dove è impossibile andare per lo stesso motivo: i militari stanno “bonificando”. In quale nazione, che si definisce democratica, un deputato, co-presidente di un partito al governo, come è Demirtas, accompagnato da 60 osservatori internazionali, provenienti da ogni parte d’Europa, sarebbe costretto a tornare a casa dai militari della sua stessa nazione? Ma di esempi ne potremmo fare tanti altri.

Dall’altra parte un nuovo mondo comincia: il Congresso delle Donne Libere, l’Associazione Rojava, l’HDP, le Madri della Pace, il DTK, per fare solo qualche esempio,ci insegnano che si può, anzi si deve vincere resistendo, e loro lo fanno a costo della vita, della prigione, della tortura, della distruzione delle loro case e delle loro città.

Ultima brevissima considerazione: i ragazzi e le ragazze dell’HDP, che ci hanno accompagnato sempre, i nostri angeli custodi, sempre attenti a noi, sempre col sorriso, ma con una forza e determinazione straordinari, loro sono il futuro perché vivono e lottano per un ideale e da loro abbiamo molto da imparare.

Redazione
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