Ilva: perchè ci riguarda tutte/i

articoli di Franco Astengo, Salvatore Palidda, Marco Revelli con una breve premessa (di db) e link a  Doriana Goracci, a Renato Turturro e al sito di Jacobin

ILVA HA VENDUTO LE POLVERI VELENOSE COME CONCIMI
Questo titolo era venerdì 8 novembre su un articolo di Francesco Casula e Antonio Massari ne «Il fatto quotidiano». Ecco una delle molte cose che cercano di tenerci nascoste (in questo caso quantomeno dal 2004). Ci sono indagini in corso con testimonianze molto precise ma i grandi media tacciono. Sapere che l’ILVA ci ha avvelenato tutte/i è la risposta a chi dice (o pensa): «poveracci quelli che lavorano a Taranto e pure chi ci abita. Ma io che posso farci? Che c’entro?». Ecco, persino dal punto di vista più egoistico bisognerebbe sempre capire cosa fanno i padroni: Ilva ha avvelenato anche te, anche noi. (db)

 

ILVA: NO ALLA LICENZA DI UCCIDERE

di Marco Revelli (*)

Per capire a pieno, e misurare, la dose d’ ”istinto criminale” che guida le grandi transnazionali corsare che navigano con spirito predatorio nel gran mare della globalizzazione, quello dell’Ilva di Taranto è davvero un caso esemplare.
Lo “scudo penale” che pretende “l’Acquirente”, come condizione per restare è una vera e propria “licenza di uccidere”.
Anzi il prolungamento di quel lasciapassare per la morte (degli altri, naturalmente, dei bambini di Taranto, degli abitanti del quartiere Tamburi, degli operai stessi dell’acciaieria) che già il primo governo Renzi alla fine del 2014 aveva rilasciato al Commissario straordinario che avrebbe dovuto realizzare il Piano ambientale di risanamento (sulla carta da completarsi all’80% entro il luglio del 2015).
E che successivamente il ministro Calenda avrebbe esteso anche ai futuri compratori dilatandone nel tempo scadenze e immunità penale. In quello sciagurato decreto si stabiliva che le condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale “non possono dar luogo a responsabilità penale o amministrativa” in quanto “costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza del lavoro” (sic!).
Che lo costituissero davvero era posto come articolo di fede, non essendo previsto (o comunque sanzionato in caso di inadempienza) nessun controllo periodico sull’”adempimento”, né sul rispetto delle “migliori regole” (non meglio precisate) né sui tempi dei lavori di realizzazione del Piano ambientale (il quale al momento del decreto non era neppur pienamente definito), tant’è vero che questi si sono dilatati a dismisura: la “completa copertura” dei parchi primari, fonte di quantità spaventose di polveri mortali, che avrebbe dovuto, secondo l’originaria Autorizzazione integrata ambientale (AIA) del 2012 essere completata tassativamente entro il 27 ottobre del 2015 (termine prorogato dal decreto renziano a fine 2016), risultava ancora, nella primavera di quest’anno (2019!), realizzata per meno della metà.
E quanto alla diossina, secondo la denuncia di Angelo Bonelli coordinatore nazionale dei Verdi, sarebbe ritornata assai vicina ai valori devastanti registrati nel 2009, quando scoppiò la bomba dei 1124 capi di bestiame della masseria Carmine condannati a essere abbattuti perché altamente inquinati (“In un anno il valore della diossina a Taranto è aumentato del 916%”, passando “da 0,77 picogrammi del 2017 a 7,06 picogrammi del 2018, molto vicino agli 8 picogrammi del 2009”).

In realtà, al di là delle sue formule bizantine, quel decreto non regolava affatto l’adempimento del Piano ambientale per rendere compatibile quello stabilimento con la salute dei cittadini e degli operai ma era diretto a garantire una piena immunità (e impunità) ai gestori della fabbrica dei veleni per consentir loro di prolungarne le attività produttive (comprese quelle nocive) al riparo degli interventi sanzionatori della magistratura.
Tant’è vero che ben tre procedimenti per emissioni inquinanti del siderurgico, aperti dalla procura di Taranto, sono stati archiviati perché coperti appunto dallo “scudo penale”, il che aveva convinto il gip Benedetto Ruberto a ricorrere alla Corte costituzionale contestando la costituzionalità dei decreti che permettevano la prosecuzione dell’attività degli impianti nonostante il sequestro del 2012, e sottolineando in particolare “lo spostamento costante della data di ultimazione dei lavori” e “l’immunità penale” concessa ai vertici aziendali.
In sostanza dietro al ricatto-pretesa da parte di Mittal dell’”immunità penale” sta una concezione delle relazioni giuridiche e sociali da Ançien régime (solo il Sovrano Assoluto era legibus solutus), incompatibile con ogni ordinamento moderno, anche il più compiacente e subalterno alla logica del profitto. Una sorta di ritorno a un medioevo giuridico o allo spirito della Constitutio criminalis carolina (dal nome di Carlo V che la emanò) per la quale, come è stato ricordato, le pene “venivano qualificate non sulla base del bene danneggiato, ma in relazione alla posizione dell’accusato” e al suo status.
Qualunque governo “moderno” (nel senso di “successivo al 1789”) che pensasse di adottare una simile aberrazione giuridica, si coprirebbe di ridicolo, compreso il governo Conte, che pure è uomo di legge.
E che perderebbe definitivamente la faccia (anzi forse l’ha già persa) nel momento in cui per trattenere i baroni franco-indiani si provasse a riproporgli l’esca appetitosa dell’impunità ad personam.

Date queste premesse, ci si sarebbe potuto aspettare che quantomeno una buona parte dell’eletta schiera di chi partecipa quotidianamente alla conversazione pubblica, nell’ambito politico, culturale, sociale, si sollevasse come un sol uomo di fronte alla provocazione predatoria dei padroni dell’acciaio, invece no.
Anzi.
Repubblica – che pure aveva fatto a suo tempo la prima pagina su Greta Thunberg e il suo “Come osate voi!” che sapete parlare solo di soldi mentre il pianeta muore -, Repubblica appunto, il giorno dopo la rottura di Mittal, alludendo alla colpa di chi aveva sospeso lo “scudo penale” intitolava SULLA PELLE DELL’ILVA.
E il suo editorialista di punta, Massimo Giannini, per fugare ogni dubbio sulle posizioni del giornale, definiva quello di Taranto “uno dei migliori stabilimenti siderurgici d’Europa” (sic!).

 

 

 

 

 

 

La terribile storia della contrapposizione tra diritto alla vita e diritto al lavoro

di Turi Palidda 

Il caso dell’ILVA di Taranto è senz’altro diventato il più emblematico a proposito di questa contrapposizione che in realtà dura da sempre. Sebbene si sia potuto immaginare che dovessero sparire dopo le conquiste operaie e popolari dalla fine degli anni Sessanta e quelle successive (fra le quale quelle sulla tutela della salute). Invece sappiamo bene che il caso ILVA è simile a quello dei siti della petrolchimica, delle centrali a carbone e di tante altre situazioni ad alto rischio sanitario-ambientale. La “ragione economica di Stato” è sempre prevalsa e non solo prima e durante il fascismo perché l’economia serviva anche alle guerre e alla continua riproduzione dei profitti dei dominanti e al potere politico. Prevalse e prevale perché anche buona parte dei sindacati e de lavoratori a modo loro la condividono anziché reclamare non la semplice nazionalizzazione ma la conversione delle attività tossiche e che provocano morte in attività sane.

Il fatto più grave dell’attuale crisi del sito di Taranto è che i «produttivisti a tutti i costi» siano riusciti a far apparire il paese spaccato fra favorevoli e oppositori a concedere il diritto di inquinare e che tale diritto sia approvato dalla maggioranza dei sindacati.

Perchè s’è arrivati a tale ignobile contrapposizione tra diritto alla vita e diritto al lavoro, quando questi due diritti sono istituiti nella Carta Costituzionale così come nella Dichiarazione dei Diritti Universali di tutti gli esseri umani?

Per rispondere a tale questione occorre innanzitutto ricordare che la «ragione economica di Stato» s’é imposta non solo durante la dittatura fascista (e nazista in Germania) così come in ogni stato autoritario anche perché l’acciaio serve alla produzione degli armamenti. Tale «ragione» s’è imposta anche in nome del progresso insieme al culto del lavoro e del lavoratore come uomo produttore, quindi come culto della produttività. E il fatto più terribile è che il movimento operaio ha sposato tale culto al punto di farne la sua bandiera. Alla domanda corrente: «bisogna morire di fame o di lavoro?» la risposta scontata é sempre: «prima il lavoro, poi ci si batterà per la salute». Ed ecco anche perchè c’è un’ambiguità che risiede fra l’altro nel fatto che si relega il diritto alla salute a un diritto che arriva dopo insieme a quello al lavoro e non prima come diritto alla vita. E qui anche i giuristi costituzionalisti di sinistra o democratici di fatto hanno sempre lasciato perdere … e ciò in tutti i paesi cosiddetti democratici non chiedendo mai : primo che il diritto alla vita sia istituito come IL primo dovere di ogni Stato che vuol essere democratico; secondo che la protezione di tale diritto implica la persecuzione di ogni sorta di azione che lo minaccia come crimine contro l’umanità poiché è questo che provoca la produzione che uccide lavoratori, bambini e tanti abitanti dei dintorni delle fabbriche quali l’ILVA di Arcelor Mittal, la petrolchimica, le centrali a carbone o a gas e i siti del nucleare.

L’Italia è uno dei paesi del mondo più alla mercé di rischi di disastri sanitari-ambientali e delle economie sommerse, tutti crimini dovuti anche alla complicità delinquente da parte di politici di destra e dell’ex-sinistra insieme a funzionari dello Stato. La sola prospettiva sostenibile dal punto di vista della protezione della vita dei lavoratori e della popolazione non è che quella del risanamento di tutte le situazioni a rischio, il che vuol dire in particolare convertire le produzioni tossiche in attività sane e ciò innanzitutto nei settori della siderurgia, della petrolchimica, dell’uso di carbone e gas e della produzione di armamenti. Sin quando i sindacati staranno dalla parte delle destre e dell’ex-sinistra che invoca grandi opere come la TAV, la TEP, il ponte sullo stretto, gronde e altre mostruosità oltre a siti militari e spese per la Nato i lavoratori e la popolazione saranno alla mercé di disastri … altro che futuro felice per i giovani di domani! I sindacati si stanno suicidando e suicidano gli operai e si fanno complici dei crimini ambientali : questo il dramma che impedisce la Resistenza ecologista, antifascista e antisessista del XXI° secolo.

LA DURA REPLICA DELLA REALTA’

di Franco Astengo

La vicenda “Arcelor Mittal / Ilva” appare paradigmatica della difficoltà per l’Italia di trovare una quadratura di governo nei tempi bui della “democrazia recitativa”.

Una forma di esercizio della democrazia ormai portata al parossismo della comunicazione immediata collocata al posto della visione dei processi di fondo e della conseguente capacità progettuale (prima ancora che programmatoria).

Una storia che viene da lontano e che, va detto per onestà intellettuale, non può essere assegnata in carico ai governanti di oggi: nel caso specifico il riferimento è rivolto a scelte compiute fin dagli anni’80 (se non prima) del secolo scorso quando, per cause varie concomitanti e in gran parte dovute a scelte politiche sbagliate, si andò quasi all’azzeramento della presenza pubblica nei settori industriali strategici: quei settori che producevano cose che, come sostenevano gli operai dell’Ansaldo, l’indomani non si sarebbero comprate al supermercato (e, aggiungiamo, neppure negli autosaloni).

L’Italia, proprio nel momento in cui firmava il trattato di Maastricht e si apprestava (con governi che mettevano davvero “le mani nelle tasche dei cittadini) ” a entrare nell’euro accusava il colpo di un incolmabile deficit sul piano industriale non avendo affrontato i termini dell’innovazione in diversi settori presentando complessivamente un know-how insufficiente e un ritardo decisivo nello stabilire un rapporto tra presenza industriale e sostenibilità ambientale in grado di affrontare la grande contraddizione che presentava nella modernità l’intreccio appena citato.

Non si ricostruiscono qui tutti i passaggi avvenuti nel tempo e che hanno portato alla situazione attuale:passaggi attraverso i quali si è pervenuti a una sostanziale assenza di una minima capacità di governo posta appena al di fuori dalla banalità della propaganda.

Appaiono essere queste le principali ragioni per le quali ci stiamo trovando in questa condizione di totale incapacità della politica a fronteggiare situazioni complesse :

1)      Il distacco verificatosi nel tempo dell’intreccio tra cultura e politica e la subalternità dimostrata dalla classe dirigente verso la tecnocrazia imperante . Ai tecnocrati e ai lobbisti loro braccio armato conveniva assolutamente si smarrissero appunto le coordinate politiche. Una visione ideologica quella del primato della tecnica che ha prodotto egemonia eversiva contribuendo fortemente al fenomeno dello sfrangiamento sociale;

2)       Da una dichiarazione di Massimo D’Alema :”Al tempo stesso, abbiamo sottovalutato che il capitalismo non regolato può avere effetti devastanti sull’equilibrio naturale. L’espandersi senza freni di un capitalismo globale ha portato all’accumularsi di diseguaglianze sempre meno contrastate sul piano politico.”

A complicare ulteriormente questo quadro già così complicato sono intervenuti altri fattori posti sul piano ideologico e mutuati, da un lato, dal “sovranismo” e dall’altro dalla “decrescita felice”.

Così ci si è rifugiati nell’idea dell’autosufficienza per parti ristrette del Paese nelle quali i modelli istituzionali appaiono essere quelli protezionistici – corporativi.

Egualmente, da un altro versante, si cercano di ignorare le ragioni di nuove possibilità di sviluppo e si tende a rifiutare ogni soluzioni che dovrebbero comportare un’esigenza di progettualità innovativa. Meglio dire di no sempre e comunque. Contemporaneamente si è aperta una fase di “neo-assistenzialismo”.

Lo smottamento di tutti i soggetti di intermediazione, partiti, sindacati, associazioni, non è stato dovuto soltanto a una volontà superiore che reclamava il “decisionismo” ma a un adeguamento voluto dal gruppo dirigente (largo) dell’Italia per arrivare ad affogare ogni capacità progettuale nel grande mare del personalismo.

Un personalismo in ascesa nel nostro sistema politico dopo la forte promozione ricevuta in una fase egemonizzata dal “conflitto d’interessi” e arrivato al punto della creazione di veri e propri “partiti personali”.

In parallelo alle profonde modificazioni subite dal sistema politico cui si è già accennato, nella società dello spettacolo crescevano le male piante del razzismo, dell’intolleranza, dell’insofferenza ai vincoli dettati dal rispetto della Costituzione . Cedevano il passo i partiti ridotti a mera sede di ospitalità per cordate con il potere unica meta (questo il significato vero della “vocazione maggioritaria”) e di “antipolitica” usata per scalare la più vecchia e trita delle “politiche”, quella della cosiddetta “bassa macelleria” con tanto di riuso del Manuale Cencelli.

Nella consapevolezza di aver trascurato in questa analisi i riflessi (fondamentali) di quanto avvenuto sul piano internazionale non resta che trarre alcune conclusioni:

1)      Il dramma dell’ILVA è il dramma dell’Italia ma le cause non stanno solo e semplicemente nelle pieghe del contratto stilato con Arcelor – Mittal. Le cause di questa difficoltà risalgono perlomeno a 40 anni fa attraverso l’adozione di scelte che francamente non possono essere giudicate altro che sbagliate o comunque insufficienti (liquidazione dell’IRI, Maastricht, gestione del dopo – muro, difficoltà a realizzare la realtà delle nuove contraddizioni post – materialiste);

2)      L’attuale governo sta dimostrando un’assoluta debolezza nel tentare di fornire un indirizzo coerente allo stato di cose in atto. Una situazione derivante, anche, da una crisi strutturale del quadro dirigente del Paese, nel frattempo nel corso fase di passaggio dalla “Repubblica dei Partiti” in poi  tutto cresciuto all’ombra di quella che è stata definita “democrazia recitativa” in rapporto a una società corrosa dall’individualismo competitivo. Tutto questo fino al delirio di questi giorni sul piano del “revisionismo storico”. Un esempio del corrompimento morale che alberga nel Paese e che sta compromettendo la stessa visione politica;

3)      E’ completamente assente, nell’insieme del quadro politico italiano, un’espressione di sinistra capace di rimettere in campo quella visione progettuale e quella effettiva direzione di marcia  posta in un quadro di “visione storica”che avevano rappresentato le caratteristiche della sinistra legata al movimento operaio.  Per progettare il futuro serve una valutazione sulla sinistra del passato  indipendentemente se la collocazione dei suoi due principali partiti (comunista e socialista) fosse all’opposizione oppure al governo. Una valutazione di ciò che è stata la sinistra italiana da sviluppare urgentemente avendo di fronte adesso una necessità di ricostruzione.

Tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un solo bambino

di Doriana Goracci

Quando nelle estati degli anni ’80 e nei primi anni ’90 portavamo i figli con mio marito, Silvia e Federico, da Roma a Taranto, alla scuola vela… non ci siamo mai posti alcun problema ambientale, eppure l’ Ilva c’era già, a Taranto.“Lupi di mare” si chiama adesso l’iniziativa ideata e promossa dal CONI Taranto con la collaborazione dalla Lega Navale Italiana – Sezione di Taranto e con il contributo di Camera di Commercio ed INTERFIDI riservata ai ragazzi della 4^ e 5^ classe della Scuola Primaria e 1^, 2^ e 3^ classe della Scuola Media Inferiore. Andare a vela significa rispetto e amore per l’ambiente, crescita di conoscenza anche culturale.
Oggi potrei essere una nonna e non so, se per fortuna o meno, non lo sono, in questi giorni ripenso ai piccoli e grandi malati di tumore, alle lotte dei tarantini a far valere la salute.

A febbraio del 2019 erano migliaia in strada per la mortedi Giorgio Di Ponzio, 15enne morto a causa di un sarcoma contro il quale lottò per tre anni, e scesero in strada per partecipare alla ‘Fiaccolata per i nostri angeli’ organizzata dall’associazione dei “Genitori tarantini in memoria dei bimbi morti per il cancro e per le malattie connesse all’inquinamento” In uno degli striscioni comparve la scritta: “Tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un solo bambino“.
Oggi, che i miei figli hanno entrambi lavoro in Francia, che io abito non più a Roma ma nella Tuscia viterbese, mio marito per parecchi mesi dell’anno,ormai in pensione come me, in una barca a vela in Grecia…potrei stare tranquilla: alla fine dei conti che succede se l’ Ilva riparte o rimarrà preistoria industriale? A me che me ne importa?

A marzo del 2019 vedo un video: Ex Ilva, sit-in delle mamme di Taranto: “Chiudete l’Ilva, no le scuole!

Ecco oggi cosa mi importa…

L’articolo segue su Agoravox Italia a questo link, con molti video, foto e riferimenti: https://www.agoravox.it/Tutto-l-acciaio-del-mondo-non-vale.html

cfr anche:

Le Ilva sono la società del rischio

di Renato Turturro

e su jacobinitalia.it vedi «Salvare i profitti della fabbrica o salvare la città», «Acciaio, lavoro e fumo» (intervista a Salvatore Romeo) e «Cronache dalla città (post)industriale»

LE IMMAGINI SONO DI MAURO BIANI

IL DISEGNO è ripreso da codesto post: Martino Zingarelli, un madonnaro contro l’ingiustizia

 

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