Jack, il serial killer della porta accanto…

… uno specchio della società vittoriana.

di Fabio Troncarelli

Il 9 novembre 1888, alle 10, 45 fu scoperto il corpo mutilato di Mary Jane Kelly, una prostituta irlandese, che giaceva nel suo letto in una misera stanza al numero 13 della Miller’s Court (oggi distrutta), accanto a Brushfield Street, circa un chilometro a nord della Torre di Londra, nel quartiere di Whitechapel. La donna è stata considerata l’ultima vittima di Jack Lo Squartatore. L’ultima vittima “ufficiale”, perché, secondo molti ricercatori, di vittime ce ne sarebbero state altre sia dopo la morte di Mary Jane, sia precedentemente a quella che viene ritenuta la prima, Mary Ann Nichols, uccisa il 31 agosto 1888. La disputa sul numero dei delitti accertati è solo una parte della disputa sull’identità dell’assassino, un tormentome che ci perseguita da 125 anni e non pare destinato a spegnersi. L’ultimo atto di questa telenovela è stata la presunta identificazione del misterioso killer attraverso il mito pseudoscientifico del DNA. Russell Edwards, ex uomo d’affari e ricercatore dilettante, autore del solito libro ad effetto sull’argomento (Naming Jack the Ripper, London 2014), ha sostenuto di avere fatto analizzare lo scialle di una delle vittime di Jack dal biochimico Jari Louhelainen, che avrebbe isolato tutti i resti del DNA rimasti nel tessuto. L’analisi di laboratorio sembrerebbe inchiodare un certo Aaron Kosmiski, un immigrato ebreo polacco, finito in manicomio nel 1891 e sospettato sin dall’inizio da alcuni membri della polizia. Tuttavia Walther Parson ed Hansi Weissensteiner, dell’Università di Innsbruck hanno osservato che lo scialle della vittima, passato di mano in mano, è stato sicuramente contaminato e che anche l’esame di laboratorio non è stato impeccabile (D. Adam, Does a new genetic analysis finally reveal the identity of Jack the Ripper?, in “Science”, 15 marzo 2019 https:/www.sciencemag.org/news/2019/Does-new-genetic-analysis-finally-reveal-identity-jack-ripper). D’altro canto, senza scomodare la scienza e la pseudoscienza è sufficiente il buon senso per smentire una simile idiozia: Richard Cobb, considerato un vero esperto dai “ripperologi”, ha osservato che se la vittima era una prostituta non ci si può aspettare che solo chi l’ha uccisa abbia toccato il suo scialle (ammesso e non concesso che sia veramente suo).

Questa bufala seriosa travestita da oggettività è solo l’ultimo atto di una farsa che dura dall’epoca dei delitti e garantisce tirature da capogiro a un’editoria squalificata, che non vede la differenza tra un libro e una Coca Cola. Non a caso, prima della grande trovata del DNA, era stata messa sul mercato un’altra geniale invenzione: il colpevole sarebbe il Principe Victor Albert, nipote della regina Vittoria pieno di rabbia contro le donne. In alternativa (visto che ha degli alibi di ferro!), i delitti sarebbero opera di agenti dei Servizi Segreti inglesi, che cercavano di proteggere la reputazione del principe. Sembra un’assoluta scemenza, eppure l’idea ha generato non solo libri, ma anche film e documentari (The Royal Conspiracy, 1973; S. Knight, Jack the Ripper the Final Solution, London 1976; i film Murder by Decree 1979, Jack the Ripper 1988, The Ripper 1997; Albert Victor: The Prince and the Ripper 25 novembre 2021).

In realtà, grazie al frastuono di questa grancassa mediatica vengono continuamente rimosse domande fondamentali. Non solo, ovviamente, la più semplice: chi era Jack Lo Squartatore? Ma soprattutto la più complessa: perché non è stato mai scoperto e arrestato? E’ questo in realtà il vero enigma. E’ stupefacente, infatti, che il mistero, sia ancora insoluto dopo tanti anni. Ma è stranissimo anche il fatto che sia rimasto insoluto nel 1888, visto che furono coinvolte nelle idagini decine e decine di persone, tra le quali spiccano personaggi di grandissima statura come l’ispettore capo Frederick Abberline, che dirigeva le indagini. Nella ricerca dell’assassino si mobilitò anche tutta la popolazione di Whitechapel dove avvennero i crimini. Il quartiere, considerato il più malfamato e pericoloso di Londra, pullulava di delinquenti di ogni tipo che avevano tutto l’interesse a far arrestare il maniaco omicida, per levarsi da torno l’esercito di agenti in divisa e in borghese che mettevano a soqquadro case, cortili, bordelli, strade, negozi, magazzini. Possibile che nessuno di loro, che conoscevano la zona come le loro tasche, abbia avuto il minimo sospetto? Possibile che le decine e decine di giornalisti che furono sguinzagliati nella zona, insieme alle legioni di poliziotti coadiuvati addiritttura da cani dal fiuto infallibile, non trovassero mai nulla? La cosa è ancora più sorprendente se si pensa che vennero arrestati e rilasciati molti sospetti e, soprattutto, se si pensa che ci furono alcuni testimoni oculari che affermarono di avere visto le vittime poco prima della loro morte in compagnia di un individuo, sempre lo stesso e sempre vestito allo stesso modo (John Best, John Gardner, The Star, 6/10/1888; di James Brown, Inquest report, The Times, 4/10/1888; William Friday, Inquest report, The Times, 28/2/1891; George Hutchinson, The Times, 13/11/1888; Joseph Lawende, Evening News, 9/10/1888; Sarah Lewis, Kelly inquest papers – MJ/SPC, NE1888, Box 3, Case paper 19, London Metropolitan Archives; Elizabeth Long, Rapporto dell’agente Donald Swanson, 19/10/1888, HO 144/221/A49301C ff.137-45; Matthew Parker, Evening News, 5/10/1888). Su queste testimonianze la polizia cercò di tenere la bocca chiusa, ma la verità venne fuori, tumultuosa, sui giornali dell’epoca, che pubblicarono perfino l’identikit del presunto assassino. Si trattava di un uomo alto un metro e settanta, che poteva avere dai trenta ai quarant’anni, scuro di capelli, ma chiaro di carnagione, robusto, con due bei baffi a manubrio, che vestiva con affettata eleganza come un dandy, sfoggiando una catena d’oro per l’orologio, ma che portava a volte sorprendentemente cappelli sportivi, soprattutto cappelli da marinaio del tipo “P and O (= Peninsular and Oriental Steam Navigation Company)” con ampia visiera e cupola superiore alta, a forma di calotta. Proprio questa anomalia estetica portò qualcuno a pensare che fosse un marinaio vestito bene, ma la maggioranza dei testimoni fu concorde nell’assserire che non aveva affatto i modi da marinaio e che invece sembrava un gentiluomo, compito, impeccabile ed estrememente gentile, con l’aria di uno straniero, appena arrivato in un mondo diverso da quello a cui era abituato. Una simile impressione aveva una sua ragione d’essere. Whitechapel, pieno di sottoproletari, di marinai e di ebrei immigrati dall’Est Europa, era un quartiere molto degradato: le prostitute che popolavano le strade erano donne di bassa estrazione, volgari e aggressive, abituate a clienti estremamente rozzi, quasi sempre ubriachi. Un gentiluomo vestito bene, ma con uno strano cappello, non del tutto consapevole degli usi e costumi del quartiere in cui passeggiava, al punto da accostare donne di strada con modi gentili, regalando loro fazzoletti o grappoli d’uva, era un individuo che non passava inosservato. Non sarebbe stato difficile trovare una simile perla in quel letamaio di Whitechapel e verificare se avesse qualche pratica di chirurgia, visto che le mutilazioni delle vittime dimostravano una certa perizia nell’anatomia da parte dell’assassino. La pensava così il capo delle indagini, l’intelligente e determinato Frederick Abberline, considerato il maggior conoscitore di bassifondi della polizia di Londra. L’uomo si era fatta una sua idea sul colpevole dei delitti e pensava che non potesse vivere lontano dal quartiere in cui operava e in cui aveva sicuramente già commesso altri delitti simili. Tuttavia non sapeva che fare in mancanza di prove concrete. I suoi colleghi, però, non la pensavano come lui. I rapporti riservati e le memorie dei più celebri personaggi implicati nelle indagini rivelano che i principali sospetti erano rivolti in tutt’altra direzione. Il cosiddetto Macnaghten memorandum, un rapporto confidenziale datato il 23 febbraio 1894, ma reso pubblico molto più tardi da Sir Melville Macghnaten, capo ispettore di Scotland Yard educato a Eton, mostra che egli escludeva tutte le chiacchiere di testimoni di bassa lega, limitava le vittime a cinque e restringeva la rosa dei possibili colpevoli a tre miserabili malati di mente, che avevano dimostrato palesemente odio e aggressività contro le donne: Aaron Kosmiski, un ebreo polacco rinchiuso in manicomio nel 1891; Michael Ostrog, uno squilibrato nato in Russia, ricoverato in manicomio nello stesso anno; Montague Druig, un giovanetto di famiglia benestante, pazzo da legare e per questo ricoverato in manicomio a sua volta nel 1891 (M. Macnaghten, Melville, Days of My Years, London 1914, pp. 54-62). Allo stesso modo Sir Robert Anderson, allora Assistent Commisioner (Vice Commissario), scrisse nelle sue memorie nel 1910 che: “la colpevolezza dell’ebreo polacco era un fatto accertato” alludendo ad Aron Kosmiski “grazie a Dio rinchiuso in un asilo per alienati”(J. Eddelston, Jack the ripper. An encyclopedia, S. Barbara, Ca. 2001, p. 120). Un altro individuo sospettato da molti fu un avventuriero canadese di famiglia irlandese, Francis Tumblety, arrestato per altri delitti il 7 novembre 1888, ma fuggito in America. Avrebbe potuto essere il serial killer perché aveva mostrato in molte occasioni una sfrenata violenza misogina. Secondo l’ispettore John Littlechild, capo della Divisione Speciale di Scotland Yard nel 1888 (uno dei principali testi d’accusa al processo contro Oscar Wilde), la maggioranza dei suoi colleghi lo riteneva colpevole e notava che i delitti di Whitechapel erano cessati da quando era fuggito negli Stati Uniti (Lettera a John Sims del 23/9/1913 cfr. M. Burger, Jack the Ripper, New York 2017, pp. 145-149). Inutile dire che nessuno dei sospettati aveva nulla a che fare coi delitti attribuiti al terribile Jack. Che cosa spingeva, dunque, i più importanti funzionari di Scotland Yard alla ricerca di colpevoli fantomatici?

La prima risposta la troviamo se consultiamo testi sulla storia dell’epoca. L’Inghilterra vittoriana, che aveva conquistato l’India nel 1857 e aveva triplicato il suo sviluppo industriale, era stata letteralmente invasa da una massa di emigranti alla ricerca di fortuna. Le città erano cresciute enormemente e disordinatamente, con la creazione di giganteschi ghetti, abitati da masse di diseredati che per sopravvivere erano pronti a tutto: un vero e proprio terremoto sociale che comportava la proliferazione incontrollata e incontrollabile della criminalità individuale e organizzata. In questo mondo, che è il mondo di Dickens, chi commetteva delitti poteva essere solo chi fosse estraneo alla società civile: e se i suoi delitti fossero stati particolarmente crudeli poteva essere solo un folle, un mostro. E’ così infatti che la stampa dell’epoca rappresenta Jack Lo Squartatore. Come ha scritto Amber Taylor nel suo Il criminale vittoriano: “I giornali che hanno seguito gli omicidi dello Squartatore ci rivelano che il pubblico vedeva il criminale e il pazzo come il protagonista di una storia fuori dal comune.. Gli esempi più evidenti di sensazionalismo da parte della stampa sono i titoli dei giornali… come quello dello Star in occasione della prima vittima: “Un crimine rivoltante. Una donna orribilmente mutilata. Spaventoso delitto di un maniaco”. Il sottotitolo del giornale era “La sua gola tagliata da un orecchio all’altro”. .. Altre parole o frasi comunemente usate erano “pazzo maniaco, bestia, mostro, Caino” …Con la morte di Eddowes, la stampa di Fleet Street prese l’abitudie a scrivere continuamente frasi che sottolineavano “l’ innaturale piacere di mutilare” dell’assassino …Tuttavia, sebbene la maggior parte dei dettagli fosse di natura sessuale, la vera natura dei crimini non venne esplicitamente denunciata a causa dei valori morali vittoriani” (https://www.academia.edu/45629889/The_Victorians_Criminal_Jack_the_Ripper).

In quest’ottica, tallonati dai giornalisti e sotto pressione da parte dei loro superiori, i poliziotti incaricati delle indagini cercarono un capro espiatorio che rispondesse ai requisiti che tutti si aspettavano: non certo un dandy ben vestito ed educato, ma un pazzo furioso che tutti avrebbero potuto riconoscere.

Probabilmente, però, c’era anche un’altra ragione che inibiva gli sforzi della polizia. Se si dava retta ai testimoni che parlavano di un eccentrico gentiluomo si potevano pestare i piedi ad altri gentiluomini. Sir Macghnaten lo fece capire esplicitamente rispondendo al Sun del 13/2/1894. Il poliziotto affermò che per nessun motivo nel caso era implicato Thomas Cutbush: “il nipote del defunto Superintendente Esecutivo (Capo ispettore) di Scotland Yard”. Il Superintendente e supepotente zio si chiamava Charles Cutbush e non c’entrava nulla con le malefatte di Thomas, ricoverato in manicomio nel 1891 per aver attaccato due donne col coltello in strada. A dire tutta la verità Thomas non era neppure suo nipote, ma solo un povero malato di mente che portava lo stesso nome. Ma questo Macghnaten non lo sapeva: sapeva solo che doveva opporsi con le unghie e coi denti all’onta che poteva colpire coloro che erano come lui. Non a caso, secondo alcuni giornali il povero Charles aveva finito col suicidarsi proprio per il disonore che era ricaduto su di lui a causa dell’omonimia con il presunto assassino di Whitechapel (The Times, 17/10/1910:“ E’ possibile che il suicidio di Charles…sia correlato al fatto che un uomo sospetto che era stato ricordato sui giornali come l’assassino di Whitechapel fosse in relazione -anche se ciò è errato- con un alto funzionario di polizia”).

Charles Cutbush non era l’unico che potesse essre coinvolto. Tra gli identikit dell’assassino che circolarono sui giornali nel 1888 e successivamente, ispirati alle testimonianze oculari, ce n’è uno che fa riflettere. E’ la prima volta che viene detto, ma non si può negare che l’uomo raffigurato sulla Police Gazette del 24 novembre 1888 somiglia molto ai ritratti coevi di Henry James FitzRoy, conte di Euston, un personaggio conosciuto per le sue eccentricità, alla ribalta della cronaca per il suo matrimonio con una cantante bigama. FitzRoy fu implicato nel 1889, l’anno dopo i delitti di Whitechapel, in un teribile scandalo (di cui riparleremo) e proclamò, per scusarsi di essersi messo nei guai solo per avere sbagliato bordello. Non poteva essere lui o uno come lui il famoso “gentiluomo” che tanti testimoni avevano visto sulla scena del crimine?

Foto 1: Ritratto di Henry James Fitzroy (Police Gazette, 4/11/1889) e Identikit di Jak lo Squrtatore (Police Gazette, 24/11/1888).

Sospetti di questo tipo non aiutavano certo la polizia a muoversi speditamente. Non è strano che ci fossero simili remore. La società vittoriana, archetipo di quella in cui viviamo oggi, era tutta apparenza. Si reggeva sull’autoritarismo di un pensiero unico pieno di contraddizioni e sul consenso mediatico assicurato da un giornalismo forsennato e compiacente. Il potere aveva putato spregiudicatamente sulla stampa, agevolandone lo sviluppo con ogni mezzo, al punto che il numero dei giornali passò da circa 400 alla metà dell’800 a più di 2000 alla fine del secolo. Alcuni di questi furono ispirati da idee progressiste, ma la maggioranza, complice del potere, fu solo una cassa di risonanza delle idee più retrive che la monarchia incoraggiava, praticando, di nascosto, l’immoralità che in pubblico condannava. La società vittoriana era un vaso di Pandora malamente sigillato da cui poteva uscire ogni momento una valanga di guai.

E’ quanto avvenne puntualmente tre anni prima dei delitti di Jack Lo Squartatore. L’ Inghilterra fu scossa da un cataclisma antropologico senza precedenti a causa delle “rivelazioni” di William Thomas Stead che somigliano alle rivelazioni fatte da Julien Assange ai nostri giorni. Lo Stead, riconosciuto come maestro da Randolph Hearst (il Charlie Foster Kane di Quarto potere), scatenò nel 1885 una campagna senza precedenti sulla Pall Mall Gazette, che dirigeva, contro la prostituzione minorile, denunciando senza mezzi termini il traffico della bambine vendute dalle madri povere ai proprietari dei bordelli. Gli articoli, basati su un numero impressionante di testimonianze e frutto di una documentazione “sul campo” senza precedenti, misero sotto accusa l’ipocrisia di una società che fingeva di ignorare ciò che accadeva sotto gli occhi di tutti, con la compiaciuta ed attiva partecipazione di illustri esponenti dell’establishment, come vescovi, membri del Parlamento e della camera dei Lords. Stead, coadiuvato dalla leader delle suffraggette inglesi, Josephine Butler, da esponenti dell’esercito della Salvezza e da ex-prostiture redente, arrivò al punto da organizzare la vendita-rapimento di una bambina di tredici anni, che dopo essere stata narcotizzata, si risvegliò in un bordello urlando, confermando così che il traffico illegale era facilissimo. Esaltato, ardente, implacabile, Stead si mise alla testa di un movimento di opinione senza precedenti, che trascinò con sé i migliori esponenti della politica liberale. I parlamentari riuscirono a imporre una riforma avanzata per i tempi, il Criminal Law Amendment Act, soprannominato Stead Act del 1885. La lezione di Stead rimase nella mente di tutti. Il suo giornale creò il mito del sadismo dei nobili inglesi, simboleggiato dalla figura del”Minotauro di Londra”, mostro per eccellenza, che ispirò tra l’altro Stevenson nella creazione del terribile Mr. Hyde, nel suo fortunatissimo racconto Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr. Hyde che uscì nel 1886 ed ebbe un grandissimo successo.

Due anni dopo, quando iniziarono i delitti di Whitechapel, l’opinione pubblica inglese era ancora estremamente indignata contro i misfatti dell’aristocrazia vittoriana. Per questo motivo tanti personaggi privi di scrupoli non esitarono a lanciare una contro-campagna di stampa per riabiltarla, approfittandosi dell’occasione. I veri criminali non erano i nobili ma i poveri. Al posto del “Minotauro di Londra” adesso c’era Jack Lo Squartatore. In questo modo la stampa rispediva i criminali al loro posto: l’inferno dei quartieri-ghetto, pieni di immigrati pazzi che andavano chiusi in manicomio e di assassini mostruosi, che si aggiravano nelle tenebre. In questa Città di Dite avvolta dall’oscurità non c’erano nobili e gentiluomini, ma solo miserabili immigrati e malati di mente.

L’ispettore Abberline non aveva alcuna simpatia per simili aberrazioni demagogiche a vantaggio dei nobili e del potere costituito. Lui era un uomo schietto e semplice: veniva dal basso e dalla provincia, non aveva studiato in Colleges prestigiosi. Si era fatto da solo, con la pazienza e la caparbietà con cui riparava gli orologi lavorando sodo sin da ragazzino. Piano, piano, zitto, zitto, domandando, osservando e tirando dritto si era creato una rete di informatori e di fedeli collaboratori che gli avevano garantito un successo dopo l’altro e lo avevano fatto salire ai gradini più alti di Scotland Yard. Messo sotto scacco dai suoi colleghi conservatori fu costretto a fermarsi. Ma non si rassegnò e riuscì a trasformare il suo insuccesso in un successo. Il prezzo da pagare fu quello di dover abbandonare l’inchiesta su Jack Lo Squartatore, che ormai non poteva più portare avanti. In cambio ebbe la soddisfazione più grande della sua vita: sbattere in cella tanti nobili corrotti e far tremare di terrore tutta la Londra che conta. L’occasione venne l’anno dopo i delitti di Whitechapel, quando scoppiò, chissà perché e chissà come, lo scandalo di Cleveland Street. A sollevarlo fu un modesto ufficiale di polizia quasi senza volerlo, ma, guarda caso, immediatamente il più famoso poliziotto di Londra corse al suo fianco. Non gli potevano negare l’incarico dopo avergli fatto tante carognate e Abberline lo accettò, con sussiego, fingendo sorpresa. Poi passò all’azione e cominciò a mettere sotto chiave o ad accusare pubblicamente tutti coloro a cui potè arrivare, servendosi proprio del Criminal Amendemnt Act voluto da Stead. Abbeline non era un liberale; non aveva nobili idee e cultura filosofica. Era come l’ispettore Barnaby: testardo, solido, inesorabile, come sa esserlo solo un uomo comune onesto. L’Ultimo dei Giusti che potrebbe salvare la Città di Sodoma perché solo lui potrebbe ottenere il perdono di Dio per i crimini dei sodomiti, Fuor di metafora, proprio di sodomiti si trattava, perchè a Cleveland Street c’era un bordello di lusso per omosessuali, riservato ad aristocratici, nel quale venivano fatti prostituire giovanissimi schiavi sessuali, un po’ più grandi forse, ma non tanto diversi dalle bambine che venivano vendute nei bordelli per eterosessuali denunciati da Stead. La legge del 1885 può sembrare repressiva rispetto agli standard di oggi. Ma la storia procede così: tra balzi in avanti e ritorni indietro. Non si poteva allora vietare la prostituzione minorile senza condannare forme di sessualità che oggi non sono più condannate in quei termini. In ogni caso, coloro che pensavano che gli esseri umani, uomini o donne, sono solo schiavi con cui trastullarsi, furono serviti.

Pago della sua vendetta, nel 1892 Abberline, diede le dimissioni, dopo aver collezionato 82 elogi ufficiali e menzioni di merito. Per un po’ fece il poliziotto privato e poi si riposò, godendosi al pensione a Bornemouth, in una bella casa con vista sull’isola di White. Ma non si dimenticò dei delitti di Withechapel. Indagò per conto suo. Girò a vuoto. Ma alla fine ebbe ragione. Un personaggio come quelli che aveva sempre sospettato venne preso con le mani nel sacco e l’ispettore potè finalmente dare fiato alle trombe e dire pubblicamente. “Avete arrestato Jack Lo Squartatore!”. I giornali gli fecero eco. Se volete sapere tutti i particolari della storia leggetevi The Complete History of Jack the Ripper di Philippe Sudgen, London 2012 uno dei migliori libri che siano stati scritti sull’argomento. Non a caso lo ha scritto un professore di liceo, un uomo probo, onesto e paziente, della razza degli orologiai meticolosi e dei poliziotti noiosi e scrupolosi. E’ costato all’autore nove anni di lavoro, umile e faticoso, negli archivi, consultando verbali di processi, verbali della polizia, documenti d’epoca, ciarpame reietto come scrive il poeta. Il risultato è piaciuto a molti, ma ha suscitato anche reazioni di diffidenza in coloro che non hanno una vera identità di storico ed amano solo gli scoop e i colpi di scena anche se sono falsi. Qual è la soluzione dell’enigma? Onestamente la soluzione definitiva non c’è: ma Sudgen ci è andato vicino. L’uomo che viene indicato come il più probabile colpevole dei delitti attribuiti a Jack Lo Squartatore corrisponde pienamente alla descrizione dei testimoni, perfino nella sua mania di portare un cappello da marinaio “P e O”. Si chiamava Seweryn Kłosowski, ma nel corso della sua tormentata esistenza assunse vari nomi come Ludwig Schloski o Zagowski e George Chapman. L’ultimo delitto che commise lo incastrò definitivamente: il medico che esaminò il corpo della terza moglie assassinata come le altre si accorse che era stata avvelenata e fece riesumare i corpi delle precedenti consorti, trovando le stesse tracce di veleno in ogni cadavere. Le donne erano state uccise lentamente, con lo scopo, vero o apparente, di impadronsirsi delle loro sostanze. Kłosowski era una specie di Landru, abilissimo nel corteggiare donne sole e pronto a sposarle, pur essendo uno spiantato; altrettanto abile ad avvelenarle a poco, a poco con l’antimonio, senza che se ne accorgessero, sfruttando al meglio le conoscenze mediche che aveva acquisito in giovinezza. La storia fece sensazione all’epoca. E riportò a galla il mistero insoluto dei delitti di Jack Lo Squartatore, non solo perché Kłosowski-Chapman era un assassino che aveva dimostrato lo stesso odio omicida contro per le donne, ma anche perché il suo comportamento ricordava quello che i testimoni avevano attribuito al maniaco di Whitechapel. Il barbiere che conquistava le ragazze con modi suadenti e garbati per poi ucciderle ricordava irresisibilmente i modi cortesi ed affabili del gentiluomo che accostava le prostitute di Whitechapel per poi ucciderle. E poi, last but not least, Kłosowski aveva vissuto e lavorato proprio in questo quartiere nei mesi in cui erano avvenuti gli omicidi attribuiti a Jack Lo Squartatore. Certo l’assassino non era affatto un aristocratico ed anzi appartaneva proprio a quel mondo di reietti e di emarginati che secondo i più reazionari generava automaticamente la violenza. Da questo punto di vista poteva essere il candidato ideale dei Tories, ma deludeva il pubblico di idee liberali, perché era la conferma dei pregiudizi della parte più retriva della società. Tuttavia, a ben guardare, aveva anche requisiti che potevano non dispiacere ai progressisti: in fondo solo recitando la parte dell’aristocratico e del dandy era riuscito a vincere la paura delle sue vittime. Il vecchio Minotauro sadico aveva assunto la maschera del gentiluomo e solo così poteva realizzare i suoi scopi criminosi, ragione di più per diffidare ancora una volta dei gentlemen dal cuore di ghiaccio.

Il processo nel 1903 fece sensazione e venne fuori la storia folle e disperata di questo personaggio (gli atti sono online: https://www.oldbaileyonline.org/browse.jsp?div=t19030309-318). Veniva dalla Polonia russa, che divenne poi la Polonia Prussiana e in seguito la Polonia vera e propria. Così come cambiò nazionalità, cambiò identità e domicilio di continuo, per tutta la vita. Nato cattolico nel 1865 a Nagóma (Koło, Varsavia), fu spedito a 14 anni a Zwoleń, a 250 chilometri da casa, presso Moshko Rappaport, un chirurgo ebreo, per imparare la professione. Nonostante lo choc della perdita della famiglia e dell’educazione cattolica, imparò l’Yiddish e il mestiere. Cercò di divenire medico chirurgo ritornando a Varsavia nel 1885, ma fu costretto a smettere. Non riuscì neppure ad entrare nell’esercito russo per fare l’assistente chirurgo, un ruolo ufficialmente riconosciuto. Lo smacco dovette essere forte, visto che sostenne sempre di esserlo stato, esponendosi a facili smentite in mancanza di documenti che lo provassero. Durante il processo si seppe che si era sposato giovanissimo ed aveva avuto due figli: è probabile che per questo fosse stato costretto a lavorare subito, abbandonando precipitosamente il suo sogno di avere una carriera (e una vita) rispettabile. E’ altrettanto probabile che, sopraffatto dai suoi impegni, abbia avuto un crollo. Fuggì infatti improvvisamente nel 1887 a Londra, senza sapere una parola di inglese. In pochi mesi divenne esperto della lingua e dei modi della nuova patria, vestendosi come un damerino e fingendo di essere più di quello che era. Fece il garzone di bottega di un parrucchiere presso un barbiere ebreo, Abraham Radin al 70 West India Dock Road. Più tardi si mise in proprio come barbiere-chirurgo, affittando un bugigattolo al 126 di Cable Street, come risulta dall’elenco del telefono del 1888. Era una soluzione poco vantaggiosa: nella zona c’erano solo uffici che divenivano deserti ogni venerdì fino al lunedì e i clienti occasionali erano pochissimi. Ma il giovane immigrato riuscì lo stesso a sbarcare il lunario. Infatti trovò lavoro come aiuto barbiere in un altro negozio sulla Whitechapel High street, all’incrocio con la Commercial street, al numero 89, una strada molto molto più popolosa e redditizia. In seguito, la sua condizione sociale migliorò: nel 1889 incontrò una ragazza polacca bisognosa di affetto con qualche soldo da parte che si chiamava Lucy Baderski. Si sposò con rito cattolico e stava per diventare padre, ma le cose si misero male. Improvvisamente arrivò a Londra la moglie abbandonata in Polonia, ancora legalmente sposata al marito, che reclamava soldi. Le due mogli litigarono tra loro e ciascuna litigò col consorte, fino a quando la prima moglie scomparve misteriosamente. Kłosowski disse che era tornata in Polonia, ma a casa sua nessuno la vide più. Il barbiere pensò bene di sparire da Londra: si rappacificò con la seconda moglie e partì in fretta e furia per il New Jersey nell’aprile del 1891. Ufficialmente disse che voleva andarsene perché il figlio appena nato era morto, ma forse voleva far perdere le tracce dopo la scomparsa della prima moglie. Aprì un negozio di barbiere a Jersey City e cominciò a condurre un’esistenza tumultuosa. Litigava spesso ferocemente con la nuova moglie e una volta stava per ucciderla con un coltello da cucina, ma fu fermato da un cliente del suo negozio. La donna, che all’epoca era incinta, affermò più tardi che il marito voleva decapitarla e che avrebbe detto a tutti che era partita senza lasciare traccia, come la prima moglie misteriosamente sparita. Terrorizzata la donna tornò da sola in Inghilterra nel febbraio del 1892 e mise al mondo una figlia. Kłosowski la raggiunse ma non riuscì a convincerla a tornare insieme. Trovò lavoro in un negozio di barbiere lontano dal centro, al 5 West Green Road, South Tottenham. Lì incontrò un’altra donna bisognosa di affetto, Anne Chapman. La corteggiò con successo e la sposò, cambiando il suo nome in George Chapman, evitando così l’accusa di bigamia. Dopo un po’ portò a casa un’altra donna e costrinse la moglie a vivere in un problematico ménage à trois che non poteva che finir male. Liberata dalla rivale, la moglie rimase incinta e il marito lavorò da un altro barbiere, senza riuscire a tirare avanti. Con le spalle al muro, Kłosowski-Chapman non esitò a farsi consegnare tutti i risparmi dalla moglie e poi la lasciò scappando senza tanti complimenti. Si trasferì da un altro barbiere e cambiò casa andando a vivere presso un certo Ward: non ci mise molto a sedurre la donna che conviveva con lui, Mary Spinks e pretese di sposarla subito. Il matrimonio però non venne mai celebrato ufficialmente: Chapman disse di essere ebreo e di averla sposata solo religiosamente con il rito ebraico. Era il settembre del 1895: Mary aveva un bel gruzzolo da parte e finanziò il marito, che aprì un negozio di barbiere ad Hastings. Gli affari andavano bene e Kłosowski-Chapman si dilettava di posare coi suoi clienti da esperto marinaio con tanto di cappelli da crociera e da marito felice. Ma la verità è un’altra: i litigi con la moglie erano frequentsisimi, come le scappatelle extraconiugali. Alla fine il barbiere si decise al gran passo e nel 1879 comprò per la prima volta un medicinale a base di antimonio, che in piccole dosi era una medicina, ma in grandi dosi era mortale. Grazie alle sue conoscenze mediche, il barbiere aveva trovato un veleno perfetto: l’antimonio è inodore e incolore e poteva essere somministrato a piccole dosi che portavano al decesso in breve tempo. La povera Mary Spicy finì presto la sua vita e il marito incamerò i suoi soldi. Ma senza rendersene conto aveva commesso un errore: infatti l’antimonio impedisce ai corpi di corrompersi e ciò avrebbe reso possibile nel futuro di fare un’autopsia scrupolosa. Il momento arrivò solo qualche anno dopo: nel frattempo Kłosowski-Chapman tra una truffa e l’altra, tra un furto e un incendio doloso, ripetè le sue performances di marito avvelenatore altre volte, conquistando il cuore di donne sole e danarose, sposandole in modo illegale, per poi avvelenarle senza esitazione, non senza averle picchiate a sangue e minacciate di morte con la pistola o col bastone, trattandole non come mogli ma come prostitute.

Il processo si concluse con la condanna a morte che venne eseguita il 20 marzo 1903. Abberline tirò un sospiro di sollievo e si permise il lusso di non calcare la mano. Disse, sornione, che “Scotland Yard non era stata saggia”, risparmiando ai suoi ex-colleghi l’accusa di essere negligenti o addirittura in malafede. A lui premeva solo una cosa: che tutti finalmente dessero ragione ai suoi sospetti e ai suoi metodi investigativi. E la cosa non era difficile, perché finalmente era stato preso e giustiziato qualcuno che era a Whitechapel durante i delitti, libero di agire per anni e insospettabile, non un pazzo forsennato che attira l’attenzione di tutti, destinato a finire rapidamente in manicomio. Kłosowski-Chapman era vissuto proprio nel quartiere dei delitti nell’autunno del 1888. Anzi, per essere precisi, si può dire che lavorava proprio a due passi dai luoghi dove erano state trovate le diverse vittime. Lo sappiamo con sicurezza perché un testimone che lo conobbe bene nel 1888 lo dichiarò solennemente in un primo tempo ai poliziotti che lo interrogarono alla stazione di polizia e in un secondo tempo durante il processo. L’uomo era un immigrato polacco, un ebreo che si chiamava Wolf Levisohn e parlava Yddish e Polacco con Sewerin, chiamandolo Ludwig. Disse che sembrava senza età, una caratteristica che rimarrà completamente invariata negli anni (non dimostrava quindi di avere 23 anni). Disse che era sempre molto azzimato e vestiva da dandy, dandosi molte arie, pur essendo solo un aiutante barbiere in un quartiere malfamato. Un altro testimone, George Sherman confermò che Kłosowski lavorava nello stesso negozio su Whitechapel High street ancora nel 1891, nonostante mantenesse formalmente un’attività al 126 di Cable Street. Sappiamo inoltre che nel 1891 abitava a pochi metri dal negozio sulla Whitechapel, al numero 2 del Tewkesbury building (oggi distrutto), come risulta dal censimento pubblico (consultabile online: http://www.census1891.com). Queste testimonianze incrociate sono importantissime per giustificare quello che dissero a chiare lettere, separatamente, sia l’ispettore Godley, che arrestò Kłosowski, sia Abberline, commentando l’arresto. Entrambi affermarono categoricamente (Daily Chronicle, 23/3/1903; Pal Mall Gazette, 24 e 31/3/1903) che Kłosowski abitava già nel 1888 dove abiterà nel 1891. I due ispettori lo sapevano indipendentemente dalla testimonianza di Levishon, che parlò solo di negozio e non di abitazione, aggiungendo, anzi, nella dichiarazione fatta alla stazione di Polizia, di non sapere dove Kłosowski viveva (7/1/1903, Southwark Police Court, ff. 273–6). E’ evidente che essi lo sapevano attraverso i loro canali di informazione, che non erano pochi: quando Abberline, fu sollevato dall’inchiesta su Jack Lo Squartatore, il suo successore, che era anche il suo fidato braccio destro, disse che erano stato infiltrati sessanta agenti in borhese a Whitechapel, a parte tutti gli altri agenti mobilitati in permanenza. Non era difficile per Abberline sapere da qualcuno dei suoi agenti o dei suoi informatori dove abitava Kłosowski, senza dover consultare le dichiarazioni di Levisohn. Ma perchè una simile notizia era significativa? Perché se era vero che Kłosowski stava tutto il giorno a Whitechapel High street, sia che ci lavorasse sia che ci abitasse, non era difficile capire come potesse uccidere senza essere mai scoperto. Basta guardare la piantina del quartiere e fare attenzione al punto preciso in cui furono ritrovate le vittime di Jack Lo Squartatore, sia quelle ufficiali, sia altre che gli sono state attribuite. Ci si rende subito conto che gli assassinii sono avvenuti tutti a poca o pochissima distanza dall’indirizzo della casa o quanto meno del negozio di barbiere di Kłosowski in Whitechapel High street. E’ facile commettere un delitto, protetti dal buio, a pochi minuti dalla propria abitazione o dal proprio posto di lavoro: c’è poca strada da fare nelle tenebre per arrivare e poca strada per rientrare a casa o nel negozio e chiudersi in una stanza con le finestre tappate, senza essere notato da nessuno. Quando si è al sicuro basta cambiarsi d’abito, lavarsi immediatamente e lavare gli strumenti usati per uccidere, per ritornare rapidamente alla vita di prima.

Fig. 2: Mappa dell’area in cui furono commessi i delitti.

Abberline, non riuscì mai a trovare nel 1888 una prova concreta delle malefatte di Kłosowski e forse non sospettò esplicitamente di lui, ma pensò solo che il colpevole fosse qualcuno degli abitanti degli edifici vicini alle vitime, dove Kłosowski viveva. In ogni caso la vecchia volpe aveva visto giusto. Ce lo conferma una testimonianza inaspettata che nessuno ha mai notato prima. Mentre si susseguivano i delitti di Whitechapel pervennero alla polizia diverse lettere firmate “Jack Lo Squartatore”, nelle quali l’autore si vantava dei dei suoi crimini. Gli inquirenti le giudicarono false, ma pensarono anche che potessero contenere qualcosa di vero, qualche suggerimento anonimo a chi svolgeva le indagini (https://www.casebook.org/ripper_letters). Se non andiamo errati è proprio questo che ci rivela uno di tali farneticanti messaggi, quello chiamato convenzionalmente “la lettera di Saucy Jack (Jack il dispettoso)”. Se prescindiamo dal suo contenuto e ci limitiamo a osservarla come si guarda un quadro, noteremo che in essa sono state tracciate tre lettere con inchiostro rosso che sembrano come sovraimpresse alle parole e che con lo stesso inchiostro sono state disegnate due caricature.

Le lettere sono “J, L, h” che potrebbero essere lette come le iniziali di “J(ew) L(udwig) h(airdresser)”, ricordando che, come abbiamo detto, Kłosowski si faceva chiamare Ludwig, parlava Yiddisch al punto che molti lo considerarono ebreo e viene ricordato dal censimento del 1891 come “hairdresser”.

Quanto alle caricature a noi sembrano quelle di Kłosowski e di Elizabeth Long, una delle donne uccise dal Saucy Jack, di cui si parla nella lettera.

A quanto pare sin dall’epoca dei delitti c’era qualcuno che aveva pensato a Kłosowski. Naturalmente questo non costituisce una prova decisiva. Però, com’è noto, a pensare male ci si indovina…In ogni caso, a prescindere dalle lettere anonime, tutti gli indizi che abbiamo ricordato non possono essere trascurati. A cominciare da quello, evidentissimo, che fu subito sottolineato dai giornali all’epoca del processo del 1903: Kłosowski è l’unico tra le decine di persone sospettate dei delitti ad essere stato un serial killer. Nessuno altro dei sospettati agì nello stesso modo ossessivo e ripetitivo, accumulando una vittima dopo l’altra.

A una simile ricostruzione sono state fatte due obiezioni. La prima è che le testimonianze parlano di un uomo sui 30-40 anni, mentre Kłosowski ne aveva solo 23 al momento dei delitti. L’obiezione sembra valida in astratto, ma non si attaglia all’indidividuo che fu condannato a morte: come abbiamo detto, secondo Levinshon non dimostrava l’età che aveva e non cambiò aspetto nel corso degli anni. Vestito come un signore maturo e non come un ragazzino, poteva essere scambiato per un uomo un po’ più grande da persone che lo vedevano per la prima volta, a un certa distanza, nel buio, solo per qualche minuto. La seconda obiezione è invece più fondata: è noto che il serial killer ha sempre lo stesso modus operandi e tende a scegliere uno stesso tipo di vittima. Come si giustificano allora i crimini di Kłosowski-Chapman, che nel corso del tempo ha cambiato sia il tipo di persone da uccidere, sia le tecniche omicide? Sudgen ha risposto, citando il parere di John Douglas, un agente dell’FBI esperto in materia e ricordando numerosi casi di crimini seriali anomali: anche se in genere il serial killer tende a essere costante, non è affatto vero che tutti si comportino sempre allo stesso modo. Alcuni infatti sono molto irregolari e mutano con facilità le loro abitudini, mettendo in atto quello che gli esperti hanno chiamato un “modus operandi dinamico” (cfr. B. M. Rippo, The Professional Serial Killer and the Career of Ted Bundy: An Investigation, New York 2021, pp. 32-36).

Detto questo, ci sia permesso di esprimere una valutazione personale. A nostro giudizio l’elemento costante nella figura dell’omicida seriale non è il suo comportameto. E’ la sua psiche. Viene troppo spesso dimenticato che un serial killer è un malato di mente che mette in scena coattivamente in un modo mostruoso il trauma originario che lo ha sconvolto. Per cui quello che conta non è il suo modus operandi, ma quello che cerca disperatamente di comunicare, ripetendo ossessivamente il suo dramma personale con infinite variazioni sul tema. Il comportamento del killer tipo Landru, che ruba alle sue vittime femminili il loro denaro non è diverso da quello del killer che ruba gli organi delle sue vittime femminili. Ambedue si appropriano violentemente e feticisticamente della parte più preziosa delle donne che incontrano, perchè nel loro delirio pensano follemente di riavere il tesoro perduto nell’infanzia. Credono cioè, in forma delirante, di riavere l’oggetto primario con cui erano una cosa sola, che improvvisamente è venuto a mancare, come quando si viene separati violentemente dalla madre e dalla famiglia, per essere spediti lontano da casa, abbandonati nella mani di altri, che potrebbero commettere ogni sorta di abuso (cfr. G. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, Milano 2002, pp. 495-520).

Tornando al nostro tema, non pretendiamo davvero di avere risolto il mistero dei delitti di Whitechapel, come del resto non lo pretedono né Sudgen, né i suoi sostenitori. Del resto la stessa cosa pensarono anche molti giornali all’epoca dell’esecuzione di Kłosowski-Chapman. Negarono che fosse lui il colpevole e iniziarono il tormentone che ancora ci perseguita chiedendosi chi fosse veramente l’assassino di Whitechapel.

Ancora oggi siamo costretti a porci questa domanda e non possiamo dare una risposta defintiva. Tuttavia ci pare giusto lo stesso ragionare su questo argomento. L’intera vicenda ci fa riflettere. Al di là della scoperta del colpevole, questa storia irrisolta ci costringe a fare i conti con un aspetto della psiche molto duro da affrontare. Il vero problema che Jack Lo Squartatore ha posto alla società vitttoriana e pone anche a noi a distanza di tanti anni è quello del significato psichico e antropologico della sua stessa figura. La Londra vittoriana si è rifiutata di prenderne atto nonostante sapesse benissimo, attraverso Stevenson, che l’uomo può essere contemporaneamente sia il Dottor Jeckyll, sia Mr. Hyde. Ancora oggi questa terribile verità ci sconvolge e ci impedisce di accettare la compresenza di impulsi creativi ed impulsi distruttivi all’interno della nostra mente. E’ molto più facile, molto più rassicurante pensare che il mostro è un’eccezione e che noi, come tutti i nostri simili, siamo buoni, belli, perfetti, destinati alla migliore vita possibile, nel migliore dei mondi possibili e nella società più giusta che esista e che sia mai esistita. Oggi come ieri questa pietosa fuga dalla realtà non serve a niente. Eppure, oggi come ieri, pochi sono disposti ad accettarla fino in fondo.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

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