la casa nel bosco, i “centri sociali” e la città surreale

di Gian Luigi Deiana

Hansel e Gretel, T. Hosemann, da Wikipedia

la vicenda della “casa nel bosco” ha il merito di aiutare lo sguardo a vedere, nel fondo, la reale condizione antropologica nella quale siamo oggi immersi: questa non è affatto una condizione felice, e il più delle volte nemmeno una condizione infelice; è piuttosto una condizione amorfa, disanimata e praticamente senza senso;

in assenza di felicità, almeno il sopravvenire episodico dell’infelicità potrebbe plasmare una pur effimera condizione di senso; ma è un auspicio ormai vano: con il senso della felicità anche il senso dell’infelicità si è ormai quasi dissolto, e con la dissoluzione dell’immedesimazione nel prossimo si è dissolto anche il senso di sè;

è il modello della “società liquida”, quella liquefazione della condizione umana che è da ormai cento anni oggetto della riflessione filosofica, sociologica e anche religiosa: ma è del tutto assente dalla riflessione poltica e dalla progettualità necessaria;

la testimonianza del pontificato di papa francesco è in questo senso esemplare; come lo fu a suo tempo lo sguardo di edgar allan poe sulla visione desolata da lui descritta nel racconto “l’uomo della folla”;

non intendo qui mettermi in squadra sulla vicenda della “casa nel bosco”, mentre intendo andare anche oltre e cioè tracciare un collegamento tematico con la controversia sorta tra il ministro dell’interno piantedosi e l’amministrazione comunale di bologna sui cosiddetti “collettivi” ovvero sui centri sociali, dei quali il ministro e il governo esigono lo scioglimento;

per azzardare questa connessione apparentemente incongrua (una famigliola in una vecchia cascina e i collettivi giovanili in una grande città) è necessario fare una operazione preliminare facile facile: andare per strada in un piccolo borgo qualsiasi, e riflettere sul fatto che non ci sono bambini, nè mamme, nè gente che gioca a tresette in un bar; oppure andare per strada in città, in pieno centro o in periferia, trovando come spiegazione sociologica della condizione giovanile reale la semplice cronaca quotidiana di un qualsiasi telegiornale, che ripete la scena dalla diffusione di risse, violenze fortuite, scene di stupro condivise su smartphone, coltelli, agguati, fughe e telecamere agli angoli di ogni strada; e interminabili caseggiati desolanti, e interminabile gente senza casa; l’abolizione della prospettiva dal procedere amorfo dell’esistenza;

quagga-illustrations.de

e dunque, la campagna, la grande esclusa da questa specie di giungla globale:

cosa stiamo pagando noi tutti, in termini antropologici, ecologici e spirituali, a causa della desertificazione della campagna, la grande madre che abbiamo abbandonato alla sua solitudine e alla sua oscurità salvo farne oggetto la domenica di idillici reportage sulla natura? è davvero così assurdo che la campagna, cioè lo spazio di mezzo tra i luoghi densamente abitati e la selva, torni ad essere abitata e a ridare vita ai suoi campi, alle sue sorgenti e ai suoi cascinali? è davvero così ragionevole che la nuova generazione non abbia potuto vedere altro al di fuori della forbice tra giungla urbana e inselvatichimento dell’ambiente naturale circostante?

Mattotti, da libricalzelunghe.it

e per andare ai margini del girone propriamente infernale, cioè le città vuote di anime e di senso e invase di telecamere e di crack, si ha idea di cosa diventerebbe tutto questo se davvero fossero sciolti anche gli spazi “collettivi” ancora resistenti? si ha idea della necessità di luoghi di vita come gli oratori di chiesa, le aule universitarie e i centri sociali, senza illudersi che sia a ciò sufficiente l’obbligo scolastico?

e per andare specificamente al dunque:

siamo davvero certi che i “servizi sociali” dei piccoli centri, transitati nell’arco di una sola generazione dal tempo della vitalità di campagna al tempo dello spopolamento, siano oggi adeguati a questa complessità di problemi?

siamo davvero certi che la sensibilità spontanea, mossa per esempio dai centri sociali di città come bologna, o torino, o milano, contro lo scandalo politico di una partita di basket o di una gara ciclistica o di un festival di canzonette in cui possa partecipare la squadra di un paese in guerra di genocidio, con tanto di tifoserie di stato e bandiere lavate di sangue, meriti un trattamento squisitamente militare con centinaia di agenti in tenuta antisommossa?

e per fare cosa, se non la giungla urbana ovvero un deserto sovrappopolato, e popolato da chi se non da persone cui è sociologicamente impedita una qualsivoglia dimensione ?

((dedicato ad hansel e gretel, a pinocchio e alla fata, a biancaneve e alla strega, a cappuccetto rosso e alla nonna, ad alice e al paese delle meraviglie)).

Gian Luigi Deiana

the end is near-da il manifesto

 

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