«La chiamavano Armata Pirata»
Il calcio popolare visto dai tifosi: un documentario di Giacomo Bolzoni.
di Valerio Moggia (*)
La storia si apre su un gruppo di tifosi che intonano un coro sulle note di Bocca di rosa di Fabrizio De André, solo che invece di chiamarla Bocca di rosa la chiamavano Armata Pirata. Questo è anche il titolo del documentario di Giacomo Bolzoni, completato quest’anno e dedicato a uno dei progetti più interessanti del mondo del calcio popolare italiano, ovvero l’Armata Pirata 161, il gruppo ultras che sostiene il St. Ambroeus di Milano. Il calcio popolare è un fenomeno che da qualche anno ha davvero travolto il tessuto sportivo amatoriale italiano, con una impressionante quantità di società, molto vive e in continua crescita. Basta dare un’occhiata all’Atlas du Football Populaire di Yann Dey-Helle per rendersi conto che, a confronto degli altri paesi, l’Italia è oggi il vero cuore di questo movimento a livello internazionale.
Calcio popolare significa soprattutto una forma di calcio alternativo a quello delle grandi competizioni, dominato da valori finanziari e sempre più distante dagli interessi dei tifosi. Andando ancora più in profondità, è un tipo di gioco in cui lo sport sopravvive in virtù di uno stretto rapporto con la politica e gli ideali di inclusione e antifascismo, diventando un’occasione di riscatto per il calcio in generale, che troppo spesso, quando non è preda di dinamiche esclusivamente capitalistiche, lo è di tendenze neofasciste o criminali. Si tratta di una nuova forma di attivismo politico, che attraverso il calcio si pone come meno elitario e più a contatto con le comunità in cui si sviluppa. Da qui arrivano progetti come quello del St. Ambroeus, un club nato dalla fusione di varie squadre di richiedenti asilo di Milano e che dal 2018 milita nella Terza Categoria FIGC. Il nome richiama quello del St. Pauli di Amburgo, ma in versione milanese (Sant’Ambroeus è la forma dialettale per Sant’Ambrogio, il patrono della città), mentre il simbolo della squadra, molto autoironico, è un piccione. Fin da questi piccoli dettagli iniziali, il club dichiara il proprio intento inclusivo: i simboli di Milano, portati e difesi in campo da ragazzi migranti.
Il contesto del capoluogo lombardo è stato determinante per la nascita del St. Ambroeus. I dati di OpenPolis del 2019 indicano che la Lombardia è la regione con il più alto numero di richiedenti asilo in Italia (10.317) con 1.456 ospiti presenti nei centri di accoglienza del solo comune di Milano, che rappresentano dunque lo 0,1% della popolazione cittadina. Qui sono dunque iniziati a nascere club di calcio amatoriale per migranti e richiedenti asilo, come il Black Panthers FC, legato al centro di accoglienza di via Aldini, in zona Certosa; e poi i Corelli Boys del CAS di via Corelli, vicino a Linate, i Corelli Lions, i Blue Boys e il Thomas Sankara FC di Trezzano sul Naviglio. Tutte queste esperienze hanno portato alla creazione, nel 2018, del St. Ambroeus, in un modo che ricorda per certi versi la nascita di alcuni vecchi club inglesi che riunivano varie squadre piccole di una città (e assumevano di conseguenza la denominazione United).
Ma La chiamavano Armata Pirata non è un documentario sul St. Ambroeus, bensì sul suo gruppo ultras. Un tema spesso sottovalutato e poco discusso, quello delle tifoserie del calcio popolare, dove il focus è principalmente sulla squadra. Come emerge anche dall’opera di Bolzoni, il bisogno di riappropriarsi del calcio dal basso non riguarda solamente il campo e la gestione societaria, ma pure gli spalti. Le persone che compongono l’Armata Pirata 161 sono impegnate direttamente nel St. Ambroeus e nelle sue attività sportive ed extra sportive, facendo parte del consiglio direttivo del club, in una sorta di versione nostrana del modello tedesco. Ma l’aspetto più interessante, e che rende molto particolare questa storia anche nell’universo del calcio popolare, è che a giocare sono i migranti, mentre gli italiani (ma non solo e non necessariamente italiani) sono sulle gradinate a tifare. Sono le due anime di un club che ribalta molti stereotipi sul tifo e sul calcio più in generale.
In circa mezz’ora, il documentario di Giacomo Bolzoni porta lo spettatore dentro l’Armata Pirata 161, potendo sfruttare anche un’attrezzatura minima (smartphone e microfono) per le riprese e le interviste. Si parla di tifo, ma soprattutto di tifo come attivismo politico e sociale, che dallo stadio si sposta nelle strade della città. Tifo calcistico, quindi, come pratica politica. Un aspetto che si ritrova molto nella parte dedicate alle ragazze dell’Armata Pirata, ultras donne che hanno portato la propria coscienza di genere nella curva. Il mondo del tifo organizzato è tendenzialmente maschilista e maschio-centrico, come dimostrato anche da alcuni casi di esplicito sessimo – tipo quando nel 2018 gli ultras della Lazio diffusero un volantino in cui si avvertiva che le donne non erano ammesse nella Curva Nord se non dalla decima fila in poi. Nel calcio popolare, ovviamente, l’antisessismo è un valore importante, ma è interessante sentire come le piratesse del St. Ambroeus non si limitino a essere donne-ultras, ovvero a riproporre lo stereotipo del tifo maschile in guisa femminile, ma cerchino di trovare una propria dimensione.
Il momento in cui alcune tifose spiegano cosa voglia dire, per loro, essere parte dell’Armata Pirata è tra i più significativi del film. Ci sono riflessioni sulle dialettiche tipiche della curva, molto maschili, che devono essere decostruite, così come l’atto – politicamente e comunicativamente molto rilevante – di riprendere un tipico coro sessista degli ultras italiani e riscriverlo, facendolo proprio e trasformandolo. Le donne del St. Ambroeus che lanciano i cori dell’intera tifoseria sono figure attive e in primo piano sia nelle iniziative allo stadio che fuori da esso, e sono il simbolo di una rivendicazione che è essenzialmente politica. Il loro spirito è descritto perfettamente anche da Lupa, una delle Ladies dell’Armata Pirata, in un articolo pubblicato nel 2023 sul sito di Radio Popolare: “Io sono una tifosa, ho scelto di esserlo, ho bramato il mio posto sugli spalti: la prima linea, lanciare i cori, zittire gli altri. Le donne sono meno degli uomini, ma talvolta cantano più forte. Quanto può essere soddisfacente capovolgere un coro machista e trasformarlo in un grido di donne ultras, ve lo dico io, molto”.
La chiamavano Armata Pirata è un piccolo affresco che in pochi capitoli mostra com’è il tifo del St. Ambroeus. Più che uno sguardo approfondito ai sostenitori e alle sostenitrici della squadra, è un primo essenziale approccio, che può stimolare lo spettatore a recarsi di persona al campo sportivo di via Giulio Bechi, in zona Gorla, per vedere di persona di cosa stiamo parlando. Può essere un modo per iniziare a scoprire (o a riscoprire) un modo di seguire il calcio lontano dalle claustrofobiche dinamiche del professionismo esasperato e – almeno superficialmente – depoliticizzato. Perché d’altronde, come dice uno dei giovani ultras intervistati da Bolzoni: “Stai sugli spalti ogni domenica, ma non è una messa: è un carnevale!”.
Per maggiori informazioni sul documentario “La chiamavano Armata Pirata”, potete seguire la pagina Instagram del progetto.
Mi sono permesso di riprendere l’articolo per il blog “Storia del Calcio Savonese” allo scopo di costringere molti a riflettere sull’iperprofessionismo e sul processo imitatorio che si sta verificando a livello di calcio minore. Un tema sul quale il nostro blog insiste frequentemente. Grazie