La condizione delle persone trans in Italia
di Egidio Burnelli (*)
Recentemente mi è capitato di leggere il libro di Porpora Marcasciano «Tra le rose e le viole» (Edizioni Alegre 2020, prima edizione manifestolibri 2002).
Nel libro vengono raccolte 10 interviste a persone transgender fatte dall’autrice nel 1999. Le interviste ripercorrono la storia personale delle protagoniste e grazie alla comparazione tra i vari racconti di vita si può ricostruire una storia del movimento trans in Italia e la dura repressione che c’è stata nel nostro Paese.
Per decenni la vita delle persone trans in Italia è stata segnata dalla discriminazione e dall’emarginazione. L’assenza di opportunità lavorative ha spinto molte verso la prostituzione, spesso vissuta come scelta obbligata, altre volte come affermazione di sé. Ma comunque la si vivesse, significava entrare in rotta di collisione con la polizia.
L’articolo 85 del Codice Penale – che puniva il «mascheramento» – e la famigerata «diffida» hanno criminalizzato l’esistenza stessa delle persone trans, schedandole come socialmente pericolose e privandole di diritti elementari. Le carceri, poi, hanno rappresentato un ulteriore inferno: donne trans costrette a scontare pene in istituti maschili, esposte ad abusi e violenze.
Nonostante tutto, la comunità trans non è rimasta in silenzio. In Italia, un momento simbolico fu la protesta davanti alla questura di Roma nel 1969, in parallelo ai moti di Stonewall negli Stati Uniti. Queste lotte aprirono la strada a conquiste legislative come la legge 164 del 1982, che per la prima volta riconobbe il diritto al cambio di sesso anagrafico. Nonostante i progressi legislativi e culturali degli ultimi decenni, la vita quotidiana delle persone trans in Italia continua a essere segnata da difficoltà strutturali. Se la legge 164 del 1982 ha aperto la strada al riconoscimento giuridico del cambio di sesso, e le successive sentenze hanno semplificato l’iter di rettifica anagrafica, i problemi concreti restano numerosi.
Il tasto più dolente è quello dell’inserimento lavorativo. Secondo diverse ricerche condotte da associazioni Lgbtq+, più della metà delle persone trans dichiara di aver subìto discriminazioni sul lavoro o di aver perso un impiego a causa della propria identità di genere. Per molte, l’accesso a un’occupazione regolare rimane un miraggio: la mancanza di tutele effettive spinge ancora oggi alcune verso la prostituzione come mezzo di sopravvivenza, una realtà che ricorda da vicino quella raccontata da Porpora Marcasciano negli anni Settanta e Ottanta.
Un altro fronte critico è la sanità. In Italia i percorsi di affermazione di genere – terapie ormonali e interventi chirurgici – sono teoricamente garantiti dal Servizio sanitario nazionale. Nella pratica, però, si registrano liste d’attesa interminabili, differenze regionali abissali e una forte carenza di personale formato. Molti sono costretti a rivolgersi a strutture private con costi elevati o a recarsi all’estero, con il rischio di percorsi frammentati e poco sicuri.
Nonostante le semplificazioni introdotte negli ultimi anni, ottenere il cambio di nome e genere sui documenti resta un processo lungo e dispendioso. La discrepanza tra identità percepita e dati anagrafici espone le persone trans a situazioni umilianti e discriminazioni nella vita di tutti i giorni: iscriversi a scuola o a un’università, viaggiare, accedere a un servizio pubblico può diventare un ostacolo insormontabile. Ad esempio i dati raccolti dall’indagine Istat + Unar (2023) su persone trans e non binarie dice che 66,1% delle persone trans/non binarie la cui identità è visibile o riconoscibile dichiara di aver subito discriminazioni all’interno degli ambienti scolastici ouniversitari. Sempre la stessa ricerca mostra che circa 1 persona su 2 ha vissuto almeno un episodio di discriminazione per motivi legati all’identità di genere nella fase di ricerca del lavoro. Questo porta a far sì che il 46,4% degli intervistati eviti di fare domanda o di partecipare a colloqui perché teme che la propria identità di genere possa essere un ostacolo.
Le cronache continuano a registrare episodi di violenza fisica e verbale. Secondo i dati di Transgender Europe (Tgeu), l’Italia si colloca stabilmente tra i Paesi europei con più casi di aggressioni a sfondo transfobico. A questo si aggiungono isolamento sociale e difficoltà abitative: non è raro che giovani trans vengano cacciati di casa dopo aver fatto coming out, trovandosi a vivere in condizioni di precarietà estrema.
Sul piano politico, il dibattito rimane polarizzato. L’affossamento della legge Zan nel 2021 ha segnato un passo indietro, lasciando l’Italia priva di una normativa organica contro l’omotransfobia.
Allo stesso tempo, una parte del discorso pubblico – alimentata anche da frange del femminismo radicale trans/escludente – continua a mettere in discussione la legittimità stessa delle identità trans.
Nonostante le difficoltà, il movimento trans italiano continua a essere attivo. Associazioni come il Mit (Movimento Identità Trans), fondato a Bologna negli anni Settanta, portano avanti battaglie legali e offrono supporto sanitario e psicologico.
Le nuove generazioni, più visibili e determinate, chiedono pari diritti e riconoscimento. Ma la distanza tra le conquiste sulla carta e la realtà vissuta resta ampia.
A questo proposito, vediamo ora la testimonianza di Ambra, una giovane ragazza trans di Carpi, che fa una riflessione sulle incertezze burocratiche, le difficoltà economiche e l’assenza di informazioni chiare su come affrontare il percorso medico e legale per il cambio di sesso. Ambra racconta di aver compreso la propria identità femminile in modo quasi casuale: «Indossare una gonna per vestirmi da ‘femboy’ ha aperto un vaso di Pandora. La mia sofferenza psicologica ha iniziato a dissolversi solo dopo un ‘semplice’ cambio di nome e di vestiti»
Tuttavia, la strada verso il riconoscimento della propria identità non si è limitata a un cambiamento esteriore. Se il sostegno della scuola e degli amici attivisti le ha permesso di superare i conflitti familiari – un padre ostile, episodi di umiliazione e addirittura l’essere chiusa fuori casa – la vera barriera è stata la mancanza di informazioni e la complessità del sistema sanitario e burocratico italiano.«Vivendo a Carpi, la cosa più logica era rivolgersi al Mit di Bologna» racconta. Ma l’associazione – storicamente un punto di riferimento per le persone trans – non l’ha richiamata nemmeno dopo due settimane. In alternativa c’è il Gruppo Trans di Bologna, ma le sedute psicologiche non sono sovvenzionate e costano circa 80 euro l’una.
Le scelte di Ambra si trasformano così in una mappa di costi e ostacoli. «Al Mit mi hanno detto che mi avrebbero richiamato entro 15 giorni, ma aspetto ancora. Poi ho scoperto che mi sarebbero servite una marea di visite mediche. Nel pubblico ci avrei messo una vita, quindi avrei dovuto rivolgermi al privato: 500 euro solo per iniziare». Online, la situazione non migliora: le informazioni sono frammentarie, spesso affidate a commenti su forum come Reddit. Nessuna guida chiara, nessun portale ufficiale che spieghi quali siano i passaggi medici, psicologici e legali da compiere.
«Ho cercato ovunque, ma non ho trovato nulla. Solo un commento che diceva che al Mit bisogna spendere un rene in esami».
Per una ragazza che non può contare su un lavoro stabile e che ha già dovuto affrontare una bocciatura scolastica, la prospettiva è spaventosa. «Le mie uniche soluzioni sono chiedere aiuto alla mia famiglia – con il rischio di nuovi conflitti – andare al Gruppo Trans di Bologna con costi ‘nascosti’ che non conosco oppure fare, da sola (‘Diy’), ma lì entriamo in una zona grigia tra legale e illegale». Il quadro che emerge dalla storia di Ambra è quello di un percorso ad ostacoli, dove la mancanza di informazioni istituzionali e il peso economico delle prestazioni private si intrecciano con fragilità personali e familiari. «Mi ritrovo in un impasse alquanto divertente, a fare salti nel vuoto su salti nel vuoto» conclude amaramente.
La sua testimonianza mette in luce un problema più ampio: per molte persone trans in Italia, il diritto a un percorso di transizione dignitoso e accessibile è ancora lontano dall’essere garantito. In assenza di linee guida chiare, la scelta diventa spesso una lotteria tra costi proibitivi, tempi infiniti e la paura di sbagliare strada.
In definitiva, la condizione delle persone trans in Italia è ancora segnata da precarietà, incertezze burocratiche e discriminazioni. Pertanto, si deve affermare che la storia trans è sempre stata una storia di resistenza. Oggi più che mai, quella resistenza chiede di tradursi in diritti pienamente riconosciuti e in una dignità sociale che non può più essere rimandata.
(*) ripreso dall’ultimo numero del bel mensile «Micropolis» che esce nelle edicole umbre come supplemento al quotidiano «il manifesto». Sul sito micropoolisumbria.it ci sono tutte le annate (scaricabili, volendo) e anche l’ultimo numero, il mese dopo l’uscita in edicola.

